Ringrazio Andrea (Vitolo ndr) per l’invito rivoltomi a scrivere un post sul sistema sanitario, con l’idea di dar seguito alla nostra riflessione politica su un piano un po’ più concreto. Tuttavia, nel riflettere sul compito, mi sono subito accorto che avrei dovuto correggere un po’ il tiro; piuttosto che dal sistema sanitario, è forse più opportuno iniziare la nostra riflessione dal significato stesso di salute, rimandando la discussione sul sistema sanitario ad altra occasione. Tengo inoltre a precisare che non tratterò di cura dei malati.
Premessa
Proprio all’inizio del testo della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, risalente al 1946, la salute viene definita come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità”. Due semplici osservazioni:
- E’ una definizione che mi colpisce per la sua modernità e ambizione; pone enfasi sul fatto che la salute riguarda la nostra intera persona, corpo, mente e relazioni interpersonali e non parti del corpo o parti della mente o alcune relazioni a scapito di altre; emerge una salute olistica, che riguarda tutta la persona.
- Questa definizione non sembra in linea con il concetto di salute predominante nel mondo, focalizzato quasi unicamente sul controllo delle malattie.
Ed ora delle domande che vorrei accompagnassero la riflessione che segue: lo stato di benessere spirituale (non incluso nella definizione dell’OMS) fa parte della salute? In altre parole, la pace fa parte della salute? oppure ci può essere pace senza salute o viceversa? Inoltre, che rapporto c’è tra salute e salvezza, tra guarigione del corpo e redenzione?
Riflessione
Qualunque siano le vostre risposte, è certo che la guerra sul piano esterno non produce salute, e nemmeno lo stato di guerra interiore con lo stress che ne deriva. Inoltre, dobbiamo riconoscere che pace e salute sono beni che nessuno, esterno a noi, può veramente darci … in qualche modo è richiesto che si faccia la nostra parte, che si eserciti la nostra libertà. La pace e la salute sono a nostra disposizione, sta a noi prenderle. Noi già sappiamo che cosa ci sia richiesto per darci pace, ovvero entrare in giusta relazione con il Creatore (magari dopo aver fatto un po’ di silenzio dentro di noi), e quindi non ci sarà difficile capire che, per darci salute, dobbiamo entrare in giusta relazione con il creato (dove la contemplazione silenziosa del creato potrebbe essere una pratica propedeutica): la salute non esiste dentro di noi (non è solo uno stato di benessere) e neppure fuori di noi (non è solo una medicina) … esiste piuttosto nel mondo del tra …tra me e le piante, tra me e gli animali, tra me e la mia famiglia, tra me e il mio prossimo, tra me e i miei fratelli, tra me e la terra, tra me e l’aria, tra me e l’acqua, tra me e il cibo, tra me e l’ambiente, tra me e il sole … tra il seme e la terra. Il mondo del tra è il mondo della relazione dove pace e salute possono svilupparsi o decadere. Come Gesù insegnava, il regno di Dio, regno di pace e di salvezza/salute, è tra di noi. La salute esiste quindi come espressione di una giusta relazione con il creato; è quindi già ora a nostra disposizione.
Si riparte quindi dalla centralità della relazione. Nella definizione dell’OMS, riportata sopra, tale idea viene toccata anche se non ha il primato; la salute viene infatti ancora concepita prevalentemente come uno stato interno di benessere della mente e del corpo, ambiti in cui le conseguenze della mancanza di salute si fanno sicuramente notare. Comunque, documenti più recenti dell’OMS riconoscono sempre più compiutamente l’origine relazionale della salute, sottolineando che le scienze sociali ed ecologiche dovrebbero essere alla base della nostra comprensione della salute. Penso quindi che si possa stabilire, nel rispetto della scienza, della nostra fede e del buon senso, che la relazione con il creato sia il fondamento della salute.
Faccio ora un piccolo inciso personale, forse superfluo. Ho appreso il primato della relazione da Buber, un ebreo, e da Marco che mi ha ricordato che la particolarità dei cristiani è quella di credere in un Dio trino. Recentemente ho avuto un’intuizione a riguardo che lascio a voi valutare; ovvero che il nostro Dio vive nel sette … le sette possibili relazioni che tre persone possono avere tra di loro … uno a uno, uno a due e tutti e tre assieme. La sacralità dei numeri 3 e 7 nella Bibbia, e non del numero 1, potrebbero quindi essere un modo per ricordarci del primato della relazione anche sull’Essere che, in fondo, è solo … solo Relazione in potenza.
La salute è allo stesso tempo una scelta individuale e collettiva, una risposta della persona e della collettività alla bellezza e sacralità del creato. Ci sono molti modi in cui nella nostra vita, in modo individuale e collettivo, non entriamo in giusta relazione con il creato; darsi salute significa innanzitutto riconoscere tali modalità distorte e riconoscere le conseguenze che tali modalità hanno sulla nostra salute e sulla salute del creato. A questo punto sarebbero molte le cose da dire, tutte confermate anche da una solida evidenza scientifica, ma preferisco mantenermi in questo post su un piano più generale.
Conclusione
Rispondo infine ad alcune delle domande iniziali. Lo stato di salute sembra essere innanzitutto metafora della nostra relazione con Dio, così come Gesù ci ha insegnato in tutte le sue guarigioni. I ciechi nati siamo noi tutti che non vediamo Dio. Noi tutti siamo malati perché non siamo in relazione con Dio e abbiamo bisogno che Gesù, il nostro collirio terapeutico, ci ristabilisca nella relazione. Ma la salute è anche una realtà in sé, con un suo significato intrinseco. Per mantenerla dobbiamo rivedere la nostra relazione con il creato, per recuperarla, se l’abbiamo persa, dobbiamo amare il creato ancora più intensamente. Infine teniamo in mente e in cuore che non possiamo evitare la morte; inoltre, per quanto ne dica il nostro io egoico, il nostro io relazionale sicuramente non ricerca una vita lunga e senza malattia, ma ricerca semplicemente una vita in Relazione. Non è quindi utile ricercare la salute per noi stessi ma piuttosto la pace con il creato e la salute seguirà … ed ecco che mi viene in mente San Francesco!
Caro Alessandro, grazie di questo post davvero importante, credo che possa essere il primo di una lunga serie: ormai ti sei compromesso…. La questione del nesso salute/salvezza/pace è centrale per ogni persona, e nel nostro lavoro risulta sempre all’ordine del giorno. Per fortuna oltre a te ci sono altri medici nei nostri Gruppi, e penso che potremmo immaginare iniziative specifiche, anche sperimentazioni concrete, per dilatare e approfondire il rapporto con la salute: una sezione Darsi salute?
Grazie di nuovo, e auguri. Marco
Grazie Ale, ci dai una immensa opportunità con questo tuo articolo; quella di integrare la sfera dei nostri problemi di salute al lavoro dei gruppi.
I miei problemini sono certamente somatizzazioni di difficoltà psicologico/relazionali (svelate in questo terzo anno di corso). Se risolverò tali difficoltà potrò aspirare a migliorare il mio stato di salute.
Non credo tuttavia che la conseguenza sia scontata (ovviamente). Il corpo è di questo mondo e risponde alle sue leggi, a volte crudeli ed incomprensibili….
Leggo questo post ed ecco la mia prima reazione: non è per me.
Visto che questo stato di armonia corpo/mente/relazioni è in me zoppicante e che, ancora peggio, sono proprio dentro una condizione di parziale sofferenza, allora proprio non è il caso che intervenga.
Invece lo faccio, per sottoporvi un diverso concetto di salute, che non esclude la malattia ma prova ad integrarla al suo interno. Ho letto alcune cose sull’argomento: qui cerco di riassumere alcuni dei concetti dello psicoterapeuta tedesco T. Dethlefsen.
È meglio partire dalla salute o dalla malattia?
Secondo Dethlefsen l’uomo non diviene ammalato, ma ” è ” per sua natura malato. Non esistono le malattie ma soltanto una malattia che fa parte integrante della condizione patologica dell’uomo su questa terra e che si manifesta in molteplici forme. Questa malattia accompagna l’uomo per tutta la vita, con sintomi più o meno evidenti, e sfocia infine nella morte. L’uomo sano, esente da qualsiasi disturbo, esiste solo nei testi di anatomia. La malattia è lo stato di imperfezione del nostro esistere, e fa parte della salute come la morte della vita. In una situazione di polarità come quella che viviamo noi, solo la coniugazione di salute e malattia rende l’uomo sanabile. Le nostre malattie avrebbero quindi sempre un significato evolutivo interiore, cioè rappresenterebbero una sintesi di messaggi che dobbiamo integrare nella nostra vita su un piano di coscienza. Naturalmente tutto questo deve essere accompagnato dalla cura medica dei sintomi. Le due cose non possono essere disgiunte ma, sempre secondo Dethlefsen, la vera guarigione è sempre collegata ad una dilatazione di coscienza e ad una maturazione. Altrimenti si trattano solo dei sintomi superficiali che finiranno per manifestarsi ancora in modi diversi.
Queste tesi le trovo molto provocatorie, mi affascinano ma penso vadano prese con molta cautela, specialmente da chi già si trova in una situazione di sofferenza. Però hanno il pregio di includere e non di separare salute e malattia. Mi sembrano nell’ottica di quell’integrazione/coniugazione/trasmutazione che noi cerchiamo nei nostri gruppi e per questo motivo ho pensato di riportarvele.
Per rispondere poi alle due domande poste da Alessandro:
La mia esperienza di questi tre anni con voi mi dice che una sana e regolare vita spirituale è sinonimo di salute, anche dentro una condizione più o meno grave di malattia. Mi sembra una questione di igiene: come un paio di secoli fa la medicina si accorse che si salvavano tante vite con la cura igienica dei corpi e dei luoghi, così anche noi oggi in Occidente ci stiamo accorgendo che si possono salvare vite abituandosi ad un’igiene mentale, emotiva e spirituale che è ancora tutta da scoprire e praticare. E da insegnare. La pace che così pian piano si apprende si espande per sua natura all’interno e all’esterno di noi, e porta un po’ di guarigione, ripeto, anche dentro una condizione di non completa salute fisica.
Per quanto riguarda poi il rapporto tra salute e salvezza, la fede in Cristo promette la risurrezione del nostro corpo, e questo mi sembra fantastico!
Mi piace pensare che il mio corpo e la mia anima siano già al sicuro, luminosi e splendenti da qualche parte del cosmo, mentre qui ora ci sono ancora dei pezzi che non vanno e che mi impartiscono lezioni, spesso dure e sgradite, che dovrò imparare prima del passaggio successivo. Sempre però con la folle speranza che Gesù passi da queste parti e che io riesca a toccarne il mantello, e a sentire anche nel mio corpo la sua forza risanante!
Scusate il commento così lungo. Aggiungo solo un’ultima cosa: Stefano C. parla di integrare i nostri problemi di salute con il lavoro dei gruppi. A parte l’evidente interesse personale, credo anch’io che potrebbe essere un importante ambito di evoluzione del lavoro di DarsiPace.
Grazie per la vostra attenzione e grazie ad Alessandro per aver aperto questo filone di discussione.
Antonietta
Sono pienamente consenziente con quanto ha scritto Antonietta e con l’autore che ha citato, soprattutto perché quest’ultimo non pone una netta separazione tra sani e malati e considera la malattia, opportunamente curata, un mezzo di evoluzione personale. Non era così anche per Gesù che collegava la guarigione da lui portata con la fede del risanato, avviato così verso una nuova vita?
Quando poi saremo, dopo la morte ,in un’altra dimensione, non avremo più bisogno forse di malattie per perfezionarci.. Piacerebbe anche a me che nel nostro movimento D. P. si continuasse a parlare di questi temi! Mariapia
Forza Alessandro e forza ai medici darsipacisti!
Io faccio il tifo per una sezione Darsi Salute in Darsi Pace.
Le tue riflessioni e i commenti che le hanno seguite mi hanno aiutato a rispondere ai miei colleghi sul tema dell’apprendimento cooperativo focalizzando l’attenzione sulla relazione e sulla salute intesa come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.
Auguri per i tuoi progetti e grazie a tutti i compagni di viaggio.
Giuliana
Grazie Antonietta per il tuo dettagliato commento. Sospettavo di poter suscitare una reazione simile alla tua e per questo all’inizio del post avevo scritto che non avrei trattato di cura dei malati; comunque sono contento che sia emersa. Rileggendolo, il mio post rischia di urtare la sensibilità di tutti quelli che soffrono per qualche malattia perchè sembra suggerire che la malattia sia la conseguenza (magari a livello individuale) di una cattiva relazione con il creato. Mentre tutti noi sappiamo che la malattia colpisce anche in modo indiscriminato, senza nessuna apparente ragione. E in tal senso è vero che nasciamo tutti malati o potenzialmente malati e poi tutti ci ammaliamo (chi prima, chi dopo) e poi moriamo.
In medicina diciamo che la malattia ha due conseguenze: la disabilità (dolore, fragilità, ecc.) e la morte prematura. Per quanto riguarda la durata della vita, io sinceramente non so cosa dovremmo aspettarci; forse 70 anni sono sufficienti per compiere la nostra evoluzione, forse anche molto meno, ed in ogni caso sarebbe “sano” essere pronti a lasciare il corpo in qualunque momento. Diverso è il discorso sul dolore e sulla fragilità, a cui ognuno è chiamato a dare un significato personale, come anche S.Paolo ha dovuto fare.
Tuttavia, di fronte alle attuali pandemie di obesità, diabete, patologie cardio-vascolari, cancro … tutte malattie che erano quasi assenti un secolo fa, malattie portatrici di molto dolore e fragilità, la persona malata potrebbe dare più facilmente un significato alla propria malattia (senza ovviamente escludere che la sua malattia possa avere anche altri significati), qualora riconoscesse che la malattia di cui soffre è almeno parzialmente riconducibile allo stile di vita e quindi alla qualità della relazione (personale o collettiva) con il creato.
La malattia è come una domanda che ci viene rivolta e a cui noi tentiamo di rispondere dandole un significato vero/onesto che ci aiuti a crescere, ma forse i significati veri sono più di uno. Tra questi, visto il quadro epidemiologico attuale con netta prevalenza di patologie croniche legate agli stili di vita, penso sia vero/onesto includere la qualità della nostra relazione con il creato. Spero così di aver risposto, almeno in parte, alle più che legittime perplessità di Antonietta e Mariapia.
Infine, concordo con l’appello di Marco e Stefano: sarebbe proprio bello avere una sezione darsi salute, dove poter continuare questa riflessione. Un abbraccio
Alessandro
Caro Alessandro, grazie per queste tue riflessioni, il tema della salute o per usare un termine di medicina antroposofica che mi piace moltissimo della “salutogenesi” credo sia un tema centrale nella vita spirituale delle persone; non mi sono sbagliata ho scritto “vita spirituale” perchè se diciamo che la spiritualità va incarnata, non possiamo prescindere dal corpo e dalla sua salute di conseguenza e così come un certo ordine mentale, un certo raccoglimento e un certo tipo di meditazione e di contemplazione fanno bene alla nostra mente, altrettanto dovremo pensare a quali sono le azioni, i cibi, le bevande, la velocità della nostra vita che permettono a tutto il nostro essere compreso il corpo di stare meglio.
Oggi la quantità di informazioni che corrono in rete e il conflitto di interessi tra case farmaceutiche e aziende sanitarie che più siamo ammalati e più si arricchiscono rischia di renderci sempre più smarriti e confusi.
Mi sembra che il concetto che la salute sia assenza di malattia, sia così radicato in noi che in assenza di malattia possiamo permetterci qualsiasi stile di vita, senza pensare che tutte le nostre azioni hanno degli effetti, mi sembra che così come cerchiamo in questo percorso di mutare il nostro pensiero che male-dice noi stessi, dovremmo cercare anche di mutare le nostre azioni che male-fanno al nostro corpo.
Questo concetto pur essendo abbastanza semplice porta in se già notevoli problemi, ma qual’è lo stile di vita migliore per cercare di mantenere in equilibrio il nostro assetto psico fisico?
Quale cibo? Quale attività fisica? Quali accorgimenti?
Siccome da anni mi interesso a queste tematiche non mi addentro in risposte perchè come nel panorama della spiritualità le vie di guarigione sono a centinaia e tutte si propongono come la migliore, così nel campo della salute o dell’alimentazione le teorie sono infinite e tutte pretendono di avere ragione. Per non parlare poi degli elisir di lunga salute di origine più o meno esotica che ogni tanto spuntano, vedi Papaya, Baobab, o chissà quanti altri (che tra l’altro io provo quasi sempre).
Questa eccessiva mole di informazioni richiede veramente un grande discernimento, che penso si possa avviare meglio in un gruppo così da unire le conoscenze di tutti per giungere ad una migliore e più condivisa e ampia panoramica per vedere il problema dalle mille sfaccettature che esso ha.
Questo tuo scritto mi ha colpita molto e sono diversi giorni che penso di rispondere, tante cose mi sono passate per la mente, questo significa che ho un grande desiderio di affrontare insieme questo affascinante e misterioso argomento.
Ti ringrazio, un bacio al tuo bimbo.
Daniela
Concordo anch’io sul fatto che la salute non si possa ridurre esclusivamente ad un’assenza di malattia. Tuttavia l’assenza di malattia mi pare sia condizione necessaria, seppure non sufficiente, nella definizione di salute. Del resto, essa è posta come costitutiva della scena originaria che Gesù annuncia in Mt 11,4-6 rispondendo ai discepoli di Giovanni che gli chiedevano se fosse lui il Messia atteso: «Gesù rispose: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me.”»
Certo il compimento della promessa di Dio è escatologico mentre la nostra esperienza su questo lato della vita è all’insegna dell’ambivalenza, sul crinale del già e del non ancora. Il nostro continuo tentativo di guarire mi pare faccia parte del nostro anelito alla felicità che lascia trasparire la Verità della vita come pienezza liberata dal male. Il nostro anelito alla guarigione mi sembra cioè del tutto legittimo e francamente, nella mia esperienza, preferirei proprio essere sana nel senso di assenza di infermità piuttosto che nella situazione in cui mi ritrovo.
Per me la malattia è una forma in cui il male si coagula nelle nostre vite e dal male si può soltanto essere liberati, così come dalla malattia si vuole soltanto essere guariti. Per me affrontare la malattia significa cercare le modalità che ci permettano di intravedere il senso della vita nonostante la sofferenza, ma appunto per me è un “nonostante” e non un “attraverso”. Dal male non mi pare possa derivare alcun bene, ciò che possiamo fare è affrontare la situazione di dolore tentando di custodire la speranza del suo superamento testimoniandone l’attesa. Altrimenti integriamo il male e questo mi pare che Gesù lo rifiuti categoricamente proprio liberandocene.
La relazione tra salute e salvezza, dalla mia prospettiva, è senz’altro un’integrazione necessaria, ma occorre proporla con molta cautela. Vedo infatti il rischio di scivolare nell’interpretazione “meritocratica” per cui la sofferenza sarebbe modalità di salvezza, qualcosa che merito in base ai miei peccati, che dovrebbe dirmi qualcosa di preciso sulla mia vita, una sorta di messaggero divino, come spesso è stata via via letta. Io mi fido del mio Signore che ha promesso anche a me la liberazione dal dolore, incondizionatamente, senza chiedermi nulla in cambio ma come dono d’amore fin dal principio. E per me questo significa tentare in tutti i modi di ristabilire un equilibrio di vita che la malattia di volta in volta mette in crisi. Mi pare che lo stile di vita (quindi le relazioni in senso lato) possano essere risorsa preventiva e coadiuvante terapeutico. A me pare però che di fronte alle malattie, qualunque esse siano, siamo chiamati a fare di tutto pur di guarirle. Gesù libera dalla lebbra, non la interpreta.
“Non v’è più riflessione, né discorsi costruiti, non più attività, né padronanza. Niente pensiero.
Si è ridotti all’essenziale.
Quale essenziale?
Sembra che sia sul versante del corpo, delle sue necessità, delle sue urgenze che urlano. L’essenziale è sopravvivere.
[…]
Ci sono sette cose che sono assolutamente necessarie all’uomo; se esse mancano o tardano troppo, egli muore. Sono: respirare, bere, mangiare, orinare, andare di corpo, dormire, […] la divina tenerezza.
[…]
Ma il corpo che duole ricorda brutalmente la sua animalità che lo sottomette ai bisogni organici. Umiltà d’esserne dipendente, di occuparsene, di avere come principale preoccupazione, che arriva anche a cancellare tutto il resto, il riuscire a salvare le funzioni triviali!”
(Maurice Bellet, Il corpo alla prova o della divina tenerezza, Servitium 2007)
Iside (con ancora molta rabbia da smaltire)
Eccomi qua , con le mani tremanti perchè ad accostarmi a questi temi in un dibattito pubblico provo tanto pudore e commozione pensando ai mie malati cari ,a quelli che non ci sono ,al dolore .Stiamo affrontando un tema per me centrale e pieno di Mistero ,e al quale non ho risposte , ma solo qualche intuizione poetica .E’ vero Antonietta concordo con te ci puo’ essere pace anche in uno stato di non completa salute fisica .Credo che sia sempre questione dello stato in cui ci troviamo .Per me è un errore dire che la malattia sia una lezione che dobbiamo apprendere o un ‘opportunità , ANZI ,per me la malattia dopo trentanni di professione resta un Mistero di fronte al quale spesse volte mi inginocchio e prego .
Ma so per certo che le malattie evocano sempre uno stato distorto egoico che non aiuta la guarigione e lo evocano sia nel paziente e sia nel medico .
Si attivano subito tutte le maschere piu’ strette e coattive,l’Ombra ci inghiotte e ci divora .E invece proprio nel momento dell’emergenza dobbiamo stare profondamente in Relazione con Cristo ,perchè è li’ che qualcosa si trasforma .E’ si puo’ guarire e si puo’ anche morire …..guariti .
Bravo Alessandro ,darsi pace è darsi salute, anzi forse pace e salute sono un dualismo della stessa energia come onda e particella ??
Iside mentre scrivevo ,tu postavi le tue bellissime riflessioni e la citazione .Quanto ti abbraccio ?Mille , anzi quanto vi abbraccio a tutti milioni e trilioni di volte
Cara Iside,
Dire che “dal male non possa derivare alcun bene”, potrebbe far pensare che neppure dalla croce (la morte di Gesu – il più grande male che ci sia mai capitato) possa derivare alcun bene. Sollevo la domanda e lascio a tutti la ricerca di una risposta, ma, forse, Dio è abbastanza potente da trarre il bene anche dal male, oltre che dal nulla. Comunque, S.Paolo insegna a non ricercare il male affichè il bene sovrabbondi! Quindi, non c’è forma di amore che spinga a causare il male ad un altro essere umano o a desiderarlo per noi stessi, magari al fine che qualche forma di bene ne segua. E quindi è più che legittimo sperare di non avere alcuna malattia, in questo concordo completamente con te.
Devo quindi correggere quanto ho scritto nel mio post: “il nostro io relazionale sicuramente non ricerca una vita lunga e senza malattia”; in realtà il nostro io relazionale ricerca una Relazione eterna in perfetta salute. Grazie Iside.
Stai bene
Alessandro
Caro Alessandro, grazie della tua precisazione che trovo assolutamente convincente.
A livello medico e sociale la salute è quello che tu hai scritto così bene, e compito della medicina e della politica/società è quello di prevenire e curare.
Sicuramente introducendo sempre più l’importanza di quel “tra” ( stare bene con se stessi, con gli altri, con il creato), e farlo a partire dalle scuole, per esempio.
Se dal livello macro scendiamo a quello micro, qui le cose diventano più complesse, e incarnate in maniera originale in ognuno di noi.
Oltre a cercare di curarsi e soffrire il meno possibile, diventa urgente per la persona malata cercare un senso, come hai scritto anche tu. E qui ci sono vari livelli, alcuni collettivi, in cui la medicina è di aiuto (abitudini sbagliate, ereditarietà, fatalità), altri necessariamente privati e individuali. Nella mia ricerca, spesso caotica, di questi possibili significati individuali mi sono imbattuta in pensatori più o meno convincenti che provano ad allargare gli orizzonti. Uno dei più onesti mi sembra quello che vi ho citato, ma va letto, e con molta cautela, solo ed esclusivamente in una prospettiva individuale, che mi rendo conto non è oggetto di questo post.
Due parole anche per rispondere alla mia amica Iside: io mi sono data come sfida personale quella di trasformare qualche briciola della mia fragilità in qualcosa di bello e costruttivo. Il “nonostante” è pane quotidiano, ma mi piace usare anche “l’attraverso”. Cerco forme di sfruttamento della malattia, quando possibile. Per esempio attraverso il tempo “libero” (chiamiamolo così per usare un eufemismo…) che mi concede. Non ho ancora capito se la mia è solo una presunzione e un estremo tentativo di controllo. La mia strada è ancora lunga, però la croce e la risurrezione di Gesù (sempre unite, per carità) mi danno speranza, quando mi ricordo di guardare in quella direzione.
Auguri di piena salute a tutti!
Antonietta
Darsi salute? Ma per me è interessantissimo e anche molto molto bello caro Alessandro. Sto convivendo dal 1988 (avevo 24 aa) con una rara malattia genetica cronica che non ha cure. Malattia di LEBER plus (MT 11778 DNA mitocondriale). A settembre ’89 in tarda serata vengo a conoscere Marco Guzzi che dialogava alla radio con gli ascoltatori e subito percepisco il grande sostegno che, seguendolo, avrei potuto ricevere anch’io. Da allora gli sono sempre rimasto vicino e l’aiuto spirituale-psicologico continua ad essere rilevante nonostante non si fermi la lenta evoluzione della malattia peggiorando sia con la vista sia nella problematica motoria. Nell’ultimo dei miei innumerevoli ricoveri presso la Clinica Neurologica dell’Università di Bologna, lo scorso ottobre all’Ospedale Bellaria, il prof che segue il mio caso e mi conosce da 25 anni venne da me e mi disse: “tua moglie e Marco Guzzi ti hanno salvato la vita”. Una sintesi più che mai veritiera!
Il contesto relazionale, quindi, in cui la persona “malata” si viene a trovare fa sentire la persona in piena salute nonostante la malattia fisica; non per questo la speranza e la ricerca di una guarigione mi abbandonerà mai. L’importante è credo, che la sofferenza sia una sofferenza vissuta e non solo subita.
Mi fa piacere riportare ancora alcune parole di incoraggiamento che lo stesso professore mi aveva scritto:
2005: ”………. il mantenimento delle attuali qualità motorie e nonostante le difficoltà, ti esorto a stringere i denti e a continuare con la stessa grinta e determinazione che ci hai insegnato essere l’unico modo di affrontare queste malattie croniche”
2007: “anche io a nome di tutti ti devo ringraziare per il modo con cui riesci a portare la tua disabilità che rappresenta un fondamentale insegnamento e continuo stimolo a migliorarci. Come sai conta pure sul nostro gruppo per tutto quello che ritieni necessario.
Concordo con il programma motorio e spirituale che ti sei fatto e non perdere mai quella speranza che è e sarà il sale del tuo futuro.”
2011: “Caro Fabio,hai la mia comprensione e il mio affetto ma so che tu avresti bisogno di qualcosa di più, qualcosa che fermi la tua malattia. Temo che non abbiamo le armi che vorremmo avere ma vorrei che tu sapessi quanto ti sono vicino a rafforzare il tuo spirito in una lotta che ti vede comunque il vincitore”.
Ringrazierò sempre tutti i medici i professori e gli operatori dell’Università di Bologna per l’appoggio l’attenzione e il grande impegno che continuano a dimostrare.
Un grande forte abbraccio ad Iside per il suo profondo e articolato intervento con cui concordo pienamente e un affettuosissimo saluto a tutti voi.
Fabio
Ciao Alessandro!
Devo essermi spiegata male. Per me ciò che fa la differenza è il modo in cui riusciamo a vivere ogni tipo di sofferenza che ci accade. In questa prospettiva anche la croce di Gesù, di per sé, rimane un male nel senso che l’atto per cui degli uomini decidono di uccidere un altro uomo rimane un male. Nonostante questa esperienza di sofferenza che gli viene addosso, Gesù tuttavia riesce a tenere ferma la sua fede nell’Abbà affidabile e continua a dare testimonianza della cura di Dio per l’uomo fino alla fine (quando ancora annunciando il paradiso al ladrone) rinunciando a qualunque tipo di vendetta. Questo intendo per “nonostante”. Temo molto il rischio – in cui purtroppo la tradizione cristiana è caduta nei secoli – di addomesticamento del male. E mi pare che poi si rischi di indorare la pillola per cercare di accettare la condizione di sofferenza leggendola come opportunità (addirittura da perseguire) invece che come offesa (da perdonare/guarire).
Spero tanto anch’io di compiermi in un Io in Relazione in perfetta salute :-)!
Carissima Antonietta, cercare di trovare spiragli di respiro dentro una propria esperienza di malattia io lo chiamo il “nonostante”. Nei momenti in cui la sofferenza molla la presa cerchiamo di infiltrare la nostra speranza e trovare un nuovo slancio, una sorta di onda energetica per resistere al prossimo attacco. E così ci alleniamo ad apprezzare le cose piccole, i sapori sottili, a non sprecare le occasioni, a scegliere le priorità. Mi pare un buon allenamento!
Carissimo Fabio, che bella testimonianza di medici che evidentemente hanno scelto di occuparsi di te tutto intero, scrivendoti queste parole che mostrano una relazione medico-paziente possibile anche lungo altri canali. Ma aspettiamo da Alessandro un altro post per questo approfondimento…..
Un abbraccio a tutti
iside
Sììììì…. è da una vita che vado affermando per me, i miei familiari, i miei amici la NECESSITA’ di una visione olistica della salute…darsi pace UGUALE darsi salute? io ne sono più che convinta e mi piacerebbe davvero che avessero sempre più spazio queste riflessioni nei gruppi DP (e fuori). D’altronde, cosa ci suggerisce il mistero dell’incarnazione? …che se il Bene c’è , lo è a 360°, anima e corpo, spirito e materia…e questo ci può davvero rendere più liberi! ciao a tutti, mcarla
Caro Alessandro,
concordo sul concetto olistico di salute dell’uomo in relazione all’ambiente in cui vive e posso comprendere che una scelta di relazione con il creato può innescare un conseguente stato di salute/malattia. Mi chiedo però che scelta può aver fatto un bambino che si ammala, inconsapevole della sua relazione spirituale? Non riesco a darmi una risposta … posso pensare all’evoluzione di vita in vita ma non mi soddisfa…
L’omeopatia risponde alla relazione tra uomo e ambiente circostante curandolo tenendo conto delle cause piuttosto che dei sintomi e tiene conto dello stato psichico del momento. Fa altrettanto la medicina tradizionale?
Concordo che in una relazione sana con il creato si debba raggiungere uno stato di pace interiore ma sono qui per imparare e forse non sarà sufficiente questa vita…ancora non mi risuonano le frasi della Bibbia da tanti di voi riportate …sono ignorante e il mio ego si fa sentire spesso giudicandomi.
La vita ci fa fare dei giri strani per raggiungere uno stato di pace: prima di iniziare con Marco ero già consapevole di un essere divino in noi ma non riuscivo a dargli un nome. E non riesco ad affidarmi del tutto.
Per quanto riguarda il numero 7 è il numero che ci avvicina al divino nell’evoluzione che tutti siamo chiamati a vivere in questa o nelle prossime vite.
Nel momento attuale, per fare il punto della situazione, sono consapevole che il mio stato di salute è in relazione alla mia capacità di perdonare. Mi auguro e vi auguro tanta salute.
dani (seconda annualità)
Le domande si moltiplicano, diventano sempre più profonde, e la mia capacità di proporre risposte “convincenti” si sta rapidamente esaurendo … Mi limito quindi a riflettere su alcuni dei punti sollevati.
Cara Dani, per quanto riguarda la malattia nei bimbi non so dirti che senso abbia, ne che senso abbia la loro morte prematura. Io osservo che dal 1970 al 2010 le morti nei bimbi sotto i 5 anni sono passate da 15 a 7 milioni l’anno globalmente, e avvengono in gran parte nei Paesi poveri (Africa sub-sahariana e sud-est asiatico); c’è quindi stata una riduzione del 50% a fronte di un numero di nascite che si è mantenuto sostanzialmente uguale negli ultimi 40 anni a livello globale. Quindi, nel 2013 avremo circa 8 milioni di bimbi morti in meno rispetto al 1970; le cause di questo miglioramento sono molteplici, ma la principale è sicuramente un migliore stato nutrizionale. Rimangono comunque 7 milioni di morti, per varie cause, tra le quali predomina la malnutrizione, la mancanza di igiene, l’inquinamento indoor da combustione del carbone per cucinare/scaldare … tutti fattori che predispongono alle infezioni, più altre decine di cause. Andando nel dettaglio, verrebbe fuori che le morti non evitabili sarebbero relativamente poche. Per queste ultime non ho risposta, per le altre, che sono la maggioranza, dico che dipendono da noi. Tuttavia, in Italia, e negli altri Paesi sviluppati, la percentuale di morti infantili che “dipende da noi” è molto inferiore in quanto la maggioranza avviene a causa di malformazioni congenite e malattie rare, spesso a componente genetica, su cui, per quanto ne sappiamo, non possiamo agire. Alcune di queste alterazioni genetiche avvengono al momento del concepimento e in parte dipendono da alcuni fattori, come l’età della madre, (es. sindrome di Down), ma altre ce le trasmettiamo di generazione in generazione, forse da millenni, … e rappresentano quasi una metafora delle distorsioni psichiche che ci tramandiamo da genitori in figli.
Non commento l’omeopatia in quanto la storia della medicina è piena di trattamenti e quindi andrebbe trattata nel giusto contesto; magari ne parliamo in un post dedicato.
Perdonare e perdonarsi non può che far bene alla salute!
Infine ringrazio Fabio per le sue parole di forza e speranza. Siamo con te!
Complimenti, questo post ha davvero stimolato il mio interesse.
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