Nel post Darsi salute pubblicato l’11 aprile scorso ho descritto la salute come conseguenza di una sana interazione con il creato (inteso come natura e comunità umana) sottolineandone quindi la dimensione relazionale. Vorrei di seguito riflettere su come la salute sia anche conseguenza di scelte intelligenti/consapevoli. Come la sapienza è fatta al contempo di amore/relazione ed intelligenza/consapevolezza, così è per la salute che, d’altronde, era già considerata da Platone e dalle antiche tradizioni come il frutto di una vita vissuta con sapienza. Nel farlo cercherò di entrare nel dettaglio, portando il caso delle malattie croniche che sono, e saranno sempre di più, il problema principale di salute a livello globale.
L’attuale pandemia di obesità, diabete, cancro, patologia cardiovascolare e patologia respiratoria cronica è stata l’oggetto di un recente (Novembre 2011) High Level Meeting alle Nazioni Unite, dove i capi di Stato si sono riuniti per discutere quella che è ritenuta la più grande emergenza sanitaria del mondo: la rapida diffusione delle malattie croniche. Negli Stati Uniti, che sono come una finestra aperta sul futuro del mondo, più di un adulto su due è in sovrappeso o obeso, ed uno su tre è diabetico o in pre-diabete. Attualmente ci sono più di 300 milioni di diabetici al mondo e, si stima, ce ne saranno 500 milioni entro il 2030. Certo, questo aumento dipende anche dal fatto che la popolazione mondiale sta crescendo ed invecchiando, e di qualcosa bisogna pur morire! Tuttavia ciò che preoccupa veramente è che le malattie croniche colpiscono una percentuale sempre maggiore di popolazione e in età sempre più precoce.
Quali sono le cause? Trovate le principali nel diagramma sopra: la dieta non sana, il fumo, l’alcol e la sedentarietà, a sua volta favorite da stress, ansia, depressione e stati di dipendenza. Queste almeno sono le cause cosiddette prossimali che producono direttamente le malattie croniche influenzando i livelli di glucosio, colesterolo, fattori pro-trombotici ed infiammatori nel sangue, il peso, la pressione arteriosa, lo sviluppo di cellule tumorali, la sclerotizzazione dei tessuti, ecc. Chi fuma vive in media 10 anni di meno, chi mangia male ne perde quasi altrettanto, un po’ di meno chi non si muove; anche senza abusare di alcool e altre droghe, per il solo fatto di fumare, mangiar male e non muoversi si perdono almeno 20 anni di vita (in pratica la differenza tra morire a 70 o a 90 anni). Alla morte prematura bisogna poi aggiungere gli anni passati nella malattia, in media una quindicina di anni nel caso delle patologie croniche; è quindi enorme il tributo, in termini di sofferenza e morte, pagato per questi comportamenti.
Accanto ai comportamenti individuali, c’è l’effetto dell’inquinamento ambiente (atmosferico, idrico, radiante, nei cibi, ecc.) che ha pure un impatto sulla salute anche se minore, almeno per ora e per quanto ne sappiamo. L’inquinamento è causato da tutti noi, attraverso le nostre scelte di consumo e smaltimento, ma, una volta creato, agisce indiscriminatamente su tutti anche se rimane, almeno in parte, la libertà dei singoli di ridurre il rischio, scegliendo di vivere e lavorare in zone meno inquinate, proteggendosi dal sole, utilizzando prodotti più sani. L’inquinamento viene spesso minimizzato dalle autorità, o fatto passare come un male inevitabile dello sviluppo economico; in realtà, noi viviamo in una civiltà abituata a produrre enormi quantità di rifiuti tossici che stanno letteralmente riempiendo il pianeta, distruggendo la biodiversità e causando malattie anche nell’uomo. Si stima, ad esempio, che vivere in pianura Padana, una delle regioni più inquinate in Europa comporti una riduzione media dell’aspettativa di vita di circa 3 anni; ci sono chiaramente anche dei benefici nel vivere in pianura Padana, c’è più lavoro e ricchezza ad esempio.
Il passo successivo è chiedersi il perché di tali comportamenti auto-distruttivi. Usiamo il fumo come esempio. Ad un’analisi superficiale potrebbe sembrare che la scelta di fumare sia operata dal singolo in piena autonomia e che quindi il singolo vada considerato interamente responsabile. In realtà sappiamo che si inizia spesso a fumare in adolescenza, per lo più a causa di un disagio sociale o più semplicemente per il bisogno di appartenenza al gruppo; col l’uso si instaura poi una forte dipendenza alla nicotina per cui risulta difficile smettere. E’ quindi lecito domandarsi: Quanto dipende dalla libera scelta del singolo il fatto di fumare e quanto dall’influenza esercitata dalla famiglia di origine, dalle amicizie, dalla scuola, dall’ambiente di lavoro, dalle strategie di produzione e vendita delle multinazionali del tabacco, dai mass media e dai modelli di riferimento culturali, dalle politiche dei governi, dall’intera società? La scienza ha già dimostrato che tutti questi fattori e molti altri hanno un ruolo nel condizionare la scelta dei fumatori, configurandosi in una ragnatela di concause che agiscono nell’intero arco della vita. Ad esempio, è ben documentato che sono proprio le fasce di popolazione più povere e svantaggiate che fumano e bevono di più, mangiano peggio, si muovono meno, sono più depresse ed ansiose e si ammalano e muoiono prima. Sarebbe molto ingiusto colpevolizzare tali persone, non riconoscendo i profondi condizionamenti cui sono sottoposte. Quindi, che fare? Può il singolo liberarsi da tale ragnatela di condizionamenti?
Nei gruppi darsi pace comprendiamo che una ben più estesa ragnatela di influenze agisce su ogni aspetto della nostra vita, fin dal nostro concepimento. Si tratta di una comprensione non solo intellettuale ma emotiva ed esperienziale che cerchiamo di sviluppare lavorando lungo tre direttrici: la prima è la riflessione culturale e antropologica che ci permette di comprendere la modernità alla luce dell’evoluzione storica del pensiero e di verificare come il modello culturale dominante influenzi la nostra visione di cosa sia l’uomo e la società, condizionando i nostri schemi mentali e punti di vista. La seconda è l’analisi della storia personale, con l’obiettivo di far emergere le ferite emotive profonde e conseguenti meccanismi di difesa che, in modo automatico, attivano comportamenti disfunzionali compromettendo la qualità delle nostre relazionali, almeno fino a quando non vengano portati alla luce della consapevolezza. La terza è la meditazione; essa aiuta a creare all’interno dell’essere uno spazio di silenzio dove i pensieri/credenze, frutto dei nostri ragionamenti o di influenze esterne, possono essere riconosciuti ed accolti, assieme alle sensazioni ed emozioni che suscitano. Solo in questo stato di silenzio e pace, i pensieri perdono il loro potere di condizionamento, e l’uomo sperimenta cosa sia la vera libertà: uno stato libero dal dominio di pensieri ed emozioni che non ha mai scelto. Tale consapevolezza non si sviluppa in modo automatico ma richiede un apprendimento specifico e prolungato, proprio come il linguaggio e come le altre capacità complesse dell’uomo. Tuttavia, il suo apprendimento è ancora più impegnativo in quanto non può mai avvenire per semplice esposizione/imitazione; richiede, infatti, sempre un deliberato sforzo della volontà attraverso l’impiego dell’attenzione.
Riprendiamo e concludiamo con la domanda: Quanto dipende dalla libera scelta del singolo il fatto di fumare? La scienza dello spirito suggerisce che non esiste una risposta unica a questa domanda in quanto la libertà di un individuo è una variabile continua, che può variare in un ampio intervallo di valori, e non una costante, uguale per tutti e non modificabile, come si suppone abitualmente. Il nostro livello di libertà incarnata evolve a seconda di quanto ci siamo impegnati, proprio come può variare la nostra capacità di parlare l’arabo, se decidiamo di apprenderlo. Una persona con poca libertà è condizionata da influenze esterne e agisce per imitazione, senza rendersene conto: nel caso del fumo, se cresce in un ambiente dove non si fuma, probabilmente non fumerà, se invece cresce tra fumatori probabilmente fumerà. Una persona libera è invece guidata dalla voce della propria essenza; se sentirà che vuole provare a fumare, lo farà senza timore, ma sarà consapevole in ogni istante dell’effetto del fumo su di lei e non accetterà di farsi del male, indipendentemente dalle influenze cui è stata sottoposta. Chiaramente, ogni uomo mantiene almeno un minimo contatto con la propria interiorità, ed è proprio facendo leva ed investendo su questo piccolo gruzzoletto che si può giungere ad una consapevolezza, libertà e salute più completa.
Caro Alessandro, grazie di questi nuovi spunti, che ci ricordano il ruolo della libertà e dell’impegno personale anche nel nostro rapporto con la salute, e più in generale con il corpo. In ogni ambito dell’esistenza stiamo comprendendo che il gioco dipende anche da noi, che noi siamo perlomeno uno dei poli di un gioco di sponde, e siamo perciò richiamati a vivere con crescente consapevolezza il nostro ruolo. Anche nella malattia possiamo agire in modi del tutto diversi: farci schiacciare o reagire ogni giorno e strappare quozienti di salute al male che ci assedia. Viviamo cioè una lotta costante contro le forze della distruzione, che agiscono fuori e dentro di noi.
Un abbraccio. Marco
Grazie Alessandro di continuare a parlarci di un argomento così complesso come la salute.
Quanto dipende dalla nostra libertà il fatto di fumare o di frequentare comportamenti che sappiamo essere nocivi per la nostra salute?
Ai condizionamenti esterni io aggiungerei un altro fattore, tutto interiore, e cioè una certa misura di desiderio inconscio di farsi del male.
Mi sembra che dentro di noi portiamo anche questo ospite scomodo, che normalmente è confinato lontano, in luoghi psichici remoti, ma che in certi casi può venire alla luce e fare molti danni.
Certi comportamenti compulsivi, come il fumo o l’assunzione di cibi che sappiamo essere nocivi, mi sembra portino dentro anche questa componente inconscia del non amarsi e accettarsi completamente, e quindi di odiarsi un po’ e di “godere” inconsciamente nel farsi un po’ di male, anche se differito nel tempo.
Quello che vorrei dire è che la nostra interiorità non è sempre un luogo sereno, e anche in persone “normali”, senza patologie psichiche, ci possono essere nemici interni, o distorsioni autolesioniste, che combinati con le mode sociali possono contribuire a danneggiare anche la nostra salute.
La consapevolezza di questi sabotatori interni, attraverso il continuo lavoro psicologico/spirituale, mi sembra un altro passo verso uno stile di vita più sano.
Ciao
Antonietta
Ciao Alessandro!
Anche a me questo tuo post interessa molto e naturalmente condivido quanto è già stato scritto. A me pare che nella scelta di mettere in atto comportamenti autolesionisti ci sia anche una quota di errori cognitivi che trova complicità in un delirio di onnipotenza di cui siamo in parte affetti. L’informazione medica si basa su un’evidenza probabilistica per cui la prognosi clinica sul singolo è praticamente impossibile. Mi spiego. Se chiedo al mio medico se mi ammalerò di cancro ai polmoni la sua risposta potrà soltanto essere “non possiedo la sfera di cristallo e quindi non lo so”. Mi potrà invece dire che, in base ai fattori di rischio (fumo di sigaretta, ambiente di vita e di lavoro molto inquinato ecc) la probabilità di ammalarmi di cancro ai polmoni è ad esempio dell’80%. Tutti noi però conosciamo almeno un novantenne vispo e allegro che ha fumato come un turco per settant’anni e così, nel nostro delirio di onnipotenza, ci diciamo “perché dovrei ammalarmi?”. I processi decisionali (per intenderci, come li ha indagati il premio Nobel Daniel Kahneman) sono ampiamente influenzati da dimensioni emotive e da errori di valutazione di tipo cognitivo: è noto che Homo sapiens non è particolarmente bravo in calcolo delle probabilità. Questo mix mi pare diventi piuttosto pericoloso proprio quando si tratta di prendere decisioni con conseguenze visibili solo a lungo termine, come per gli stili di vita.
Questo mi fa riflettere sull’importanza di una maggiore consapevolezza non soltanto del nostro mondo emotivo, così come sperimentiamo nei gruppi dP, ma anche del nostro modo di ragionare, stanando gli errori di valutazione che ci conducono a sbandamenti clamorosi come il successo delle lotterie (seppure la dipendenza da gioco sia questione complessa) e lo scivolamento dello spirituale nella superstizione lasciano presagire, solo per citare due esempi.
Mi pare che i due aspetti, quello razionale e quello emotivo, non siano disgiungibili e che perciò dovremmo farci carico di entrambi in un lavoro educativo profondo.
iside
Grazie per i commenti, l’argomento è piuttosto ostico e si procede a tentoni, per cui è estremamente utile ricevere un feed-back. Cara Antonietta, probabilmente ognuno di noi ha il suo corvaccio nero che gracchia nella mente una canzone più o meno triste a cui, purtroppo, è naturale credere perché ha origine dentro di noi. In questo periodo, poi, il mio gracchia particolarmente forte per cui ne faccio esperienza continua, ed è una vera lotta lasciarmi attraversare dalle sue male-dizioni, senza reagire, osservandole, accentandole e lasciandole andare … e non farmi del male ma farmi del bene. Mentre le persone impegnate in un lavoro psicologico o spirituale sono in genere disposte ad esplorare questi aspetti della loro interiorità, mi chiedo quale sia il modo migliore di introdurre a tale pratica persone che, ad esempio, vanno dal medico per una glicemia alta. Per riconoscere il sabotatore, da cui spesso deriva ansia, depressione e vari comportamenti auto-distruttivi, ci vuole molta consapevolezza e non è facile costruirla in breve tempo. E’ certamente più facile correggere degli errori cognitivi, come suggerito da Iside, se presenti. Concordo che la comunicazione in termini di probabilità può essere fuorviante. Infatti, non esiste persona che fumi che non subisca un danno a causa del fumo, nemmeno l’ipotetico vecchietto, citato da Iside; ad un attento esame clinico, il nostro arzillo vecchietto risulterebbe afflitto da tutta una serie di danni d’organo causati dal fumo che, se non presenti, gli avrebbero permesso di vivere sicuramente più in salute e forse anche più a lungo. Comunque, anche in questo caso, sarebbe utile aiutare la persona ad entrare in contatto con il proprio corpo e a sentire l’effetto che il fumo ha sul respiro, sulla resistenza fisica, ecc. A quel punto non sarebbero più soltanto i dati epidemiologici e/o clinici ma anche le sue stesse sensazioni fisiche a convincerlo dell’effetto negativo del fumo. Ma anche per questo ci vuole consapevolezza. Ora non resta che convincere il ministro della sanità a trasformare gli ospedali in palestre di meditazione!