Pubblichiamo questo testo come prima opera del Gruppo di Creatività Culturale. Questo progetto, avviato da circa un anno, è un tentativo dei praticanti dei Gruppi Darsi Pace di combinare l’essenza del messaggio di questo movimento con i vari settori della cultura (politica, ricerca scientifico-tecnologica, vita spirituale, poesia…), piantando il seme di un pensiero nuovo in ogni contesto, elaborando nuove chiavi di interpretazione della modernità e tentando proposte operative che siano creative e inedite, sotto forma di scritti, eventi, azioni di qualsiasi genere. Sentiamo urgente il bisogno di dare voce ad una nuova forma della cultura che sia all’altezza delle sfide del tempo.
Forse per iniziare un lavoro del genere la cosa più importante è di cercare di capire dove siamo (storicamente e personalmente) mettendoci in ascolto delle parole di alcuni maestri, e applicando un discernimento e una critica che ce ne facciano cogliere il messaggio essenziale. È importantissimo, a tale proposito, disporsi all’ascolto con un’attitudine nuova che sia ingenua, pura, primordiale direi e quasi emotiva, e perciò accostarci a queste parole con l’ascolto del cuore aperto.
Giuseppe Ungaretti è sicuramente una delle coscienze che in ambito moderno hanno iniziato a sentire la consapevolezza di un travaglio, avvertendo che il dolore non è una sofferenza cieca, e che non è solo individuale. Nelle sue poesie del Porto Sepolto (1916), scritte mentre era soldato nella Grande Guerra sul fronte carsico, emerge una tensione spirituale enorme, nonostante Ungaretti non fosse affatto religioso in quel momento della sua vita. Nella lirica intitolata “Dannazione” si legge:
Chiuso fra cose mortali
(anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?
[Dannazione]
Ungaretti non cerca una verità “religiosa” o una risposta oggettiva ad una domanda di senso ma piuttosto la bramosia di infinito emerge come un’urgenza di uscire dalla condizione di dannazione, ovvero la chiusura claustrofobica in una materialità cieca. È da questa angoscia che nasce l’invocazione del divino, come l’esplosione di un’impellenza di significato.
Quella di Ungaretti perciò è una ricerca di “senso” nella sua accezione di direzione: una possibile via d’uscita, un processo di liberazione dalle catene dell’angoscia esistenziale.
L’esito di questa spinta emerge in maniera discontinua, come in barlumi, brandelli di significato: Ungaretti si mette in ascolto e in osservazione dei pensieri e delle sostanze emotive che si muovono nella sua interiorità e, in questa discesa, la prima cosa con cui viene a contatto è il proprio buio interiore:
“Sono stato / uno stagno di buio”
[La Notte Bella]
Le tenebre che compaiono come il primo strato profondo dell’anima sono una chiusa disperazione, il luogo in cui convergono le paure di annientamento e le difese dell’ego. Ungaretti però mantiene un atteggiamento di osservazione: vede e sente questi stati della coscienza ma non si identifica, non si lascia risucchiare dal baratro e riesce a intravedere l’oltre.
Scendendo ancora, proseguendo questo itinerario di ricerca, Ungaretti attraversa l’abisso dell’anima e in un’incredibile dilatazione della coscienza si riconosce come una parte armonica del tutto, filamento di un tessuto cosmico:
“Mi sono riconosciuto / una docile fibra / dell’Universo”
[I Fiumi]
L’apertura all’infinito avviene nell’atto di trascendere lo strato di buio superficiale dell’anima, per accedere ad un’esperienza di liberazione rigenerante in cui si rivela un nuovo io la cui intima verità è essere una fibra della carne viva del mondo.
Questo attraversamento è un passaggio iniziatico: un’esperienza di rinnovamento nella quale l’io vero nasce e si rivela (“mi sono riconosciuto”) trascendendo l’io vecchio, cioè superandolo, abbandonando la carcassa di quella forma dell’io che è, per sua natura, separata dal mondo e dall’unità e che perciò nell’evento della trasfigurazione muore:
“Col mare / mi sono fatto / una bara / di freschezza”
[Universo]
L’iniziazione è l’atto (mi sono fatto) in cui l’elemento natale (il mare) e quello mortale (bara) non sono più in antitesi, separati, ma piuttosto sono aspetti complementari della stessa realtà: l’attraversamento della morte porta ad una vita rigenerata (freschezza).
Nell’esperienza del battesimo iniziatico, Ungaretti avverte che questa fine-inizio (“allegria di naufragi” è il titolo che darà, più tardi, a questa raccolta), non è solo sua personale. Egli si riconosce “immagine / passeggera / presa in un giro / immortale”: nasce cioè la consapevolezza di essere una cellula di un movimento cosmico e storico, all’interno del quale l’attraversamento delle tenebre dell’uomo è parte di un più ampio processo di iniziazione universale e umana:
“Volti al travaglio
come una qualsiasi
fibra creata
perché ci lamentiamo noi?”
[Destino]
La condizione di “travaglio” è appartenente a tutta l’umanità, come un destino inesorabile che però è anche processo storico inarrestabile, direzione evolutiva: può essere vista come gorgo annientatore ma anche come travaglio di nascita. Il motore di questo parto, nella storia come nelle vicende personali, sembra essere il processo di iniziazione: l’atto nel quale l’attraversamento della morte è liberazione dalla morte e nascita a nuova vita.
Nel percorso dei gruppi Darsi Pace questo doppio orizzonte di trasformazione personale (attraverso pratiche psicologiche, culturali e spirituali) e insieme di insorgenza di un mondo nuovo attraverso la nuova identità che in ognuno emerge nel processo stesso, è il centro di un lavoro e di una sperimentazione continui.
All’interno del Gruppo Poetico (un sottogruppo del Gruppo Cultura) stiamo tentando di elaborare – o forse più che altro di percorrere – un punto di vista come questo nell’ambito della poesia, per scoprire cosa di nuovo ha da dirci. In questa ottica lo studio stesso è una pratica: un processo non solo conoscitivo (in senso oggettivo) ma trasformativo. Più che una elaborazione di schemi è un far risuonare domande o lasciare emergere ipotesi.
È possibile che certi poeti abbiano dato voce non ad una fantasia arbitraria (come sosterrebbe gran parte della critica e del pensiero dominante) ma che abbiano sentito veramente la voce del tempo risuonare nelle loro vite? È possibile che abbiano dato corpo ad un’esperienza nuova, che abbiano personalmente attraversato, almeno in parte, un varco esistenziale e di evoluzione antropologica? È pensabile che abbiano in una certa misura sentito e portato avanti un’evoluzione trasformativa dell’umanità e del cosmo? È possibile che tutto ciò sia sgorgato in una parola nuova, almeno a sprazzi? E se così fosse, cosa ha da dirci questa poesia?
Credo che le parole creative del poeta risuonino, così rilette, come portatrici di vita nuova e di ricerca fondante, non solo un’emozione ma un percorso di senso.
Penso a quanto nutrimento potrebbe dare ai nostri giovani uno studio così condotto.
Ciò mi fa ripensare all’insegnamento in chiave evolutiva- trasformativa, proprio come ad una pratica, nella quale innescare processi di apprendimento integrandoli con tutti gli aspetti della persona, per divenire coscienti del proprio cambiamento e delle potenzialità che ciò mette in essere.
Meditazione , silenzio, ma anche umiltà nel dedicarsi ad un vero nuovo ascolto reciproco.
Complimenti e grazie del vostro prezioso contributo.
Che bello gustare questa prima opera del gruppo cultura fatto da tanti giovani!!!
Mi colpisce anche la sintonia sincronica con il post di Marco Castellani:” Imparare a parlare “. Letti insieme ci danno risonanze e chiavi per una nuova interpretazione operativa, per un ascolto-rilettura di un poeta come Ungaretti che all’inizio del 900, da dentro gli Inferi della 1.a guerra mondiale inizia a balbettare come un neonato per dare voce all’indicibile . I versi che avete evidenziato mi arrivano come dei gemiti dello Spirito. Veramente alcuni poeti hanno con grande coraggio vangato per noi la terra .aiutandoci a diventare consapevoli della impellente necessità di rovesciare lo sguardo per contribuire a far nascere una nuova umanità umilmente contempl-attiva. E’ tempo, partendo da piccoli gruppi, di imparare ad abitare poeticamente il mondo, di crescere negli incontri e anche nelle contraddizioni per prendere responsabilmente ognuno il proprio posto, diventando capaci di stare gli uni con gli altri e di cantare un CANTO NUOVO. KYRIE, AMEN , ALLELUIA.
GRAZIE, Andrea e gruppo cultura
Che bello gustare questa prima opera del gruppo cultura fatto da tanti giovani!!!
Mi colpisce anche la sintonia sincronica con il post di Marco Castellani:” Imparare a parlare “. Letti insieme ci danno risonanze e chiavi per una nuova interpretazione operativa, per un ascolto-rilettura di un poeta come Ungaretti che all’inizio del 900, da dentro gli Inferi della 1.a guerra mondiale inizia a balbettare come un neonato per dare voce all’indicibile . I versi che avete evidenziato mi arrivano come dei gemiti dello Spirito. Veramente alcuni poeti hanno con grande coraggio vangato per noi la terra .aiutandoci a diventare consapevoli della impellente necessità di rovesciare lo sguardo per contribuire a far nascere una nuova umanità umilmente contempl-attiva. E’ tempo, partendo da piccoli gruppi, di imparare ad abitare poeticamente il mondo, di crescere negli incontri e anche nelle contraddizioni per prendere responsabilmente ognuno il proprio posto, diventando capaci di stare gli uni con gli altri e di cantare un CANTO NUOVO. KYRIE, AMEN, ALLELUIA GRAZIE, Andrea e gruppo cultura. Giuseppina
Sento quasi come in un “grido”: Sì , sì che sicuramente molti poeti hanno trasformato in parole ciò di cui hanno fatto esperienza interiore.
Un “attraversamento” coraggioso, perché farlo fa paura! … e per poterlo fare, richiede a volte e per l’Uomo “comune” in genere, l’aver già provato tutto, tentato tutto ed il sentire di non aver “ormai più niente da perdere” perché: “Ho già perso tutto” ed il “perdere tutto” non è certo qui riferito alle “cose mortali”.
E con questa certezza, l’unica a mio sentire vera perdita, se perdita è, … allora si inizia a scendere giù fino in fondo a sprofondare fino ad arrivare nella pozza stagnante della disperazione umana, Tutta! E da lì poi, da quelle acque sporche in cui ci ritroviamo ad “annaspare” a cercare di stare a galla, con le facce sporche di fango, tanto da non riconoscerci nemmeno in volto, lì da quei luoghi, molti poeti ne sono sicuramente poi risaliti con un “balzo”, con quella Forza cioè, che dà anche solo il coraggio d’esser stati lì in quelle profondità buie e scure e fredde e come ben sottolineato, immersi senza però lasciarsene travolgere che è una chiave importantissima per non perirne e che solo senza identificarsi con tanto dolore, in tutto quel buio denso come liquido nero, allora da quel punto sì, si può passare “oltre”, oltre i dolori delle ferite umane e fare quel “balzo liberatorio” in un luogo senza più confini, talmente espanso e brillante nella sua luce ed interiormente accogliente, da non trovare più un senso al “lamentarsi umano”, come in “Destino” viene ricordato e acquista un senso invece a questo punto sì, il “travaglio umano”, perché attraverso quella “porta”, quel “varco” aperto dal travaglio appunto è necessario passare per trovarne – Il Senso ! – , uscendo così dalla mia piccolezza umana, da quell’esser “Chiuso fra cose mortali”, come in “Dannazione” fa sentirne forte la morsa, la stretta dal quale oggi e in modo sempre più “disperante” ci sentiamo nel quotidiano vivere o meglio nel quotidiano malamente sopravvivere … tutti su un nuovo fronte, chi in prima linea, chi nelle retrovie a lottare nella polvere confusa della battaglia.
In queste poesie leggo il percorso Umano nel suo “Cercare” quel “qualcosa di più”, oltre la materia, perché della materia ne riconosco i pesanti limiti e dell’Umano ne percepisco velati i misteri.
E sentendo che è necessario passare quella soglia “oltre” tutte le ferite umane, superando il buio e per farlo è necessario mi abbandoni a quel prender atto che “ è così “, senza illusione, senza necessità di particolari ragionamenti o di “folli”emozioni e senza esserne travolto e poi ulteriormente imprigionato e mentre faccio questo, accade il “balzo” e sono così un passo oltre quella soglia e posso Iniziare a riconoscermi come parte del tutto, una “docile fibra dell’Universo” con le parole di Giuseppe Ungaretti, così delicate, così forti.
Barbara P.
Grazie, giovani del gruppo cultura. Il vostro lavoro è prezioso e avete debuttato molto bene sul blog. Questa scelta dei versi di Ungaretti scava dentro l’anima e aiuta a capire il nostro processo di rinnovamento e a parteciparvi attivamente. Mariapia