La domanda arriva inaspettata, mentre stiamo parlando d’altro: “Ma tu vuoi ancora guarire? Preghi per la tua guarigione? Credi veramente che Dio possa guarirti?”
Resto per un attimo senza parole. Sì certo che voglio guarire, no non mi sono arresa, ma la voce non esce. Sono stata colta nel vivo e non riesco a rispondere.
Chi convive da tempo con problemi fisici che non si possono risolvere, sa che la parola “guarigione” è difficile da frequentare, perché tutte le volte che i pensieri si affacciano lì, la frustrazione aumenta. Ne abbiamo parlato altre volte qui nel blog: vorremmo un miracolo, ma questo non arriva e allora capiamo che stiamo sbagliando qualcosa nel nostro modo di guardare, di chiedere e di desiderare.
Però il tarlo in me rimane: perché ho paura di pensare a una mia possibile guarigione? Cosa mi spaventa? Se credo che Dio possa guarire adesso i miei peccati, perché non dovrebbe poter agire in modi misteriosi anche sul mio corpo?
L’argomento è delicatissimo e avrebbe bisogno di un chiarimento teologico sul significato dei miracoli di Gesù e sui limiti del nostro vivere su questa terra, con le sue leggi fisiche e le irreversibilità di tanti meccanismi causa-effetto.
Però io a volte sono stanca di tutte queste pur giuste spiegazioni e ho bisogno di aiuto, adesso. Voglio vedere se la fede, quella fede nuova e viva che sto riscoprendo con Darsi Pace, può aiutarmi e sostenermi. Tra il non chiedere e non sperare più e la frustrazione di preghiere inascoltate forse esiste un’altra via.
Nella preghiera dei Figli di Dio tutte le volte noi diciamo: “Io ricevo la perfetta guarigione di tutte le mie malattie”
Io credo che lì possa succedere qualcosa.
In quello stato di preghiera, che io non conoscevo prima, non in questo modo almeno, le parole possono diventare carne, cioè esperienza concretamente vissuta.
Se è vero che in quel momento io ricevo, nelle forme sottili dello Spirito, la perfetta guarigione, allora, nella fede, posso sentirmi fisicamente già guarita. In quel momento il mio corpo può non solo pensare, ma proprio sentire come si sta a essere guariti, cosa si prova a tornare a correre, saltare, ballare. Con tutti i sensi, per un attimo, posso sentire i modi specifici della mia guarigione. Ed è bello, è quasi reale.
Suggestione? Forse, certo il confine è sottile. Giocare in questo modo può essere un equilibrismo pericoloso, ma dentro la preghiera, con la mente svuotata e rifatta da capo nella fede in Cristo, anche quel poco di fede che riesco a racimolare mi basta per sentirmi al sicuro. Nulla di male mi può succedere in questo tempo, in questo spazio “sacro”. Qui ogni parola può fare, nella fede, esattamente quello che dice.
La forza del perdono, che tocca le mie durezze e mi dà la spinta per ricominciare è la stessa forza che arriva ai miei organi, ai miei muscoli, alle mie ossa. Rigenerazione, nuova vita che scorre, che scioglie, che ripara. Non è solo una cosa mentale, è anche una cosa fisica, un sentire sottile che a volte si può percepire, proprio lì, nella preghiera.
Allora lo scarto tra il mio desiderio di piena salute e le difficoltà del mio presente per un attimo non appare così insuperabile. È come se il mio corpo, i miei organi sapessero già, avessero già visto, e quindi possono sorridere e aspettare. E l’attesa non è più rabbia e delusione ma tempo della promessa, tempo in cui tessere un “fidanzamento” nascosto e fedele.
Tutto questo suona assolutamente folle fuori dallo stato della preghiera, ma lì dentro, in quei brevi momenti, mi sembra invece logico e perfettamente naturale.
La mia mente razionale dubita e non ci crede, ma il cuore non sente queste ragioni, e in quei momenti di preghiera non ha neanche bisogno di sperare, perché lì dentro la mia guarigione “è” già.
Cara Antonietta,
anche per me convivere con problemi di salute, di depressione, mi pone di fronte alla possibilità di guarigione come a qualcosa in cui posso sperare e per cui mi sono già ritrovata a pregare.
Forse una malattia fisica rappresenta qualcosa di concreto, pesante e sperimentabile da chi lo vive ed anche dalle persone che lo circondano, mentre i disturbi psichici sono meno “controllabili”, più sfuggenti e difficili da comprendere da parte degli altri. Perfino le persone più vicine a volte non comprendono certi stati emotivi apparentemente immotivati e questo aumenta la tua solitudine, ti fa sentire incompreso ed estraneo al tuo stesso ambiente di vita.
Talvolta anche per me stessa questa malattia risulta “incomprensibile”, mi sfuggono i suoi contorni: quando sto meglio sono portata a pensare che “sto bene” e quando ripiombo in basso mi ritrovo delusa, frustrata e riportata violentemente nella realtà della sofferenza.
Credere nella possibilità di guarigione e chiederla ci permette anche di accettare la nostra condizione di creature fragili e indifese ma dotate anche di una ricchezza interiore, capaci di empatia verso gli altri e verso le loro difficoltà.
Un abbraccio.
Maria Letizia
Carissima Antonietta!
Grazie, il tuo scritto è bellissimo! nell’Ora, nell’istante prodigioso della preghiera possiamo sentici ed essere realmente guariti anche da una malattia fisica! Perdonati e guariti come successe al paralitico nel momento dell’incontro con Gesù, che poi gli ingiunse di prendere il suo lettuccio e di camminare!
Spesso noi , dopo il momento di grazia, ritorniamo alle nostre debolezze , ma intanto, non saremo più gli stessi, saremo cresciuti in consapevolezza, coraggio, libertà! E’ così? Mi viene proprio voglia di non tralasciare mai i momenti di preghiera contemplativa!
Cara Antonietta,
grazie per questo scritto così dolce e rasserenante. E’ bella l’immagine degli organi interni che “sorridono”, è bella e molto efficace. Mi aiuta a superare quegli stati così fastidiosi in cui sembra che io sia tutto abitante “nella mente” e il corpo appare appena come un’appendice. E invece capisco che le cose stanno diversamente, la salvezza è (anche) nella carne, se Qualcuno ha deciso di rendersi carne, esattamente per guarirci. Sentire gli organi “che sorridono” è una prospettiva, anche, di inedita alleanza con il corpo, che promette di lasciare finalmente indietro tutte quelle artificiose scissioni corpo/anima che tanto ci hanno fatto ed ancora ci fanno soffrire, e che non sono veramente cristiane, non sono veramente salvifiche, a mio avviso.
Il punto dove la preghiera dice “io ricevo adesso la perfetta guarigione dalle mie malattie” è proprio il punto principale di lavoro, per me. Corro ancora il rischio di non coglierlo, quando lo dico. E’ il punto, in altri termini, dove posso cadere facilmente nella rappresentazione. Perché io spesso non mi sento guarito, e per guarigione intendo la liberazione da certi lacci psicologici che, seppure non invalidanti come in passato, richiamano molto da vicino quello che dice Maria Letizia nel suo bel commento (del quale riesco a cogliere, nella mia vita, tutte le sfumature che lei descrive, riguardo la solitudine e la estraneità: il disagio psicologico è appesantito da una certa carica di “incomunicabilità” che è fonte spesso di grande sofferenza).
Questi lacci, evidentemente, mi richiedono pazienza, una pazienza che è aiutata dal lavoro di Darsi Pace, ma che è comunque difficile e spesso aspra. A volte mi capita perfino di pensare che il modo con cui Lui ha voluto che lo aiutassi nella ri-creazione del mondo, è la pazienza verso me stesso e questi stati psichici, tanto è cosa “impegnativa”. Perché è qualcosa, come dice benissimo Maria Letizia, di cui “mi sfuggono i suoi contorni” (e come la capisco!). E che proprio quando sembra che stai meglio, che “hai capito”, che sei “abbastanza spirituale” e preso dal cammino, ecco che invece ripiombi al piano zero, e ti tocca rifartela tutta a scale (non esiste ascensore, in questi casi).
Così alle volte mi chiedo in che senso “ricevo la perfetta guarigione”, se lo dico “tanto per dire” o come reale apertura ad altro/Altro.
Intuisco che è una cosa che posso capire solo “cambiando di stato” (per prendere in prestito un termine scientifico), che da questa parte del gioco non la posso “comprendere”. Dunque ritengo che il vero lavoro sia di affidarsi, di lasciare un canale aperto. Dove non sono io che devo operare, verosimilmente. Ecco, l’articolo di Antonietta mi fa desiderare di poter parlare della perfetta guarigione iniziando a “sentire” che ciò avviene. E’ già un bellissimo desiderio, come è bellissima l’idea che questo – in qualche modo misterioso – possa realmente avvenire.
Ciao Antonietta, la dolcezza con cui spieghi come ti senti nella difficoltà, mi ha fatto ricordare di ogni volta che sono stata male, in modo particolare, sia nel corpo che nella mente, da sentir che ogni cosa terrena era per me giunta alla fine.
Non conosco quanti “gradi di gravità” nello stare male di un essere umano, nei problemi fisici o psicologici, esistono, se esistono … molte volte mi sono chiesta, ma quella cara persona o quella tal altra, con i guai che ha … ma come fa a trovare un senso nel vivere, ma … c’è poi un senso? e, vado avanti e mi chiedo se avessi io, questo o quel guaio … come farei a trovare la voglia di sorridere “nonostante tutto”?!? e cerco nel ricordo, come ho fatto a superare …
Superare e vivere con determinati guai, che siano fisici o psicologici e trovare in questo, un senso … ci vuole tanto Coraggio! quello vero, bello, quello di ognuno di noi che prova ogni giorno a trovare la strada per giungere finalmente a casa, in comunione con quella cosa così grande e meravigliosa che, come bene hai spiegato ti fa sentire già guarita, quella cosa che Gesù conosceva bene e che cerca di far vedere ad ognuno di noi, ancora oggi.
Non ci vedo peccato e se proprio c’è, è quello che fa sì che non mi voglia bene, questo sì che è Peccato.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” … sento che parte tutto da lì, poche e semplici parole è quel … : ” come te stesso “! Amare iniziando da sè stessi, con questo stiamo ancora a “lottare”, da secoli e secoli.
E quando accade che anche solo di poco, ma lo supero, supero la dura lotta con la mente, che incessantemente “m’infagotta” la testa e … mi tenta, demoniaca ! … e quando invece Silenziosamente supero … finalmente inizio ad amare me stessa, allora quello sarà il primo di una catena di miracoli che ci toccheranno da uno all’altro, da una all’altra, come una preghiera.
Barbara
Carissima Antonietta, oggi le tue parole hanno avuto la potenza di accompagnarmi dolcemente fino al “confine sottile” dello ” stato di preghiera” realtà infinita – mente libera, sanata da ogni illusione di separazione con la Fonte della Vita mi sento viva. Grazie per il dono dei tuoi post che ogni volta ci mettono in contatto con la nostra interiorità.
Un caro abbraccio. Vanna
cara Antonietta
sono proprio contenta di leggere e vedere la creatività del metodo dp in questo aspetto così incarnato come quello della guarigione fisica.
La preghiera d’intercessione per la guarigione del corpo è antica, precede persino la venuta di Gesù; antica e differenziata; ad esempio anche oggi a Medjuogorje la Madonna associa tale preghiera al digiuno.
Eppure questo tuo post è straordinario sia per la rappresentazione interiore della luce che dissipando la tenebra del dolore, ridona alla vita il suo COLORE (nell’immagine che son certa hai dipinta tu (presumo) son sempre presuntuosa!)
ma anche il GUSTO poetico di quel fidanzamento nascosto e fedele
“Allora lo scarto tra il mio desiderio di piena salute e le difficoltà del mio presente per un attimo non appare così insuperabile. È come se il mio corpo, i miei organi sapessero già, avessero già visto, e quindi possono sorridere e aspettare. E l’attesa non è più rabbia e delusione ma TEMPO DELLA PROMESSA, tempo in cui tessere un “fidanzamento” nascosto e fedele.”
in cui lasciare che fiorisca fecondo IL SENSO RISORTO della vita.
Brava, grazie e ciao.
Rosella
Sento un profondo bisogno di guarigione fisica, corporale.
Vivo nell’attesa, cioè nella speranza che la mia vita sia custodita al punto da essere compiuta fino in fondo, fino alla guarigione completa. Tuttavia la guarigione per me è ancora da venire, non mi sarà negata ma non è ancora. Nell’attesa, cerco di propiziarla con approcci terapeutici più o meno azzeccati, con metafore di guarigione come le buone relazioni che sostengono, consolano, alleggeriscono.
Non riesco a dire che mi sento guarita, neanche nella preghiera, ma forse posso dire di riuscire ad accantonare il desiderio della (impossibile) guarigione quando medito, quando sto con persone che mi vogliono bene. Ogni volta che riesco a mettere in scacco la mia sofferenza prendendola in contropiede, la guarigione è un po’ più vicina, è una sbirciatina veloce dietro le tende che mi lascia intravedere un mondo che non so e resto in attesa.
iside
Molto bello questo testo, carissima, tocca molto bene il punto più difficile della nostra fede: il già, ma non ancora:
“Se è vero che in quel momento io ricevo, nelle forme sottili dello Spirito, la perfetta guarigione, allora, nella fede, posso sentirmi fisicamente già guarita. In quel momento il mio corpo può non solo pensare, ma proprio sentire come si sta a essere guariti, cosa si prova a tornare a correre, saltare, ballare. Con tutti i sensi, per un attimo, posso sentire i modi specifici della mia guarigione. Ed è bello, è quasi reale.”
Un abbraccio affettuoso. Marco
Cara Antonietta,
ho letto e riletto le tue parole: quanta luce e quanta forza sprigionano!
Oggi facciamo fatica a decidere di credere, ancora prima di decidere in chi e che cosa credere.
Eppure è solo la fede che ci salva.
Ciò che fuori appare folle è reale nella preghiera.
Così “ il tempo in cui tessere un “fidanzamento” nascosto e fedele” è reale preludio alla camera nuziale in cui sperimentiamo tutta la tenerezza e l’intimità di Dio verso l’umanità.
Grazie in un abbraccio.
Giuliana
Chiunque leggesse dall’esterno queste nostre riflessioni facilmente potrebbe pensare che siamo un po’ folli.
Ma davanti al tema della malattia e della morte, forse è folle chi crede di cavarsela con l’ironia di Umberto Eco.
Sono temi che mettono paura e spingono ad allontanarsene sia chi “sta bene” sia chi “sta male”.
Ma non ci si scappa, perchè siamo tutti nella difficoltà della separazione e alla ricerca dell’integrità, di anima e corpo.
La fuga è semplicemente inutile, non ci libera dalla disperazione.
La follia della nostra scelta di fede quantomeno ci restituisce dignità, ci offre un percorso e propone un senso.
Antonietta, Maria Carla, Iside, Marco C. e altri hanno una spiccata capacità di riflessione su dolore e morte, e hanno alzato la posta, dal dolore derivante dal nostro stato di scissione, al dolore fisico, alla morte fisica.
Grazie per questa ricerca, grazie che ci fate partecipi della vostra esperienza, di quanto è possibile vivere nello stato di meditazione, di preghiera, di integrità.
Sappiamo bene che sono esperienze di vita vera, concreta e reale.
In un post precedente Rosella mi ha dato prima angoscia e poi commozione con l’immagine, di intensa fede, di un percorso di disincarnazione che, come germogli verso il sole, ci fa protendere verso la resurrezione.
Mi viene irresistibile il desiderio di augurare a tutti voi Buona Pasqua.
Anche a me viene di augurarvi buona pasqua di resurrezione nel corpo e nello spirito,con affetto
luciana .
Carissima Antonietta grazie, entro in punta di piedi, quasi senza respirare, questo non è un commento, ma un sussulto, uno scioglimento, una risonanza.
E’ il brivido di un momento di grande unione che solo quando ”le parole realizzano quello che dicono” si può sperimentare fino in fondo.
Ti abbraccio forte
Daniela
Grazissime, cara Antonietta per questa condivisione che fa davvero risuonare il tempo dell’attesa pasquale come un fidanzamento nascosto e fedele. Grazissime per gli interventi vibranti, da innamorati. Certo, dall’esterno possono apparire un po’ “folli”, ma che importa. Ci sento l’armonia di un concerto a più mani e a piu’ voci, il profumo di donne e uomini nuovi che anche dentro il buio si intendono e imparano a cantare un CANTO NUOVO che si diffonda come onda gravitazionale per tutta la terra e fino al cielo.
Buon cammino quaresimalepasquale. KYRIE AMEN ALLELUIA Un abbraccio Giuseppina
Ringrazio Antonietta della profonda condivisione, anche se scrivo principalmente per rivolgermi a Maria Letizia. Solo per mandarti cara Maria Letizia una parola di comprensione. Se non si vive nella propria carne la gabbia della depressione non si può capire come una persona si possa sentire in quel modo. Ora sto bene, ma anch’io ho vissuto mesi in passato in quello ‘stato’, ed è una sofferenza grande, enorme. Se la paragono ad altri miei problemi di salute fisica ( e non parlo di una semplice influenza, ma di interventi chirurgici pesanti come una resezione intestinale), assicuro a tutti che preferirei rivivere la fatica ed il dolore dell’intervento che non quei mesi di depressione. Per questo, capendo la tua sofferenza, ti mando un forte abbraccio e prego veramente con tutto il cuore per la tua guarigione. Laura
proprio ieri e per pura coincidenza ho saputo da una mia amica che è ammalata di tumore. Riporto qui le parola che questa amica mi scrive nel suo mail di ieri: “Sono stata travolta poi ho fatto la brava allieva. Prego e questo mi aiuta. Penso ai miei figli e so che voglio vivere. “. Cosa dire!! Purtroppo, ci sono delle metastasi. Non so cosa e perché prega: per la salute?, per accettare la malattia? per i suoi figlki?. Non m’é venuto in mente di dirle nulla a riguardo della preghiera o della fedeecc. La sola cosa che mi è sembrato potesse confortarla era assicurarla che poteva contare sul mio amore per lei così che poetesse trovare una base solida per la sua lotta per la vita. Volevo comunicarle il sentimento di essere per me e per quelli che la amano unica ed assolutamente incomparabile e che per questo doveva lottare. Infatti ritengo che al di la dell’esito della lotta si può lottare solo se si ha la certezza che ne valga la pena. E questa certezza te la dà l’amore degli uomini tuoi fratelli. Non mi sono sentito di dirle che pregherò per lei perché onestamente non ci credo a un Dio che si limita a restituirci la salute. In altre parole non mi sento, non voglio, meglio, credere in un dio che mi elargisce benevolmente la salute. In fin dei conti, un dio tappabuchi, come diceva Bonhoeffer, ma a livello personale. Vorrei dire che vorrei essere libero di poter morire. Liberami dall’angoscia piuttosato che ridarmi la salute della quale non son certo di poterne fare un buon uso. Fino a quando posso chiedere di vivere ancora?. fino 60, 80 anni?
Turoldo diceva nei Canti dell’infermità “Como posso venire a dire che non ho mai chiesto neanche la salute, non voglio offendere gente che non ne può più che è nella disperazione ma io ho un altro modo dio sentire perché non voglio che un dio intervenga per me e qualcuno è da venti anni che aspetta di morire”.
Sto leggendo un libro in cui alla domanda del paziente a cui il dottore gli aveva detto che non c’erano speranze, quest’uomo chiede “dottore, quand’è che tornerò ad essere sano?”. Il dottore gli rispose chese lei riesce a sentire che le sue più importanti facoltà come individuo…la sua personalità e la sua capacità di amare ed eswere amato non sono limitate da questa malattia, né lo saranno mai, allora lei avrà compiuto un passo importante nel cammino verso la guarigione. Il signor R. sorrise soddisfatto e disse: “allora sono già guarito dottore”. (Gian Domenico Borasio, Saper Morire, Bollati Boringhieri).
Ecco, questo mi sentivo di dire oggi quando ho aperto la newsmail con il post di Antonietta. Anche per te, Antonietta, non diversamente che per la mia amica, vorrei ras sentire tutto il mio sostegno.
Ciao, mauro
Grazie, Laura, per la tua comprensione e per le tue preghiere.
Effettivamente solo chi ha provato questo tipo di sofferenza, può comprendere; come dicevo infatti, a volte la depressione risulta quasi incomprensibile per la persona stessa che la vive, facendola sentire estranea a se stessa.
Grazie di cuore.
Anch’io ti abbraccio.
Maria Letizia
Caro Mauro, è vero che il fondamento di tutto è l’amore, ed infatti il Dio di Gesù Cristo è Amore, e neanche io credo in un Dio che a capriccio dà e toglie, e ti strafulmina.
La tua amica malata, per grazia, è più saggia di te e prega, mentre tu rischi una presunzione un po’ narcisista.
La tua “proposta di amore” è un libro che cerca risposte anche nella direzione del suicidio assistito: ciascuno può abbeverarsi dove crede in base alla speranza che riesce ad avere. Ma per fare in modo che l’ amore non sia solo un buon sentimento, una solidarietà impotente, consiglio la lettura del libro “Imparare ad amare” di Marco Guzzi: lì c’è la proposta di un percorso di vita, buono e risanante per te e per le persone che ami ( senza togliere niente alla ragione, alla ricerca scientifica, alla medicina e alla cure più diverse ).
Mi scuso con chi, come Giancarlo, si è sentito turbato dal mio intervento che, riconosco, può apparire ambiguo. L’ho scritto nell’impeto del momento, ancora sotto l’influenza della notizia della mia amica. Premetto anche che non è mia intenzione dare luogo a un dibattito a due per cui vorrei solo chiarire (se ci riesco) un po’ quello che volevo dire. Credo, rileggendo quello che ho scritto, che Giancarlo si riferisce in particolare alla frase “Vorrei dire che vorrei essere libero di poter morire”. In effetti è evidente la possibilità che possa essere interpretata nel senso di un’apertura alla eutanasia. Tuttavia, ciò non era nelle mie intenzioni. Ripeto, si tattava di un brainstorming dove ho messo giù quello che mi veniva nel monento e come mi appariva giusto formularlo in quel momento.
Ancora non ho letto il libro di Marco, lo farò. In quello che ho detto c’è piuttosto la volontà di sottolineare l’importanza dell’amore per la vita, una certa generosità che rigetta ogni immaginario di sopravvivenza e di consolazione in favore di ciò che è fondamentale e, cioè, come dice Paul Ricoeur, traduco a braccio: “il trasferimento sull’altro mio sopravvivente di tutte le mie attese vitali nella speranza di permanere vivi fino alla morte”. Almeno è così che io sento la preghiera dei Figli di Dio, “In comunione con il tuo corpo, Gesù, Morto adesso alla morte e al peccato, Con te risorto adesso Nella pienezza di vita dello Spirito, Io ricevo il perfetto perdono di tutte le mie colpe, La perfetta guarigione di tutte le mie malattie, La mia perfetta integrità, e sono uno”.
Mi piace sottolineare il fatto che nella preghiera Marco dice “adesso” per tre volte. Adesso ricevo la perfetta guarigione, come quel malato che citavo nel mio mail precedente e che risponde al medico “allora sono già guarito”.
Se può aiutare, vorrei anche chiamare in causa lo spirito di Etty Hillesum. Ecco, per dare un idea di quello che intendevo e che però ho espresso certamente male.
Mi fermo qui.
Un caro saluto a te Giancarlo e a tutti gli amici di Darsi Pace.
Mauro
Carissimi,
grazie per l’accoglienza che avete riservato alle parole di questo mio post.
Ci ho pensato un bel po’ prima di condividerle qui, ma sono contenta di averlo fatto.
L’esperienza che ho cercato di descrivere è certamente breve e rara, però resta scolpita in un luogo interiore profondo, un punto fuori dal tempo e dallo spazio dal quale credo possa produrre dei frutti.
Vorrei anche aggiungere qualcosa agli ultimi commenti di Mauro e Giancarlo.
Io credo che nei momenti in cui il nostro mondo vacilla, la cosa migliore che possono fare le persone che abbiamo accanto è confermarci, nei fatti, che la nostra identità, unicità e valore non sono cambiati.
Che nessuna sventura potrà alterare il rapporto che abbiamo con loro.
Che ci sono accanto per i necessari aiuti ma soprattutto che non hanno paura di quello che sta succedendo.
In questo modo ci confermano che la vita continuerà ad espandersi, magari in modi diversi, ma in fondo nulla di ciò che è essenziale andrà perduto. Arrivare a vivere questo non è semplice, né per chi si trova accanto a chi soffre, né per chi vive tutto questo in prima persona. Per quel che ho visto io è un percorso, un lavoro.
La citazione che ha riportato Mauro alla fine del suo primo commento la sento profondamente vera: senza mai disperare di poter stare meglio, credo che la prima guarigione, per tutti, sia proprio quella di riconoscersi esseri umani unici e degni, capaci di dare e ricevere amore.
Come cristiani possiamo poi tentare di andare oltre, ma senza mai bypassare questo fondamentale passaggio profondamente umano, che già di per sé non è scontato.
L’andare oltre può essere pregare per la propria e altrui guarigione (ma cosa vuol dire pregare? Rivolti a quale immagine di Dio?), iniziare a chiedersi cosa significhi amare, rendersi conto di quanto si è impauriti, orgogliosi, superbi, giudicanti, anche da malati, o anche accanto a persone malate.
Di quanto siano mutevoli i confini tra queste categorie, di quanto siano invisibili e incomunicabili certe malattie (vedi Maria Letizia e Laura).
Il lavoro è tanto, per tutti, e in fondo è quello che facciamo in Darsi Pace.
È un lavoro che per me è stato ed è molto liberante, pur nella durezza delle varie difficoltà.
Un caro saluto a tutti
Antonietta
Carissimi ho letto più volte il post e i commenti e, da malato cronico con gravi disabilita’ tanto tormentato da questo tema, mi pare di percepire che il commento di Marco Guzzi è molto vicino al mio pensiero.
Ringrazio però tutti perché è stata una condivisione che allevia il peso di ciò che devo sopportare aiuta a sostenere e mi unisce alle sofferenze e alla ricerca di ciascuno.
Come spesso mi capita ricorro alle poesie di Marco e in questo caso mi fa piacere riportare questa:
CORSO D’INCARNAZIONE
Sradica questo momento
Da tutte le tue concezioni.
Sgrovìgliati
Da te.
Rimpatria.
La mia festa
E’ sempre estemporanea.
Fuori programma.
A Capo Vaticano
O in Cornovaglia
E’ uguale.
La bellezza
Riuscita è a somiglianza
D’un uomo immaginario
Che s’incarna
In te.
Questo è il mio dono :
Darmi.
Ad ogni istante :
Prendete e mangiate.
Ogni momento :
Tutto è compiuto.
Così l’eterno
Scivola nel tempo
E lo fa fuori.
Nel momento di una riflessione meditativa così precisa e profonda credo di sentirmi, libero da ogni impedimento, e di essere finalmente totalmente guarito da ogni male!
Grazie Antonietta per il post e a tutti per i commenti con un saluto affettuoso da
Fabio.
Dopo le belle e profonde riflessioni che ho letto, provo ad aggiungere anche la mia.
Ho sempre avuto la segreta speranza (a volte dichiarata, molto spesso taciuta) che mia figlia possa guarire da una disabilità motoria che la limita molto nella sua autonomia e proprio per questo la fa soffrire molto.
Nonostante non abbia mai ricevuto input positivi riguardo a questa mia “segreta speranza” (specialmente in ambito socio-sanitario), qualcosa in me si è sempre rifiutato di abbandonarla…illusioni legate a un pensiero magico infantile mai superato? incapacità ad accettare il ‘limite’ che la vita ci ha imposto? quant’altro?
So solo di aver nutrito nel corso degli anni del risentimento verso quegli operatori sanitari (medici, psicologi, fisioterapisti…) che in modo più o meno dissimulato si arrogavano il diritto di prefigurare un futuro certo (in senso negativo) riguardo alla condizione di mia figlia.
E ho capito, strada facendo, che quello che più mi disturbava era la presunzione di “aprirmi gli occhi” togliendomi quella speranza che mi ha fatto cercare -e anche ora mi fa cercare- possibili strade sempre nuove di riabilitazione e di guarigione.
Questa ‘violenza’ legittimata dall’ arroganza di emettere verdetti “scientifici” la reputo ormai solo l’espressione di un limite culturale che riguarda tutti gli ambiti del mondo in cui viviamo.
E’ la speranza-la mia- del NON ANCORA (come hanno scritto Iside e Marco) ?
Sento che togliermela sarebbe per me un po’ come morire, in senso profondo, un tacitare la mia anima.
Nel frattempo però VIVO, rimanendo come Iside “in attesa di un mondo che non so”.
Ad Antonietta e a tutti voi un sincero GRAZIE, mcarla
Vivi, Maria Carla, vivi e non smettere mai di vivere, e quindi di sperare. Nessuno, non lasciare che nessun imbecille ti tolga la speranza, mai, per te e per tua figlia. Non lasciare che ti tolgano le armi della fede e dell’amore, non permettere a nessuna scienza umana di avvilirti o di stancarti. La Madre di tutte le mamme ti sia sempre vicino. Ti saluto con le parole del Poeta rivolte alla “Vergine madre, figlia del tuo figlio”.
“Qui sei a noi meridiana face di caritate e, giuso intra i mortali, SEI DI SPERANZA FONTANA VIVACE”
E “vivace” viene da vita. Vivi la tua speranza e affidati a Lei “la cui benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre”.
La Mamma celeste, quando vuole, oltrepassa il tempo e lo spazio. Tu non perdere mai il contatto con Lei, che non ha mai deluso nessuno. Permettimi di donarti un abbraccio, anche se non ci conosciamo.
Caro Gennaro, un commosso GRAZIE! le tue parole mi hanno rafforzato nel mio sentire e mi hanno fatto davvero bene.
Ricevi anche tu un caloroso abbraccio da parte mia, mcarla
Cara Antonietta. Grazie per il tuo testo. Hai risposto in modo molto soddisfacente a un quesito preciso che ponevo nel nostro lavoro di Gruppe e non mi sembrava di aver trovato una risposta soddisfacente. Hai messo a fuoco una cosa che sperimento quotidianamente. Io ho solo qualche acciacco, tipo mal di schiena ogni tango ecc, ma è vero che durante la preghiera questi dolori spariscono, sento come un “dolore benefico”, come quando ci si lascia massaggiare muscoli indolenziti. Con il tuo testo mi hai aiutato ad andare avanti nel mio cammino di fede. Grazie! Un abbraccio forte!!
-Emanuele
Grazie mille per le vostre condivisioni. In un mondo disgregato è urgente ritrovare l’unità, quell’unità che non è pensiero unico bensì una multiforme e creativa spinta d’Amore.