Ebbene sì: confermo subito – se ci stavate pensando – che il titolo di questo post (vogliate perdonarmi) l’ho scelto anche come un omaggio tardivo alla famosa canzone di Adriano Pappalardo, alla sua energia semplice e ruvida, indubbiamente efficace. Vi rassicuro immediatamente, al contempo: non è tanto di questa che vorrei scrivere, o non esattamente. Per quanto vorrei declinare il suo ricominciamo in un senso che sento più completo e pertinente, questo sì.
Mi spiego. Ho sempre avuto qualche problema nell’entrare realmente in quel senso di euforia del passaggio di anno, al quale avrei pur spesso voluto partecipare di cuore. Non ho mai avvertito davvero quella sensazione profonda di qualcosa per cui rallegrarsi, gioire. O comunque di un evento con il quale, perlomeno, confrontarsi.
Credo di non essere solo, ad aver spesso avvertito dolorosamente (nessun atteggiamento elitario, solo pura sofferenza) quel senso di vuoto dato dal non capire cosa si sta celebrando realmente. D’altra parte, mi dico, un cambio di foglio al calendario è in fondo poca cosa, se non lo si radica in qualcosa di più vero. Qualcosa che riguardi piuttosto quel calendario interno con il quale registriamo gli eventi dal punto di vista più intimo, più squisitamente interiore. Quella zona interna alla quale (secondo tutte le tradizioni spirituali) sempre tornare per potersi davvero radicare nel mondo, e intervenire con profitto anche nel sociale. Intervenire realistica-mente, senza essere appena giocati dai nostri conflitti irrisolti.
E’ un cammino, un processo, il mio. Vado avanti, piano. Filtro le cose che passano, cerco pazientemente l’oro. Devo attendere: il lavoro stesso altera la percezione del panorama. E’ iniziatico, mi dicono. Mi fido. Stavolta non voglio retorica, non cerco finezza dialettica. Voglio un nuovo pensiero. Voglio capire davvero.
Timidamente comprendo, allora, che il vero valore di valicare un anno, è appena nell’occasione che fornisce, il senso che si avverte di poter ricominciare in modo fresco, rinegoziare le coordinate del rapporto con noi stessi e dunque con il reale. Che poi tutto affonda lì, trova lì la sua vera radice: non lo dico certo io, ma quella ragazzetta che nelle sue pagine di diario ha vergato senza volerlo uno dei testi forse più decisivi del novecento: un testo dove brillano le tracce di un nuovo sentire, un sentire che armonizza nella carne viva di una persona, le istanze più ampie della letteratura, della spiritualità, della scienza, in un chiaro anelito di profondo ricominciamento. Trascendendo leggera secolari sbarramenti e muri divisori, nell’apertura docile (irresistibilmente femminile) ad un pensiero nascente, insieme nuovo ed antichissimo.
Scrive dunque Etty Hillesum, che “forse il mio compito nella vita, il mio unico compito è portare ordine e armonia nel caos che regna in me stessa. Probabilmente non dovrei mai cercarlo fuori di me. E il mondo esterno mi interessa in realtà soltanto nella misura in cui è una proiezione del mondo interiore.”
Ecco: ricominciare secondo questo sistema di coordinate, mi sembra una possibilità reale, ogni secondo. Qualsiasi cosa sia accaduta l’istante prima, qualsiasi giudizio abbia di me stesso, non ho alternativa reale se non quella di ricominciare, con maggiore determinazione (ovvero, con maggiore gentilezza), e riabbracciare il compito della mia vita. Del resto, ad ogni respiro sono fatto, sono ricreato nuovamente e continuamente: ricomincio anche senza che io lo voglia, lo decida. Posso appena decidere la direzione verso cui tendere, se pronunciare il mio piccolo ma decisivo Sì, sull’onda di un assenso che percorre i secoli. Ed è tutto.
Un momento, un momento ancora. Filtro ancora le cose, le idee. Lascio scorrere la polvere tra le dita. Sperando di trattenere qualcosa. Di scorgere segni di luce, oltre la materia opaca, quella materia oscura che avvolge le cose, alle volte, intorbidisce i pensieri.
Finalmente mi accorgo che l’inizio d’anno è pensabile come istante condiviso di questo perpetuo ed intimo ricominciare (la decisione davvero più intima che possiamo prendere, ed anche la più immediatamente gravida di conseguenze per il mondo), ed ecco che solo adesso ritorna ad avere un senso, ad essere saporito per la mia percezione. La sento in me, più forte che mai, questa voglia di un nuovo inizio.
Eppure ricominciare non è neanche un atto isolato, quasi una sorta di determinazione volontaristica che appoggi appena sul proprio sforzo, sull’impegno personale: fosse così, mi dico, sarebbe un tentativo prometeico ma in fondo disperato. Tutt’altro. Ricominciare è ragionevole e possibile in forza di avvenimenti: rifrangenze parziali, probabilmente, di un solo grande Avvenimento. Ricominciare ha una inestirpabile connotazione sociale, perché interviene da subito nella relazione con gli altri, e con il mondo.
Si ricomincia, dunque, non dimenticando quello che è accaduto, ma esattamente in forza di quello che è accaduto. Proprio perché sono accadute delle cose, posso realmente tornare all’inizio. Un controsenso, dite? Certo, il pensiero lineare – che procede per divisione e separazione – fatica a capirlo, come ormai fatica a star dietro alle stesse acquisizione della scienza. Del resto, ogni cosa veramente importante danza su un piano diverso da quello logico: la stessa materia, che a noi appare a volte così irrevocabilmente s(t)olida, è nel profondo una danza tra stati impermanenti, tra uno spettro sempre cangiante di livelli di energia.
Se dunque per ricominciare mi guardo indietro, rileggendo l’anno appena trascorso, trovo alcune occasioni luminose in cui – pur tra le inevitabili altalene della condizione umana – la bontà del cammino mi è stata pazientemente confermata. In cui mi sono sentito davvero a casa, accolto ed accudito. Amato. Qualcosa di armonico tra me e il mondo, tra me e le stelle, è tornato a farsi sentire, sussurrando quella parola di pace, di consolazione, che è la più suadente in assoluto. In compagnia della quale posso azzardare davvero il proposito, temerario e vergine, di ricominciare.
Così è accaduto per l’intensivo di Santa Marinella sulla creatività, interpretando un’istanza che è poi quella che con più dolcezza e trepidazione mi porto nel nuovo anno, quella di ricominciare a creare. Occasione di incontri profondi e di riflessioni è stato anche la settimana a Trevi organizzata da Darsi Pace in collaborazione con i gruppi Aleph, di Mauro Scardovelli: un’occasione per confrontarsi con una realtà diversa e comprenderne tanto le innegabili affinità quanto le inevitabili differenze. E anche, inaspettatamente, proprio a motivo di alcuni dialoghi, di radicamento in una mia identità di persona di scienza. Perché tutto ciò che avviene di veramente importante, mi pare di capire, avviene sempre a tutti i livelli, non lascia mai niente fuori della persona.
Ecco, avverto che in questi primi giorni di un nuovo anno, il sentimento e la voglia di ricominciare si possano, con felice paradosso, appoggiare su quanto di bello è già avvenuto nell’anno trascorso, di quanto mi è già stato donato.
Cosa attendersi allora per questo nuovo anno solare, per questo ennesimo giro di rivoluzione della Terra intorno al suo Sole? Già chiosava Pavese, assai lucidamente, riportandoci al groud zero di una concretezza aspra ma sincera: qualcuno ci ha promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?
Ecco che il grande umanissimo Cesare, pur “perduto nella pioggia” (come racconta De Gregori), mi forza a guadagnare un altro livello, ecco che mi appare ragionevole ricominciare solo in forza di una promessa, se veramente Qualcuno mi ha promesso qualcosa. Qualcosa di cui, guardando nell’anno appena concluso, scorgo proprio negli eventi che mi scorrono nella memoria, quelle preziose schegge luminose di anticipazione, di un già e non ancora. Qualcuno peraltro che – dicono – volle mischiarsi tra noi, eccedendo felicemente nel dare, nel darsi. Volle venire Colui che poteva accontentarsi di aiutarci, dice San Bernardo.
Sì sì. Lo so. Niente, nessuna facile conclusione. Nessuna tentazione, in me, di spiritual bypassing. Se mi guardo dentro lo avverto fin troppo bene. Ragazzo, tieni un profilo basso: hai ancora molto da fare. Ho ancora molto, molto da lavorare in me. Non trovo alcuna via che mi sottragga dall’applicazione paziente, dalla pratica quotidiana. Non sostengo di aver raggiunto niente, apro le mani e spero e confido piuttosto di farmi raggiungere. Niente, resto al lavoro a cui accenna Etty, ove la mia unica speranza è che io sia saggio abbastanza, ovvero umile abbastanza, da lasciare andare tutti i vani pensieri sulle scorciatoie per la felicità, tutti i pensieri malati di inadeguatezza. E seguire, camminare un percorso come questo che – senza sconti – propone una via realisticamente percorribile, per ritornare, per ricominciare, a godere un po’ di più del dono della realtà.
E allora mi arriva addosso un pensiero, lucido inatteso e leggero come una liberazione, una piccola ma concreta epifania: non c’è alcun bisogno di grandi propositi (anzi assai meglio non farne, sussurra questo pensiero), ma dell’umiltà di ritornare ogni volta alle cose più piccole, più vicine. Proprio perché vorrei tutto, vorrei lasciare un segno nel mondo, non posso che ritornare alle cose più umili, come il respiro.
Come scrive Carolina Traverso in un libro appena pubblicato, Mente calma cuore aperto, “Siediti e respira, incontrandoti con coraggio e con amore. Se vuoi trasformare te stesso e il mondo intorno a te, non c’è nulla di più potente.”
Anche nel 2017. Anzi, soprattutto.
Auguri!
Grazie Marco, il tuo post e’ bellissimo,non mi fa sentire sola e mi da la possibilita’ di fermarmi per riflettere un po’,anche se non sono tanto brava nello scrivere ci provo,perche’ questo e’ quello che sento. Non ho mai sopportato il capodanno,ma sopratutto non trovo il senso di tutto quel frastuono che si viene a creare la sera dell’ultimo giorno dell’anno. Preferisco il silenzio e la quiete,il cominciamento,secondo il mio parere,ci deve essere tutti i giorni dell’anno,nel mio piccolo cerco di provarci tutte le mattine. Quando mi alzo faccio la mia pratica meditativa e poi mi prendo cura di tutte le piccole cose che incontro nella mia precaria giornata,sia belle che brutte,perche’ cosi’ riesco a dare un senso alla mia vita,devo sentire quello che sto facendo con tutta la mia anima. Sono le piccole cose che rendono migliore lo scorrere delle nostre giornate,in fondo e’ come si vive il quotidiano che conta veramente! Auguro a tutti di avere il coraggio e l’umilta’ di ricominciare tutti i giorni mettendosi all’ascolto e non aspettare la fine dell’anno per farlo. Un caro saluto. Elisabetta.
Cara Elisabetta, concordo totalmente con te, davvero “sono le piccole cose che rendono migliore lo scorrere delle nostre giornate” (curioso, ma non troppo, che l’ego dica altrimenti, spinga a trascurare il quotidiano, a disertare il “qui ed ora” per inseguire improbabilissime strategie di felicità futura). Comincio a capire perché Marco Guzzi richiami così spesso al rilancio della semplice decisione di fare la pratica quotidiana. Sto cercando di essere un po’ più sistematico nella meditazione, anche se sono sessioni relativamente brevi: eppure già sento la differenza rispetto a prima, e mi pare che l’attenzione alla pratica sia un primo modo di “volermi bene”, volermi nell’istante presente. E iniziare a coltivare questa piccola gioia di “esserci”, e basta. Senza null’altro domandare, almeno per un (meraviglioso) momento.
Grazie, un abbraccio!
bellissimo il titolo oltre che tutta la riflessione che ne segue.
Il “ri-” è sorprendentemente creativo: ri-cominciare, ri-leggere, ri-ascoltare….
Sembra che voglia quietarci nella ripetizione, invece ci invita ad acconsentire, anzi ad agire una sorta di esplosione mite ed umile del nuovo poggiando sul già avvenuto riguardato.
Grazie per l’articolo, benedette sono queste riflessioni che tessono una conversazione senza escludere nessuno: tutti possono leggere, rileggere, apprezzare, lasciarsi coinvolgere, trovare conforto. E grazie del commento sul richiamo di Marco Guzzi “al rilancio della semplice decisione di fare la pratica quotidiana… attenzione alla pratica che é come un primo modo di ‘volersi bene’… volersi bene nell’istante presente… “. E’ bontà e saggezza richiamare questo alla nostra attenzione! La costanza nella mia pratica è così facilmente minacciata. Ci s’identifica così tanto con la mente e le emozioni. Ma farla rida intanto da subito già un pò di senno. A me così accade. E non é poco. Ristabilendomi poi in essa, é soprattutto nel dopo che ne scorgo il bene: qualcosa accade nelle ore successive mentre attendo alle faccende della vita (un fatto, anche piccolo, o un incontro -altre volte considerato banale, o una percezione, …) che ha un sapore dolce e lieve. Un sapore non di questo mondo. E questo mi ricollega intimamente alla sorgente e mi rida slancio. Ma quante peripezie, cadute, smarrimenti. Eppure speranza, perché la sorgente, se ne fa esperienza, é sempre nuova e a disposizione.
Le suorine dell’opera pucciniana capiscono che è passato un anno quando la luce del sole torna a colpire un certo punto del loro convento “È passato già un anno”, dicono le une, “Già un anno è passato”, rispondono le altre…….vita triste e “ferma”!
Be’…..personalmente il festeggiamento dell’anno nuovo non è un “re-inizio”,o una ricorrente fascinazione numerologica, ma una continuazione, con la gratitudine e la gioia di avere ancora tempo per vivere investendo le mie energie e potenzialità in questo cammino iniziatico.
Grazie
Caro Marco, al tuo post, così condivisibile, capace di sintetizzare un sentire comune a tutti noi, aggiungo una nota finale in accordo con quanto dici, ispirata all’oggi. Buona Epifania.
MARIO LUZI:
“NOTTE, LA NOTTE D’ANSIA E DI VERTIGINE…”
Notte, la notte d’ansia e di vertigine
quando nel vento a fiotti interstellare,
acre, il tempo finito sgrana i germi
del nuovo, dell’intatto, e a te che vai
persona semiviva tra due gorghi
tra passato e avvenire giunge al cuore
la freccia dell’anno… e all’improvviso
la fiamma della vita vacilla nella mente.
Chi spinge muli su per la montagna
tra le schegge di pietra e le cataste
si turba per un fremito che sente
ch’è un fremito di morte e di speranza.
In una notte come questa,
in una notte come questa l’anima,
mia compagna fedele inavvertita
nelle ore medie
nei giorni interni grigi delle annate,
levatasi fiutò la notte tumida
di semi che morivano, di grani
che scoppiavano, ravvisò stupita
i fuochi in lontananza dei bivacchi
più vividi che astri. Disse: è l’ora.
Ci mettemmo in cammino a passo rapido,
per via ci unimmo a gente strana.
. Ed ecco
il convoglio sulle dune dei Magi
muovere al passo dei cammelli verso
la Cuna. Ci fu ressa di fiaccole, di voci.
Vidi gli ultimi d’una retroguardia frettolosa.
E tutto passò via tra molto popolo
e gran polvere. Gran polvere.
Chi andò, chi recò doni
o riposa o se vigila non teme
questo vento di mutazione:
tende le mani ferme sulla fiamma,
sorride dal sicuro
d’una razza di longevi.
Non più tardi di ieri, ancora oggi.
da Onore del vero (1957)
Ricominciamo? Non vorrei, è dura è difficile è faticoso però a un certo punto dico: SI! Ogni anno ogni mese e tutti i giorni. È stato utilissimo per me meditare e memorizzare una piccola poesia come questa; potrebbe forse essere un buon suggerimento!?
PAROLE GUIDA
Non si finisce mai di cominciare:
Inaugurale è il giorno
Ogni mattina.
E la sapienza
Culmina in un bacio
Per la buona notte.
Lo spirito più dolce è il più severo,
Il più sagace: un calcio
In culo e vivi
Senza troppe storie.
Il resto mancia:
La vita t’è donata in sovrappiù.
Marco Guzzi, Preparativi alla vita terrena, 2002
Auguri, tanti auguri gioiosi a tutti!
Bello Marco! Il passaggio ad un nuovo anno l’ho sempre condiviso con il mio compleanno. Sono nata dopo un bel veglione nel quale mia madre ha ballato con mio padre fino a mattino ! e poi sballottata come una biglia … sono nata anch’io su questa complessa terra.
Per me il capodanno ha un significato quasi religioso ma potrebbe accadere in qualsiasi giorno dell’anno che non perderebbe quella sensazione di religiosità che percepisco. Questa cosa l’ho sentita per me vera quando un bel giorno ho iniziato a riflettere sullo scorrere del tempo terrestre e mi è giunta un immagine su per giù circolare, nella quale lo scorrere delle stagioni hanno il loro posto preciso nel loro continuo ed armonioso susseguirsi e ripetersi e sì, onoro nel capodanno la fine e l’inizio di un nuovo ciclo, un nuovo giro di “volteggi”, danzando seguendo i ritmi della natura ed il pianeta mentre sta viaggiando.
Anche per me il baccano, quella folle euforia e nell’esagerazione a volte, che così espressa ne annebbia il significato della ricorrenza e nella quale ho sempre tentato, nonostante la confusione, di sentirmi di onorare trovando vari momenti di raccoglimento e nel provare a sintonizzarmi con un nuovo giro di danza!
Sintonizziamoci l’un l’altro e Auguri a tutti!
Buonasera Marco, dopo Mario Luzi e Marco Guzzi, oso proporre le parole di un’ entusiasta neofita della meditazione poiché mi pare si ritrovino i temi e i concetti che anche tu hai espresso e, citando l’anonimo qui sopra, sono un sentire comune a tutti noi.
Fine d’anno
Quando mi sento nel lento fluire del tempo,
emergere dal rapido vortice di questi anni
nell’ Unico Spirito che dà senso,
una storia precisa nel tutto,
ritorna la pace dentro.
Così che importanza potrebbe
avere la festa di fine anno?
La stessa gioia è per me
il mattino, la sera,
l’inverno e la primavera.
Il brivido di essere presente.
(29 Dicembre 2014)
Buon anno.
Stefania (Approf.1)
Carissimi,
leggo con gioia i vostri interventi, e da ognuno imparo qualcosa, e ognuno mi dona qualcosa. Soprattutto, una prospettiva polifonica, che arricchisce dire irresistibilmente i miei pensieri di fine anno e nuovo inizio, di mille altri colori e altre suggestioni, direi tutte pienamente pertinenti.
Vorrei solo ringraziarvi con una considerazione che sembrerà ovvia. Ma è così, la bellezza e il privilegio di scrivere in un ambito come questo è a due livelli, dire. Un primo certamente nel poter esprimere la propria “tavolozza di colori”, e non è appena una esibizione vana ma un lavoro bello, una declinazione del lavoro specifico della pratica e del cammino. Ma il secondo non meno appagante è di intrecciare il proprio “dipinto” con la pennellate di tanti altri compagni di cammino – e ognuna è una pennellata diversa, che capisci bene, ben ti accorgi, non potresti aver messo te.
Tale è la profonda specificità di ognuno (qui provata “sul campo”) che porta una nota così particolare, che solo lei (lui) può suonare, solo lei (lui) può emettere.
Un mistero, in fondo, ma molto molto bello.
… ed anche, le parole poetiche che si sono inserite così docili e pertinenti, mi fanno riandare ad una cosa che scrissi qualche anno fa, il giorno dell’Epifania del 2008, e vogliate avere davvero molta benevolenza per l’impudenza esecrabile di postarla in un dialogo che vede poesie di grandissimi del calibro di Luzi, ma è appena per il conforto di un comune sentire…
“Quasi portassi doni”
Ad un tratto
misteriosi fuochi vedesti
per il cammino
a volte affollato
di ombre vane
(… oppur fuoco non era
ma astro brillante
che illumina la strada
verso un’umile capanna)
con quel magico potere
che chiamava il cuore nel profondo
di riscaldar le membra
di sciogliere il ghiaccio
e come per semplice
puro desìo
di un ordine bello –
ricomponevi il bagaglio
ripulivi le vesti
e ricamminavi in via,
quasi accompagnato
da una dolce
– nuova –
regalità
quasi con te
ora portassi
doni.
https://blog.marcocastellani.me/quasi-portassi-doni-188043f07ee9#.ac96ou15v
Carissimi amici di Darsi Pace,
questa mattina mi sale impetuoso dal profondo del cuore un IMMENSO GRAZIE a tutti voi che scrivete nel blog e nei siti riservati. Ogni scritto, nelle sue specifiche caratteristiche, mi aiuta ad approfondire, a riflettere e comprendere meglio con il cuore. Anche se non conosco di persona la stragrande maggioranza di voi, vi sento vicini e compagni nel percorrere questo impegnativo e profondo cammino. Un fraterno abbraccio.
Rosaria
“…a riflettere e comprendere meglio con il cuore” !
Faccio mie le tue parole, cara Rosaria, anch’io saluto e ringrazio tutti i ‘camminatori’ .
mcarla