E’ interessante comprendere come ogni epoca abbia dei propri specifici paradigmi. Come vi siano degli schemi di percepire le cose, schemi che vengono spesso rinforzati dall’indagine del mondo reale: quell’indagine che si ritiene oggettiva, restituisce piuttosto una visione del mondo organica e coerente con quella già raggiunta dal pensiero umano. Del resto, il mondo è di una intrinseca complessità e non linearità tale, da farsi capace di risuonare su una molteplicità di livelli, eccitare diverse serie di autovalori. In ultima analisi, di accordare la stessa tonalità di risposta sulla peculiare modulazione della domanda.
Così, se abbiamo vissuto per lunghi secoli convinti di essere al centro dell’universo — convinzione peraltro rinforzata dall’indagine scientifica, per come poteva essere perseguita al tempo — ormai da tempo ci siamo spostati su un livello diverso di percezione, più matura ed articolata.
Dal centro alla periferia, potremmo dire, con movimento inarrestabile. E’ quella periferia che immediatamente non può che farci pensare — anche a prescindere dal fatto di essere, o sentirsi, più o meno cattolici — a tanti discorsi di papa Francesco. Quello che più mi interessa è notare come questa nozione (o meglio questa percezione) informi di sé vasti campi del sapere umano, in uno scenario che appare, ormai, condensarsi ordinatamente intorno ad un senso compiuto e coerente.
Vorrei condurvi appena a percorrere sommariamente quello che più riguarda l’astronomia, campo a me familiare, lasciando ad altri una esplorazione in altri ambiti del sapere. Peraltro, qui il gioco è facile, è subito evidente: tutti gli ultimi secoli possono essere facilmente letti esattamente come un progressivo e ostinato dislocamento dal centro verso la periferia.
Uno spostamento, esattamente. Perché per la percezione umana di questo si è trattato: di un ingente, immenso ed intenso spostamento del nostro punto d’essere dentro l’universo. Uno spostamento totalizzante, epocale. Di cui ancora molto deve avvenire, nella nostra mente. E’ difficile infatti, molto difficile, in certe situazioni non esclamare, non pensare, non agire come se questo ci informasse totalmente, come se questa cosa – ripeto, già superata dalla scienza – ancora pervadesse interamente la nostra percezione interna: “io sono il centro”.
Ma non dobbiamo sorprenderci, o scandalizzarci: siamo testardi, inerziali, resistenti al cambiamento. Tanto è vero che, non di rado, ci troviamo ad inseguire i nostri stessi risultati, anche scientifici. Non sarà fuori luogo richiamare appena la meccanica quantistica, o anche la relatività generale. Schemi concettuali ormai verificati e consolidati con grande precisione, che però ancora faticano ad entrare nella percezione comune: il nostro modo di percepire il mondo è ancora e per larga parte puramente e rigidamente cartesiano, bloccato in schemi fin troppo meccanici di causa-effetto.
Ma come accade sovente, il mondo stesso ci supporta e ci prepara in questo spostamento, probabilmente troppo grande per le categorie umane. Ecco dunque che la scienza stessa ci viene in aiuto, mostrando proprio in questo modo la sua decisiva importanza per la crescita e la maturazione umana. Per ciò stesso, importanza tutt’altro che limitata all’uso (anche sapiente) della tecnica, ma di imprescindibile portata culturale.
Ma vorrei finalmente entrare nell’ambito più prettamente astronomico, come vi avevo anticipato: se avrete la pazienza di seguirmi ancora un poco, vedrete (spero) come anche il dettaglio scientifico si ricomponga in uno scenario filosofico sul quale poter finalmente riposare.
Cosa è accaduto nell’Universo, negli ultimi secoli? Semplificando enormemente, possiamo dire questo: che la Terra si è mossa. E di parecchio, anche: è stata progressivamente spostata, da centro del tutto a pianeta orbitante attorno ad una stella (la rivoluzione copernicana, come sappiamo: e proprio di rivoluzione si tratta, perché è il primo passo concreto verso una costruzione di un modello di Universo radicalmente altro). Questo è ormai ben noto. Guardate tuttavia come l’operazione di dislocamento, così salutare per la nostra percezione (ed insieme, così fastidiosa per il nostro ego), non si fermi affatto qui. Assolutamente. Spostare la Terra da centro del tutto a pianeta orbitante intorno ad una stella, è stato solo il passo iniziale.
Dove si trova infatti il Sole, per noi moderni? Al centro di qualcosa? In altri termini, possiamo appena sperare di “ricentrarci” su scala un po’ più estesa? No, questo non ci è (più) possibile: sappiamo infatti ormai bene che il Sole si trova alla periferia esterna di una grande, smisurata Galassia (detta anche Via Lattea): un insieme che comprende miliardi di stelle, anche molto più grandi della nostra. Dunque, non siamo affatto al centro geometrico nemmeno del nostro sistema stellare! Ne abitiamo anzi ben lontani.
Questo ragionamento potrebbe continuare, a scale più estese. Ed è anzi interessante osservare come questo di fatto continui, come se l’attuale indagine sull’universo riverberasse e propagasse questo paradigma del decentramento ad ogni scala che possiamo ancora esplorare. Tanto per non dimenticare il messaggio, questo viene reso, potremmo dire con termine scientifico, invariante di scala.
Anche su scala galattica, infatti, siamo spinti a decentrarci, a dimorare nella periferia. La nostra Via Lattea, ora sappiamo, fa parte di un insieme chiamato Gruppo Locale, ove appare sicuramente una grande galassia – ma non certo l’unica. E non è al centro, nemmeno di questo.
A sua volta poi il Gruppo Locale si trova ai margini dell’ammasso di galassie della Vergine, un aggregato di galassie che al suo interno ne conta più di mille, a sua volta parte del Superammasso Locale, un insieme che raduna al suo interno diverse centinaia di gruppi di galassie.
E fino a pochi anni fa, ci saremmo fermati a questo livello, intimamente convinti che più di ciò non si potrebbe salire. Sono le evidenze più recenti che ci hanno fatto fare un altro salto nelle ampiezza cosmiche, in questo gioco inesausto di scatole cinesi: il Superammasso Locale, come sappiamo oggi, ci appare oggi appena come un lobo di una struttura cosmica ancora più estesa, un insieme di circa centomila grandi galassie che si estendono per una larghezza spropositata, pari a circa 400 milioni di anni luce.
Stiamo parlando di Laniakea (dalla lingua hawainana, incommensurabile paradiso), il superammasso di galassie in cui è compresa anche la Via Lattea: la struttura più grande di cui si abbia percezione al momento attuale. Interessante, nel particolare contesto che stiamo esplorando, l’indicazione del fatto che anche in questa struttura — guarda caso — il nostro Gruppo Locale risulti situato in una posizione del tutto periferica, assolutamente lontano dal centro geometrico o gravitazionale di questo immenso sistema.
Possiamo tirare il filo, di questa pur rapido excursus cosmico. La scienza dei cieli ci dice dunque – ormai inequivocabilmente – che siamo decentrati, ad ogni livello possibile di indagine. Ci si può fermare certo alla mera registrazione del fatto, certo. Oppure si può leggere questo reiterata evidenza in molti modi, se lo si vuole. Se si cerca una intelligibilità profonda del reale, si può arrivare infatti a comprendere come niente appaia avvenire “per mera casualità”. La stessa ricerca scientifica può leggersi con profitto come una educazione permanente a sempre nuovi paradigmi, progressivamente più articolati e complessi dei precedenti.
Abbiamo appena visto – anche se per sommi capi – come la nozione di “abitare la periferia”, si venga a comporre in uno scenario consistente ed omogeneo, dall’ambito teologico a quello astronomico (per non parlare delle evidenze che si potrebbero raccogliere altrove). Possiamo certo ritenere che sia appena un caso, e abbandonare questa opportunità di lavorare una sintesi di pensiero. Oppure, possiamo scegliere di andare oltre. Ovviamente, procedendo non più con il solo metodo scientifico, ma rischiandosi in una visione più globale che metta insieme i dati fin qui raccolti.
Vorrei appunto tentare, notando appena come abitare la periferia implichi inevitabilmente il coraggio di decentrarsi, implichi cioè l’atto di massima umiltà consistente nel togliersi dal centro del mondo: e questa umiltà, praticata quotidianamente, può magari diventare un nuovo respiro, che regala poi molto di più di quanto sembra che abbia abbandonato.
E’ un paradigma che attende ancora compiutamente di essere esplorato, ad ogni livello conoscitivo ed esistenziale. Ci vuole tempo, e questo non deve scandalizzare: è troppo nuova la cosa, troppo nuova se non semplicemente declamata ma totalmente assorbita e fatta propria.
Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione, cantava acutamente Gaber. Pensiamo allora al tempo di cui abbiamo bisogno per “digerire” l’idea di non essere al centro di tutto, pensiamo a quante volte agiamo e pensiamo come se non l’avessimo digerita affatto.
Quanto ci vorrà allora per svestirci davvero dell’idea di dover essere “dominanti” o “in posizione centrale”, per capire che dalla periferia possiamo fare tanto, e godere (tutto sommato) della vi(s)ta migliore?
Non so, se ci spostiamo un attimo dal centro del mondo, forse ci togliamo dalle spalle anche un po’ il peso di doverlo reggere. Vediamo con piacere che il mondo può cavarsela bene da solo, che anzi ci è dato, ci è donato. Possiamo perfino prendere in considerazione l’ipotesi di rilassarci un pochino, nel merito. E ragionare sulla portata di questo spostamento. Cosa metteremo allora al centro vivo di tutto? Attorno a che cosa (o a Chi) tutto ruoterà, nelle nostre vite e nella vita dell’Universo, se non siamo più noi stessi nel centro? E quanto tempo ci vorrà, per avvertirlo non più solo nel pensiero concettuale, o nell’enunciazione dottrinale, ma nella nostra carne viva?
Tanto tempo, probabilmente tanto tempo. E un buon lavoro su noi stessi. Eppure, ho la forte sensazione che tutto il tempo che ci vorrà, sarà comunque un tempo prezioso, un tempo ben speso. E il lavoro da fare, il lavoro che stiamo già facendo, sarà probabilmente quello per cui, in fondo, siamo vivi: qui, esattamente qui.
In questo angolo di Universo.
Mi affascina e mi lascia stupefatta questa visione in cui l’astrofisica e la spiritualità si intrecciano e si completano vicendevolmente, restituendoci l’dea che non siamo al centro ma alla periferia del Tutto. Sarà bello ed entusiasmante riflettere a lungo su queste acquisizioni della scienza che cambiano il nostro modo di porci di fronte alla realtà dell’universo e di noi stessi, per godere di questo nuovo punto di vista e scoprirne tutte le implicazioni per la nostra vita interiore. E’ bellissimo questo invito all’umiltà, a non dare nulla per scontato, a continuare con fiducia e perseveranza a lavorare su noi stessi. Grazie, Marco!
Maria Letizia
Grazie Maria Letizia, per il tuo commento!
Per me, il cammino nel triennio DP è stata anche (inaspettatamente: diciamo che non era esattamente previsto) la scoperta di come tutto quello di cui mi occupavo per mestiere, che a volte tendevo a riguardare in ottica un po’ riduzionistica (come se non avesse legame con la mia ricerca spirituale), in realtà è proprio un fortissimo stimolo, una robusta indicazione di come i tempi siano maturi per “leggere” l’universo – e l’uomo – in una modalità diversa da quella alla quale siamo abituati.
In altre parole, lo stupore è stato capire che sono stato messo in un posto ideale, ho un lavoro perfetto per comprendere che sono davvero tempi “estremi”. Diceva Giussani (e io lo capivo solo in parte) che «Le circostanze per cui Dio ci fa passare sono fattore essenziale e non secondario della nostra vocazione, della missione a cui ci chiama». Sto pensando che devo veramente prenderlo alla lettera.
In questo cammino, lo dico spesso, libri come “Il Tao della Liberazione” e anche “Fede e Rivoluzione” e “La nuova umanità” sono stimoli importanti per aiutarci a ripensare la scienza secondo quanto può e forse ora “deve” essere fatto. Proviamo proprio con AltraScienza a lanciare semini in questa direzione. E’ un bel compito, perché è molto liberante, e permette di far rientrare la scienza nell’arco delle discipline che veramente aiutano il progresso umano: non appena tecnico, ma innanzitutto culturale e spirituale.
Grazie!
Caro Marco, grazie per questa stupenda meditazione che ci hai donato! Riflettevo che il decentramento dalla superbia egoica all’ umilta’ apre scenari inediti alla nostra coscienza . L’ ampliamento della coscienza ci rivela il nostro vero essere, che è divino, che abbraccia l’ intero Universo . In proposito mi riecheggiano le parole ddi Immanuel Kant nella conclusione della Ragio Pratica : “Due cose riempiono l’ anima di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente , quanto piu’ spesso e piu’ a lungo la riflessione si occupa di esse : il cielo stellato sopra di me , e la legge morale in me “. Questa corrispondenza macrocosmo/microcosmo è esaltante , ci fa ridimensionare i piccoli/grandi problemi quotidiani e ci proietta in uno stato superiore dell’ essere , che è il nostro destino, la nostra avventura di vita a cui siamo chiamati e a cui la meditazione ci condurra’, con la guida di Marco. Grazie per averci aperto la porta sul cielo stellato e la sua rifrazione sulla coscienza umana! Carmela De Santo
Grazie
Grazissime Marco e che Bello, rivisitare con te la consapevolezza di vivere “tempi davvero estremi”. !!!
Ci aprono ad un’altra Scienza e ad un’altra lettura della nostra personale storia nella sua unicità esaltante per abitare in consapevolezza ed umiltà sempre più dilatate la nostra personale periferia e quella dell’Universo e…contemplare anche solo per un attimo il dislocamento armonico della terra e del cielo.
Siamo davvero dentro un cambiamento conoscitivo e percettivo epocale, rivoluzionario e liberatorio…
Grazie, caro Marco, mi hai fatto venire in mente questa poesia, che scrissi all’inizio degli anni ’90:
Centro di ascolto
La mia continuità è un mandorlo
Che si spoglia, foglia
Dopo foglia. E rifiorisce
Al Sole d’aprile.
La mia memoria è questa
Contraddizione. Della mia storia
Non voglio saperne
Altro. Io resto futura:
Sono il bersaglio
Mobile, e una croce
Mi fissa dal mirino.
“Ma ogni colpo è un centro di ascolto
Che apro
Nella più isolata
Periferia”.
Ad ogni morte (dell’egogeo-centratura)
la nostra isolata periferia
diviene un centro
di ascolto.
Un abbraccio. Marco
Grazie Marco!
Mi pare molto significativo che una poesia, come quella che mi regali qui, esprima una “centratura” rispetto a questo argomentare, probabilmente ancora più efficace di un commento discorsivo. Credo sia un segno di come approfondendo ogni discorso, ogni linea di pensiero, anche scientifica, si debba alla fine arrendersi alla parola creatrice, alla Parola. Come il Centro da cui può partire tutto, il Grande Scoppio iniziale che genera una immensa diversità di enti e di situazioni.
Diversità apparente, sempre potenzialmente ripercorrente verso il suo centro, il suo punto di origine…
Un abbraccio.
Grazie a Carmela, Giuseppina e Salvatore per i vostri commenti.
Insieme a voi, insieme agli altri, cammino in questa ri-scoperta del cielo, che diventa verametne possibile solo se è pronunciata, è “detta” – ed è ascoltata.
E’ vera e possibile solo se è condivisa: come un cielo stellato, che non è e non potra mai essere uno spettacolo privato, ma è di natura condiviso e regalato ad ognuno, che appena guardi in alto, almeno un po’. Dice Etty Hillesum che “si è a casa sotto il cielo. Si è a casa dovunque, se si porta tutto in noi stessi”.
Cerchiamo di sentirci a casa, qui. In fondo il lavoro è solo questo.
Grazie!
Ciao Marco.da più di un decennio frequento la disciplina astrologica(Galileo e Newton erano grandi astrologi…che Paolo Fox!)e forse saprai che in questa conoscenza tutto è geocentrico.mi ritrovo totalmente in quello che dici e allo stesso tempo sento di essere ,come dice la poesia,un centro di ascolto…(soprattutto in questo tempo dove saturno mi fa quadrato sulla luna natale).mi sa che siamo al centro della periferia…
Ciao Davide!
Non avevo pensato a questa cosa… ma sì, siamo al vero “centro della periferia”. Siamo al centro dovunque siamo, se ci lasciamo cadere nel centro, se rinunciamo alla tensione di rimanere sulla superficie sottile… come dice Etty, “si è a casa dovunque”, ovvero al centro… anche al bordo di un gigantesco ammasso di galassie, c’è il centro.
Le notizie di qualche tempi fa ci dicono di Betlemme, una zona assolutamente periferica, un piccolo paesino.
Pare sia stato un centro importante di qualcosa.
Il centro dei centri?
Ciao Marco e tutti, leggendo … penso che se la percezione umana porti a sentirsi al Centro, un qualche motivo c’è sicuramente e non penso esso sia di ordine prettamente dell’ego, bensì di un sentire profondo, in quel Centro di Ascolto, come nella poesia di Marco Guzzi che riporta al giusto centro del Sé, per come ho sentito nel leggerla.
Se ho capito bene, la ricerca sia a livello astronomico che fisico è ancora ad oggi basata, quasi in prevalenza, sulle Teorie.
Ad osservare il cielo, da millenni, ogni notte presenta le stesse identiche costellazioni che i nostri un tempo osservavano e studiavano.
L’antica astronomia/astrologia accompagnava l’Uomo, nei suoi passi, sorprendentemente. I nostri di un tempo sapevano leggere la Natura, si prendevano cura dello Spirito.
Oggi la moderna astronomia, la sento sterile e staccata da ogni contesto umano in connessione con la Natura, a me sembra questa ci voglia lanciare nel vuoto di uno spazio nero che più che altro sembra un buco nero che inghiotte.
Immagini astronomiche dai colori stupendi e mozzafiato che però non posso percepire in alcun modo con i sensi corporei, neppure con l’intuizione. Almeno così è per me. Le immagini e le supposizioni della nuova astronomia mi fanno solo fantasticare su ipotesi di mondi inverosimili per me umana, completamente dissociati dalla natura nella quale vivo, immersa, su questo piano terrestre.
Sembra che la Terra ci porti con sè in una folle corsa, ad una velocità maggiore di quella del suono ma, qui sulla Terra non si muove un ago di pino se non tira vento.
Chi governa i vari settori che pretendono di regolare la vita umana, tra le verità mescola bene anche una gran quantità, probabilmente, di fantasie, … contando sulla sempre minore capacità umana di discernimento. Cosa pretendere del resto, da noi specie umana, se la Scienza discredita anche le umane basilari percezioni? Prima o poi anche queste verranno soffocate e sempre più distorte.
Ma potrei anche sbagliare a pensar in questo modo e ognuno faccia il proprio ragionamento.
Se mi stendo sulla spiaggia … guardo il Sole, la Luna gli è di fronte, questa di giorno è quasi trasparente e man mano che passano i minuti la mia percezione è che il Sole viaggi sopra la mia testa e lo sento molto vicino, … in netta contraddizione con le supposizioni scientifiche astronomiche.
Immersa nella Natura, mi sento tanto quanto i sassi che sostano nei paraggi o come la libellula che osservo posarsi su uno sterpo più in là … e così che sento la Presenza di Dio.
Anche nel processo di maturazione mentale del bambino, studiato dallo psicologo svizzero J. Piaget, si passa dalla fase dell’egocentrismo che considera solo il punto di vista di chi pensa, a quelle che tengono conto degli altri e della complessità della realtà.
Sarà capitato a tutti di sorridere sul comportamento di un piccolo che, volendo giocare a nascondino, magari con un adulto, si piazza subito in un angolo della stanza, con il viso rivolto alla parete, poiché lui non si vede, pensa che sia così per l’altro che lo deve cercare.
Non facciamo noi lo stesso quando, dovendo risolvere un problema complesso di vita, ci costringiamo a vedere e considerare solo un aspetto della questione, ci intestiamo su quello, senza considerare altre possibilità , e, soprattutto altri punti di vista, altre esigenze. Spesso i corni del problema sono tanti, e altrettante le persone coinvolte, ma, condizionati dal pensare solo a noi stessi, forse talvolta dall’ansia, dalla paura, cerchiamo la soluzione più immediata, quella che ci scomoda meno, che si rivela poi, spesso, la più fragile, la più egoistica, e talvolta la più disastrosa! E ahimè , spesso non si comportano così molti politici, che guardano solo al particolare, al presente e non al futuro?
Dunque impariamo a decentrarci, ce lo dice anche la psicologia , l’astronomia , l’astrofisica e il buon senso di chi sa fare tesoro dell’esperienza. Mariapia
Carissima Barbara,
grazie per il tuo interessante commento. Interessante perché immette un punto di vista (un po’ diverso dal terreno della mia argomentazione) e permette così di approfondire, motivare, illuminare di parole che spiegano. Tu dici “Oggi la moderna astronomia, la sento sterile e staccata da ogni contesto umano in connessione con la Natura, a me sembra questa ci voglia lanciare nel vuoto di uno spazio nero che più che altro sembra un buco nero che inghiotte”. E io capisco naturalmente, pienamente, dolorosamente, quello che dici, e capisco anche il problema drammatico di questa percezione, a livello umano.
Però ti vorrei dire che non è così. O meglio, stiamo vivendo dei tempi in cui FINALMENTE le coscienze più avvertite, anche a livello scientifico, mostrano che non è più così. Si sta facendo sempre più spazio, anche tra gli scienziati (vedi i libri di F. Capra, per esempio) di una necessità, e di una POSSIBILITA’ reale, di pensare il cosmo in modo diverso dal passato. Anche il definitivo tramonto dei modelli “stazionari”, di quei modelli che vedono un cosmo “freddo” ed imperturbabile e sempre uguale a sé stesso, sono un chiaro segnale in questa direzione, a volerlo leggere (vedi anche http://www.gruppolocale.it/2017/06/fred-e-quella-creazione-continua/) Il nostro cosmo – piaccia o no ad alcuni – ha un definito punto definito e misteroiso di “creazione” (tanto definito quanto misterioso, direi) ed ha una “storia”, uno sviluppo nel tempo e nello spazio: non è un ambiente freddo e impersonale, imperturbabile. Anzi.
La recente rilevazione delle onde gravitazionali, mostrano peraltro un cosmo che “partecipa” e “patisce” con quello che è contenuto al suo interno, modificando perfino la forma dello spazio, sagomandosi dunque secondo quanto accoglie, in una sorta di “abbraccio cosmico” che sarebbe un vero peccato non poter ascoltare, non poter cogliere. Perché – a mio avviso – è questo il messaggio che ci sta arrivando, su cui dobbiamo sintonizzarci. Un “decentramento” fisico che è una centratura umana, che forse non ha avuto precedenti, nella storia.
O meglio, non ha precedenti a questo livello di consapevolezza: perché per l’uomo di ventimila anni fa, da quanto capisco e sospetto, era “già” così. Si tratta di tornarci, ad un “secondo livello” che non rinneghi o rifugga i risultati della ricerca più attuale. Questa è anche la sfida.
Ed è anche l’apparente paradosso che informa la bella poesia di Marco Guzzi,
“Ma ogni colpo è un centro di ascolto
Che apro
Nella più isolata
Periferia”.
Oggi, finalmente, c’è la consapevolezza che ogni struttura cosmologica “informa” la concezione di uomo che abbiamo, e viceversa. Ogni civiltà “costruisce” in modo molto preciso la sua cosmologia: in questo senso sono assolutamente illuminanti i capitoli che il “Tao della Liberazione” dedica al problema cosmologico (non a caso trattato in stretta connessione con i problemi economici e spirituali di questa travagliata epoca). Semplificando molto la trattazione veramente precisa del volume, potremmo dire che esiste una “cosmologia di dominio” (tipica di fine ottocento, ma fortemente diffusa ancora oggi) e c’è una nuova “cosmologia relazionale”: di quest’ultima vengono delineate le coordinate fondamentali, in modo – qui lo dico da scienziato – ampiamente credibile e decisamente lavorabile.
La scienza moderna ci sta illuminando in questa direzione, è una grande opportunità.
Tu scrivi anche che “la ricerca sia a livello astronomico che fisico è ancora ad oggi basata, quasi in prevalenza, sulle Teorie.” E anche qui, vorrei dirti, vorrei rassicurarti, che non è così. Non per spirito polemico, o per contestare quello che dici. No! Vorrei invece portarti, come posso, questa “buona notizia”, perché ha effetto anche su chi non studia queste cose, ha effetto su tutto e tutti. Sul cameriere di un ristorante, su un operatore sanitario, su un vescovo, su un autista, su un malato terminale che soffre e si offre, su uno scapigliato artista parigino… su tutto e tutti.
La ricerca “vera” è basata sull’aprire lo sguardo, senza pregiudizi. Sul “farsi vuoto” e accordarsi con il segnale dell’universo, sull’essere totalmente ricettivi e registrare il “dato”, senza sovrapporre alcuna struttura. Così, solo così, arriva poi l’interpretazione, la teoria. Chi volesse imporre una teoria “violentando” il mondo reale, in realtà, costruisce sulla sabbia: “i fatti sono argomenti testardi, e qualsiasi sia la nostra volontà, le nostre inclinazioni o i dettami della nostra passione, non possono alterare lo stato dei fatti e delle prove.” diceva John Adams, e questo entra benissimo nel nostro discorso.
La scienza dunque ha questo di bello, che è un ascolto dei segnali dell’universo, e questi segnali li accogliamo e li comprendiamo come un messaggio sempre nuovo, sempre più raffinato (mi viene in mente il paragone della Scrittura, che la leggiamo in modo sempre nuovo, in ogni epoca, cavandone fuori sempre nuovi tesori). Ci accordiamo su frequenze e risonanze sempre più sottili, se ci muoviamo con mente non egoica, e la risposta arriva sempre, e arriva in pieno accordo con lo spettro di frequenza della domanda.
Ed il bello è che c’è un modo di domandare più umano, anche verso il cielo. Che possiamo imparare, che stiamo imparando, anche in questo cammino. Che gli stessi scienziati, stanno sempre più imparando.
Dove la scienza, quella vera, si dimostra amica, e compagna di viaggio.
Un abbraccio!
Ti ringrazio Marco, mi spiace nel caso sia andata fuori argomento. Oltre alle affascinanti descrizioni del Luogo in cui abitiamo, ciò che mi ha piuttosto trascinata nelle mie considerazioni o “sconsiderazioni”, dipende dal punto di vista! … è stato il tuo riferimento alla Percezione.
La percezione umana, a seconda delle epoche, di studi e scoperte.
E’ questo sulla percezione che mi ha fatto impressione e sul quale forse non mi sono mai molto soffermata. Eppure accade continuamente.
Come … se l’Uomo, singolarmente, non possa disporre di una sua propria personale ed intima percezione del mondo, della natura e delle cose ma, si trovi quasi costretto o a volte anche per comodità, a conformarsi a modelli che –inducono- ad un percepire la natura di ciò che è in questione, non attraverso il proprio sentire ma attraverso nozioni, immagini ed informazioni esteriori. Ed è questa modalità, questo sistema, che trovo sterile e molto povero.
Per il resto, vivere in periferia anche a me è sempre piaciuto!
Ciao, un abbraccio
Cara Barbara,
sì, questa concezione “sterile e povera” dell’avventura scientifica che ci ha accompagnato per molto tempo, non senza ragione, pesa ancora sul presente. Ma possiamo “lasciarla andare” in un espiro, finalmente. Possiamo capire che anche i modelli scientifici non li “gettiamo sul mondo” in maniera violenta od astratta (o prevaricatoria, egoico-bellica, sul reale). Piuttosto, li “riceviamo” se siamo attenti, e riceviamo appunto quelle frequenze in accordo con lo spirito del tempo. Dettato da una Storia che ci coinvolge ma che ci trascende, anche.
La scienza ha supportato e veicolato, nel tempo, concezioni sicuramente fredde e dominatrici, prevaricatorie sulla donna e sui deboli, sui diversi. La cosmologia meccanicistica, la sua pretesa di conoscenza totale del mondo, di rimozione del mistero (o Mistero), è stata certamente funzionale alla pretesa umana (soprattutto maschile) di dominio totale (ancora su questo, il “Tao della Liberazione” è illuminante).
Il punto è: possiamo ora liberarci di tale concezione di scienza.
Così la scienza che ancora oggi taluni (molti) ingenui ritengono “oggettiva” e affrancata “finalmente” dal credere e dall’affidarsi, si basa invece compiutametne su un atto di fede (ne abbiamo parlato su AltraScienza in relazione al libro di Marco Guzzi, Fede e Rivoluzione, vedi http://www.altrascienza.it/2017/10/un-nuovo-modo-di-vedere), dunque un atto essenzialmente e profondamente libero e creativo.
Il modello scientifico viene proprio dalla percezione creativa umana, se sceglie di “credere” al messaggio che arriva dal cosmo, o dalll’infinitamente piccolo. Il modello è appoggiato sulla fede indimostrabile che il reale sia descrivibile, sia “raccontabile”, ovvero che in fondo sia dotato di senso (il non senso non ammette racconto, declinazione in parole o modello, è la sperdutezza totale).
La vera scienza è profondamente rispettosa dell’uomo, e partecipa alla sua impresa di “costruzione di senso” (o meglio “ricezione di senso”) con la quale esce, piano piano e con un lavoro sofferto, dalla disperazione, dall’incubo notturno. E si bagna in un lago di inattesa creatività.
Un grande abbraccio!
Caro Marco, come abbiamo avuto modo di dirci domenica, questo tuo articolo è segno di una convergenza davvero inedita tra “scienza” e “letteratura”. Domani pubblicheremo sul sito del Gruppo Poetico-Insurrezionale http://www.humuspoetico.it/ un articolo che, partendo da un ambito all’apparenza distante (Aristotele, John Donne, Heidegger), giunge a porsi le stesse domande. Come due frecce scoccate da luoghi distanti, nascosti l’uno all’altro, che convergono verso lo stesso bersaglio. Qual è questo punto?
La ricerca filosofica e l’indagine scientifica, essenzialmente, non vogliono forse entrambe aiutarci a dilatare la nostra coscienza, e a sperimentare l’esistenza di un nuovo Centro dopo lo smarrimento – doloroso ma salvifico – di quello egoico?
“Cosa metteremo allora al centro vivo di tutto? Attorno a che cosa (o a Chi) tutto ruoterà, nelle nostre vite e nella vita dell’Universo, se non siamo più noi stessi nel centro?”
Grazie davvero e continuiamo su questo stimolante percorso di ricerca!
Filippo
“Ma ogni colpo è un centro di ascolto
Che apro
Nella più isolata
Periferia”
Questa poesia di Marco, e la descrizione dell’Uni-verso con cui Castellani mi porta alla vertigine e fino alla nausea fisica, mi hanno immediatamente ricordato Etty Hillesum a Westerbork dove viveva la periferia di tutto: spaziale, nel campo davanti alla brughiera; temporale, nella periferia della vita che poteva essere di mesi o settimane o giorni; nella periferia della dignità, della libertà, dell’amore, della civiltà.
Eppure in tali condizioni inenarrabili Etty ha conservato il centro della sua umanità e quindi dell’Umanità.
Aveva trovato il più profondo del suo cuore/Dio, e da là attingeva inesauribile potenza, letizia, pace e lode.
Cos’è il centro? cos’è la periferia? dove è l’uno e dove l’altra?
Grazie, Etty.
E grazie a tutti voi che avete scritto,
GianCarlo
Grazie Giancarlo! Certo questo può fare venire le vertigini… ma propongo di vederlo come un cammino di autentica “liberazione”. E’ una grande opportunità.
“Don’t carry the word upon your shoulders” cantavano quattro ragazzi di Liverpool alcuni anni fa (https://www.youtube.com/watch?v=A_MjCqQoLLA). Questo decentramento promette di essere un alleggerimento!
Questo ci dice la scienza, se vogliamo semplificare: rilassati, non sei al centro di tutto.
L’ego non lo sa, non lo vuol sapere: lui è sempre ego (geo) centrico, anche se non lo ammette a parole.
Siamo liberi solo quando sentiamo che c’è qualcosa più grande di noi.
Quando ci scrolliamo di dosso l’Universo – che si appoggia ad Altro – ricominciamo a respirare…
Mi sembra che questa riflessione renda ancora più urgente e spontanea una domanda, che poi credo sia quella che sta a fondamento di ogni pensiero religioso e filosofico, la domanda per la quale personalmente non riesco appunto a “darmi pace”. E questa è “Perché siamo qui?”.Non siamo il centro, il mondo va avanti anche senza di noi eppure noi ci siamo. Qual’è il senso della nostra vita? Goderci la vista dalla periferia?
Grazie Vania. E’ interessante quello che scrivi. Ma vorrei rilanciare, approfittando della tua riflessione… non siamo al centro geometrico (egoico… geo->ego, appena una inversione di lettere…), ma il mondo “potrebbe” andare avanti per noi che lo vediamo, sia pur dalla periferia: il mondo “si conosce” attraverso di noi, e questo può essere connesso al senso della nostra vita. Potrebbe essere un indizio per una indagine sul cosmo e su noi stessi che ci restituisce una ipotesi di senso – e dunque, per quanto “già e non ancora”, di possibile pace. Ci ha messo più di 13 miliardi di anni per “prepararsi” a conoscersi, l’universo: e proprio ora lo sta facendo.
Ci son cose che scuotono il mondo, che avvengono in modo sommesso, in località geometricamente assai periferiche.
Ovvero, centro geometrico e centro di importanza potrebbero essere in antifase. Per dire, come potrebbero funzionare le cose, in questo Universo: Betlemme è un piccolo centro, una inezia rispetto a Gerusalemme…. ma quello che è accaduto lì, non è accaduto nella grande metropoli. Sembra che le periferie siano preferite, in qualche modo. Che gli “ultimi” siano in realtà – in questa logica “divinamente” libera anche dai nostri schemi mentali – davanti ai “primi”.
Facendo un procedimento inverso, e passando a qualcosa di più “piccolo”: ognuno di noi è al centro della propria vita, ma noi non siamo il centro della Vita. L’umanità potrebbe esistere senza di me, eppure io per me “sono tutto” (nel senso che io sono il mio unico modo di percepire il mondo). Questo permette a me di riconoscere di aver ricevuto un “dono”, il poter far parte dell’umanità, ma al tempo stesso permette all’umanità di “arricchirsi” del mio contributo originale, che è diverso dal contributo di tutti gli altri. Ecco, secondo me per la Terra è analogo: l’universo potrebbe esistere tranquillamente senza un puntino blu, alla periferia del Sistema Solare, alla periferia della Via Lattea, alla periferia del Gruppo Locale, ecc. Ma se la Terra non ci fosse, l’Universo non sarebbe quello che è. Non importa quanto qualcosa sia periferico: se esiste può e deve dare un contributo alla bellezza del tutto! A me piace vederlo come un rapporto di reciprocità in cui il tutto accoglie l’uno e l’uno arricchisce il tutto, indipendentemente da dove si trovi l’uno e da quanto grande sia il tutto…
Sulla mia domanda “cos’è il centro?” “dove è il centro?” risponde Marco da astrofisico con una riflessione che mi piace:
” centro geometrico e centro di importanza potrebbero essere in antifase”.
L’antifase mi suggerisce che noi pensiamo centro e periferia con le nostre categorie di spazio e tempo senza pensarli dal punto di vista della loro qualità.
L’uomo con la sua incarnazione è centro in quanto coscienza, ed è coscienza derivata da quella del “Logos”.
Lo scienziato ci dice che quella coscienza ha impiegato 13 miliardi di anni per scendere giù “in basso” ad incarnarsi nel “fango” della materia, che in tal modo ha potuto essere redenta dal Figlio uomo/Dio.
Allora il “perchè siamo qui?” può essere perchè siamo chiamati, se ci crediamo ogni momento, come co-creatori, a dare intelligenza, gambe e cuore all’espansione redentiva del mondo, e forse dell’Uni-verso. Con coraggiosa umiltà.
GianCarlo
Grazie Chiara, contributo molto appropriato!
E’ veramente stimolante e pacificante questo rapporto di mutuo completamento, che tu delinei nel tuo intervento. Come una sorta di armonia che ha necessità di ogni elemento per risuonare compiutamente. Come una “sinfonia” per cui ognuno è necessario. E questo già allontana l’angoscia, come ci dice anche l’espressione artistica
“See myself suddenly
On the piano, as a melody.
My terrible fear of dying
No longer plays with me,
for now I know that I’m needed
For the symphony.”
(Kate Bush, Symphony in Blue: https://www.youtube.com/watch?v=5yVt_KS4rbE)
Come scrivevo prima, possiamo confrontarci quindi con una cosa forse ancora più “grande”, con il fatto che – a quanto sappiamo adesso – siamo l’unica espressione di “autocoscienza del cosmo”, siamo il punto (periferico quanto si vuole, in senso geometrico) ove l’Universo prende consapevolezza di sé stesso. E siamo anche nel momento in cui il cosmo si comprende VERAMENTE e per la prima volta nella storia, in senso compiutamente scientifico e non più mitico.
Si potrebbe sviluppare una “nuova cosmologia” solo da qui, appena da qui (nel libro “Il Tao della Liberazione” questo è svolto in maniera sistematica e direi convincente).