Pubblichiamo con piacere l’introduzione di Marco Guzzi alla raccolta di poesie “Imparare a guarire” di Marco Castellani.
Marco Castellani vuole “Imparare a guarire”, esprime un desiderio che accomuna tutti gli uomini di tutti i tempi, e che oggi si fa ancora più pressante, urgente, indilazionabile, in quanto lo stato di malattia, e di malessere universale, sembra aver raggiunto un livello terminale, una soglia di insostenibilità, che mette a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie umana sul pianeta terra.
Imparare a guarire significa innanzitutto entrare in una dinamica esistenziale di trasformazione continua, significa mettere in discussione le nostre abitudini mentali e comportamentali, significa aprirci ad un radicale ricominciamento: “Ogni giorno è sempre il / primo giorno”.
La funzione del poeta, in questa fase nuova della storia della civiltà umana, cambia anch’essa radicalmente. Il poeta diviene colui che attraversa intuitivamente i diversi stati della trasformazione in corso, e attraversandoli li scrive, li trascrive, li trasmette al lettore: “per / scrivere e vivere un / mondo diverso, come // con un’alba / nel cuore…”. Il poeta in tal senso pratica e scrive al contempo: la sua scrittura si fa esperienza personale del mutamento degli stati dell’io, e grafia di questa opera alchemica, che accade in noi, dentro la carne dei nostri giorni.
L’opera della nostra guarigione è un’opera paziente, richiede un lavorio costante sulle fibre dolenti della nostra anima ferita. Siamo chiamati sempre di nuovo ad ammorbidire la sostanza contratta e impaurita del nostro cuore, siamo chiamati a riconoscere tutti i nostri moti interiori, a non negare o rimuovere nulla, neppure gli aspetti più oscuri e penosi. Siamo chiamati a comprendere cosa significhi non giudicare, e non giudicare prima di tutto noi stessi, per lascarci invece benedire, curare, e appunto così guarire nelle più aspre e sanguinanti profondità.
Castellani trascrive gli effetti di stati meditativi molto precisi, come, ad esempio, l’esperienza gioiosa e liberante di un “respiro fiorito”, calmo e placato, che dilati poco a poco l’ampiezza del cuore e della mente: “Nel quieto respiro, mi posso / sempre rilassare”. “Darsi pace” diviene così l’impulso iniziale e la mèta di un processo che ogni giorno si fa più nuovo, e più sorprendente: sì, guarire è possibile! E l’esperienza dei Gruppi “Darsi pace” diviene personalissima ricerca di una verità che è di per sé liberazione: “Allora riprendiamola, la realtà, usciamo / dalla menzogna, finalmente”.
Tutto questo processo terapeutico e spirituale avviene poi nell’umiltà della vita terrena, avviene direi delicatamente, “appena” sottolineato, fuori da ogni enfasi.
In tal senso l’avverbio “appena” mi sembra segnalare nel modo più conciso lo spirito di questa esperienza spirituale. Marco Castellani insomma vive la sua trasformazione in un rapporto amoroso e discreto con la vita, e con la sua donna, un rapporto pieno di aneliti, ma anche di ritrosia: “Tutto qui, davvero: appena questo”.
La guarigione non avviene in solitaria, ma sempre nella fatica di relazioni concrete, e innanzitutto entro l’attrito del rapporto con la donna: “Conosco bene / la segreta grafia del tuo corpo”. Il corpo erotico diviene la porta carnale del mistero cosmico: un’alterità che segna sempre anche una distanza, e a volte una separazione. L’altra cioè, come d’altronde il mondo e il suo Principio, si concede e al contempo si nega, ed è questa la fatica terrena che ci è assegnata: diventare Uno (con l’altra, con tutti) restando noi stessi, e lasciando all’altra la sua alterità, superando però ogni separazione: “duro il percorso di amore / quando aspra riverbera / una quieta distanza di stelle”.
Ma anche questa fatica, come ogni prova, diviene materia del lavoro di ricamo infinito, del processo di guarigione/unificazione appunto, ogni nostra difficoltà viene accolta nello spazio del laboratorio/oratorio permanente: “Siediti, in silenzio”, ci ripete il poeta, ci ripete lo Spirito: Siediti, vieni, riposa, non temere, il viaggio che hai intrapreso dona ogni giorno un’ineffabile e soave consolazione. Stanne certo.
12 risposte
Come scriveva Marco Guzzi qualche tempo fa, “Diventare creativi significa infatti semplice-mente diventare se stessi, consacrarsi alla propria integrità, darsi finalmente pace, imparare ad amare, salvarsi, liberarsi, e quindi realizzarsi per davvero nelle proprie opere, creando sulla terra ciò per cui siamo stati creati, e compiendo così la nostra missione.”
Diventare creativi è un compito sempre e ogni volta difficile, sempre ed ogni mattina quasi “impossibile”, ma ci sono ambiti in cui la possibilità è offerta. Dove ci si può rischiare, avendo magari già abbastanza sofferto della rinuncia alla creatività, che è come sottrarsi al proprio compito nel mondo. Mi pare che Darsi Pace, con i gruppi culturali, e anche altro, sia un posto in cui questo è ancora possibile. Dove si può… rinunciare (felice-mente!) a questa rinuncia.
Dico dunque “grazie” a Marco Guzzi e a questo ambiente, che ha ricevuto e valorizzato questo mio tentativo, a luminosa conferma di tutto questo.
“Duro il percorso d’amore…”!
Vero…anzi di più, verissimo.
Mi accingo a frequentare il
secondo anno dell’approfondimento 2-IMPARARE AD AMARE- e mi sembra di essere al primo anno del triennio…strabismo percettivo
il mio?
“Imparare a guarire ” non fa rima con “Imparare ad amare” ma di certo è un’equazione che ti salva la vita.
Questo credo di averlo imparato!
mcarla
Ciao Maria Carla,
in effetti un po’ del titolo è anche mutuato dal libro di Marco, quello che state lavorando nel vostro biennio (io sono in App1 adesso). Anche per me è forte, specialmente in questo momento dell’anno, un’esigenza di ricominciamento… sono sicuro che se ripetessi il primo anno avrei di cose da imparare: ma come dice Marco, siamo sempre all’inizio, sempre principianti. Questo mi consola.
Buon per noi, in fondo, non avere niente per dire “questo lo so”, ci aiuta a stare con gli occhi aperti.
Anche la poesia in fondo è così, cerca di prenderti di sorpresa, non ama le cose già dette o quelle che crediamo di sapere su noi stessi: la poesia è la cosa più antiretorica in assoluto, si potrebbe dire. Chi pensa di sapere tutto su di sé e sul suo destino, difficilmente sentirà la necessità di aprire un libro di poesia. Queste persone, per inciso, sono quelle che temo di più in assoluto, si dichiarino cattoliche o atee, sotto questo profilo, non molta differenza. Se non c’è la ferita, non c’è feritoia di comunicazione.
Ci serve un nuovo inizio.
“Ogni giorno è sempre il primo giorno, / di questo lavoro ed è tutto / ancora nuovo …” così apro la raccolta, con una composizione, non a caso intitolata “Darsi Pace”.
Un abbraccio caro,
Marco
Per quello che ho potuto sperimentare in questi anni, la guarigione é una grazia e quindi un dono gratuito che richiede una sola cosa, credo: un atto di fede. Se posso abbandonarmi un po’ di più’ ogni volta che provo a intraprendere la meditazione, se riesco a fidarmi , a non dare credito alle mie paure che mi fanno sentire contratta e mi rendono aggressiva con gli altri, collaboro alla mia guarigione. Come avviene non lo so, ma credo che posso diventare una persona migliore, che posso guardare alla mia vita con occhi nuovi , occhi resi più’ limpidi per cogliere piccoli dettagli , quei dettagli che mi dicono che la vita è un miracolo, aldilà delle rovinose cadute mie e degli altri. La poesia é stata anche per me in questi anni l’ambito in cui esprimere lo stupore di sapersi ascoltata e accolta per quello che sono, con le mie ferite che non sono più’ qualcosa di cui lamentarmi, ma la breccia attraverso la quale lasciare fluire la compassione che guarisce. Felice di riprendere il cammino, perché , davvero, da soli non si va molto lontano. Tanti auguri, Marco e grazie della condivisione: Con affetto. Monica
Cara Monica, grazie davvero per il tuo commento.
Molto bello quello che dici, “La poesia é stata anche per me in questi anni l’ambito in cui esprimere lo stupore di sapersi ascoltata e accolta per quello che sono, con le mie ferite che non sono più’ qualcosa di cui lamentarmi, ma la breccia attraverso la quale lasciare fluire la compassione che guarisce.”
Parlavo proprio ieri del libro con la persona che mi segue nella fatica di… “imparare a guarire”, e mi diceva proprio questo “lei è qui, è in questo libro”: una raccolta di poesie è infatti più personale, tipicamente, di un romanzo o un racconto. E’ quello che si è, con meno strati intermedi. L’accortezza, il lavoro, è affinare queste frequenze “personali” in modo che incontrino degli “universali” capaci di far vibrare altri cuori. Quando succede, è come un miracolo, è una comunicazione empatica che resta, che traversa le circostanze, che connette le persone dalla parte del cuore.
Vale la pena darci la vita, impiegarci la vita, per questo.
Con affetto,
Marco.
Caro Marco, scienziato ricercatore e per di più poeta.
Poeta scienziato: nel sentire comune non stanno insieme. Invece forse sono tautologia?
Uscire dalla maschera, uscire dalla chiusura, uscire dalla menzogna: per me accade a passi piccoli, faticosi e lenti.
Per guarire bisogna innanzitutto fare un libero atto di fede che la guarigione è possibile, e poi lo sperimentiamo gradualmente, un poco ogni giorno, con alti e bassi.
Grazie a Dio siamo ben impostati in questo cammino comunitario che ci affratella nel limite ma anche nella liberazione.
E grazie a te, che anche tu sei uno dei canali con cui lo spirito ci solleva da cecità e ignoranza.
Giancarlo
Carissimo Giancarlo,
grazie per il tuo intervento. Hai ragione, nel sentire comune le due cose sembrano “collidere”, ma nella profondità delle cose la realtà, come spesso accade, è differente: ci sono tante interessanti testimonianze, anche in rete (http://disf.org/editoriali/2011-06), che ci confortano in merito. Una volta mio papà, astrofisico dai molti interessi, mi disse “non capisco le persone che fanno una cosa sola, io non riuscirei” e ti assicuro che lo diceva senza alcuna presunzione, ma con un senso quasi di sconcerto.
Questo cammino che tu dici, non solo permette la creatività, ma direi la sollecita. Come strumento di liberazione, uno strumento al quale non possiamo rinunciare, nei termini e nella misura esatta, squadrata, della nostra inattesa “chiamata”…
Un abbraccio,
Una informazione “di servizio”, scusandomi in anticipo per quanto appaia di sfacciata auto-promozione, ma forse devo darla, visto che si sta parlando di questo volumetto:
l’editrice De Felice fa sapere che potrà inviare il volume, a chi lo ordina entro il 20 settembre, senza addebitare spese per la spedizione. Per questo basta scrivere a info@edizionidifelice.it.
Qui il libro sul loro sito: http://www.edizionidifelice.it/2018/152-Castellani.htm
Grazie!
Interessantissima la testimonianza di Giovanna Zimatore…grazie Marco !
mcarla
Un titolo come “Imparare a guarire” non può che smuovermi dentro, essendo parte del Gruppo di Creatività Culturale DarsiSalute.
La sensazione di stare male credo sia ciò che avvicini la maggior parte di noi ai Gruppi Darsi Pace: per voler cambiare, per sentire di dover cambiare, per lasciarsi condurre da una spinta trasformativa abbiamo bisogno di motivazioni forti. Spesso invece accasciarsi nel proprio angolino, accartocciati al calduccio, è una difesa, come impariamo nei nostri percorsi.
Quando poi lo stare male è immediatamente fisico, quando la malattia lascia i suoi solchi profondi nella carne, la voglia di uscire dalle ristrettezze, dalle limitazioni, si fa imperiosa.
Abbiamo bisogno di guarigioni a più livelli, tutti intrecciati. Non posso stare bene se ho un dolore in un punto del corpo, se una malattia mi impedisce di svolgere compiti primari per la vita, anche quella sociale. Non posso stare bene se ho perso un affetto importante, se la depressione mi mangia poco alla volta.
Allora ogni risorsa che ci faccia intravedere che è ancora possibile riempire gli sfregi nella carne e, come buon emolliente, ci ridà morbidezza, è da coltivare. Ottimo per chi la trovi nella poesia, ma qualunque risorsa che si faccia fondamento di speranza sia la benvenuta.
iside
Grazie cara Iside.
Il titolo che ho parzialmente “rubato” al più noto Marco in uno dei suoi libri (cambiando un attimo una parola, ma mantenendo lo spunto di percorso iniziatico, possiamo dire) si è rivelato inaspettatamente capace, come dici, di “smuovere” le acque, in un ampio spettro di situazioni. Non ultimo, l’ambito educativo, con vere sorprese, per me (come appuntavo qui http://blog.marcocastellani.me/2018/10/iniziare-guarire.html).
Sorprese che conservo nel cuore, con gratitudine.
La necessità di guarigione a tutti i livelli, che spesso sperimento dolorosamente sulla mia carne e nel mio animo, sulla carne palpitante della mia anima, è un compito, anche. Di cui investire le parole, anche: le parole terapeutiche, certo, ma anche le parole della poesia. In effetti la poesia mi pare che rilanci una ipotesi di bellezza e di guarigione, senza la quale – oserei dire, come la religione – perde sostanzialmente la sua ragion d’essere: Gesù, prima di tutto, guariva.
Penetrare nella cultura contemporanea rilanciando la guarigione a tutti i livelli penso sia un’opera buona, un’opera che Darsi Pace persegue con nitidezza e certo non da sola, qualcosa che ci sprona e ci interroga a tutti i livelli.
Per me almeno, è così. Confesso di aver perso l’interesse nell’accumulo di conoscenza, nella fame di sapere, di acquisire nozioni. Per me, adesso, qualcosa che non “guarisce” in qualche modo, non risana in qualche aspetto, non interessa proprio, non interessa più.
Grazie!