Oggi parliamo spesso di salute, forse più spesso che in passato, e con grande insistenza lo fa anche la comunicazione di massa. Nella babele di paure e consigli che ci arrivano da ogni parte vorrei cercare di estrarre due fili, due chiavi di lettura per collocare l’idea di salute dentro il passaggio antropologico di fine millennio che stiamo vivendo.
Quella della salute è un’esperienza profondamente individuale, ma le sue radici affondano inevitabilmente nella dimensione interpersonale. E proprio da questa dimensione sociale vorrei partire con un primo filo di pensiero.
L’idea della salute è sempre stata legata in modo speculare a quella della malattia: è la malattia, infatti, il fattore di disturbo, la minaccia ed è proprio nell’affrontare la sofferenza che provoca a noi e agli altri che risulta chiara la dimensione collettiva della salute. Fin dall’antichità le società umane si sono attivate per farsi carico del dolore e della sofferenza dei propri simili, tramite rapporti di solidarietà interpersonale, creando spazi adeguati alle cure e ricercando attivamente cause e mezzi per combattere malattie e infermità.
Lo sviluppo del pensiero scientifico e della medicina ha alleviato molte sofferenze e così in quest’ultimo secolo l’idea di salute è riuscita a diventare più autonoma, iniziando ad assumere un significato proprio, non più solo come assenza di qualcosa di negativo.
Nel 1948 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità.” La definizione in negativo del concetto di salute viene quindi esplicitamente superata e vengono introdotte le dimensioni fondamentali in cui la salute trova la sua realizzazione: non solo quella fisica, ma anche quella psicologica/mentale e quella sociale/relazionale.
Tuttavia l’aggettivo “completo”, indicato nella definizione del 1948 come quantificazione del benessere necessario per parlare di salute, ha creato con il tempo non pochi problemi.
Chi può definirsi in completa salute? Fino a che punto deve spingersi la medicalizzazione della società per cercare di far rientrare i cittadini in una definizione così stretta?
Dal dopoguerra i cambiamenti demografici ed epidemiologici nei paesi sviluppati hanno portato a una prevalenza delle malattie croniche e degenerative, per cui orientarsi a uno stato di completa salute per tutti diventa un obiettivo irrealizzabile, ed anche insostenibile dal punto di vista economico.
Infine c’è il problema della misurazione e classificazione dello stato di salute di una persona: come si rende misurabile uno stato di “completa salute”?
Partendo da queste criticità rilevate nel concetto del 1948 alcuni studiosi hanno lavorato attorno al superamento della definizione precedente, ritenuta eccessivamente statica e, in fondo, utopistica.
E’ stato così ipotizzato un concetto di salute più dinamico, che tenga in maggiore considerazione la dimensione soggettiva e le capacità personali di adattamento.
In un articolo pubblicato nel 2011 sul British Medical Journal [1] viene proposta l’idea di salute come “abilità di adattarsi e di autogestirsi” di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive della vita.
Nel passaggio verso questa diversa concettualizzazione restano però i tre ambiti, ormai irrinunciabili, in cui la salute nasce e si manifesta:
- la salute fisica: possiamo provare a definirla come la capacità di rispondere alle sfide delle circostanze mantenendo la fisiologica omeostasi del corpo.
- la salute mentale, ovvero il senso di coerenza, che include le facoltà soggettive di saper comprendere, gestire e dare significato a una situazione di difficoltà, portando a un’integrazione positiva tra mente e corpo.
- la salute sociale. Qui intendiamo la capacità di realizzare le proprie potenzialità, mettere in atto i propri doveri, gestire la propria vita con un minimo di indipendenza rispetto alle condizioni mediche. Comprende la capacità di realizzarsi e di partecipare ad attività sociali di diversa natura, come il lavoro, e di utilizzare l’ambiente sociale come risorsa, che diventa imprescindibile in caso di malattie croniche.
Per completare questa breve panoramica, dobbiamo anche ricordare che gli attori coinvolti nel processo della salute sono molti.
Ci sono sicuramente i nostri corpi, o meglio la nostra unità mente-corpo, con il suo patrimonio biologico e psico-somatico, ma anche la nostra rete di relazioni primarie, familiari e amicali, più o meno forti, più o meno adeguate alle necessità.
Ampliando lo sguardo sappiamo che tutto questo avviene dentro un ambiente naturale, cioè un mondo fisico, animale e vegetale che può essere fonte di benessere e di cura, ma anche di agenti patogeni e di inquinamento.
E infine viviamo dentro un sistema sociale, inteso come insieme di norme, regole e valori che caratterizzano la nostra società in questo preciso momento storico. La salute, almeno nel lungo periodo, è legata anche a scelte economiche e politiche che ricadono sull’individuo e sugli stili di vita delle persone.
In un ruolo d’intermediazione che ha acquistato nei decenni sempre più potere, abbiamo infine il complesso sanitario, al cui interno comprendiamo il Servizio Sanitario Pubblico, la sanità privata e tutto il variegato mondo delle medicine alternative.
È ovvio che il peso di ognuno di questi attori non è uguale nella nostra esperienza di salute, ma tutti in qualche modo sono presenti, e intimamente collegati.
La salute quindi non è solo assenza di malattia, non è solo un benessere totale e ideale, è anche capacità di resilienza davanti alle turbolenze fisiche o relazionali della vita. Inoltre è influenzata non solo da fattori psico-fisici individuali, ma anche dall’ambiente in cui viviamo, quello naturale così come quello relazionale, cioè dalle relazioni dentro cui si articola la nostra vita, da quelle più prossime fino a quelle politiche ed economiche della società in cui viviamo.
Da tutto questo la salute emerge come un fatto dinamico e relazionale, l’esito di una trama complessa, dentro e fuori di noi.
Eppure, intuitivamente, il benessere e la salute dovrebbero essere anche qualcosa di semplice, direi quasi di naturale.
In un prossimo post cercherò di estrarre questo secondo filo di pensiero, che ha a che fare con il nostro desiderio di salute, e con il nostro bisogno di essere sani, e salvi.
[1] Hubert (e altri), How should we define health?, BMJ, 2011
Se il mio stato di salute dovesse essere misurato in base alla definizione del ’48, più che malato mi direi morto, tanto lontano a volte mi sento da quella idealizzata condizione di completezza.
La seconda definizione proposta è più concreta e incoraggiante e se pur sempre rimane incerto come tracciare i confini tra salute e malattia sulla mappa della vita, almeno potrò consolarmi secondo il caso, ora affermando che tutto sommato sono in salute, pur essendo mezzo morto, ora convincendomi che anche se malato son comunque ancora vivo e felice.
E comunque, se dovessi mettermi a fare il computo di tutto ciò che contribuisce allo stato di salute, a vagliare nei vari ambiti fisico mentale e sociale le proporzioni delle possibilità conservative e distruttive, sono sicuro che morirei presto di noia. Ora, anche senza pensare troppo a tutta questa complessità, vedo che in qualche modo me la cavo ugualmente a far fronte alle mille piccole cose del quotidiano. È forse questo che si intende con resilienza e con quel sentimento di forza primaria che ci fa sentire la vita bella e degna d’essere vissuta fino all’ultimo istante, finanche nella catastrofe?
Ringraziando Antonietta per queste interessanti considerazioni sulla salute, e in attesa impaziente della seconda parte, vado ora a pagare il sollecito per il premio d’assicurazione malattia, che qui in Svizzera la salute c’è molto… cara.
Pienamente condivisibile anche per me l’ analisi fatta fin qui su un tema tanto complesso…non nascondo però il mio PIU’ forte interesse verso il “secondo filo” a cui accenna Antonietta:
” Eppure, intuitivamente, il benessere e la salute dovrebbero essere anche qualcosa di semplice, direi quasi di naturale”.
Ecco, pur nel mistero ( e nella complessità) della realtà umana, aspirare a questo “qualcosa” mi sembra la strada più ‘giusta’ per realizzare davvero i più profondi desideri riguardo al nostro star bene!
Di sicuro non mi perderò la seconda puntata???
Un caro saluto, mcarla
Grazie, Antonietta, per questa chiarissima e completa presentazione delle diverse definizioni di “salute”. Ho trovato interessante il concetto di salute sociale/relazionale come “capacità di realizzarsi e di partecipare ad attività sociali di diversa natura” e risulta molto vero per me che ho deciso di lasciare il lavoro a causa del mio stato depressivo.
Giustamente hai sottolineato l’importanza delle scelte di tipo economico e politico che influiscono pesantemente sulla vita delle persone ed anche su questo punto ci sarebbe molto da riflettere e da lavorare.
Leggerò molto volentieri anche il prossimo tuo post su questo argomento.
Un abbraccio
Maria Letizia
Grazie, cara Antonietta, sì, sembra davvero che la nostra salute sia uno stato determinato da molti fattori, da una sorta di gioco a cerchi concentrici, che dalla cellula arriva al mondo. Ciao. Marco
Grazie, Maria Antonietta per questa chiara ed esauriente esposizione su cosa si intenda per ” darsi salute”. Ora aspetto anch’io la seconda parte che riguarderà , penso, l’impegno e i problemi del soggetto che cerca salute. Un abbraccio, Mariapia
Grazie a tutti!
Ho cercato di fare accenni ad alcuni aspetti sociologici dietro all’idea di salute, perché mi sembra che questo tipo di pensiero sia sempre molto utile davanti alla complessità. Partendo da qui, come gruppo culturale Darsi Salute proveremo a comunicare altri aspetti, che dentro questa complessità mettono i semi di pensiero che ci sono cari.
Arrivederci al prossimo post!
Antonietta
Questa bella esposizione di Antonietta credo possa servirci per comprendere meglio come una ricerca di salute vada effettuata sempre in senso ampio e mai settorialmente. Le definizioni hanno sempre dei limiti, ma sono il nostro tentativo di esprimere, in questo caso, un concetto più teorico che reale, una specie di riferimento assoluto. La complessità che viene fuori ci dice di non cercare la salute, ovvero il nostro star bene, nella medicina o nella psicologia o nella realizzazione sociale… La salute è rappresentata dalla persona che “sta bene”, io direi soggettivamente più che oggettivamente. La salute non va nemmeno pensata come qualcosa di rigido, finito, o costante. Al contrario è molto dinamica, diversa per ognuno momento per momento. Allora che importa se realizzo tutti i criteri dati dall’OMS o da chissà chi altro, quello che conta è che possa godere pienamente della vita adesso! Le definizioni ci danno anche degli obiettivi come società: se ci prendiamo cura gli uni degli altri non possiamo limitarci ad una parte, ma dobbiamo occuparci della persona in tutti i suoi bisogni. Allora se sono malato non basta che io sia curato nel corpo, magari anche con le più sofisticate tecnologie mediche, ma necessito anche di supporto morale, spirituale e sociale. Se nessuno di noi è in perfetta salute significa che tutti abbiamo bisogno di essere curati in qualche parte di noi stessi e questo ci consente di mantenere il cuore e lo spirito aperti all’amore. Se non sentissimo questo saremmo degli illusi, probabilmente soli, funamboli su una corda che sappiamo prima o poi si spezzerà, in fondo disperati.