Del mio entusiasmo per la lettura del documento “Stati Generali della professione medica” ho già dato conto su queste pagine.
Vorrei provare ora a tratteggiare un po’ più nel dettaglio ciò che l’autore, il sociologo Ivan Cavicchi, dispiega nel suo scritto.
Antefatto: la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) ha commissionato a Cavicchi la stesura di un documento, pubblicato nel 2018 con il titolo “Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro”, che facesse da traccia su cui far svolgere il confronto sulla cosiddetta “questione medica”.
La professione medica sta attraversando una grande crisi, perché il medico si trova oggi strattonato da più parti.
1) Il suo inquadramento formativo e i suoi riferimenti interpretativi sono ben incastonati dentro il paradigma positivista. La medicina è una scienza basata sulle evidenze dei fatti scientifici, osservabili e misurabili. L’oggetto della cura è la malattia, vista come scostamento dalla normalità. Il medico perciò avrà il dovere di fare tutto ciò che è necessario per ricondurre a normalità ciò che è deviato. La sola conoscenza ammessa è di tipo logico-razionale, con essa interpreta le osservazioni effettuate sull’organo in difetto prestazionale, ricava una diagnosi, applica quindi le indicazioni dei protocolli e delle linee guida della specifica branca per somministrare la terapia. La meccanicità è disarmante, ma non può non essere così se le premesse filosofiche sono appunto quelle positiviste. Il reale è una sorta di meccano dove le parti si incastrano dando origine a concatenazioni di cause ed effetti necessitati, rilevabili dall’osservazione oggettiva. Il mondo è ridotto a meccanismo che la ragione logico-matematica può decifrare senza sbavature. Tutto ciò che non rientra nella spiegazione scientifica così delineata è semplicemente inesistente o falso. Il positivismo cioè ha uno sguardo riduzionista sulla realtà, dove la scienza si restringe in scientismo.
Il medico positivista non ha bisogno di entrare in relazione con il malato che infatti chiama paziente, ponendolo nella posizione di massima passività possibile. Il medico osserva, diagnostica, prescrive, il malato-paziente è osservato e maneggiato, gli si prescrive la terapia senza possibilità di proferire parola. Se per sua sfortuna il malato poi ha anche un altro organo difettoso, sarà inviato al collega che procederà con l’osservazione del suo organo di specialità, per lui l’unico meritevole di attenzione, partendo dall’assunto che tutto il resto è sano cioè nei parametri di norma, anche se non è vero. Non solo non c’è relazione con il malato, ma neanche con gli altri professionisti sanitari.
2) Gli avanzamenti scientifici e tecnologici portano a sempre più sofisticati – e costosi – strumenti diagnostici e soluzioni terapeutiche che il medico ha a disposizione. Le risorse economiche però non vanno di pari passo. Le politiche sanitarie prese dalla spending review dicono che la sanità costa troppo e procedono con i tagli lineari, togliendo al medico positivista gli strumenti del mestiere cioè le prescrizioni di analisi strumentali e di terapie. Attraverso le analisi infatti il medico osserva meglio e le terapie sono il mezzo con cui cerca di ripristinare la normalità nel malato. Tutto questo costa troppo e perciò il medico riceve ingiunzione dall’amministrazione sanitaria a contenere le spese. Linee guida e protocolli si fanno alleati nel tentativo di razionalizzare la spesa. A questo riguardo, Cavicchi parla di “medicina amministrata” che mina l’autonomia del medico che si ritrova a dover bilanciare la sua deontologia con la gestione aziendale.
3) Nel frattempo però la società tutta intera è cambiata e il medico positivista non ha più a che fare con il malato-paziente. Cavicchi lo ribattezza “esigente”: il cittadino è informato, vuole entrare nel merito del percorso di cura, vuole che le sue necessità siano discusse e non date per scontate, conosce i suoi diritti. Il medico positivista però non è formato per entrare in dialogo con l’esigente, non lo capisce, ne ha paura e si ritira nella cosiddetta “medicina difensiva”. Il medico positivista cerca in tutti i modi di parare i colpi che gli potrebbero arrivare dal malato che lui si ostina a considerare paziente ma che ormai è diventato esigente. L’importante è non arrivare al contenzioso, limitare le denunce, volare basso, attenersi scrupolosamente alle linee guida per non dare adito a nessun appiglio legale.
Il medico positivista è frustrato, si sente limitato nella sua autonomia professionale, ingranaggio nel meccanismo di cui si fa perpetratore, appunto strattonato tra i suoi criteri interpretativi, il malato, l’amministrazione.
La professione medica è in crisi, la “questione medica” deve essere presa in considerazione seria.
Come?
La proposta di Cavicchi al prossimo post.
Riferimento bibliografico
Ivan Cavicchi, “Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro”, Editore FNOMCeO 2018
Ivan Cavicchi, Docente di Sociologia delle Organizzazioni Sanitarie, Logica e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università Tor Vergata (Roma)
Laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia
Grazie Iside per questo chiaro ed essenziale contributo che presenta lo stato delle cose in medicina entro un epoca che modifica le attese e i modi di intendere le cure e la guarigione.
Anche nei primi contributi apparsi in AttraversaMenti, il gruppo su Psicoterapie e Spiritualità, si sta cercando di delineare un nuovo paradigma negli approcci psicoterapeutici della cura. Per esempio alcune tradizionali scuole di pensiero, come quella Cognitivista o Comportamentista vanno promuovendo interventi che definiscono di “terza generazione” per distinguersi dalla prima psicanalitica e dalla seconda della scuola comportamentista.
Nel prossimo contributo si discuterà se le “ psicoterapie positiviste”, appunto, apparse dagli anni ‘70 ad oggi sono ancora attuali, e che tipo di adattamento o guarigione propongono, verso un IO da ricostituire, re-integrare, sviluppare o promuovere e così via, senza però porsi il quesito se in effetti non c’è più un IO identitario che faccia da riferimento relativo, come è stato nel secolo scorso più o meno, per cui sembra sempre che si rincorra un “obiettivo impossibile” nel raggiungere uno stato di salute che si vorrebbe considerare migliore di quello precedente la psicoterapia, o addirittura la guarigione.
Forse le cose stanno un po’ diversamente, e noi possiamo indicare nuovi strumenti e metodi che si pongono al servizio di un nuovo senso dell’essere umani che preme forte da dentro e che vuole nascere e travolgere o abbattere tutte le costrizioni e i limiti imposti alla libertà, di espressione e di valore in-finito che l’uomo porta in sè da sempre.
Quindi diciamo che i nostri lavori, il tuo sulla medicina e quello sulla psicoterapia vanno di pari passo nella stessa direzione per porre condizioni nuove di ri-fondazione delle pratiche e delle professioni.
A presto,…!
Grazie cara Iside,
per i non addetti ai lavori (come sono io) questa tua serie di contributi è veramente preziosa. Grazie a questi e al tuo sguardo lucido ma aperto, possiamo iniziare ad uscire da quel dualismo assai stretto e molto fastidioso, secondo cui o si accetta la medicina “positivista” così com’è o si cade nel reame un po’ fatato ma potenzialmente assai pericoloso dei ciarlatani o “miracolosi” (virgolette d’obbligo) guaritori, du cure ineffabili di “medici” alternativi e fuori dal sistema (sempre ed invariabilmente ostracizzati, va da sé, per i vantaggi delle case farmaceutiche).
Al di là delle semplificazioni, mi pare che abbiamo sempre più bisogno di una “terza via”, un rinnovamento della medicina ufficiale, qualcosa a cui possiamo credere anche con tutto il nostro portato scientifico di uomini del XXI secolo, ed insieme che possa superare quell’asfittico sguardo di un medico “che non ci guarda” e che ci tratta come portatori di patologie e non come donne e uomini, con la propria irriducibile complessità.
Una nuova medicina attenta a tutti gli aspetti dell’essere umano, mi viene da pensare, è anche l’unico modo per levare terreno alla falsa medicina, che se oggi si sviluppa e prospera, parte comunque da una esigenza reale. Dunque, la tua, è opera assai meritoria. E necessaria.
Grazie.
Grazie Iside, ma si sa quando verranno convocati questi Stati Generali ossia quando il mondo medico si confronterà con tutto questo?? Perché credo che ormai sia davvero urgentissimo affrontare questi temi grazie
In effetti qui parliamo di medicina, ma il cambio di paradigma è assolutamente necessario per ogni ambito. Sì Michele, la psicologia ha assorbito tanto del metodo scientifico nelle sue articolazioni sperimentali. Il rischio però è di perdere di vista l’umano, fatto anche di quegli aspetti non misurabili eppure indispensabili per dire la verità del reale.
Condivido con Marco C. che questo cambio di paradigma sia necessario proprio per fare chiarezza. Ciò che si espelle non scompare, negare ha brutte conseguenze, lo sappiamo. Così ciò che sbattiamo fuori con fracasso rientra poi subdolamente e le “alternative” lo dimostrano. Anche qui l’operazione è rischiosa. Molto meglio sarebbe accogliere il reale nella sua interezza, tentando sintesi in grado di raccogliere le istanze della misurazione scientifica e amalgamarle con l’imponderabile che ci rende esattamente esseri umani.
Loredana, il tuo commento è esemplare. Gli Stati Generali sono già stati convocati, il dibattito è già stato avviato, ma temo che le resistenze siano ancora così forti da far sì che tutto ciò accada nelle sale laterali, con pochi medici disposti a mettersi in gioco in una forma tanto radicale. In realtà, nella visione di Cavicchi, occorrerebbe il coinvolgimento nella discussione anche dell’amministrazione pubblica, dei sindacati, dei cittadini, delle università ecc. proprio perché qui il cambio di paradigma riguarda tutti.
Noi in DP cerchiamo di aprire il nostro spicchio di cielo.
iside
In effetti il titolo potrebbe far pensare che sia solo il medico ad essere in crisi! Ovviamente sappiamo bene che non è così, e la crisi del medico (e della medicina) fa parte della grade crisi umana che stiamo vivendo. All’interno di tal contesto non poteva che essere questa l’evoluzione della medicina: spaventata, chiusa nei suoi schemi razionali, difesa, in una parola… alienata.
Ci sono tanti piccoli segni di speranza che ci fanno sperare in un’evoluzione di questo importante ambito umano: il documento di Cavicchi ne è un’esempio, ma lo sono tutte le persone che lavorano su di sé e cercano nella relazione le risposte più vere, anche quando si tratta di problemi apparentemente solo “fisici”.
Spesso si cerca nel medico le risposte che non ha, si pretende che abbia una visione che non può avere perché è figlio di questa umanità ferita. Viene criticato perché non ha altro che risposte razionali e apparentemente semplicistiche. Medico e paziente diventano due fazioni opposte, ridotti in profonde trincee, pronti a sparare.
Credo, invece, sia necessario imparare a cercare insieme, cercare e creare senso in quello che viviamo, anche nella malattia o nella paura di ammalarci. Diventare partecipi di un’unico percorso, condividendone le speranze e le difficoltà. Allearsi da fratelli che lavorano nello stesso campo e si cibano dello stesso raccolto.
Camminando insieme verranno anche risposte più consone alla nostra necessità di realizzare una umanità nuova.
Grazie Iside per la risposta, ecco il fatto che pochi medici siano disposti a mettersi in discussione la dice lunga sul cammino lungo ancora da fare. Ma voglio essere positiva e confidare nell’apertura mentale e del cuore di persone come Ivan Cavicchi e tanti medici lungimiranti che faranno la differenza, allargando gli orizzonti e finalmente abbracciando quell’approccio olistico tra mente corpo e spirito di cui l’essere umano ha urgente bisogno. Buona giornata