A metà dello scorso ottobre, durante un Tg nazionale, lo psichiatra Vittorino Andreoli interviene telefonicamente per parlare degli effetti della pandemia sul morale degli italiani.
Le sue parole sono poche e precise:
“Osservo dentro di me e vedo attorno a me aumentare e diffondersi un senso d’inutilità, come se ciascuno di noi non avesse più significato, fosse un incapace, e da questo deriva l’impotenza in un popolo che è abituato a fare, in un uomo faber! E allora occorre prendere consapevolezza, per mettere un freno. Non bisogna uccidere la speranza, che non è una parola vuota, ma ha un significato medico, perché ha un’azione che aumenta la nostra capacità immunitaria, la nostra volontà di fare. Bisogna dunque non lasciarci andare alla disperazione! E finalmente allora facciamo tacere questi profeti, che non lasciano spazio nemmeno a questa grande forza su cui dobbiamo contare […]. Io sono un vecchio psichiatra, ma non vi raccomando grandi strategie […] dovete sperare!”
La presentatrice prosegue subito con la notizia successiva, ma a me restano impresse queste parole, che quasi stonano in un contesto in cui niente, né nei toni, né nei contenuti sembra interessarsi a trasmettere anche un minimo di speranza reale.
Allora vorrei provare a capire un po’ meglio che cos’è questa “speranza” e come funziona dentro di noi.
La speranza non è solo un sentimento, e non esaurisce le sue qualità neppure nella definizione, antica e nobilissima, di virtù teologale cristiana.
Noi oggi possiamo parlare di speranza anche come strumento di cura, al pari di un farmaco potente.
Mi faccio aiutare in queste riflessioni dalla lettura di due libri, che hanno reso più chiaro quanto avevo intuito, qua e là, nella mia esperienza di attraversamento della malattia. La particolarità di questi due testi è che sono stati scritti da medici, che raccontano la loro esperienza a contatto con i malati e con le loro speranze, ma il discorso, specialmente adesso, vale proprio per tutti.
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Alberto Scanni[i], oncologo, Direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano fino al 2005, riflette su come la speranza sia il motore della nostra vita. Ci racconta di questa fondamentale esperienza umana attraverso storie di malati e di terapeuti, che si raccontano con grande semplicità e realismo.
La speranza è una realtà esperienziale, antropologica, ma allo stesso tempo è anche qualcosa di complesso, e ce ne accorgiamo quando cerchiamo di spiegarla, per esempio partendo da un malato che riceve una diagnosi pesante, o da un medico che si prende la responsabilità di proporre una cura, ma anche di trasmettere fiducia e una visione positiva del futuro.
La speranza è il contrappunto della paura. Insorge quando è minacciato il nostro desiderio di vita e di felicità e si nutre proprio di questo desiderio, anche quando sembra essere solo una minima probabilità dentro una situazione di grande incertezza.
Questo desiderio, per essere reale, deve però essere attivato, e l’attivatore naturale, il vero motore della speranza è la relazione. Relazione umana con persone vicine, familiari, amici, ma anche medici e terapeuti, che sappiano restituire empatia e prossimità, insieme con appigli positivi, spazi di normalità e di progettualità.
Ma non solo: la relazione riguarda anche il rapporto con il divino, o almeno la forza vitale che abita dentro di noi. La preghiera, cioè la forma umana privilegiata di rapporto con ciò che chiamiamo Assoluto o Dio, è un grande motore di speranza, in tutte le fedi nel trascendente.
L’autore del libro, un medico, afferma che la fede si rivela come una nuova forma di conoscenza, che va oltre la razionalità logica, e che apre a una realtà più ampia. Apre alle “ragioni del cuore”, che non sono meno vere delle “ragioni della ragione” (questa è un’evidenza – aggiungo io – che nel clima culturale di oggi stupisce sulla bocca di un uomo di scienza, ma allo stesso tempo è qualcosa di assolutamente naturale per chiunque abbia fatto un’esperienza, anche piccola, di fede).
Quindi sembra essere proprio questa la natura più profonda della speranza umana: una parte affettiva che sostiene e conduce una parte cognitiva, che da sola è ormai impotente e paralizzata.
Aggiungo che la relazione con l’altro e con Dio avvengono sempre dentro un’altra relazione più grande, che le contiene e, in parte, le influenza. Possiamo chiamarla la “relazione con il mondo”, cioè con l’ambiente culturale, sociale, ma anche naturale e urbanistico in cui la nostra vita accade. Sembra una cosa scontata, ma anche il modo in cui abitiamo dentro questo grande contenitore della nostra vita ha a che fare con la speranza. Vivere dentro la periferia di una metropoli, oppure in una situazione di disagio economico o di povertà culturale, sono tutti fattori che entrano in gioco nella qualità delle nostre relazioni, e quindi nell’energia che queste possono trasmetterci.
E’ proprio questa energia vitale che ci permette di attivare la fiducia e l’immaginazione, creando quella forma di sogno cosciente che è la visione. Non importa quante siano le probabilità che quello che speriamo succeda, non importa quanto grande sia l’incertezza: la speranza può sostenere visioni grandissime, nella nostra vita personale, ma non solo. Nella storia sono state proprio grandi visioni di speranza ad aver mosso le coscienze e gli uomini, ad aver innescato i grandi eventi storici e le rivoluzioni.
Abitare dentro questa fiducia ci rende più ricettivi a mettere in atto comportamenti consoni alla realizzazione di ciò in cui speriamo: ci rende quindi più pronti e disponibili all’azione.
La qualità della relazione è il luogo di nutrimento della speranza. Questo spazio interpersonale è come un terreno da seminare: ha bisogno di essere curato e coltivato, ha bisogno di tempo, di gesti, di parole. Quello che fa la differenza è:
- l’attenzione e l’ascolto
- l’uso attento della parola
- il modo in cui connotiamo la nostra parola e il nostro ascolto, cioè tutti quegli elementi non verbali che svelano quanto di noi è coinvolto nella relazione (postura, tono della voce, sguardo, mimica del viso, contatto fisico). Questi aspetti, che noi percepiamo sempre in modo immediato, rafforzano quello scambio della speranza che avviene tra medico e paziente (così come in ogni altra comunicazione umana vera e profonda).
La relazione con chi ci cura ha quindi un ruolo fondamentale nell’attivare la speranza: quando riesce a creare un ambiente comunicativo di prossimità, empatia e scambio reciproco diventa un potente catalizzatore della guarigione.
La vera speranza quindi non è mai un’illusione, ma piuttosto un bisogno del pensiero, il frutto dell’attività umana del riflettere su quello che ci succede, per trovarne il senso e la direzione.
Tutto questo porta a una metamorfosi positiva di chi spera, e provoca una vera e propria trasformazione attraverso la relazione e la parola viva. Una trasformazione che inizia subito, aldilà dei tempi e delle probabilità di realizzazione di quanto sperato.
Se dovessi descrivere gli ingredienti della speranza con un disegno, lo farei così.
In una situazione d’incertezza e paura possiamo ritrovare il nostro insopprimibile desiderio di vita e nutrirlo attraverso l’elemento caratteristico della nostra umanità, che è la relazione. La relazione viva, con gli altri e con Dio, è come un fiume di acqua che scorre, un fiume benefico fatto di ascolto, gesti e parole. Questa esperienza concreta di empatia e reciprocità fa crescere la fiducia e la visione di un futuro diverso: come una pianta, la speranza cresce, con contorni magari imprevisti, ma sempre nella direzione di un incremento di vita.
Abitare con la mente e con il cuore questo territorio di speranza ci cambia dentro e ci mette nelle condizioni di intraprendere le azioni possibili per andare verso la nostra guarigione.
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Tornando all’episodio che ho citato all’inizio, mi rendo conto quanto siano scarsi questi elementi costitutivi della speranza dentro il clima comunicativo della grande paura collettiva di oggi. Le parole sono gettate come sassi, senza misura, senza nessuna cura del contesto, senza un minimo di attenzione per gli effetti che produrranno sulle menti e sui corpi di chi ascolta.
Invece le parole sono importanti, sono i mattoni con cui costruiamo quotidianamente il senso di noi stessi, e hanno effetti ormai ben noti e studiati anche sulla nostra salute.
Quanto sia reale il potere trasformativo della parola è un argomento che merita di essere approfondito e condiviso, soprattutto ora. Per fare questo mi aiuterò con un altro libro, scritto dal neuroscienziato Fabrizio Benedetti. Ha un titolo che va subito al punto: “La speranza è un farmaco”[ii]. Ne parleremo nel prossimo post.
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[i] A. Scanni, La speranza. Vivere con positività le difficoltà momentanee, Tecniche Nuove, 2018
[ii] F. Benedetti, La speranza come farmaco. Come le parole possono vincere la malattia, Mondadori, 2018
Siamo Fatti Così (Di Parole E Di Emozioni IN SINTONIA) E Siamo Chiamati/A Fare (DELLA PAROLA La Nostra Levatrice)..
Grazie! Molto bello e utile questo post! Nell’ascoltare, nel parlare, nel fare cercherò di nutrire in me e negli altri questa
preziosa virtù! Mariapia
Grazie! Molto preziosa questa virtù, me ne ricorderò nel comunicare con gli altri! Mariapia
Grazie! Molto preziosa questa virtù e queste riflessioni, me ne ricorderò nel comunicare con gli altri!
Stamattina guardavo un’immagine astronomica, una delle tante meravigliose che ci forniscono gli strumenti moderni, e non potevo fare a meno di chiedermi (anche alla luce del tuo post) come mai mi desse sollievo, mi accendesse un inizio di speranza. Senza capire perché, prima di capire un accenno di qualcosa.
Ora forse capisco un po’, capisco che ho bisogno più che mai, in questo tempo asciutto, in questo “oscuramento tramite ostentata trasparenza” di un sistema che ci rimpinza di cifre e numeri e statistiche (come se potessimo asetticamente “digerirle”), ho bisogno di un orizzonte ampio, colorato, fragrante, buono. Ho bisogno di questo, di speranza. Mentre scrivo la “pillolina astronomica” del giorno, che commenta l’immagine, decido di inserire un rimando al tuo post.
Eccola, http://www.gruppolocale.it/2020/12/un-arazzo-cosmico/
Senza questo “cielo colorato” che fa percolare speranza, sono annichilito, impotente. Il sistema mi atterrisce, se scivolo nella sua logica. Ma lo diceva bene Marabotti in un post su Facebook, pochi giorni fa. Alla fine tutto è starsene buono a casa senza disturbare, senza dar fastidio al manovratore. Certo tutte le accortezze sanitarie vanno rispettate, fino al più piccolo dettaglio. Ma vorrei dire, dateci sogni da sognare in grande, dateci speranza e non finto realismo, dateci e parlateci di Qualcosa più grande di voi e dei vostri (e nostri) piccolo calcoli da bottega. Ora, o non sarà il covid ad annichilirci, ma saremo noi stessi.
Leggo in don Giussani che “sono perché sono amato”. Altrimenti non sarei, ontologicamente. Scompaio. Parlatemi di questo Amore, allora. Parlatemi dell’unica cosa vera. Ridatemi speranza, in modo da poter sognare, anzi poter vedere, cieli colorati sopra di me. Sognare, e relazionarmi con la gente intorno a me, con i piedi ben piantati sul sogno.
Cara Antonietta il tuo post riapre il cuore, in modo ragionevole e “percorribile”.
Grazie!
Concordo, vi è un cammino di serena e graduale maturazione personale. Tale percorso può portare a divenire sempre più consapevoli anche della società, della cultura, in cui si vive. Gesù getta semi di vita, accompagna la crescita personale ma per certi aspetti lascia l’approfondimento culturale, la politica e via dicendo alla ricerca e al dialogo, nei tempi e nei modi di ciascuno, delle e tra le persone. Pur essendo comunque elementi della maturazione. Si può dunque da un lato aiutare, in uno scambio reciproco, una maturazione serena, libera e non schematica e dall’altro con chi vuole sviluppare anche un dialogo su cultura e società. Se dal lato della maturazione personale l’interesse per questo secondo piano può svilupparsi in ciascuno secondo modi e tempi personalissimi, la drammatica, esiziale, e sconosciuta perché nuova, situazione che stiamo vivendo non potrà che stimolare chi se ne avvede a cercare insieme a chi vorrà le possibili contromisure. https://gpcentofanti.altervista.org/la-democrazia-aggirata-raggirata/
Grazissime cara Antonietta per questo post, farmaco di Speranza, Parola che rilanci come esperienza personale e come visione radicata, cantata fin dal primo Salmo.
Vigiliamo insieme e aiutiamoci per non lasciarci rubare la Speranza, per essere vero vaccino anti angoscia , confidenti
“come albero, piantato lungo corsi d’acqua/ che da frutti a suo tempo / e le sue foglie non cadranno mai /riusciranno tutte le sue opere. ”
E le nostre parole siano parole che curano, “Bene-dette” che fanno e sono Natale in noi, ingredienti del nostro pane quotidiano!
Un abbraccio
Giuseppina
Grazie Antonietta x questo post davvero puntuale, in un tempo come il nostro pervaso spesso di depressione e disperazione..
Io ho sempre ribaltato il detto ” finché c’è vita c’è speranza” nel suo opposto “finché c’è speranza c’è vita” …leggendoti ho percepito una piacevole consonanza e sono d’ accordo con te nel sottolineare che alla base ci debba essere un qualità di relazione con gli altri e con il mondo, senza cui puo’ venir meno qualsiasi spinta ad un agire motivato e significativo.
Possibile tutto ciò?
In DP stiamo lavorando x questo…un augurio a ognuno di noi per continuare a farlo!!!
mcarla
Cara Antonietta , è proprio vero: il potere trasformativo della parola, umana e divina, è un farmaco . Posso dire che solo ora , dopo aver letto, meditato e ascoltato la Parola per una vita, comincio a comprenderne il potere trasformativo e di guarigione . Anni fa ho letto “Parola che salva, Parola che guarisce “di Drewermann. Ho continuato a rifletterci ed a fare connessioni con le Scienze . Ora capisco il nesso tra remissione dei peccati, liberazione interiore e guarigione del corpo.Infatti Gesù dice :(Mt9,1-8 )”Che cosa infatti è più facile dire “Ti sono rimessi i tuoi peccati “, oppure dire :”Alzati e cammina? “Ora , perchè sappiate che il Figlio dell’ Uomo ha il potere in terra di perdonare i peccati :”Alzati ( disse al paralitico ), prendi il tuo lettuccio e vattene a casa !” L’ odio, il rancore, la vendetta ci paralizzano, bloccano la vita. Occorre liberarsene perchè la vita ri-fluisca , per riprendere il cammino. La Parola guarisce ,se l’ accogliamo nel profondo e ci lasciamo ri-creare da essa, aiutandoci anche con le Scienze Umane . E’ un’alchimia continua , che va ripetuta giorno per giorno, momento per momento.
Mi paiono sagge osservazioni quelle che leggo in questi commenti. Ognuno, per come può in questo difficile tempo, abbia la sua serena maturazione. Al tempo stesso osservo, condividendo anche in questo le osservazioni di Marco Guzzi, che viviamo un tempo drammatico, si rischia il crollo dovuto allo spogliamento di ogni umanità.
https://gpcentofanti.altervista.org/il-discernere-concreto-di-gesu-e-la-psicologia/
Grazie mille,
voglio condividere con Voi l’emozione che ha suscitato in me l’immagine di questo bellissimo cuore che baldanzoso, senza paura alcuna, prende per mano e conduce un cervello che appare un poco disperso. Ridiamo credito ed importanza, ascolto, a quella parte emotiva, sensibile e vera che spesso è stata negata, considerata di impaccio, qualcosa di cui vergognarsi e nascondere.