Grazie a mio fratello Fabrizio alcuni anni fa ho scoperto Jiddu Krishnamurti grande filosofo di origine indiana scomparso nel 1986. Una delle cose che aveva più a cuore era la liberazione dell’uomo dalle sue paure e per questo iniziai a leggere i suoi scritti. In particolare mi hanno molto colpito le assonanze di alcune sue riflessioni con il lavoro dei nostri gruppi di Darsi Pace.
Propongo in questa sede un suo breve video, pescato dal quell’oceano sconfinato che è Youtube, perché dà la possibilità di affrontare un tema considerato da noi sempre un po’ difficile e a volte scabroso, la morte:
E aggiungo alcune sue riflessioni che mi sembra meritino attenzione:
“ … la vita e la morte sono un’unica cosa. L’uomo saggio comprende il tempo, il pensiero e la sofferenza, e solo lui può capire la morte.”
“C’è paura della morte finchè c’è desiderio che il proprio carattere, il proprio agire, la capacità , il nome e così via continuino a esistere.”
“La paura è creata dalla ricerca dell’opposto, dall’antitesi di ciò che siamo, dal desiderio di evitare, di sfuggire ciò che siamo ….”
“… morire a ogni cosa ogni giorno, morire a ogni accumulazione che abbiamo prodotto, di modo che la mente possa essere fresca, nuova e innocente giorno dopo giorno.”
“Morire a tutto ciò senza discutere, senza paura, semplicemente lasciar andare. … Perciò dobbiamo morire a tutto ciò che conosciamo, psicologicamente, in modo che la mente non sia più tormentata, ma limpida, e possa vedere le cose come sono, sia esteriormente che interiormente”
“Vivere nel presente è morire al passato. Man mano che comprendiamo noi stessi, ci liberiamo del passato, ovvero del nostro condizionamento…”
da Jiddu Krishnamurti/Sul vivere e sul morire, Ed. Astrolabio.
Molto di ciò risuona nel lavoro che viene svolto nei nostri gruppi e cerco di seguire nella mia vita. Mi sembra di non dover dire molto di più. Aspetto i vostri contributi, grazie a tutti.
Marco Falconi.
Caro Marco,
grazie di cuore per aver introdotto la grande figura di Krishnamurti.
Io, grazie a lui, al suo pensiero, ho imparato molto.
E una delle cose che ho imparato, e che cerco di mettere in pratica, è che solo imparando a vivere, si impara a morire.
Mi danno fiducia le parole di K. E ancor di più mi dà fiducia il suo volto, il modo nel quale incarna, ha incarnato la sua parabola umana. La sua parabola di vita su questa terra.
A questo proposito mi permetto di suggerire la lettura della straordinaria biografia ( "La vita e la morte di Krishnamurti " ) – appassionante quanto e più di un romanzo – scritta da Mary Lutiens, e pubblicata sempre da Ubaldini Astrolabio.
Ciao a tutti,
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Molto intense e belle le parole di Krishnamurti: morire alla nostra parte bellica, distorta, e infelice, ci apre ad un’esperienza quotidiana di pace e di più autentica integrità, che ci aiuta a superare o almeno a limitare la nostra paura della morte, in quanto scopriamo che nell’abbandono più completo non c’è annientamento, ma appunto integrazione.
Ciò che mi ha sempre lasciato perplesso nel pensiero di K., però, è la sua pretesa di superare ogni dimensione religiosa attraverso una sorta di meditazione filosofica. A me sembra, invece, che anche il suo pensiero sia del tutto radicato nella tradizione vedantica, nella non dualità (advaita) insomma, propugnata con quel pizzico di "modernità" che ha reso spesso le persone più intelligenti del XX secolo indisponibili a considerarsi dentro una qualche tradizione.
Dove c’è un seme di verità, d’altronde, è sempre bello e nutriente raccoglierlo.
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Un sentito grazie a Fabrizio, anche per la sua segnalazione, ed un particolare grazie a Marco che come al solito ha saputo sintetizzare molto, ma molto meglio, quello che intendevo dire nei riguardi del nostro lavoro. Devo aggiungere anche che condivido la sua perplessità sul superamento della dimensione religiosa di tali menti così illustri del secolo scorso e concordo anche con la tesi a riguardo.
E sottolineo quanto trovo sempre utili e stimolanti le idee di questo grande filosofo sulla morte e … sulla vita, mi hanno molto aiutato e mi aiutano ancora.
Grazie.
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grazie Marco per il tuo contributo,
Krishnamurti è stato parte della mia formazione e ripercorrere brevemente i temi fondamentali del suo pensiero è stato salutare.
Anch’io concordo con ciò che ha commentato l’altro, nostro, Marco, anche perchè, in termini concreti (per fare un esempio, nell’educazione dei figli), il pensiero di Krishnamurti sembra non tener conto del faticoso, storico, processo evolutivo.
Tuttavia, hai fatto bene a ricordarci, ancora, i temi ultimi della vita e della morte.
Grazie
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Carissimo Marco (Guzzi),
anche a me quello che tu descrivi appare come un grosso limite, nel pensiero di K. Il suo approccio alle problematiche del mondo è limitato dall’unica pratica riconosciuta come risolutiva – anche se la meditazione di cui parla K. e che lui ha messo in pratica nella sua vita è tutt’altro che semplice, e si tratta più che altro di un ‘processo’ globale, e molto doloroso, che coinvolge l’intera persona, che la attraversa completamente – e spesso all’interlocutore che si gli si avvicina, le sue risposte appaiono im-praticabili, e in definitiva utopistiche.
Ciò nonostante, come tu scrivi alla fine, ogni seme di verità merita di essere raccolto. E nelle parole, nell’esempio e nella vita ‘santa’ di K. io personalmente ho trovato molti di questi fecondi semi.
Fabrizio
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Salve, ho appena “conosciuto” il pensiero di Krishnamutri e mi ha impattata molto. Il punto su cui non smetto di reflettere e ció che dice K. sul ‘pensiero’ che solo quando si arriva alla piena consapevolezza di quale sia il reale posto del pensiero che è nelle cose pratiche e nel ‘mondo esteriore’ ma non certo nel mondo interiore e psicologico, allora si è in grado di dare pace al cervello. E quindi di percepire il momento. Ma mi chiedo non è anche questo un processo “pensatorio” (e quindi limitato come sostiene K. poiché fatto solo di ricordi accumulati) attraverso il quale si arriva a questo ‘stato’? Mi sto scervellando hahaha grazie come sempre un saluto a tutti. Mi scuso in anticipo se sto sollevando una conversazione sterile.