A cosa può servire la vita spirituale? Cosa può darci una persona che si dedichi alla contemplazione? Cosa possiamo ottenere noi stessi offrendo una parte del nostro tempo alle pratiche di meditazione e di preghiera profonda?
Thomas Merton ce lo indica con semplicità: una esperienza.
L’esperienza, ogni giorno nuova, di un altro modo di essere, di sentire, e di vedere rispetto alle modalità ordinarie in cui spesso siamo imprigionati.
L’esperienza contemplativa è in realtà ciò che ogni essere umano desidera con tutto il cuore, anche quando la nega: una relazione assoluta, e cioè sciolta dai legacci del nostro passato, con l’Assoluto.
Ogni essere umano cerca infatti questa relazione, perché è questa relazione: ognuno di noi, ogni io umano è in se stesso un’apertura totale all’Assoluto, un’apertura infinita che solo aprendosi consapevolmente all’Infinito trova la propria misura.
Perciò siamo liberi, ed è la libertà il mistero più grande che connota, caratterizza, e definisce la nostra essenza spirituale.
Che cosa ne pensate? Cosa vi ispirano le parole di Merton? Quali emozioni o quali esperienze personali evocano in voi? Allarghiamo la nostra conversazione anche su quest’onda invisibile di cuori che è Internet.
Bellissimo caro Marco, grazie davvero, una testimoninaza preziosa e precisa.
Straordinarie risonanze con l’intero lavoro dei nostri gruppi, da te guidati.
Qualche notizia di più su Thomas Merton?
Ancora grazie di cuore.
Un abbraccio,
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Caro Marco, Merton è uno dei maggiori scrittori cattolici del 900.
Di padre neozelandese e madre americana ha sondato le dimensioni spirituali in testi memorabili, come "La montagna dalle sette balze, e in poesia. Morì nel 1968.
Grazie, Renato, effettivamente l’esperienza contemplativa è proprio trans-concettuale, non irrazionale, ma al di là di ciò che il concetto ci dice.
In realtà il concetto è un segnavia ineliminabile, in quanto se io non concepisco qualcosa non potrò nemmeno sperimentarla.
Ma poi il concetto lascia il posto alla "concezione", e concepiamo l’Inconcepibile, andiamo cioè ben al di là di ciò che avevamo concepito concettualemnete.
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Grazie Marco Guzzi !
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Penso post come questo siano il vero senso del nostro sito ,il filmato, la voce, le immagini mi riportano nel mio luogo profondo , dove c’è pace e sorriso come quello di Merton in una delle foto . Mi sento nella mia vera casa
Grazie
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Le parole di Merton suscitano in me profonda commozione, mi evocano un incontro indicibile che la frequenza della montagna mi ha fatto sentire più intenso, mi sollecitano ad un maggiore abbandono che desidero, ma fatico a trovare.
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Caro Marco,
anch’io mi unisco ai grazie per le parole e le immagini di T. Merton!
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Carissimi, grazie dei vostri commenti.
Il grande equilibrio da trovare è proprio quello tra le parole e l’esperienza.
Sono le parole che ci portano all’esperienza, in quanto senza determinate parole non potremmo nemmeno aprirci all’esperienza contemplativa.
Poi l’esperienza stessa ci apre ad inaudite comprensioni delle parole che ci hanno guidato.
Senza esperienza le parole diventano gusci vuoti, dottrine intellettuali e astratte.
Ma senza le giuste parole l’esperienza si perde in un’altra forma di vanità e di narcisismo.
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Caro Renato, queste tue parole “desiderio di incarnarne il senso”, per la prima volta mi fanno percepire la possibilità, per me, di collocarmi in un luogo concreto all’interno di questa “tribù”.
Mi pare che nella baraonda primordiale in cui una saetta appiccò il fuoco del desiderio, agli albori della storia umana; tutti quanti a prescindere dal luogo di partenza, si fossero imposti la fatica di raccogliere qualunque cosa atta a mantenere “l’ardere del fuoco”.
Appunto quel desiderio d’incarnarne il senso, e con stupore l’uomo “selvaggio” degli albori della storia scoprì che nella fatica fatta, nell’aver cura del fuoco; il bosco era caldo, illuminato e ripulito… da tutti i rami secchi. Quasi da sé.
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La semplicità ma intensità di queste parole toccano il mio cuore. Nel mio silenzio interiore le ritrovo, quando ho la forza e l’assoluta convinzione che solo nelle profondità segrete vive lo Spirito che è la vita.
mi piacerebbe avere il testo scritto.
abbracci
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ricercando su Google – Comunità di Bose Thomas Merton
http://www.esicasmo.it/Merton/thomas_merton.htm-19k
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Carissima Giulia, ho provato a inserire qui il testo completo della lettera di Merton, ma mi dice che il commento è troppo lungo….
Forse ne farò un post a sé. Intanto te la invio via e-mail.
Ciao. Un abbraccio. Marco.
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Caro Marco
un’emozione sulle altre mi prende ascoltando queste parole
è tutto così semplice, innato, insito in noi, già inscritto nella nostra anima
ma quanto è difficile entrare in contatto con il Sè o meglio è difficile ‘restarvi’ a contatto
a volte lo sfiori e ne resti abbagliato nel chiarore
e salgono lacrime di gratitudine dall’intimo
ma è tanto delicato
e scivola via come sabbia tra le dita
grazie, di cuore
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Caro Marco, per me il problema principale è equilibrare la parte intellettiva con quella emotivo/-esperienziale. Hai ragione quando affermi che oggi siamo imbevuti di nozioni, e che l’esperienza è rimasta sepolta sotto questo cumulo di pensieri. Forse, nei miei faticosi tentativi di meditazione, ho intravisto qualcosa; ma il pensiero "razionale" ha ancora di gran lunga la meglio.
Quel che afferma Merton è quello che sogno: una liberazione dal cerebralismo.
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ps: fuinalmente riesco di nuovo a postare!
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Grazie, carissimi Filomena e Enrico, scendere in un ascolto profondo è semplice? è difficile?
Dipende. Dai giorni, dai momenti, dalle circostanze.
Noi umani oscilliamo tra stati differenti, ma, attraverso un lavoro interiore regolare, tendiamo a protenderci verso gli stati della pacificazione, e comunque ad allentare le morse dell’angoscia.
Un ostacolo all’abbandono è certamente la rigidità di un pensiero troppo astratto, il quale, dal punto di vista psicologico, è spesso una difesa: razionalizziamo per tenere il controllo, per non sentire, per paura.
A tratti però, anche all’inizio di una sana pratica interiore, percepiamo qualcosa di così affascinante, un’atmosfera, un mondo così diverso e libero e areato, che diventa piano piano più facile rinunciare ai confusi concetti della nostra mente ossessionata.
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