Ci sono nella vita momenti bui che la ragione non riesce ad illuminare, momenti in cui tutto sembra crollare e perdere senso. Sono momenti di grandissima sofferenza ma anche di grazia, occasioni favorevoli per accedere ad una nuova dimensione della conoscenza che fa riferimento soprattutto al fidarsi e all’affidarsi.
Una lettera arrivata in Redazione, attraverso la metafora del bosco, ci racconta un po’ questo percorso.
Eventi dolorosi della mia vita hanno determinato (favorito) in me la perdita di tutti punti di riferimento ed il crollo di tutte le sicurezze: ho dovuto lasciare tutto ciò che ‘avevo’ ed ‘ero’ e intraprendere un cammino che mi ha pian piano condotta verso una zona oscura, misteriosa, come quei sentieri di montagna che, via via meno definiti ed intralciati da rami e da rovi, improvvisamente si interrompono nel fitto del bosco.
Smarrimento, paura, tentazione di ritornare sui miei passi, di ripercorrere una strada sicura con una destinazione già nota, sono i sentimenti che mi hanno assalita quando mi sono trovata ad addentrarmi nel fitto del bosco: non avevo più riferimenti certi riguardo alla direzione del cammino, non c’era più alcun sentiero più o meno tracciato che io potessi seguire ed in cui fosse indicata la destinazione finale.
Camminare nel fitto del bosco era come camminare nella notte buia: la vista, che mi aveva guidata fino a quel momento, non mi era più di alcun aiuto, per avanzare dovevo principalmente sviluppare l’udito, una capacità di ascolto, di percepire ogni minimo suono o rumore che potesse guidarmi nel buio della notte; dovevo imparare a ‘fidarmi’ di ciò che ‘sentivo’, ma anche del bosco e degli ‘amici del bosco’.
Questo atteggiamento di ‘ascolto’, di fiducia, l’ho appreso dopo aver vagato a lungo alla ricerca di un sentiero sicuro, fidandomi delle mie ‘conoscenze’ del bosco e della mia capacità di ‘vedere’.
Quando stanca del mio lungo girovagare, ferita, smarrita, ho alzato le mie mani vuote per invocare aiuto, ho fatto l’esperienza di un bosco amico che si è mobilitato per proteggermi e guidarmi.
Ho compreso così che il sentiero che sembrava improvvisamente interrompersi senza portare da nessuna parte aveva proprio lo scopo di condurmi proprio là dove mi trovavo, nel fitto del bosco, in una zona intricata e oscura nella quale fare esperienza del mio limite, abbandonare il mio bisogno di controllo e imparare a fidarmi e lasciarmi guidare dal sentiero stesso e dagli “amici” del bosco.
Ho capito allora che la meta di questi lunghi, intricati ed oscuri sentieri era già presente nei sentieri stessi: la meta era il cambiamento ‘catastrofico’ cui costringeva il cammino lungo un sentiero oscuro, la nuova dimensione della conoscenza che scaturiva da un patire che era come morire; la meta era l’esperienza dell’abbandono del controllo, del potersi fidare, del ritornare piccoli, del lasciarsi portare.
I passi incerti che sto iniziando a muovere in questo nuovo sentiero mi fanno intuire che la conoscenza non può essere conquistata ma è un dono; che l’unica cosa che si può fare è desiderare ardentemente di riceverla e aprirsi, fino a divenire pura ricettività; è sviluppare una mente umile e docile, capace di ascolto, di restare in paziente attesa, di tollerare lo stato di incertezza e di dubbio, una mente capace di resistere alla tentazione del controllo che porta a facili e immediate attribuzioni di senso non donate ma create esclusivamente dall’ansia che suscita qualcosa che sfugge al controllo e si avverte come mistero.
Vogliamo condividere altre esperienze di questo percorso?
In effetti la tentazione di dare senso è un meccanismo molto presente , ed è gia molto, se pensiamo allo smarrimento più generale con cui gli individui, intere generazioni, siamo capaci di convivere.
La vera disperazione arriva quando tocchi il tuo limite, quando capisci che non puoi più capire, che capire non ha senso, che il senso vero passa forse per il sentire (?) che ti obbliga ad entrare in relazione vera con l’altro, con il sentiero "tutto" . Un sentiero nel quale cammino, ma che non riconosco e non mi riconosce.
Dove devi superare ogni cosa e respirare oltre.
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Questo post mi stimola a testimoniare la caleidoscopica mano di Dio.
E’ come se Dio fosse l’eterna energia che ci attrae a sè.
Quasi un "buco nero" per la nostra esistenza.
Se appena appena lo sfioriamo, siamo in lui "persi/fatti" proprio come nuovi….
Io l’ho sfiorato così.
Mi ero convertita consapevolmente da adulta.
Quando la vita si è fatta dura, colorando con la fatica insopportabile i giorni; decisi che di fatiche inutili per vivere non ne avrei mai più fatte e dissi a Dio: " Io me ne vado! quando avrò da ringraziare tornerò ".
Da un giorno all’altro cessai ogni pratica religiosa.
Lentamente ma inesorabilmente sono scivolata nel non senso, nel nichilismo più assoluto.
L’unica dimensione religiosa consapevole era che: "io sto alla Tua presenza così come sono ed attendo una parola che mi salvi".
Non cercavo alternative. Ero attesa…
Poi un giorno, "quindici anni dopo", decisi un cambiamento.
In un certo qual modo il nulla assoluto che ero aveva persino macinato e stritolato l’angoscia; non avevo più nulla da perdere… non attendevo risposte, lì dove risposte non ne pervenivano.
Accettavo la mia morte e quindi mi davo la possibilità di vivere i giorni restanti del transito terrestre, il più piacevolmente possibile.
Quando l’abisso è talmente profondo che tu non hai più una vita da perdere, quando accetti di morire al punto da cercare un’alternativa da te stessa, consapevole della tua impotenza: "Dio ti salva".
Io non lo sò! la mia storia potrebbe essere il contrario di quella di Giobbe: ho sfidato Dio sino al punto di rinunciare a Lui ed accettare il non senso di un transito terrestre senza senso, senza scopo e che finisse nella polvere…
Io ho deciso di riconoscere nell’esistenza ciò che ero: totale impotenza.
Di agire la mia essenza. Di pronunciare una parola che negava il desiderio del mio cuore: la felicità!
Solo a quel punto Lui ha mostrato a me il suo volto.
Veramente a Dio tutto è possibile!
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Mamma mia ragazzi! questo mezzo è "splendido"…solo ora mi accorgo di quanto ero cieca, di quanto sono cieca se non rivolgo lo sguardo riconoscente il cuore!
Ad un certo punto ho affermato di essere stata "attesa" per quindici anni
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Entrare nel bosco della mia esistenza ha significato per me andare sempre più in profondità dentro me stessa, percepire il segreto del cuore e sentire che lì c’è anche Dio.
Trovo molto bella questa poesia di Angelo Casati e vorrei condividerla con voi.
Il segreto del bosco
Non c’è fine
al segreto del bosco
al bisbigliare infinito
che lo inumidisce,
al suo frinire insonne.
Né so
se è gioco
o seduzione
o solo dire che esisti
l’inesausto rincorrersi
di accesi richiami
tra ramo e ramo.
Brividi di luce
in un dilagare
di ombre e profumi.
Voci. E assenza
di volti
il bosco:
allusioni, non definizioni,
segreti inarrivabili.
Bosco è per me
il tuo cuore.
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Cara Giuliana, ti ringrazio molto per la poesia che hai condiviso.
Per la prima volta Gianni, mio marito, ha letto con me qualcosa in "darsi pace"; questa poesia appunto.
Il suo occhio maschile mi ha rimandato immagini che io a prima vista non avevo colto.
Quel rimando ad Altro, che talora pare essere: ‘impasto di polvere, fatto dal Padre o dal Figlio; a secondo che trattasi di fare l’uomo a Sua immagine e somiglianza o aprire gli occhi al cieco.
Se puoi, dammi il titolo della raccolta da cui è tratta. Grazie
Ciao e Buona domenica a tutti
Rosella
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Carissima Rosella,
ho preso la poesia dal libro "Sulla soglia" di Angelo Casati, non ricordo la casa editrice; mi fa piacere sentire che l’hai letta con tuo marito. Tra le poesie di Casati ce ne sono alcune sulla montagna che forse potrebbero piacervi, visto che anche a voi camminate per monti.
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Grazie mille.
Un abbraccio
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Carissima penso che un’eperienza simile alla tua possa capitare a tutti prima o poi: noi non vorremmo mai la sofferenza ma quando è passata ci lascia diversi, cambiati. Vaghiamo per anni sulla riva del mare senza avere il coraggio di buttarci…fare il morto..ritornare piccoli…abbandonati….fiduciosi…Osservo comunque che l’esito positivo delle tua prova non è di tutti: c’è chi per pesanti esperienze, o per gravi complicazioni psichiche, o per mancanza di prospettive o per sentirsi privi di appartenenza a qualcuno o a Qualcuno sceglie la soluzione estrema e abbandona la vita. E sono tanti! Questi gesti tragici lasciano in tutti noi tanta amarezza, sensi di colpa, rammarichi per non aver capito, per non aver teso una mano…Forse dovremmo vivere più attenti anche perchè penso che tutti siamo potenzialmente esposti a questi pericoli.
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Che bello, suor Mirella, ritrovarci nel blog!
Mi sembra di capire quello che dici e penso che le tue parole nascano dalle realtà tremendamente dure con le quali la tua esperienza ti mette a contatto. Anch’io ho dovuto fare i conti con la perdita di una carissima amica che ha scelto la soluzione estrema di abbandonare la vita e di un fratello che ha fatto la stessa scelta, seppur in modo diverso. Quante volte mi sono chiesta: perche? ]E non ho trovato risposta. Questi drammatici eventi mi appartengono. Essere riuscita ad attraversarli e superarli non è stato merito mio; sono consapevole di aver ricevuto un aiuto da Qualcuno che mi è superiore e che, con tanta presunzione spesso ho dimenticato, ma verso il quale sento di tornare con cuore più umile e con maggiore riconoscimento dei miei limiti. Questo travaglio ha scavato dentro me stessa uno spazio in cui mi sento a casa, luogo in cui riesco a respirare pace e gioia. A questo luogo ora mi aggrappo e prego: “Non deluderci nella nostra speranza o Amico degli uomini.”
Grazie, Giuliana
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