Canto di Giona
Quante volte mi hai raccolto
Ai margini di me
Dove disperavo?
Sempre. Eppure
Ancora tentenno
Nella prova. Ancora dispero.
E basta un pelo
Nell’uovo, e di traverso
Mi si mette, e non lo mando giù
Il mondo, questo groppo
In gola.
” Sorvola.
La tua disperazione è il mio rigoglio
A volte.
Chi mi frequenta
Dal vero
Non riserva per sé altre speranze
Umane.
Cerca la gioia
Anche nel suo lutto.
Cerca.
E mi trova. “
Pèschici sul Gargano
30.7.95
Marco Guzzi, Nella mia storia Dio, 2005
E’ il canto del disertore, che fugge dal destino, dall’appello personale.
E’ il canto della perdizione in un universo senza cuore, nel ventre oscuro della balena.
E’ il lamento di chi si è posto ai margini, alla periferia di sé e può solo recriminare, maledire l’esistenza.
Perché dovresti occuparti di me, più che del bambino che sta morendo ora, dei diseredati della terra, delle vittime di tutti i tempi? Qual è la logica di questo quotidiano massacro? Come potrei mai essere felice, se tutto è così precario e il più minimo sollievo improvvisamente può svanire? Dov’è la tenerezza divina, la bontà di tutta questa creazione?
Sfogo la mia amarezza, la sfiducia che ci sia un senso del tutto, confesso la mia infedeltà, nonostante i segni che tante volte mi hanno fatto percepire di essere guidata verso una dimensione più integra, unificata.
Qualcosa mi raggiunge nell’estrema lontananza, nel fondo della disperazione……e il canto si apre a nuove profondità, a una risposta che sgorga paziente dalle fibre del cuore.
Mi chiedi di sorvolare, di far tacere le mie continue pretese di dare ragione delle cose, di evadere dalle gabbie di un cosmo di rigida e spietata necessità, lasciato al caso.
Mi inviti per un attimo ad abbandonare tutto il dolore del mondo, a scioglierlo, e a scaricare giù dalla schiena, dalle spalle, il groppo in gola.
Dici che dalla mia disperazione può fiorire la vita, e che talvolta la salvezza è tutta passiva, quando accolgo l’impotenza senza bloccare le tenebre al loro nome.
Desideri che io ti frequenti ‘dal vero’ per farmi vedere le cose da un altro punto di vista, dove tutto apparirà più chiaro.
Affidarmi a questo respiro profondo, rimanere nel grembo accogliente che guarisce tutte le ferite, infonde in me uno spirito di luce e di segreta gioia.
Foto: Sara Deledda, Paola Balestreri, Flickr.com
letta
letta
Che bello ascoltare “Il canto di Giona” dalla voce di Marco e rileggere questo breve libro profetico.
Nel canto mi sento particolarmente toccata da quel “sorvola” lo sento come un invito a staccarmi dai miei ragionamenti, da tutto ciò che è terreno; nel libro sento la forza della preghiera :
“Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino alla tua santa dimora. “( Giona 2, 6)
GRAZIE, Giuliana
letta
E’ proprio vero Giuliana: l’inizio della via del ritorno è già il ricordare!
letta
Giona nel ventre della balena s’assimila in me, come l’eremita di Thomas Merton.
"L’eremita giorno e notte sbatte la testa contro un muro di dubbio." … "una specie di non conoscenza del proprio io, una specie di dubbio che interroga le radici più profonde della sua vita, un dubbio che mina le ragioni stesse del suo esistere e di quanto va facendo. E’ questo dubbio che lo porta definitivamente al silenzio, e nel silenzio che cessa di porre domande egli riceve l’unica certezza che conosce: la presenza di Dio nel cuore dell’incertezza e del nulla, come unica realtà, ma come una realtà che non può essere "localizzata" o identificata. Ecco perchè l’eremita non parla. Compie il suo lavoro ed è paziente (o forse impaziente,non so), ma generalmente ha pace."
Tratto da "Incontro con la vita monastica"
letta
Quante volte anch’io mi sono identificata con Giona ,mio compagno di viaggio, nel suo tentativo di fuggire dal Signore per paura di essere mandata con urgenza a Ninive!!!
Forse proprio quei tentativi disperati sono stati un grimaldello che ha favorito l’ammissione delle mie infedeltà e fatto sentire anche nel ventre della balena, la misericordia sotterranea di Dio preoccupato non di salvare solo la mia anima ma di fare alleanza col suo popolo per salvare la città.
Grazie ,Marco per il tuo Canto di Giona,presentato qui a quattro mani insieme a Paola e che trasmette la gioia dell’assunzione di re-sponsabilità.
Mi fa piacere condividere alcuni miei recenti versi che in qualche modo si ricollegano ai commenti:
Oltre la coltre del silenzio
balsamo di vita
in otre di fedeltà
matura la Parola
lascito di gioia
per disperati in ascolto.
Grazie Giuseppina Francesca Nieddu
letta
La mia disperazione è non-parola. Mi stringo a me stesso, a soffocare ogni richiesta, ogni appello. Rinuncio ai perchè, ai come, ai quando. Zitto, per provocarmi, provocarti. Dunque davvero sono un "rubatore di vita"? E il fuoco? Nego agli occhi l’orizzonte, l’azzurro, "i giorni di sole" che non sono, il tuo sorriso. Qui nel buio non sono e non ho altro che questo fragile ascolto: ferita della balena, uscita d’emergenza.
Grazie.
letta
Meravigliosa questa poesia di Marco, e spietata nell’indagare una delle domande che più angosciano l’uomo: ma la disperazione, il lutto qua diventano gioia e rigoglio. Con credibile forza d’urto, vista la luminosità dei versi. Nei quali non si intravede alcun artificio, ma soltanto verità, benché si tratti d’una verità indimostrabile razionalmente. Si sente in questi versi la forza di una pratica, quella pratica che trascende l’intelletto e che Marco sempre raccomanda come indispensabile.
letta
Grazie per
… la mano calda che
m’afferra il polso
quando come luccio
m’innabisso. Distolgo
lo sguardo e fuggo,
fuggo, fuggo e non sò
dove. Come errante
a me stessa… sola!
non sò da che,
non sò da chi. Trattenuta
mio malgrado volgo alfin
lo sguardo e riconosco
il calore, la fiducia, la forza
la fermezza… che mi abitano
da sempre. Inconsapevole
amore! … e tutto questo in me.
letta
letta