abbiamo dimenticato in fretta……..
E’ diventato legge il ddl Sicurezza che introduce il reato di clandestinità, legalizza le ronde e allunga a sei mesi il periodo di permanenza coatta nei Centri di identificazione.
Una notizia di cronaca tra tante. Roma. 7 maggio 2009 Tunisina morta impiccata al CIE
Nella notte del 7 maggio nel CIE di Ponte Galeria è morta una detenuta tunisina.
Si chiamava Nabruka Mimuni e aveva 44 anni. Era in Italia da più di 20 anni.
Era stata catturata due settimane prima dalla polizia mentre era in coda in Questura per rinnovare il permesso di soggiorno.
La sera precedente le avevano comunicato che sarebbe stata espulsa e la mattina le sue compagne di cella l’hanno trovata impiccata in bagno. Nabruka ha lasciato un marito e un figlio.
…….come eravamo
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali…
…Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.
Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.
(dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano
sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, ottobre 1912)
vedi anche:
Accettare e accogliere chi è diverso da noi, più povero, sporco, malandato, malato, e magari anche violento, non è mai stato facile per nessuno.
E non credo che dovremmo meravigliarcene.
Sappiamo fin troppo bene, lavorando su noi stessi, che l’istinto più radicato e automatico della psiche umana è l’attacco/difesa, o meglio la difesa che si trasforma subito in attacco.
L’antropologia ci dà conferma che ogni guerra nasce sempre da un istinto di difesa, in quanto cioè ci sentiamo aggrediti.
Non si risolve il problema dell’immigrazione con la retorica di tanta cultura occidentale, che proprio sottovalutando le paure congenite dell’uomo fomentano le reazioni più violente, le ronde, la criminalizzazione delle badanti, e le altre forme di nuova follia.
La paura non va negata né condannata; ma curata.
Bisogna rispettare chi ha paura, affinché possa imparare ad averne di meno.
Solo una moderata e saggia compensazione delle ragioni della giusta sicurezza con quelle dell’accoglienza potrà evitare qualche futuro bagno di sangue.
Gli ispettori americani del 1910, in altri termini, avevano le loro (parziali) ragioni.
Certo molti di quegli italiani erano i nostri nonni e bisnonni, brava gente in cerca di lavoro.
Ma stavamo anche esportando in America una forma molto raffinata di criminalità organizzata, che tuttora fiorisce nel mondo.
E le vittime di quella criminalità non vanno sottovalutate o sottaciute…
Ogni visione unilaterale, mi sembra, oggi più che mai, letale e falsa.
Tanti affettuosi auguri. Marco Guzzi
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Condivido in linea generale il pensiero di Marco. Mi pare che la questione della giustizia sociale, l’ideale di una società senza barriere, l’ideale di una libera circolazione delle persone, oltre che dei beni e dei capitali, sia come l’ideale della pace. E’ falso e illusorio pensare di progredire verso la pace mondiale senza mettere mano alle nostre concrete strutture antropologiche, dis-armandole nel paziente lavoro di trasformazione interiore. Per dirla con Hegel, all’Assoluto non si arriva di improvviso, come "un colpo di pistola". Però. Però: conservare e alimentare i grandi ideali dell’occidente – la pace universale, la giustizia, la libertà; ideali che non nascono dal nulla, ma da un preciso rapporto di eventi storici, metastorici e teologici – ha un’indubbia funzione "regolativa" della nostra azione, e funge da pungolo alle nostre coscienze perché ciascuno si metta sulla strada di una pacificazione, di una liberazione, di una giustificazione integrali, di sé e degli altri insieme. Pace, Giustizia, Libertà sono quelle grandi idee a cui nessun contenuto storico è definitivamente adeguato, ma che consentono alla storia di proseguire "cristologicamente", secondo quella linea evolutivo escatologica che Marco tante volte ha descritto e motivato. Oggi siamo, forse, a una svolta: ogni separazione tra "giustizia" esteriore – giustizia delle strutture come si diceva qualche anno fa – e giustificazione interiore (per-dono) – appare definitivamente inattuabile, sotto pena di provocare guasti maggiori di quelli a cui si vorrebbe porre riparo.
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Carissimo, è proprio qui, mi pare, il nodo e il novum: come proseguire nell’attuazione di quegli ideali di LIbertà e di Uguaglianza che animano tutta la modernità, messianicamente ispirata?
Credo che solo una inedita coniugazione tra progettualità politica e processi interiori di liberazione possa rispondere a questa esigenza.
Altrimenti tempo che gli stessi ideali regolativi non funzionino più neppure da sprone…
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la rozzezza dei nostri governanti non ha fine…
Acconsentire alle richieste della "pancia" di una parte, cospicua, della popolazione opportunamente fuorviata, è piu’ facile e "remunerativo" rispetto ad un lavoro di acculturamento.
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Personalmente, sono sintonizzata con ciò che è stato scritto in questo thread.
A me pare particolarmente frustrante il gap temporale che si crea ogni volta che la soluzione è a lunga distanza, mentre i problemi sono già ben evidenti nell’oggi. Mi pare che siamo pressati tra una realtà che preme con problemi concreti, di vita quotidianamente dolorosa, e soluzioni che richiedono cambiamenti profondamente radicati nell’umano.
Per cambiare il mio punto di vista, le mie egocentrature, le mie paure infantili del diverso devo innanzitutto voler lavorare su di me, poi devo lavorarci davvero e pian piano elaborare le mie emozioni, confrontarmi con quelle degli altri ed integrare man mano nella mia vita i piccoli cambiamenti che riesco ad ottenere. Tutto questo però è impegno di una vita, ma le persone che, spinte da situazioni di invivibilità, cercano un approdo sulle sponde dei nostri paesi hanno esigenze qui e ora. Ciò significa che il prezzo della nostra elaborazione lo stanno pagando persone che devono affrontare giorno per giorno il reperimento dei “generi di prima necessità” zigzagando tra ostilità e repulsioni.
Trovo tutto ciò davvero frustrante e non so trovare altra soluzione che impegnarmi maggiormente nel crescere un po’ ogni giorno.
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Cara Iside, ti condivido, anche io mi trovo spesso tra i corni di questo dilemma. Sono però giunto alla conclusione che, tra le soluzioni "sistemiche" e quelle contingenti, esiste sempre una differenza e un legittimo spazio d’azione per la nostra libertà. Non produrremo mai alcun cambiamento strutturale, senza riaccordare l’esterno e l’interno dell’uomo. Nel frattempo, credo che ogni giorno ci sia chiesto, già da ora, qual è il bene possibile che possiamo compiere. Intanto che impariamo davvero cosa significa che chi è "là fuori" è nostro fratello (il problema di c erte pedagogie è che danno questo assunto per scontato) già da ora, "ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato", possiamo prenderci cura di lui, interessarci dei suoi bisogni, servirlo come meglio sappiamo e possiamo.
Un caro saluto,
letta
Antonella, come è vero quello che dici! se non vediamo il povero possiamo vedere noi stessi? possiamo, cioè avere consapevolezza di noi stessi, accettare e accogliere le nostre parti povere, sporche, malandate, malate?
I poveri aumentano intorno a noi forse per ricondurci alla nostra povertà, forse sono qui proprio per noi, per aprire/disarmare il nostro cuore e consentirci l’ingresso nel Regno.
Siamo in un tempo apocalittico ed è in corso l’esame finale. Questo il compito da svolgere: cosa orienta le nostre scelte? Siamo condizionati dalla paura o guidati dall’amore?
Ogni scelta che facciamo sta diventando definitiva: ci radica in un regno o nell’altro.
Se ci faremo guidare dalla paura sceglieremo di abitare nel Regno della paura e ci sintonizzeremo già ora con le caratteristiche di quel regno, se ci faremo orientare dall’Amore faremo esperienza qui e ora del Regno dell’Amore.
Dice bene Marco, la paura va curata. Ma –condivido con Iside- in quanti intanto stanno pagando con la vita il prezzo di una paura non riconosciuta come malattia e non curata?
In quanti stanno pagando per i miei tempi lunghi, per le mie resistenze ad intraprendere un serio lavoro di con-versione, di dis-armo del cuore? Sarò giustificata per le morti causate dal mio prendere tempo?
La paura è un virus potentissimo che invisibilmente sta contagiando un po’ tutti, un potente anestetico che annebbia la vista e rende incapaci di discernere.
Nella misura in cui mi apro alla consapevolezza della mia paura non ho l’obbligo morale di risvegliare altri? Non ho l’obbligo di denunciare apertamente tutte quelle scelte che tendono a legittimare il Regno della paura?
Un caro abbraccio a tutti. giovanna
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Non si può ricordare sempre tutto… …e anche se mi ricordassi tutto perchè non dovrei fare o rifare qualcosa agli altri? chi o cosa me lo vieta? Voi? E perchè?
Il problema non è sapere o ricordare, Leggo che è la paura … quale?
La paura è un oggetto di moda? Tutti la vogliono. Si compra e si vende.
E’ gratis? No. Si paga salata .. nel tempo e … mai da solo purtroppo.
Neanche il "coraggio" è gratis. Eppure appare poco.
Chi lo vende? Forse c’è poca domanda… in pochi chiedono di diventare coraggiosi.
Mi spiego.
Ci vuole coraggio ad aprire la porta del nostro "appartamento" per farlo diventare una casa….
L’appartamento è la nostra tana.
Non necessariamente deve essere di 45 metri quadrati. Può (ed è) anche di diversi milioni di metri quadrati.
A volte è molto piccola, anche di 1 metro quadrato: la scrivania al lavoro ad esempio. C’è gente che ha foto, piante, cingilli che definiscono esattamente il territorio dell’appartamento/tana.
La stessa cosa vale per l’automobile … fate voi.
Da piccolo leggevo capitani coraggiosi, i ragazzi della via pal, .. mio nonno mi raccontava cosa era il coraggio…
Nel regno della paura c’è bisogno di gente coraggiosa perchè lo trasformi in un regno di coraggio dove la paura ritorni a d essere quello che è: una piccola parte di noi che ci ricorda di essere capitani coraggiosi
E adesso tutti a scuola … :-))
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Caro Michele, posso comprendere in parte la tua amarezza e la tua delusione; ma non dovremmo mai dimenticare che il Regno lo costruiamo innanzitutto nei nostri cuori: amando amici e nemici, come il Cristo ci ha insegnato.
Altrimenti le nostre (parzialmente) buone ragioni si trasformano in forme ancora più anticristiche di astio e di odio nei confronti degli "altri", comunque intesi. E questo ci porta a giudizi sommari e spesso errati.
Il concetto di libertà, per esempio, e quello di giustizia o di fraternità sono radicalmente biblici ed evangelici, trovano la loro radice storica nei testi dell’Esodo o di Isaia, fino a Giovanni e a Paolo.
Che la massoneria ne faccia un uso diverso, non deve portarci a negarne la centralità cristiana.
Se poi il Concilio può aver prodotto distorsioni e riduzionismi, non va certo negata la carica di rinnovamento che ha portato nella Chiesa, un aggiornamento che si attendeva in verità da secoli…
letta
Caro Michele, non basta la critica, occorre il coraggio di testimoniare concretamente i valori della nostra tradizione cristiana.
«Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso» (Levitico 19,33-34)
«Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto» (Deutoronomio 10,19)
«Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli» (Lettera agli Ebrei 13,2)
La Chiesa è popolo di Dio in cammino, siamo ciascuno di noi, in cammino. La Chiesa santa e peccatrice siamo noi e dobbiamo assumerci in prima persona questa responsabilità soprattutto a livello di piccole comunità cristiane.
La povertà più grande, oggi, è spesso la povertà di coraggio, di autentica testimonianza.
Don Primo Mazzolari ci ha coraggiosamente indicato la via:
«Cosa la Chiesa può sopportare e cosa non può sopportare
Chi capisce come dev’essere presente la Chiesa in questa svolta della storia capisce anche ciò che la sua carità può sopportare e ciò che non può sopportare proprio in nome della stessa carità.
Ripeto: in nome della carità, poiché la rivoluzione cristiana, l’unica che può essere giustificata anche davanti alla storia, più che da diritti conculcati o offesi nasce da doveri suggeriti e imposti al nostro cuore dalla carità che ci lega al nostro prossimo. Chi più ama è potenzialmente l’unico e vero rivoluzionario.
La Chiesa sopporta:
* il male che le fanno i suoi nemici, che, per quanto si allontanino e la rinneghino, portano sempre l’incancellabile volto di figli, e di figli tanto più cari quanto più cresce il loro perdimento;
* di essere spogliata di ogni bene materiale e di ogni privilegio concessole più o meno disinteressatamente dagli uomini;
* di vedere le sue basiliche e le sue chiese distrutte, chiusi i suoi conventi e le sue scuole, poiché è già "l’ora che né in Gerusalemme né su questo monte, i veri ad6ratori adorano il Padre in spirito e in verità";
* le persecuzioni aperte e subdole, le calunnie e le blandizie, i vituperi e i panegirici menzogneri;
* gli erranti e in un certo senso perfino l’errore quando esso non può venire colpito senza offesa mortale all’ anima dell’errante;
* di essere misconosciuta nella sua carità, colmata di obbrobrio per colpe non sue;
* il disonore che le viene dalla vita indegna dei suoi figlioli stessi, i loro rinnegamenti e i loro tradimenti;
* d’essere baciata da un Giuda, rinnegata da un Pietro.
La Chiesa non può sopportare:
* che vengano negate o diminuite o falsate le verità che essa ha il dovere di custodire e che costituiscono il patrimonio dell’umanità redenta;
* che sia cancellato dalla storia e dal cuore il senso della giustizia che è il patrimonio di tutti, ma in modo particolare dei poveri;
* la libertà e la dignità della persona e della coscienza, che sono il nostro divino respiro. Mentre sopporta senza aprir bocca di essere spogliata e tiranneggiata in qualsiasi modo, non può sopportare che vengano spogliati, conculcati, manomessi i diritti dei poveri e dei deboli, individui, città, nazioni e popoli, cristiani e non cristiani. E nella sua difesa materna e invitta è tanto più grande quanto più la sua tutela si estende alla plebs infedele, egualmente santa. Alcuni gesti di munifica protezione di Pio XII, in favore di ebrei perseguitati, hanno commosso e sollevato l’ammirazione del mondo;
* il potente che abusa della propria forza per opprimere i deboli;
* il sapiente che abusa della propria intelligenza per circuire e trarre in inganno l’ignorante;
* il ricco che abusa delle proprie ricchezze per angariare e affamare il popolo.
Vi sono quindi dei limiti nella sopportazione della Chiesa, e questi limiti vengono non dai raffreddamenti ma dai colmi della sua carità. Ciò che è abominevole per il Signore lo è pure per la sua Chiesa; la quale, senza parteggiare, non può trattare alla stessa stregua la vittima e il carnefice, l’oppressore e l’oppresso.
Chi fermerebbe la mano del malvagio, chi solleverebbe il cuore abbandonato dell’oppresso se un’egual voce raccogliesse il grido dell’uno e il gemito dell’altro?
Sarebbe un delitto il pensare, per il fatto che la Chiesa predica la pazienza ed esalta l’infinito valore del dolore, specialmente del dolore innocente, ch’essa accettasse le tristezze dei prepotenti come un mezzo provvidenziale per moltiplicare i meriti sovrannaturali dei buoni. Purtroppo il nostro linguaggio ascetico, sprovveduto di ampiezza e d’audacia mistica, può indurre un profano in apprezzamenti non solo sproporzionati ma contrari al buon senso.
La sofferenza ben sopportata mi redime e redime, ma non fa diventar buona l’ingiustizia di chi ha pesato su di me. E una bontà conseguente, che non ha nulla da spartire con la causa ingiusta che ha generato la mia sofferenza. Soffrendo bene l’ingiustizia, creo una corrente di bontà: ma non per questo gli uomini sono dispensati dal fermare con tutte le forze la sorgente di male che continua a generare l’errore.
Perché c’è uno che espia in modo edificante, io non sono scusato di lasciar fare e di lasciar passare. Il soffrire non è un bene in sé e se il Signore ci aiuta a cavare il bene dal male non vuole che noi chiamiamo bene il male, il quale va tolto di mezzo nei limiti della nostra responsabilità e della nostra carità. Il perdono stesso delle offese va all’uomo, non all’azione di lui, la quale rimane giudicata anche dopo il perdono, anzi giudicata veramente e irrevocabilmente solo dopo il perdono».
(da Risposta ad un aviatore [1941], in La chiesa, il fascismo, la guerra, Vallecchi, Firenze 1966)
Un caro saluto. giovanna
letta
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Caro Michele, mi trovo d’accordo con te: anche per me il cristianesimo è l’incontro personale con Gesù Cristo, incontro con un Dio che si è fatto carne, che è entrato nella storia degli uomini, nella mia storia, non una verità astratta o un dogma. E so che il giudizio finale sarà non su astratte adesioni di fede ma sul riconoscimento del suo volto nel volto dei poveri e dei sofferenti.
Benedetto XVI ci ha invitato come comunità ecclesiale a diventare «casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana […]. Solo nella reciproca accoglienza di tutti è possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera» (Angelus 17 agosto 2008)
D’altronde «Dio non fa preferenze di persone» (Atti 10,34, Romani 2,11 e 10,12; Galati 2,6 e 3,28; Efesini 6,9; 1 Corinti 12,13; Colossesi 3,11) poiché tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianza.
Mi pare che dovremmo comprendere una semplice verità: la Terra è di Dio e noi ne siamo solo custodi e amministratori. Imparare a vivere è imparare a condividere fraternamente i doni che Dio ci ha dato: su questo il Giudizio finale.
Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa al n. 14 si legge: «Nessuno ci è straniero anche perché la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi stessi e la nostra responsabilità di fronte a lui è quella che abbiamo verso la famiglia umana amata da Dio, verso di noi, pronti a testimoniare la profezia del Risorto che annuncia la pace. Poiché sul volto di ogni uomo risplende qualcosa della gloria di Dio, la dignità di ogni uomo davanti a Dio sta a fondamento della dignità dell’uomo davanti agli altri uomini».
Con affetto. giovanna
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Carissimo Michele, il problema mi pare proprio la maggiore o minore qualità della fede.
Ne avevamo una migliore prima del Concilio, quando a 8/9 anni si riceveva Comunione e Cresima imparando a memoria le formulette di Pio X? O si assisteva ad una messa che pochissimi comprendevano, ignorando perfino la lingua in cui veniva celebrata? O quando si difendeva il potere temporale dei Papi come contenuto essenziale della fede?
Il Concilio ha solo scoperchiato una crisi avanzatissima e irreversibile del cristianesimo occidentale, una crisi che può farsi risalire addirittura alla Riforma.
Certo anche ora l’esperienza spirituale è rara.
Anche per questo abbiamo avviato il lavoro dei nostri Gruppi, affinché le parole del Cristo diventino esperienze personali di profonda liberazione: liberazione dal peccato e dalla morte, dall’illusione e dalla paura.
Solo questo conta: la pratica della carità sgorga poi dalla liberazione interiore come l’acqua zampilla dalla fonte sorgiva.
E noi sappiamo che i pani e i pesci condivisi non diminuiscono mai, ma al contrario si moltiplicano, perché il Regno non è mai penuria, ma abbondanza, esuberanza di pescato.
letta
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Oggi siamo più liberi dal "Dovere" fare e ci ritroviamo a cercare il "Piacere" delle/nelle persone, delle/nelle cose, .. più in generale il piacere della vita che pensavamo fosse fatto dal rispetto asettico di regole, comandamenti, …
Se fosse solo così non servirebbe nè un Dio, nè un Cristo. Ci siamo arrivati da soli (?).
Faccio un paio di esempi.
* Il piacere di suonare un pezzo con la chitarra mi porta a dover studiare, provare, sentirlo, interpretarlo… non mi pesa
perchè il piacere di una buona esecuzione sarà il giusto compenso.
* Il piacere di stare con mia moglie porta con sè il dover capire cosa desidera, quali sono i suoi piaceri, .. faticoso ma
mi fa sentire "forte" e Sereno.
[i]Il piacere diventa dovere che si trasforma di nuovo in piacere.[/i]
Vero è che tutto cambia. Nulla è stato mai statico.
Io cambio. Gli altri pure. Questo fa nascere un sentimento di ansia che diventa anche paura.
Oggi, mi sembra che ci siamo arresi al solo "dovere" quindi alla sola paura dovuta all’ansia di prestazione, di non farcela, .. Tutto sbilanciato.
Coltivare il "piacere" di cui ho parlato è più faticoso perchè non me lo creo da solo, non lo decido io, non lo controllo .. perchè nace dallo stare insieme che come tutti sappiamo ha i suoi pro e contro.
Il "piacere" di fare un incontro non l’ho quasi mai condizionato a regole di buona educazione (o comandamenti). Neanche quello con Dio. Dico quasì perchè non si è perfetti 🙂
Sono stato fortunato ad aver avuto maestri (a volte inconsapevoli) che usavano gesti per il solo piacere di vedere le persone felici e di scoprirsi "infinitamente" migliori.
Che questo infinito, per chi crede, coincida con l’essere somiglianza di Dio non può far altro che farmi venire un dubbio, una domanda: "ma fammelo conoscere sto tipo quì. Finalmente uno che non mi dice che devo fare ma che gli "piace" stare con le persone."
Tutto questo NON me lo devono SPIEGARE. Me lo DEVONO far VEDERE, TOCCARE (mia figli su questo mi sta massacrando, .. i bambini vanno oltre, sono oltre..).
La tiritera del "dover fare" la conoscono tutti. Ma se il punto di partenza è il piacere allora sto producendo qualcosa di diverso che nasce dall’aver visto toccato, immaginato, condiviso..
Sicuramente il piacere (questo tipo di piacere) "potrebbe" fare molto contro la sola paura.
letta
Carissimo Michele, quei grandi misteri, elencati nel catechismo di Pio X, diventano formulette se si pretende che un bambino di 8/9 anni ne comprenda il significato imparandole a memoria.
Per il resto, io non ho mai avuto una mentalità esclusivistica: se tu ti santifichi e ti pacifichi meglio pregando in latino e meditando l’antico catechismo, io sono davvero felice per te.
Non creiamo inutili e futili steccati.
Comunichiamoci i nostri doni, le nostre ricchezze.
Lo Spirito è Uno Solo e soffia, notoriamente, dove e quando e su chi vuole.
Godiamone il respiro refrigerante.
Ciao e auguri. Marco
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Solo oggi leggo questi interventi e forse, non centro più in modo diretto, l’argomento del post.
Come sempre, viaggio con piacere sulla stessa lunghezza d’onda di Domenico.
Però, ultimamente, mi è capitato qualcosa per cui vorrei spezzare una lancia nei confronti delle persone che "sentono" la paura… .
Il piacere di aprirsi agli altri nasce in me dal dilatarsi di un piacere gia inizialmente percepito, quello di essere stata accolta ed amata.
Il piacere di essere amata mi ha "fatto sperimentare" un’emozione unica, che mi apre alla condivisione. In un certo qual modo non posso farne a meno, altrimenti sto male.
Però c’è un però, quando anche in modo inconsapevole, "l’altro" tocca la mia ferita profonda, entro nel panico, in un marasma totale; che un tempo si risolveva con una crisi d’emicrania, oggi per fortuna più rara.
Permanere in una situazione d’incertezza all’interno della quale l’ansia t’invade, talvolta può essere un atto eroico.
Penso che quando compiamo il tentativo di ricercare "ciò che è giusto o ciò che è sbagliato", noi di fatto mettiamo al riparo noi stessi dal permanere in una situazione d’incertezza, talora insostenibile, che ci disturba.
Se poi siamo suffragati dall’esterno, ci pare di essere più forti.
Nella mia realtà il cambiamento mi accade, talvolta (per la verità, molto spesso), camminando come un gambero.
Quando percepisco una sensazione intensa d’incertezza "sento la paura" e mi ritraggo. Poi comincio a recitare mentalmente la mia formuletta magica: "io mi fido di te". Non sempre risolve, ma, almeno mi fa sorridere, ed è gia un passo avanti.
Il cambiamento reale, però, nasce dal mio interno e, spesso, ha bisogno di più giorni e più notti; sino a che, ad un certo punto, hai come un’intuizione di ciò che necessita agire, per poter comunicare.
Ti rendi conto che è la risposta adatta a te, perchè il marasma e l’ansia se ne sono andati.
Non è facile vivere a contatto con culture diverse da cui ci si sente in parte invasi ed in parte incapaci di comprendere e timorosi persino di un approccio che può essere sbagliato per la nostra stessa ignoranza.
La mia vita quotidiana è fatta di questi alti e bassi.
In quanto alla Fede: o s’incarna o non s’incarna; e per incarnarsi tocca "sporcarsi le mani".
In questo momento non mi riesce di fare un gesto d’incarnazione reale, concreto, con una persona che: "non è lo straniero".
Qualcuno può dire una preghiera per me? perchè trovi la strada, meglio il coraggio, di percorrerla? Ci conto.
Grazie a tutti.
letta
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Caro Michele, ciò che capisco poco del tradizionalismo è il pessimismo cupo, la rabbia e il risentimento, un certo ossessivo riferimento noir al "nemico", sempre esterno, sempre altro da noi…
letta
Caro Michele,
sono veramente dispiaciuta per il dolore che provi. .. ti sei mai chiesto checosa provassero gli apostoli davanti al fallimento della croce? Alla morte ignobile del loro Signore.
Anche loro avevano un’illusoria visione del futuro, come tutti noi del resto…
Eppure si sono "riuniti " in preghiera.
Forse capire non "risolve" sempre tutto nella vita, a meno che la mente sia ri-conoscente al cuore.
Riconoscente in quanto "grata" per " il dono ricevuto", magari il fallimento in una croce, condividendo dolore e compassione con l’altro.
Ti sono proprio vicina, perchè mi pare di sentire il dolore e la fatica che fai.
Ti abbraccio con affetto.
letta
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Michele, non sò che risponderti.
Mettiamola così: "tu ti affanni per mille cose" mentre io sono nata il 22 Luglio, giorno di Maria Maddalena e spero che molto mi sia perdonato poichè ho cercato di amare al meglio che potevo, la realtà che mi è stata posta davanti. La famiglia, un marito ed i figli.
Io non sono stata e non sono ne una brava moglie nè tanto meno una brava madre, però ora "mi sento amata".
Nel senso che forse il chiedere perdono a Dio per i miei limiti mi salva. Il chiedere che ripari lui i miei errori, salvando i miei figli, mi dona pace.
Capisci? io non sò che dirti!
Mi rendo perfettamente conto che parliamo su piani diversi; ma di una cosa sono certa. Entrambi amiamo Cristo e la Chiesa. Ed è proprio tutto O.K. anche se tocca marcirci dentro (noi stessi e nella Chiesa) un poco, come un seme, per dare frutto.
Personalmente, quando mi "sento in pace", senza evadere dalla mia concretezza di ogni giorno, penso di stare nel cuore di Dio, quando sono sottosopra e sto male, allora imploro che mi salvi.
Forse , la faccio troppo semplice, perchè tu possa risolvere il tuo quesito in modo soddisfacente dialogando con me.
Comunque sia, preghiamo un poco insieme, nel silenzio e, qualcosa di Buono accadrà.
ciao
letta
Carissimo Michele,
hai ragione, effettivamente la linea storica evolutiva, e cioè realmente messianica, mi sembra oggi somigliare proprio ad una lama di rasoio, una sottilissima linea tra due tendenze più facili, tra due strade molto più larghe:
il configurato: appoggiarsi fondamentalisca-mente ad un passato senza futuro,
e lo sfigurante, credere nichilistica-mente in un futuro senza passato.
Il Cristo, Uomo Nuovo, mi sembra essere invece il Trans-Figurante, che si apre creativa-mente alla novità del futuro trans-formando e portando a compimento tutte le figure del passato.
Così in me, in te, nella Chiesa, nel mondo.
Auguri di un’ottima trans-figurazione.
letta
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Carissimo, concordo in pieno con queste tue ultime parole.
letta