Sono più che mai convinto – assistendo al pallido e tragico avanspettacolo che sembra essersi impadronito dello scenario pubblico, nel nostro paese – che l’unica salvezza possibile per il nostro paese (ma è un discorso che potrebbe essere riferito all’intero Occidente, nel suo lento e inarrestabile declino) è una rivoluzione dei cuori, una rivoluzione delle persone, una rivoluzione morale.
A me sembra infatti piuttosto chiaro che un paese dove la politica e la moralesono morte, non ha futuro. In un paese dove la politica e la morale sono morte, cioè, può succedere di tutto. Ed è quello che stiamo constatando, giorno dopo giorno.
Politica e morale, dopo dosi spaventose di cinismo e delegittimazione inoculate ad abundantiam, sono due parole che ormai vengono guardate con sospetto. E la loro abolizione è anzi salutata da qualcuno come un lieto evento.
Invece, se soltanto si analizzano le cose con lucidità, si scopre che non abbiamo scoperto ancora alternative praticabili alla mediazione politica come regola di convivenza, e alla morale come regola e interesse comune.
La storia insegna che l’assenza della politica produce anarchie e totalitarismi, mentre l’assenza di morale produce corruzione diffusa, sfruttamento e umiliazione dei più deboli, disinteresse per la cosa pubblica, disfacimento delle istituzioni, in fin dei conti infelicità. Sì, perché l’uomo non può vivere felicemente da solo, e come insegnavano padri della Chiesa da una parte, e filosofi illuministi dall’altra, io non posso essere veramente felice se la mia felicità è fondata sull’infelicità altrui.
Ruminando queste riflessioni, sono ritornato alla esemplare figura di Dag Hammarskjold (Jonkoping 1905 – Ndola 1961), diplomatico svedese che fu per due mandati consecutivi segretario generale dell’ONU, dall’aprile del 1953 fino alla sua morte, avvenuta in un oscuro incidente aereo nel pieno della crisi congolese. A Dag Hammarskjold fu assegnato il Premio Nobel per la pace alla memoria, proprio nel 1961. Alla sua morte fu ritrovato tra i suoi scritti una specie di ‘Diario Intimo’, che fu pubblicato in ogni paese, e tradotto in ogni lingua con il titolo Tracce di cammino.
p style=”margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify” class=”MsoNormal”>Questo testo raccoglie le profonde riflessioni di un cristiano al servizio della polis. Dei suoi dubbi, della sua solitudine, del suo drammatico percorso, alla ricerca di pace e magnanimità tra gli uomini, specie nei posti più tormentati del mondo.
Dag Hammarskjold era un uomo che del “dare se stessi” fece un paradigma di vita. “Dare se stessi” scriveva, ” nel lavoro, per gli altri; basta che non sia un darsi tanto per darsi (magari con la pretesa che gli altri ti stimino). ” Dare se stessi era la politica di Hammarskjold. Dare se stessi era la sua morale. Ecco cosa scriveva quattro mesi di morire, nello strano incidente aereo (quasi certamente un sabotaggio) che spezzò la sua vita:
Io non so chi – o che cosa – abbia posto la domanda. Non so quando essa sia stata posta. Non so neppure se le ho dato una risposta. Ma una volta ho risposto sì a qualcuno – o a qualcosa. Da quel momento è nata la certezza che l’esistenza ha un senso e che perciò, sottomettendosi, la mia vita ha uno scopo. Da quel momento ho saputo cosa significhi non guardare dietro a sé, non preoccuparsi del giorno seguente. Guidato attraverso il labirinto della vita dal filo d’Arianna della risposta, ho raggiunto un tempo e un luogo, in cui venni a sapere che il cammino porta a un trionfo, e che il crollo a cui esso conduce è il trionfo; venni a sapere che il premio per l’impegno nella vita è l’oltraggio, e che l’umiliazione più profonda costituisce l’esaltazione massima che all’uomo sia possibile. Da allora la parola coraggio ha perduto il suo senso, in quanto nulla poteva venirmi tolto.
Fabrizio Falconi
Un abbraccio e un benvenuto a Fabrizio Falconi, che entra nella nostra Redazione con questo stupendo spunto di riflessione.
Il tempo nuovo si sta aprendo, sia pure in sordina, radicando nella rivoluzione permanente dei cuori il rivolgimento dei livelli culturale e politico della nostra convivenza.
Si tratta solo di aspettare e operare affinché le aggregazioni si formino, e raggiungano la forza di una nuova visibilità, restando però sempre radicate nei processi interiori di liberazione.
Ancora un benvenuto affettuosissimo.
letta
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Benvenuto Fabrizio ,questo post sul servizio mi scuote nel profondo . Grazie per la tua capacità di raccontarci vite di uomini fratelli straordinari .Terro’ Dag nel cuore come Hetty .
Un abbraccio a tutti
letta
Saluto con malcelata gioia l’inizio della tua collaborazione caro Fabrizio (o … caro fratello?) Ad Maiora Semper.
E per non alimentare troppi sospetti di "… interesse privato …" vado a concentrarmi sul tuo splendido spunto di riflessione.
Avevo letto solo pochi giorni orsono di D. Hammarskjöld (per la precisione il 18 settembre) sul libricino Messa Quotidiana -Ed. Dehoniane- di fratel Michael Davide (per il quale non ringrazierò mai abbastanza il mio amico Massimo) e, pensa un po’, colpito dalla sua figura mi ero segnato questi suoi brevi scritti (1925 1930) che l’articolo riportava:
sulla morte … «Domani ci incontreremo/la morte e io/ Spingerà la sua spada in uno che vegliava./ Ma come morde il ricordo d’ogni ora/ speperata»
e sulla consapevolezza che ogni cosa è nelle mani di Dio … «Essere, essere soltanto in Dio. Qui e ora: ecco la maturità»
Quindi puoi immaginare la sorpresa nel leggere del tuo richiamo. Mi ha colpito moltissimo il suo pensiero sul senso dell’esistenza e … sul coraggio. Che grandezza di anima, che lucidità e che sintesi.
Inoltre spesso di recente mi sono ritrovato a rimuginare anche io sul lento ma inesorabile declino della politica e della morale, giungendo come te, con profonda amarezza, alle stesse conclusioni. Ci rimane la speranza.che non dobbiamo rassegnarci a perdere, sono sicuro che nostri figli sapranno riprendere la via del ritorno.
Mi fermo per ora qui.
Ancora grazie e complimenti.
Un abbraccio intenso.
letta
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Sono sempre più convinta, caro Fabrizio, che le parole dell’uomo, quando dettate dal cuore e dallo Spirito, sappiano aiutare più di ogni altra cosa.
In fondo anche le Sacre Scritture sono state scritte da uomini.
Pertanto alla mia piccola pila di libri cari, che conservo gelosamente sul comodino, utili nei momenti del bisogno, aggiungerò anche lo scritto che ci hai segnalato.
Penso, inoltre, che non dobbiamo disperare! Soprattutto nei giovani, almeno in quelli che mi circondano, io ancora vedo tanta moralità, nonostante appunto la Società (o meglio quella supportata dai mass media) non incoraggi in tal modo.
Quindi sta a noi, che siamo in costante ricerca di un senso, seguire l’esempio di Dag Hammarskjold, sottomettendoci sì all’altro, ma senza perdere quella dovuta autorevolezza che può guidare con amore verso la felicità.
Un abbraccio Gabriella
letta
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Sono commossa… veramente commossa nell’accogliere le tue parole Fabrizio e quelle di Dag.
In fondo è come se tu mi ILLUMINASSI il significato della fatica che ho fatto in tutti questi anni a "non arrendermi al non voto". Nel tentare se pur in modo discutibile di continuare a recarmi alle urne per "non disperare" e dare un minimo di fiducia ai miei figli, non d’illusione …
Però mi mancava, ancora oggi l’evidenza del valore incarnato per cui lo facessi.
In fondo essere madri o padri, non è lontando da quel "dare la vita" di Dog . (Incarnazione profetica di una fine?)
Essere così ingenui da: buttarsi via per niente; nella piena consapevolezza di essere radicati in un valore che conta: LA VITA appunto.
Ciascuno di noi dona all’altro il valore "vitale" che incarna.
Io penso di desiderare questo, come consapevolezza, per me e per i miei figli: "non sono perfetta/o!"
Son proprio un po’ giusta e un po’ sgbagliata. Non ne faccio proprio mai una tutta completamente giusta, vi è sempre una possibilità che qualcosa manchi… quel qualcosa che solo la pietà dell’altro può aggiungere.
La dannazione della nostra società secondo me sta nel fatto di una rincorsa all’assenza di errore "impossibile" semplicemente perchè non umana; e nella disumanità di coprire questo "fatto" che ben conosciamo nell’additarsi delle reciproche travi, e non nella correzione fraterna del per-dono.
Del dare la vita appunto.
la predica è finita. ciao.
Buona giornata
Un abbraccio
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Dunque: innanzitutto grazie a Marco Guzzi per il suo benvenuto. Quando ho visto per primo il suo commento, mi sono sentito subito.. a casa. Grazie a te Marco per avermi invitato a far parte del gruppo (da un ‘gruppista’ della prima ora…) e grazie per i tanti, nuovi stimoli che ogni volta ci offri, e per la tua presenza sempre più preziosa per tutti noi.
Grazie anche a tutti gli altri messaggi di benvenuto, a Chiara, Marco F., Gabriella (giochiamo in casa), Alessandro. Marco: davvero una notevole coincidenza, la nostra. Io in realtà ho conosciuto gli scritti di Hammarskjold da parecchio, ma ci torno con frequenza, e sempre ricavandone nuovi arricchimenti. Sì, le cose che scrive sulla morte, poi, sono particolarmente toccanti, e in alcuni casi anche misteriosamente preveggenti (riguardo alla ‘sua’ fine).
Poi, per Rosella:
quello che scrivi mi tocca molto. In effetti credo che Dag sia stato un testimone eccezionale di quelle due doti eroiche che secondo me oggi occorrono per sopravvivere e resistere alla corrente contraria: che sono il POCO (ovvero l’essenzialità), e la CURA (ovvero l’attenzione, attenzione per me stesso, per l’altro, per il mondo). In un mondo dove tutto spinge invece verso il MOLTO (l’accumulazione dell’inutile e del superfluo) e verso il disinteresse o l’indifferenza (è importante soltanto ciò che riguarda me).
Sono queste due qualità ‘eroiche’ che Dag praticò nel suo difficile ruolo di presidente dell’ONU in anni difficilissimi di guerre fredde, di conflitti sanguinosi in Africa, ecc… Spese tutta la sua vita per questo . E il ‘diario intimo’ testimonia tutti i suoi dubbi drammatici, le domande sull’inutilità dell’operare per il bene, i tormenti dell’avere a che fare quotidianamente con interessi e cause contrapposte.
Io me lo immagino, nel chiuso di quelle riunioni, nelle lunghe ore di colloqui, nelle attese di ore, che devono essergli sembrate infinite.
Fabrizio F.
letta
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… mi scuso in anticipo, soprattutto con Massimo (così non ci penso più!)
Le tue domande " m’intrigano veramente"; anche se mi è difficile pensare in senso polito/sociale. Son nuova nell’esperiensa di darsi pace; e ciò che conosco meglio è la mia esperienza personale, che non è innestata direttamente in politica, come responsabilità, ma "solo"solo in famiglia..
La parte più ostica per me, nell’ascolto di Guzzi, è sempre quella culturale, il pensiero del filosofo, mentre le altre, dove non comprendo con la mente intuisco con il cuore.
Ciò nonostante mi stupisce la tua domanda Massimo:
che senso avrebbe il lavoro da voi proposto se non fosse INDISPENSABILE per non disintegrarsi?
Secondo me il "luogo" meditativo è IL CENTRO, il cuore della persona, dove l’integrazione TIENE INSIEME per così dire, l’evoluzione , la crescita dell’individuo. La coniuga con l’esterno e, produce l’adattamento all’esigenza nuova del "presente".
In fondo trattasi solo di permanere IN UN CONFLITTO EVOLUTIVO ponendo il desiderio di ciò che intendi realizzare nel tempo (LA SPERANZA).
Lasciare alla realtà della vita dei "riscontri operativi" non è poi tanto male….
Se l’ho fatta troppo ingenua, non farci caso, nasce solo dai rapporti familiari la mia osservazione; per quanto anche lì :"quando non si riesce a restare integri, è giusto farsi da parte?".
Dal mio punto di vista, quando non si riesce a restare integri: "è giusto prendersi una pausa di riflessione!" poi si vedrà.
letta
La mia domanda deriva da una cosa detta da Marco Guzzi qualche mese fa. Diceva Marco che, per come stanno le cose oggi, è di fatto impossibile che in una posizione di vertice di qualsiasi organismo possano esserci persone con un ego pacificato, o comunque libere da forti condizionamenti delle tenebre (spero di ricordare bene, ma il concetto mi sembrava questo, mi corregga Marco se sbaglio). E’ come se le forze di questo mondo avessero rinserrato le difese, chiuso a doppia mandata i catenacci. Lì per lì la cosa ha suscitato un certo stupore in molti dei presenti. Chi pensava alla speranza infusa da Obama, chi magari al proprio personale contributo come dirigente di qualche azienda, chi al capo illuminato che gli era capitato di incrociare nella vita o in quella di qualcun altro. Insomma, sembrava un’affermazione un po’ forte. Anche per me.
E invece, sono cronache di queste ore, persino politici apparentemente cristallini, anzi che sulla trasparenza hanno costruito la loro fortuna pubblica, sembrano divorati dalle loro stesse ombre, incapaci di integrare le proprie contraddizioni con un minimo di coerenza e di sincerità. Del resto, a parte gente come Gandhi, Mandela o appunto Dag Hammarskjold, è difficile scoprire una autentica e disinteressata passione per il servizio tra chi ha un minimo di potere tra le mani.
E dunque, tornando al punto, fino a che punto – nelle nostre vite lavorative, nei nostri ambiti di responsabilità – possiamo scalare le pareti del potere senza perderci? Non ho risposte, a volte – credo – valga la pena di sporcarsi le mani. Ma è ingenuo illudersi che sia accolto come il benvenuto chi vuole portare una luce cristiana nelle stanze dei bottoni.
letta
…se si tenta di non essere, per così dire, "di questo mondo,", difficilmente si è "i benvenuti".
Su questo concordo pienamente.
Forse ho frainteso il quesito.
Se riconosco che la mia vocazione è la cosa pubblica (il pubblico servizio) e mi ci sporco le mani lasciandomi coinvolgere(le vocazioni possono nascere anche "per caso"… come i figli) sino a che punto posso procedere, mantenendo la mia integrità
Io ho inteso integrità come un valore interno alla persona in dialettica con la società esterna in cui "ti tirano le pietre".
Comunque manco di esperienza pratica e mi taccio.
Ora leggerò con interesse gli altrui interventi.
Ciao
Rosella
letta
In effetti, rileggendo il post, i commenti, e quello che ne è scaturito, e soprattutto ascoltando la cronaca politica di queste ore, mi è venuto il forte sospetto di essere stato non dico preveggente, ma quanto meno … diciamo così, ‘sincrono’.
Massimo pone delle questioni cruciali. Chi occupa un posto di responsabilità pubblica – e più in alto si va, più la responsabilità è maggiore – ha, secondo me, il compito, l’imperativo direi, di controllare le proprie pulsioni, i propri istinti nefasti e/o autodistruttivi.
In realtà questo compito attiene a chiunque, nella vita, io credo. Come scriveva Shakespeare nell’Amleto, "ripeness is all", ovvero: " la maturità è tutto. "
Non c’è alcun merito nel lasciarsi dominare dalla proprie pulsioni/passioni. Anche un bambino di 6 mesi lo fa.
E se si vive senza riuscire a stabile un dominio (cioè un controllo, o meglio un autocontrollo) sulle proprie pulsioni/passioni più o meno autodistruttive, è inutile aver vissuto.
Questo discorso riguarda tutti, secondo me, ed è particolarmente attuale in un mondo che ha fatto di "goditi la vita" il suo slogan paradigmatico. Goditi la vita è un programma bellissimo, ma non può essere, non dovrebbe essere sottoscritto senza conoscere effetti collaterali e controindicazioni.
Ma riguarda ancora di più chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica, chi ha ricevuto un mandato, chi dovrebbe agire nell’interesse comune, chi è chiamato a ‘darsi per gli altri’, in ogni campo, e dovrebbe far prevalere sempre il servizio al soddisfacimento brutale delle proprie pulsioni narcisistiche. Purtroppo avviene quasi sempre il contrario.
letta
Caro Massimo, la riflessione cui fai riferimento nasce da alcune considerazioni molto semplici:
mi pare che la struttura dominante del nostro mondo, espressa nei diversi tipi di potere (economico, politico, editoriale etc.), manifesti essenzialmente le estreme configurazioni di una forma esaurita di umanità, di ciò che cioè è il già Morto o il Moribondo.
Chi tenti di identificarsi con il Nascente, e quindi chi cerchi sul serio una maggiore integrità interiore, manifesta e incarna un pensiero, e direi un gusto, difficilmente compatibile con la corruzione del già Morto.
Questa differenza di gusto, e cioè di natura, sostanziale, biologica, in quanto spirituale, viene avvertita istantaneamente da entrambe le parti, e quelle che hanno oggi i poteri ovviamente non amano farsi affiancare da chi in sostanza li condanna con la sola sua esistenza.
Da ciò la conclusione che OGGI sia un po’ difficile che una persona, in accordo con la ricerca di integrità propria dell’uomo nascente, possa salire molto in alto nelle gerarchie del potere.
Senza escludere l’eccezione, la maglia slabbrata della rete, o altro, ma con la serena consapevolezza che la rete però tende a stringersi, almeno in questi ultimi decenni.
Noi cioè non dovremmo avere alcuna preclusione preconcetta, ma verificare passo dopo passo: quello che sto facendo è ancora compatibile con il mio livello di integrità, con ciò che nel più profondo del cuore desidero? oppure sto rivestendo, magari senza nemmeno accorgermene, una nuova maschera, mi sto irrigidendo, mi sto tradendo, per inseguire illusioni di potere, di successo, o di denaro?
Forse se incominciassimo a farci con semplicità queste domande, andremmo incontro ad alcune rinunce, che sono in realtà liberazioni… come quella, ad esempio, cui forse è andato incontro inconsciamente Marrazzo predisponendo una sorta di fuga/suicidio/liberazione da una vita costretta nei mascheramenti del potere…
In certe fasi della storia, i sapienti fingono di essere pazzi, si nascondono, preparando i risvegli inarrestabili, e le svolte ineludibili.
Le mani continuano a sporcarsele, ma per aiutare i fratelli, e non per oliare gli ingranaggi del potere.
Se poi si aprono porte inattese, vie attraverso le quali farsi strumenti di autentico progresso umano, sono sempre disposti al servizio.
letta
Volevo semplicemente sottolineare, se ve ne fosse il bisogno, le parole di Marco Guzzi sul caso Marrazzo. Guzzi ci mostra cosa concretamente significhi parlare una lingua nuova, una lingua "bene-dicente". Spesso parliamo, ed io per primo, di "notte dell’anima", di discese nell’abisso, come fasi di liberazione, ma poi rischiamo di cadere in pregiudizi moralistici quando qualcuno, effettivamente, nell’abisso ci scende proprio, e magari in solitudine. Mi hanno sorpreso positivamente, e mi han fatto riflettere, le parole di Marco, così lontane, diverse, INAUDITE, rispetto a quel che si è detto e scritto in questi giorni sul caso. Quando Marrazzo ha dichiarato: "Ora voglio solo sparire", forse ha intravisto qualcosa, una via di vera liberazione, magari ancora inconsapevole, ma capace di imporsi come appello ineludibile. Che altro dire, se non augurare a lui e a noi di trovare nell’abisso un piccolo barlume di luce capace di guidarci verso la rinascita.
Grazie
letta
Condivido pienamente quello che ha scritto Marco, e lo ringrazio per queste parole .
La teoria di Marco sul caso Marrazzo è peraltro stata enunciata quasi negli stessi termini da Raffaele Morelli, Domenica, sul Corriere della Sera:
http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_25/trans_trasgressione_mario_pappagallo_6503fa6e-c164-11de-b4fa-00144f02aabc.shtml
E’ una vicenda che colpisce proprio perchè appare come paradigmatica di un sistema folle, concentrazionario, che sembra relegare le nostre anime dentro spazi sempre più inabitabili.
Ciò viene avvertito, a quanto sembra, ancor di più proprio da chi oggi ha maggiori responsabilità, e che si trova come stordito di fronte ad una mancanza di senso che avverte come insopportabile intorno al proprio operato (pubblico) e alla propria vita (privata).
Una via di fuga disperata, che fa saltare il banco, appare allora come unica strada percorribile per sopravvivere.
Naturalmente questa via però lascia dietro di sè una abbondante distruzione. Forse, però, è l’unico modo per ri-cominciare. E forse, per guardarsi dentro per la prima volta, raggiungere finalmente una consapevolezza di quello che si è, di cosa si è, e non solo di cosa si ‘ pensa di volere’.
Scriveva Joseph De Maistre: " Egli non sa che cosa vuole; vuole ciò che non vuole; non vuole ciò che vuole; vuole volere; vede dentro di sé qualcosa che non è lui e che è più forte di lui. L’uomo saggio resiste e grida: " Chi mi libererà ?" . Lo stolto si… arrende e chiama questa debolezza felicità. "
f.
letta
Mi era sfuggito l’intervento di Morelli, che tuttavia suona "molto teorico", rispetto a quello – per così dire – "incarnato" di Marco. Bellissima la frase di De Maistre: mi fa tornare in mente certe preziose indicazioni (ammonimenti) di Nietzsche circa i pericoli della "volontà" (volontà di verità…). Allora è come se ci trovassimo di fronte al bivio risolutivo: ostinarsi a dar voce alle volontà dell’io ormai disabitato e destinato a marciare "in folle"; o orientarsi verso la "resistenza" dell’Abbandono ("Chi mi libererà?"), magari drammatico e urlato. Il poeta invita ad impugnare la vanga, a rivoltare suolo e sottosuolo, a rivolgere le radici dell’Abisso all’azzurro del cielo…
Un saluto a tutti
letta
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Renato: "ostinarsi a dar voce alle volontà dell’io ormai disabitato e destinato a marciare "in folle"; o orientarsi verso la "resistenza" dell’Abbandono ? " Sembra proprio questo, il punto al quale siamo arrivati. E lo descrivi molto bene. Nessun reale progresso, personale o collettivo, sembra ormai possibile senza una retrocessione dell’io dagli avamposti fittizi in cui si è arroccato stabilmente da tempo.
Sì, la frase di De Maistre andrebbe scolpita. E’ un pensatore molto controverso, considerato solitamente un ultra-reazionario, era – è stato – però un uomo in grado di presagire il futuro in modo sorprendente, al punto tale che Isaiah Berlin lo definisce, giustamente, un ‘ultramoderno’.
letta
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sai Michele,
la tua osservazione ha fatto scattare una scintilla nel mio cervello.
Anch’io come te, son nuova in "darsi pace" e per quanto comico, noi due veniamo da esperienze opposte, ma: "qualcosa qui ci chiama", se continuiamo a starci.
Tra me e te le differenze sono certamente abissali.
Siamo quasi all’opposto credo.
Il mio primo commento è stata una battuta di Aldo Giovanni e Giacomo: "chiedimi se sono felice"
(forse l’unica che lo sa sono io).
Non sono nata tra questa gente, l’ho incontrata qui ed "ora"mi trovo a mio agio.
In fondo tentano d’incarnare un valore "la scelta che non esclude" ( il libro non l’ho letto e non penso lo leggerò. Mi basta il compendio del titolo).
Io non ho studiato molto e non sono molto colta, sono una "pressapochista", pigra e minimalista. Approfitto indecentemente del lavoro degli altri per istruirmi un po’; per ampliare la mia mente con "essenzialità".
Mi fido di loro ed ascolto. Rifletto molto, sulle loro parole e sulla mia personale esperienza, così cresco ancora un po’ e sono felice.
Un abbraccio
letta
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Grazie Michele,
alla prossima.
letta
sai Michele,
anche se andiamo un po’ fuori tema, concediamocelo; al massimo ci "bacchettano le mani".
Io penso che l’umiltà vera sia quella che semplicemente vive il suo presente, la sua realtà contingente, serenamente e nella pace.
In un certo qual modo un filo d’erba è in pace con sè stesso anche se sta per essere schiacciato o mangiato da una mucca.
Noi invece no.
E dove andare ad ancorare tutte le nostre paure e le nostre fragilità se non in un dialogo (che si può chiamare preghiera) con l’ Colui che tutto può?
Se non riconoscendo e mettendo i nostri affanni tra le braccia dello Spirito che dona e rinnova la vita?
In fondo l’umiltà e l’amore sono la stessa cosa.
L’umiltà è una condizione dell’amore.
Una debolezza che "nulla pretende" (il povero?) ma che "tutto desidera"(la speranza?).
Che ne pensi?
Io ho provato ad andare a leggermi Evagrius Ponticus (qui in internet; che è la biblioteca che saccheggio più frequentemente) ma mi son persa, tra un mare di sentenze. Non me ne volere.
Sono più serena se parlo della mia esperienza, sò che è limitata e limitante; ma questo mi pare di farlo benino, (magari manco d’umiltà, però…) spendo forse l’unico talento che possiedo, lo faccio fruttare almeno un poco.
Buon fine settimana a tutti noi.
letta
Ho seguito con attenzione il vostro dialogo.
A corredo dell’ultimo commento di Rosella – molto bello – posso soltanto dire che è perfino fin troppo ovvio che nella humilitas risiede la nostra possibilità umana su questa terra, e al contempo di avvicinamento a Dio.
Non è un caso, credo che la parola ‘homo’ abbia la stessa radice etimologica di ‘humus’ , e di ‘humilitas’.
L’umiltà è ciò che lega l’uomo alla terra, e quando l’uomo si fa umile diventa terrestre, diventa semplice, cioè un tutt’uno con la creazione.
A sua volta, in molte tradizioni religiose, e più evidentemente di tutte mi sembra in quella ebraico-cristiana, l’uomo è creato da Dio direttamente dalla Terra, e alla Terra è chiamato a tornare, al termine del suo percorso.
Senza umiltà, quindi, senza semplicità, senza farsi terra e fango, non v’è nessuna possibilità nè di conoscersi (di autoconoscersi, di conoscere la propria natura ‘ humana ‘ ), nè di conoscere Dio.
letta
… "fango miracoloso", Terra che può ospitare la manifestazione della Verità…
Un grazie di cuore a tutti voi
letta
Hei, grazie a tutti.
Sempre pensato che la bellezza risiede nell’occhio di chi guarda.
Ciao
letta
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Un grazie dal profondo del cuore a tutti e in particolare a Rosella che mi sta insegnando l’arte del vero dialogo e a Michele per aver voluto condividere con noi un momento di grazia.
Sono commossa per quanto sta accadendo. Grazie, Michele, della tua presenza tra noi.
Un grande abbraccio. giovanna
letta
… Michele, scusami sai, ma:
"Ho postato tutta una filippica logorroica, nell’ultimo post pensando a te e tu te ne vai?
Che è? non lasciarmi sola. Stai zitto se non intendi parlare "per un po’ " ma torna tra noi, altrimenti io che faccio?
Io sono TU che MI FAI BELLA."
Ho 64 anni, marito e figli ma: " sempre femmina sono!!!".
un abbraccio
letta
Grazie Giovanna
letta
Michele,
oggi mi sembra "un bel giorno " adatto a salutarti in modo più sobrio.
Ieri ho avuta una reazione immediata; avevo appena terminato di postare in "amare alla fine di un mondo" e mi sono sentita spiazzata, leggendo il tuo saluto.
O.K. Michele, è giusto che ciascuno viva secondo quanto "sente" di Vero nell’ascolto della Parola, che parla in ogni cuore in un modo esclusivo, particolare, diverso.
Io son certa che quel Dio che andiamo cercando ci viene incontro, donandoci la Sua pace e la Sua gioia.
Spero che tu decida, ogni tanto, di dare una sbirciatina tra le nostre righe e qualche volta di dirci come stai.
Anch’io ti voglio bene e ti ringrazio di tutto.
Come un tempo: "in comunione di preghiera"
Un abbraccio, con affetto
letta
letta
Caro Michele,
io sono così stupita di questo dialogo nascente che, anche se non tutto fila proprio liscio, mi sembra di per sè un miracolo.
Forse tra due persone che non si sono mai parlate prima e così, apparentemente diverse, è quasi inevitabile non comprendersi al volo.
Certamente io mi sono lasciata prendere la mano dalle "mie" d’ idee; e ti chiedo scusa per la disattenzione che talora ho posto alla tua persona.
Per quello che concerne Evagrius Ponticus, intendevo solo dire che non ero riuscita a reggere le difficoltà che ho incontrato: pagine in inglese, traduzioni con un italiano antico e sentenze., così mi son persa d’animo. Ti assicuro che molti dei nomi che tu hai citato, e che io leggevo per la prima volta, me li sono andati a cercare nel web. (senza approfondire; ma almeno ora più o meno sò chi sono).
Però insomma "un poco più d’ umiltà farebbe bene anche a me".
Ti prometto che m’ impegnerò con maggior serietà nel vivere questa virtù… . Normalmente mantengo le promesse… quello che mi stupisce è "d’averlo promesso a te" d’essere più umile.
Vedi di sostenere la mia fragilità con la tua di preghiera.
Io sono veramente una persona "pressapoco" e talvolta tu m’ intimidisci per tutte le cose che conosci e le citazioni che fai.
In quanto al deserto "hai tutto il mio rispetto". Spero che le parole che ti ho scritto ieri, giorno di Ognissanti, ti facciano compagnia nel cammino che intendi intraprendere.
Desidero che tu sia felice anche se non capisco tutto quello che dici; così come cercherò di restare in comunione con te.
Scusami se qualcosa delle mie parole ti ha addolorato e portati un sorriso che nasce dal cuore a farti compagnia.
L’unica cosa che desidero ancora dirti/chiederti è questa: " non preoccuparti per me ma dimmi: hai verificato/confrontato la tua decisione con una persona di tua fiducia?" La mia richiesta non vuole rappresentare per te un obbligo di risposta, ma calma un po’ una sorta di "ansia materna" che m’ha preso.
Un abbraccio
Rosella
letta
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Caro Michele,
posso chiamarti "Lupo solitario" (solo per questa volta)?
Ebbene sì, tu mi aiuti molto a crescere, nell’ attenzione all’Altro, proprio perchè sei diverso.
Io son forte e fragile, contemporaneamente.
Non ho disciplina ed anche, spero che la mia sia un’errata convinzione "Che tanto nessuno può capire nessuno"; per cui tra tante mie chiacchiere, viaggio "quasi da sola".
Tu mi costringi, per come sei fatto appunto, così diverso, ad ASCOLTARTI OLTRE LE PAROLE e ciò mi educa ad un’ attenzione che non mi è naturale.
Dialogare con te quindi MI FA CRESCERE.
La mia proposta è questa.
Non monopolizziamo il blog, ma aderiamo ad un dialogo che ci venga spontaneo in base agli argomenti, con una sorta di "leggerezza nel dirci"; e lasciamo che lo Spirito di Vita agisca tra e in noi.
Quando sgarro redarguiscimi (ti ho promesso di essere più umile… ma non mi viene proprio naturale sai?) e se dico qualcosa che ti fa male, fammelo sapere semplicemente… e per-doniamoci a vicenda.
Seguirò le tue indicazioni per leggere Evagrio (quasi sta diventando uno di famiglia, un nome familiare appunto) poi ti farò sapere.
Un abbraccio
Alla prossima
letta