Il primo indizio, per chi segue la liturgia quotidiana della Chiesa, è la lettura di giovedì scorso. Cristo (Luca 12, 49-53) dice: non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione, “e in una famiglia di cinque persone tre saranno divisi contro due e due contro tre, si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”. Il secondo (ancora Luca, guarda caso un medico, 12, 54-59), il giorno successivo: “Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice (…) e ti getti in prigione”.
Tutto l’opposto dell’idea zuccherosa del bravo cristiano, buono e un po’ babbeo. A sfogliare il Vangelo, e a leggerlo con occhi moderni, sembra quasi che ciò che più prema a Cristo sia, non tanto una velleitaria fratellanza, ma l’invito ad accogliere i conflitti in cui è immersa la nostra vita. A cominciare da quelli con i nostri familiari, i nostri padri, le nostre madri. “Non opponetevi al male”, ci dice. Restateci dentro, insomma. Non tiratevi indietro, non ignorateli. Scavate nel vostro male. Guardate ai veleni delle vostre relazioni senza menzogne, senza maschere. Anche a costo di mettervi contro chi vi sta vicino, anche a costo di snudare la spada. E nel caso, non limitatevi allo scontro sterile, alla scenata fegatosa. Ma “accordatevi” con il vostro nemico, che è sempre un amico mancato, “accordatevi” con le vostre tenebre. Non nel senso del compromesso. Ma, come sottolinea una lettura del monaco MichaelDavide, nel senso proprio degli strumenti musicali, “accettando di tornare sui nostri passi e magari ricalibrando la tensione delle corde più intime del nostro cuore e della nostra mente insieme a quelle del nostro corpo, per ricercare un’armonia sempre possibile e sempre da ritrovare con pazienza”.
Che il cammino di fede non possa prescindere da un lavoro sul proprio inconscio, sulle proprie strutture psichiche distorte, l’aveva capito bene anche San Paolo, quando riconosce che in lui “non abita il bene”, che ha il desiderio del bene, “ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7, 18): “Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”, sintetizza in modo sconcertante.
Lavorare sui blocchi che ci paralizzano, sulle difese che ci portano ad agire in modo aggressivo, remissivo, sconsiderato, sapere ascoltare le parti malate senza rigidità, scoprirne le origini e liberarne la potenza distruttiva riconoscendole una a una, trascenderle e trasformarle nel talento che quasi sempre celano: questo ci dice in modo molto chiaro il vangelo. Meglio di un testo di psicanalisi.
Eppure, nella Chiesa, ma anche in tanti cammini spirituali pieni di buona volontà, il lavoro psicologico viene spesso ritenuto superfluo, quando non sospetto. Oppure accettato, ma come ambito del tutto scisso da quello propriamente spirituale: da una parte, insomma, una bella laurea in psicologia, dall’altra una mezzoretta di preghiera devota. O di meditazione buddista. Basta che tutto resti ben separato.
Il risultato, per chi guarda le cose con realismo, è spesso sconfortante. Capita, persino in religiosi dalla pratica costante e sincera, di avvertire manie di controllo che celano insicurezze infantili, pretese nevrotiche di perfezionismo spacciate per zelo, esaltazioni della sofferenza o della gioia che appaiono forzose, esasperate, prive di quel senso di liberazione che si trova nel linguaggio leggero del Cristo. Quando, in certi ambiti di fede, si accenna alla possibilità di affiancare alla preghiera un’indagine sull’inconscio, con un analista o magari con l’aiuto di qualche piccolo esercizio, ecco che scatta in automatico una barriera difensiva: un’alzata di spalle, uno sguardo sospettoso, un predicozzo che sa di scorciatoia.
Un pregiudizio, del resto, uguale e contrario a quello di molte persone che invece si muovono lungo il percorso della psicoanalisi o della psicoterapia, ma che guardano con sufficienza a una dimensione dell’anima più profonda. Una dimensione spirituale, appunto. Con il risultato che, a volte, la terapia libera effettivamente la persona dai blocchi che la tenevano legata, ma l’abbandona poi dentro deserti senza alcun orizzonte di senso e di speranza. Distruzione senza costruzione. Dunque, per certi aspetti, la lascia peggio di prima.
In questi giorni, dopo quasi ottant’anni di dinieghi da parte degli eredi, esce il Libro rosso di Carl Gustav Jung, il diario con cui il grande psicanalista svizzero testimonia il suo viaggio negli abissi della psiche. Un testo che si preannuncia straordinario: dove il cammino di ricerca dell’anima diventa un pellegrinaggio tra testi sacri, meditazioni, psicologia, letteratura, preghiere, sogni, archetipi e visioni folli che nulla escludono e tutto integrano, infischiandosene dei dogmi e puntando dritti alla potenza liberante dello Spirito. Senza la confusione in cui è scaduta la new-age, ma nell’atteggiamento creativo di San Paolo che invita a provare tutto ciò che serve per la nostra crescita scartando ciò che non serve, o di Sant’Ignazio che ci dice “todo modo”, tutti i modi sono validi se arrivano a Dio. Ecco, nell’esempio di un gigante del Novecento, la strada per una ricerca onesta e fruttuosa. Ma chi di noi ha davvero la voglia, la forza e il tempo per percorrerla fino in fondo?
Massimo Cerofolini
Grazie Massimo.
Concordo su tutto… una piccola battuta sulla tua domanda finale "per" alleggerire?" o forse semplicemente per concretizzare!
"E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che…"
"Chi si salverà?"
"Ciò che non è possibile all’uomo è possibile a Dio"
A noi tocca, solo fare il nostro gesto, umile e limitato: raccogliere da terra un sasso, è stato il mio.
Tutto il resto viene quasi da sè, come la vita.
Complimenti ancora
Un abbraccio
letta
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ciao Michele,
ma com’è che noi due non c’ intendiamo se "aneliamo" allo stesso Cristo?
Ma quale sarà mai l’armatura di Dio, con la quale rivestirci se non l’amore? che affonda una lancia affilata nel costato del per dono.
"Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno."
Perchè mai, pretendere da sè stessi una perfezione impossibile, senza lasciarci corrispondere da ciò che anche gli altri possono offirci.
L’esperienza della solitudine, non è solo una crocifissione nella carne.
Il mio Cristo ORA E’ RISORTO ed opera nella storia come tale, con la potenza del Suo Amore, sul quale io CI FACCIO CONTO per avere la forza di accogliere tutto il mio limite e le mie colpe nel Suo per-dono.
Così che il mio dolore sia più lieve. Portandolo in due.
L’esperienza della solitudine può condurre anche ad un dialogo interiore che è RELAZIIONE con lo Spirito d’Amore e COMUNIONE tra i fratelli… dovrei dire i SANTI (ma qui tu mi apri un’altra pagina… )e non sempre e solo al deserto, come se fosse una trincea: una condanna a vita.
Ti voglio bene.
Un abbraccio
Rosella.
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Grazie Massimo per questo tuo contributo, concordo in pieno con la tua analisi e solo ora
mi rendo conto dell’importanza di questa prossima pubblicazione del grandissimo psicanalista
che correrò a comprare quanto prima. Ci hai dato modo di riflettere con profonda lucidità
sul nostro lavoro all’interno dei gruppi, fornendo uno stimolo di meditazione in più.
Ottimi i tuoi richiami ai brani delle letture.
Ancora grazie.
Un abbraccio.
letta
Di Jung ho letto con molto interesse un libro uscito nella BUR alcuni decenni fà: Ricordi, sogni, riflessioni. E’ lo stesso che presto sarà pubblicato come Libro rosso?
A proposito del contributo che la psicoanalisi può offrire alla vita spirituale, posso affermare che a me l’essere stata in analisi per circa 8 anni, da una onesta professionista di scuola neofreudiana, ha aiutato a maturare sia nelll’ambito delle relazioni umane sia nella relazione con Cristo. L’immagine infantile e distorta che avevo di Dio si è eclissata per lasciarmi libera di credere in un Dio più umano.
Gesù ci ha detto: la verità vi farà liberi, l’analisi è un cammino verso la verità su di sè, sul proprio passato, sulle propri e convinzioni e sceltei. Sono convinta che l’analisi mi ha aiutata a maturare come persona e come cristiana.
letta
Carissimo Massimo, grazie, un testo davvero puntuale e preciso.
La sinergia tra lavoro di autoconoscimento psicologico e pratica cristiana è proprio uno degli scopi principali della sperimentazione dei nostri gruppi.
Si tratta in fondo di dilatare l’esame di coscienza fino a quelle dimensioni che sono spesso occultate dalla nostra stessa coscienza ordinaria, che può presumere di essere "cristiana" e custodire aspidi e serpi nel cuore.
D’altra parte credo che il lavoro psicologico debba essere orientato (e illuminato) per non aggrovigliarsi in se stesso, per non chiuderci in un’analisi infinita delle nostre "rogne", e in un atteggiamento di perpetuo vittimismo: mamma e papà mi hanno ferito etc……
La preghiera e la meditazione inoltre ci fanno sperimentare già ora, a tratti, quella libertà, cui aneliamo, e così anticipano in un certo senso i processi liberatori che l’elaborazione interiore prepara.
In questa chiave la conoscenza psicologica non è in nessun contrasto con la fede, ma anzi può diventare uno strumento di purificazione della fede stessa da tutte quelle configurazioni egoiche che la deturpano.
In tal senso consiglierei a Michele di soffermarsi su questo bel pensiero di Massimo:
"Lavorare sui blocchi che ci paralizzano, sulle difese che ci portano ad agire in modo aggressivo, remissivo, sconsiderato, sapere ascoltare le parti malate senza rigidità, scoprirne le origini e liberarne la potenza distruttiva riconoscendole una a una, trascenderle e trasformarle nel talento che quasi sempre celano: questo ci dice in modo molto chiaro il vangelo. Meglio di un testo di psicanalisi."
L’unico sicuro effetto della nostra fede, infatti, è la dilatazione del cuore, e l’amore perfino per chi ci rifiuta e detesta.
Ogni altro parametro risulta relativo agli occhi del Cristo, e facilmente utilizzabile proprio dalle potenze dell’odio, che conoscono a memoria la Bibbia e credono in Dio e in Gesù, ma non conoscono l’amore, il perdono, né la gioia.
Grazie di nuovo, un abbraccio
Marco
letta
Caro Massimo,
grazie per questa tua intensa meditazione, che mi ha fatto riflettere.
Credo che viviamo in un momento storico nel quale anche la dittatura dello psicologismo sta vacillando. Siamo stati abituati per decenni a ragionare soltanto in termini di riduzionismo psicologico, a interpretare ogni nostra vicenda come un risultato di causa/effetto psicologico (penso a molti film di Woody Allen, che spiegano meravigliosamente questo), salvo poi scoprire che la psicologia non spiega di per sè tutto – anzi, spiega ben poco – e che soprattutto non porta direttamente alla felicità. Spesso, anzi, all’opposto (quando poi c’è quell’aggrovigliamento di cui parla Marco).
In questo senso mi sembra davvero esemplare la serie televisiva ‘In Treatment’, di cui mi pare proprio Massimo ha già scritto su questo blog. Un bellissimo lavoro di fiction che esprime come meglio non si potrebbe, la crisi che la terapia psicologica/psico-analitica sta affrontando in questo scorcio epocale.
Ho letto con molto interesse le anticipazioni sul ‘Libro rosso’ di Jung sui giornali, e credo che sarà una lettura straordinariamente interessante quando verrà tradotta e pubblicata in Italia (per maria pia: no, non è lo stesso libro, è anzi un testo finora rimasto sempre inedito, e conservato gelosamente dagli eredi in una cassaforte svizzera).
Considero l’opera di C.G.Jung un’opera ‘vivente’ che – proprio perchè ha spalancato le porte della psicologia all’oltre – ha molto da dire all’uomo di oggi.
Grazie, Massimo.
Fabrizio
letta
Impossibile è ormai per me separare il lavoro su me stessa da quello di continua ricerca dello Spirito. Mettermi sempre in discussione ma perdonandomi ogni volta (per me fino a qualche tempo fa era impossibile), cercare come migliorare per avvicinare ed aiutare sempre di più l’altro.
Questo continuo lavoro nel concreto di ogni giorno, nella quotidianità è stata una piccola, piccolissima conquista grazie al lavoro dei nostri gruppi e grazie all’esempio di Etty Hillesum, che anche tu Massimo ami tanto.
Quando aveva ormai visto il vero “inferno” nel campo di Westerbork lei non inveiva contro i suoi carcerieri ma scriveva questo:
“Volevo solo dire questo: la miseria che c’è qui è veramente terribile – eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore s’innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare -, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi”.
Gabriella S.
letta
Grazie davvero per un tema di riflessione sempre più importante. Mi piacerebbe, Massimo, che tu, magari più avanti, lo affrontassi anche alla luce del sacramento della riconciliazione e sulle sue analogie con l’introspezione anche a livello psicologico.
Ciao a tutti.
letta
Grazie!