Carissime amiche e carissimi amici,
l’essere umano ha sempre avuto bisogno di modelli da imitare, anzi si può dire che le culture storiche si formino proprio attraverso l’imitazione di specifici modelli di umanità.
L’antropologia ci insegna che gli uomini sono dominati da intensissimi desideri, che però spesso non hanno alcun oggetto predefinito. René Girard precisa: Una volta che i loro bisogni naturali sono soddisfatti, gli uomini desiderano intensamente ma senza sapere con esattezza che cosa, dato che nessun istinto li guida.
Da qui la necessità dell’imitazione.
Il bambino impara molto presto a desiderare ciò che gli adulti considerano importante, e ad imitarne il desiderio.
Il desiderio mimetico crea così i linguaggi e le culture.
Uno dei segni dell’esaurimento della nostra cultura occidentale è proprio che non possediamo più modelli di umanità da imitare, per cui i desideri dei nostri bambini non vengono più indirizzati verso l’imitazione di una qualche grandezza umana, e possono perciò scatenarsi tra gli oggetti del supermercato tecnologico ed il caleidoscopio accecante delle più varie, e spesso oscene e folli, immagini virtuali.
Se poi un gruppo di dodicenni violenta una coetanea tutti sembrano scandalizzarsi, quando non facciamo altro che educare i nostri bambini a credere che non ci sia più nessuno che valga la pena di imitare, se non forse qualche calciatore o ragazzina sculettante sul video, condannandoli così letteralmente a uscire dalla civiltà umana, e a divenire dei miseri, insaziabili e infelici, consumatori in-civili appunto.
In realtà noi umani abbiamo un bisogno straziante di imitare modelli che ci aiutino a diventare noi stessi. Chi, come i corifei delle culture postmoderne, pretende di non imitare nessuno, e di farsi tutto da sé, finisce irrimediabilmente per imitare il peggio dell’umano, quella galleria di mostriciattoli più o meno ributtanti che le televisioni continuano a propinarci giorno e notte, e di cui i giallognoli e acidi Simpson sono forse la rappresentazione più nobile e luminosa
Così il postmoderno newyorkese o milanese finisce per farsi per davvero “tutto da sé”, self made man appunto, ma per farsi “tutto di merda”, come cantava amaramente Gaber una trentina d’anni fa.
Come possiamo allora ricostruire modelli umani credibili e affascinanti, dopo tutte le dissoluzioni, le contestazioni antiretoriche, e le perdite di ogni tipo di aura, proprie della modernità e del nichilismo?
Chi potrà essere l’Uomo Vero e la Vera Donna da imitare, mentre questo teatro di marionette, questo mondo di figurine d’altri tempi, già scadute e andate a male, precipita nel suo caos liquido, e cioè nel suo liquame fognario?
E’ come chiederci: quale cultura umana saremo in grado di costruire sulla terra a partire dal XXI secolo, in questo terribile e affascinante spartiacque eonico?
Io credo che il nuovo modello umano da imitare, e quindi da diventare, si stia già formando in noi, e nasca da una sintesi inedita tra i caratteri più autentici della santità della tradizione cristiana e quelli più nobili propri dell’uomo moderno.
Il modello umano che si sta formando in noi è cioè un modello di nuova integrazione, di armonizzazione tra caratteri apparentemente opposti, quali la più ampia autonomia soggettiva e la più stretta inter-relazione non solo umana ma addirittura cosmica, la passività dell’ascolto e la creatività imprenditoriale, la libertà e l’obbedienza.
Questa nuova figura di umanità, per limitarci ad un solo esempio, è perfettamente consapevole che lo scopo della vita è la libertà, la sempre più libera espressione del proprio essere, e che l’obbedienza è solo una virtù condizionata, utile cioè solo se finalizzata all’ampliamento delle sfere della nostra liberazione. Ma sa anche che una libertà intesa come sequela caotica dei propri capricci momentanei, e cioè svincolata dall’ob-audienza di ciò che di più profondo è in noi, non conduce affatto alla nostra realizzazione umana, ma all’abbrutimento e alla schiavitù.
Nel 2002 la Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori (CISM) tenne a Collevalenza un convegno proprio sul possibile rilancio del concetto di santità, e mi chiese di svolgere un intervento introduttivo, una sorta di provocazione, che svolsi in 3 tesi, in cui appunto tentavo di coniugare il modello tradizionale di santità cristiana con i concetti moderni di autenticità e di auto-realizzazione.
Le 3 tesi/provocazioni erano queste:
1) il santo è la persona più libera e più creativa che ci sia al mondo: la persona che realizza la propria sovranità rispetto ad ogni potere politico o religioso;
2) il santo celebra e trans-figura tutta la vita terrena senza condannare alcun aspetto vitale;
3) diventiamo santi guarendo da tutte le distorsioni e le dipendenze interiori, anche da quelle religiose: la santità è salute e salvezza sperimentate e condivise.
Potranno questo Uomo e questa Donna maggiormente integri divenire i nuovi modelli di umanità da imitare, e cioè i paradigmi di una nuova cultura planetaria?
Potrà l’integrità che è pienezza umana, salute, creatività, pace, potenza, in base alla catena etimologica che dal greco solfos/olon, attraverso il latino salus, arriva fino a sano, salvo, integro appunto, health, holy, heilige, wohl, etc. divenire il carattere principale del nuovo modello di umanità nascente?
Io credo di sì, io credo che questa umanità più integra e quindi più felice si stia già formando in noi, e che saprà conciliare e sintetizzare in forme nuove e inedite i grandi tesori della tradizione spirituale ebraico-cristiana, le grandi acquisizioni, anch’esse sostanzialmente evangeliche, della modernità, insieme agli straordinari insegnamenti che ci vengono da tutte le altre tradizioni culturali e spirituali della terra.
E non sarà questa una forma nuova e più radicale di imitazione dell’Uomo pienamente realizzato nella sua natura divina, e cioè di Imitatio Christi?
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Carissimo Michele, io nemmeno mi sento "ottimista", e neppure "pessimista".
Credo che la mia posizione interiore possa dirsi "apocalittica": io penso che il nostro tempo stia precipitando verso un punto di svolta, e che questo moto di accelerazione sia al contempo un andare verso il peggio e verso il meglio.
La speranza che mi anima è quella biblica cioè, quella pasquale, che niente può distruggere, nemmeno l’oscurità del venerdì santo, in quanto è proprio allora che è più prossima la luce della rinascita.
Come sta la salute?
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ciao Michele,
sono contenta di leggerti.
Penso che tutti abbiamo un compito nella vita a cui non possiamo sottrarci.
Io sono madre, come lo era la mia di madre, ma non sono la stessa madre.
Nella vita avrei dovuto TESTIMONIARE ai miei figli che "la vita è bella e degna di essere vissuta". Questa la filosofia di mio padre – quella di mia madre, in italiano non rende, comunque, il senso è "Il Santo Ingegno è il protettore dei poveri diavoli".
Per anni non sono stata all’altezza del mio compito, ben oltre la loro infanzia.
Ho insegnato loro strategie di sopravvivenza, passando (e dicendolo anche spesso) che " la vita non era degna di essere vissuta, non ne valeva la sua pena, il suo dolore…".
E’ un danno che non potrò mai sanare . Non io! ed "a prescindere" dalla colpa.
Eppure, oggi credo fermamente che anche i miei figli sono risanati, come lo sono io, vedo già le gemme di questi mutamenti.
Chiedere allo Spirito di vita la Santità, come la salute, per noi, per i nostri cari e per i nostri nemici, affidandoci ed operando al meglio delle nostre capacità in ciò in QUESTA MENDICANZA DI PER- DONO PER- DONARE è chiedere il necessario, non altro, non "il di più".
Razionalmente ed emotivamente la percepisco una follia.
Sì è una follia! ma "una follia che MI ANIMA" che mi da il gusto di vivere la vita.
Non chiedo altro.
Che vuoi, può essere persin piacevole uscire e respirare; lasciando che i polmoni dilatino per inalare "riscaldando" il freddo vento del nord.
Stai al caldo mi raccomando, ed abbi cura di te.
Ti abbraccio
Rosella
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Credo di capire che la via proposta da Marco, sia in qualche modo "sperimentale": difficile dire se al suo compimento avremo realizzato la "santità". Stiamo come in bilico tra salvezza e fallimento, sempre, ogni volta che pensiamo, facciamo o diciamo qualcosa. Occorre essere così pazienti da attendere i frutti del nostro vivere e del disegnarci nella vita e come vita.
E’ vero che mancano i modelli, ma è ancor più vero che ci manca l’umiltà di seguirne qualcuno. Anche privati della vista ci ostiniamo a voler fare da soli, perché altrimenti il nostro "prestigio", direbbe Simone Weil, ne risentirebbe. Imporre all’altro quel potere che non abbiamo per davvero, farlo tremare per quella paura che non possiamo realmente fargli provare. Salvare la nostra "immagine forte", chiusa come una sfera diabolica. Ecco quel che spesso facciamo pur di non ammettere che abbiamo bisogno. E questo bisogno oggi lo avverto come desiderio di liberazione, o di amore, se volete.
Grazie a voi tutti. Cari saluti.
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… sai Renato,
penso che la questione fondamentale sia la modalità di DECISIONE nel seguire qualcuno.
Noi siamo comunque dei modelli, ad esempio nel mio caso (soprattutto grazie alla serenità/calda donata loro da Gianni) i miei figli hanno deciso e me lo hanno esplicitamente detto in faccia che "dato che c’erano" avrebbero tentato di vivere, ed a modo loro, stante me: "e che non rompessi troppo le cosiddette".
Ora sorrido, molto. Sono proprio felice di questa loro decisione; lo ero anche quando me la comunicavano e soprattutto l’agivano… senza dimenticarne l’angoscia.
Penso che nella nostra famiglia abbiamo trasmesso un valore unitario, quello della LIBERTA’.
L’unico che abbiamo realmente incarnato, testimoniandolo insieme.
Una libertà che trova in sè stessa la capacità di seguire un testimone credibile, altro da sè… in fondo "uno che non si propone come Maestro indiscusso" ma solo uno in cui "sei tu che riconosci in quello che ti propone, una via sperimentata e sempre in sperimentazione", uno seguendo il quale sperimenti che "la primavera" si rinnova dentro di te, nasce un gusto che si fa speranza e vita.
Sei tu che decidi… chiarisco meglio : è l’allievo che segue il testimone e che gli dice "tu mi sei Maestro".
Non ci sono VERI MAESTRI tra di noi se non quelli che sono riconosciuti da un allievo che li segue, per quel tanto o poco di verità che incarna NEL MOMENTO OPPORTUNO.
Il problema reale dal mio punto di vista è: come si accoglie UN DONO?
… che è la parte in ombra, della domanda: come si forma un discepolo?
Ciao
Auguri per tutto e per tutti i tuoi cari, allievi compresi!
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… mi sta succedendo una cosa sorprendente. Dopo aver scritto a Renato, concludendo con la domanda su: come si accoglie un dono? ho colto per la prima volta nella mia vita una vertà profonda:
gli unici Maestri che ho seguito da adulta sono stati i miei figli!
Dopo il 68 non avevo altro punto di riferimento che me stessa (della serie: l’utero è mio e lo gestisco io).
Mi sono sposata a 33 anni desiderando essere madre, con un uomo che desiderava essenzialmente (e più di me) diventare padre.
Sin dal concepimento mi sono lasciata fare dai figli … e non dall’esterno ma dall’interno della nostra relazione.
Non lo sapevo proprio ma loro sono stati i maestri di vita migliori che io potessi mai sperare d’incontrare.
Solo da poco sto riconoscendo che il legame che ho con Gianni è la libertà.
Ed anche questo è uno stupore, perchè "emerge come valore" tra montagne di detriti e rifiuti, ma forse se sono stata con mio marito è proprio perchè questo desiderio di libertà che entrambi abbiamo, ci ha fatto da collante… forse sono restata con lui perchè era proprio con lui che intendevo stare (desideravo mi pare veramente troppo ripensando ai miei vissuti del passato)….
Forse è ora che emerga anche un altro valore condiviso più o meno bene, ma comunque condiviso:
" Il il rispetto per l’altro, che fonda il rispetto per me stessa"
Forse nella consapevolezza di essere in una relazione che informa il tutto contemporaneamente, possiamo , liberamente aderire ad ogni legame di VITA vera SIGNIFICATIVA per noi per crescere, ormai adulti (vecchi nel mio caso), come testimoni.
Ma pensa tu!
grazie di tutto, Marco Guzzi e
grazie a tutti.
letta
Carissimo Michele, sono contento che tu stia meglio.
Io credo che le apparizioni mariane moderne, iniziate intorno al 1830 e arrivate a quelle attuali di Medjougorie, costituiscano un segno importante di questa fase terminale della storia.
Possiamo credervi o meno, in ogni caso rappresentano un fenomeno religioso straordinario, che non si può ignorare.
Un fenomeno che indica qualcosa, e cioè una qualificazione di questi tempi come speciali, terminali appunto, ma non in un senso negativo.
Anzi: tempi di grazia, per chi comprenda che stiamo andando in una direzione senza vie di uscita.
Purtroppo la cultura europea, come segnala Fabrizio nel suo ultimo post, è rattrappita nei suoi pregiudizi, dice che tutti hanno ragione, ma poi sa dare ragione solo ai propri amichetti, ai lettori di Repubblica o del Corriere, che esultano per il nichilismo di Galimberti, e acquietano la loro disperazione con viaggetti a Parigi per l’ultima sfilata di moda o a Cuba, perché lì c’è la vera libertà…
Spazzatura!
Maria parla un linguaggio semplice ma anche tremendo: a Fatima profetò cose terribili, e mi pare che dal 1917 ne abbiamo visti di orrori.
Il messaggio centrale resta valido: nella direzione della morte si trova solo la morte.
Che i vari scribacchini odierni lo riconoscano o meno.
Ciao. Marco
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Marco Guzzi,
avrei una domanda da porti sul fatto dell’"accelerazione dei tempi che sta precipitando verso il punto di svolta".
La questione è questa :"da dove, come o chi impone, pone in essere questa accelerazione?
Mi spiego, ho come l’impressione che noi uomini REMIAMO CONTRO QUESTA ACCELERAZIONE anche in senso sociale, in modo analogo a quando abbiamo delle resistenze interiori nel lasciarci condurre sino al luogo dell’angoscia della nostra IMPOTENZA, la ferita ultima, quella in cui siamo risanati.
Equivale forse un poco, al No che emerge talvolta nella meditazione, forse.
Questa faccenda è poco più di un’intuizione legata alla battuta che ho fatto a Marco F, sul lasciare tutti i motorini fermi e prendere i mezzi pubblici o la macchina paralizzando Roma.
E PERCHE’ NO?
Io la vedo così: Checosa ha permesso a Gandhi di attuare la rivoluzione non violenta? Il fatto che UNA CULTURA , quello in cui lui agiva, nasceva da alcuni elementi omogenei, e quindi "l’incarnazione DELLA NON VIOLENZA" è stata così potente da muovere un popolo.
Però questa era comuque "contrapposta" intrinsecamente violenta anche se senza l’uso delle armi (cosa non da poco, intendiamoci):
Mi pare che possa emergere una consapevolezza diversa, una tecnica della confusione, se si vuole, che si avvalga dell’uso semplice della legalità (usare tutti i mezzi pubblici per andare al lavoro, pagando pure il biglietto è semplicemente un diritto riconosciuto dalla legge)
La mia "nuova visione sociale" è questa, poco più di una intuizione.
Lo sciopero della fame, ha fatto la sua storia, così come i partiti, ma un movimento culturale che operasse in modo accelerativo verso il precipitarsi degli eventi, potrebbe fare la differenza.
Una volta l’ho detto per la striscia di Gaza (ma è valido per tutti i luoghi della terra), se noi tutti chiedessimo un visto per Gaza… utilizzando le nostre ferie IN MODO CREATIVO che rischi la nostra propria stessa vita; decisi ad andare inermi a visitare ALTRI POVERI come noi.
Un giorno dopo l’altro, ogni giorno un sacco di gente che va a Gaza ed altrove: IN VISITA sollecitando "per noi" l’ospitalità che tutti i popoli hanno sempre accordato ALL’OSPITE SACRO lasciando semplicemente il segno della nostra RICONOSCENZA per essere stati accolti in mezzo a loro…
Ci vuole un desiderio grande dento il cuore ed una comunione cosmica.
Più vicino a noi, se noi tutti utilizzassimo ogni giorno per un mese o per tutto il tempo necessario, i mezzi pubblici " collasseremmo il sistema", accelerando una riconsiderazione del servizio bubblico più efficace.
Invece con le nostre "soluzioni costrette" di fatto rallentiamo questo tipo di ri-soluzione che è l’unica umanamente adeguata, al momento sostenibile dal pianeta e dalle sue risorse, (ed anche dalle nostre ormai stremate forze, da moltissimi punti di vista)
Barcamenandoci come possiamo per "tirare avanti" di fatto non solo non tiriamo avanti ma tiriamo indietro, rallentiamo quella che è una possibilità di benessere maggiore; e nel tirare avanti siamo conniventi con tutto quello che non riteniamo opportuno.
Penso che il futuro della politica sia nei movimenti d’opinione che pongano in essere una "cocsienza condivisa degli obiettivi "a cui si può aderire liberamente con una mobilitazione di massa, culturalmente disposta a pagare di persona, proprio "come fosse una guerra di liberazione " favorendo cambiamenti catastrofici appunto: tutti in fila alla fermata dell’autobus e con il biglietto in mano.
Forse non ci sarà concesso di vivere quest’avventura "personalmente" , ma penso che sia opportuno cominciare a considerarne l’idea.
La mia domanda è:
COME SI COMPORTANO I PROCESSI ACCELERATIVI ? sia rispetto alla/e massa/e?
sia dal punto di vista meccanico che da quello degli esseri umani?
In fondo io non mi rendo conto di girare come una trottola in questo stesso momento.
Seduta FERMA mentre batto su di una tastiera. PERCHE’?
Bene – questa è la mia prima visone sociale e per quanto FOLLE (folle in quanto è come la faccenda dell’uovo di Colombo), per quanto scontata, io ne sono soddisfatta.
Ora FINALMENTE mi taccio.
buona giornata a tutti.
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Carissima, non è facile rispondere alla tua domanda.
L’accelerazione del tempo, infatti, non può intendersi in senso meccanico, come se il tempo fosse qualcosa di autonomo e distinto dall’anima umana, dalla nostra esistenzialità.
Per cui, quando parliamo di una ritmica del tempo, non possiamo che parlare dei processi propri dell’esistenza storica umana.
E’ cioè la storia, quel particolare tessuto delle nostre vite, che vive un processo trasformativo accelerato.
Sono le nostre esistenze che stanno precipitando verso uno sbocco, che è, credo, in realtà un salto evolutivo.
Per cui questo precipitare potrebbe essere anche visto come un elevarsi vertiginoso.
Dipende con quale parte di noi ci identifichiamo.
letta
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Carissima M., mi verrebbe da chiederti su quali santi ti sia soffermata e se tu abbia riscontrato in essi caratteri e qualità particolarmente utili per noi e il nostro tempo.
Grazie e a presto.
letta
Marco, Condivido quanto tu hai scritto.
L’uomo ha bisogno di modelli e secondo me ce ne sono. Pochi, ma ci sono.
Il fatto di lamentarsi in continuazione e constatare che tutto va a rotoli….può diventare un alibi a NON fare…
PIù CHE LAMENTARSI, OCCORRE RIMBOCCARSI LE MANICHE e nel nostro piccolo TUTTI possiamo fare qualcosa di buono e diventare per un attimo, una a zione, un esempio…modelli di vita per altri.
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Cara Maria,
hai ragione, ogni analisi sulle difficoltà del tempo e sulla sua povertà, da tanti punti di vista, ha senso solo se diviene una spinta alla trasformazione, all’invenzione, direi, a diventare ciò/chi si vorrebbe vedere o incontrare..
Questa è stata un po’ la molla della mia vita.
Intorno ai 20/25 anni, dopo avere visitato tanti poeti e filosofi, e non avere trovato quella tensione e quella forza che sentivo necessarie, decisi che avrei dedicato la mia esistenza al tentativo di diventare la persona che avrei voluto incontrare a 20 anni.
Sono, probabilmente, ancora lontano, ma questa impostazione credo che mi abbia sempre preservato dall’involuzione nell’astio impotente della vana lamentazione.
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