Ancora una volta gli italiani sono stati chiamati a votare. Ma a votare per cosa ? In rappresentanza di cosa e di chi ? Per realizzare quali intenti e quali aspirazioni ? Per eleggere chi ?
Credo che davvero il sistema di rappresentanza politica, in tutto l’Occidente, sia entrato da tempo in una crisi che forse sta raggiungendo il suo punto più basso.
Ed è una crisi che a quanto pare coinvolge anche la stessa concezione di rappresentatività democratica, nella accezione che oggi diamo a questa parola.
Davvero con l’attuale sistema di rappresentanza politica democratica, il cittadino vede riconosciuto il proprio diritto a contare e a decidere ?
Decidere cosa ? I nuovi sistemi elettorali sembrano ormai sempre più confezionati come strumenti dove tutto o quasi è già deciso, a partire dalle persone che possono/debbono essere eletti.
I cittadini non possono scegliersi liberamente i propri rappresentati. Esprimono un voto di gradimento a quello che – nella assenza di specifici programmi elettorali – è spesso semplicemente un ‘marchio’. Dicono sì o no a un prodotto che qualcun altro ha scelto per loro. Sono chiamati a svolgere la funzione di consumatori di una offerta ‘politica’ – più che di elettori (coloro che dovrebbero scegliere ‘secondo la propria volontà’ chi è più adatto a rappresentarli, nella ‘società civile’).
La classe politica attuale è ormai una ‘casta’ – termine molto inflazionato ma efficace – che vive e consuma i suoi privilegi, totalmente scollata dal resto della società. Che prende decisioni dall’alto (le leggi di iniziativa popolare sono ormai praticamente scomparse dal panorama politico) e che chiede semplicemente al Parlamento di ratificarle con un voto formale.
E’ conseguente che allora, in questo sistema, prevalga sempre e comunque chi è più bravo ad orientare i gusti del pubblico (è meglio chiamarlo così, piuttosto che dell’elettorato) e a vendere le facce giuste e i pochi slogan che contano e che possono arrivare direttamente agli orecchi di chi è chiamato a votare.
Non sorprende perciò che anche questa volta la percentuale di astenuti al voto sia cresciuta in modo esponenziale. Un +7,8% che sul dato nazionale vuol dire quasi 15 milioni di persone che non è andata a votare.
Ma anche questo segnale serve a qualcosa ? Ne dubito fortemente. Degli astenuti si parlerà per un paio di giorni, poi tutto ricomincerà come prima: governanti e classe politica chiusi nei loro dorati privèe (dove accadono anche cose molto poco edificanti, come ci viene raccontato ogni giorno) e massa dei cittadini divisa tra frustrazione, invidia (i furbi hanno sempre ragione), e rassegnazione.
Fabrizio Falconi
Caro Fabrizio, scrivo qui semplicemente perché è il venerdì santo (senza alcun riferimento al voto, ma con qualche riferimento a frustraziojne, invidia, rassegnazione).
Il Venerdì santo è un giorno paradossale, che riassume ogni contraddizione: è il giorno della violenza e della riconciliazione, del dolore e della consolazione, della tristezza e della gioia, del delitto e dell’assoluzione, dell’odio e del perdono, dello smarrimento e del ritrovamento, della separazione e dell’incontro, della condanna e della salvezza, dell’assenza e della presenza, del dubbio e della fede.
E’ il giorno di Pasqua: trasfigura la morte in sorgente di vita.
Perciò Cristo non è un morto da piangere, ma il Salvatore davanti al quale piegare le ginocchia in adorazione, invocando Kyrie eleison per noi e per l’umanità intera.
Buon venerdì "santo". Corrado
letta
mi associo a Corrado, condividendo la mia meditazione odierna
… "Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno"…
Vi faremo la cosa peggiore che si possa fare a un avversario:
vi toglieremo il nemico.
(Georgij Arbatov, consigliere di Gorbaciov)
… a quanto pare non è bastato!
togliere il nemico intendo… .
l’uomo si fa da sè, tutto ciò
che serve alla propria ed altrui
morte. Non ha bisogno di un nemico
lo proietta sullo schermo dal proprio sè
Lo trae, neppure tanto a viva forza,
dal proprio pozzo e lo appende lì,
all’aria. Fuori con tutti gli altri corpi
esposti ad uno ad uno, in bella vista,
candidi come sepolcri. Quasi
a voler contare "spora per spora"
la rossa umanità Sacra della Sindone.
letta
come regalo di Pasqua ho ricevuto da un’amica questo brano scritto da Aldo Moro nel 1945 . Io lo trovo molto illuminante anche per la situazione politica attuale e consonante, per alcuni aspetti al nostro lavoro di formazione di una nuova umanità.
Aldo Moro, Il nostro tempo
[Studium, marzo-aprile 1945, n.10, pp.269-270]
Possiamo guardare con fiducia all’avvenire? E possiamo attendere con serenità al nostro lavoro, ad ogni nostro lavoro, nella certezza che esso serve pure a qualche cosa, che la vita non è vana, che è anzi degna e buona? Certamente il guardare lontano ed anche intorno a noi, non è esperienza tale da rassicurarci: rovine, miserie, insincerità, decadenza e stanchezza in tutto ed in tutti. Ma forse guardare in noi può darci un senso maggiore di pace e di fiducia?
Purtroppo no. Se siamo anzi sinceri con noi stessi, dobbiamo riconoscere che la radice vera di questa diffusa inquietudine che pesa su di noi e toglie respiro alla vita, è proprio nella nostra anima. Siamo noi inquieti, impazienti, esasperati, preoccupati, sempre in posizione di difesa e di offesa, senza comprensione né pace. Non possiamo gettare tutta sugli altri la responsabilità di questo stato di cose e sentirci nemici in un mondo nemico, se noi per primi non sappiamo capire, compatire, amare; se non sappiamo sciogliere nel nostro spirito, che batta per primo la difficile strada, questo gelo di sfiducia e di stanchezza che impedisce ogni movimento, che frena in noi ogni generosità, che ci fa morti in un mondo di morti.
Non possiamo dolerci del nostro tempo, finché non abbiamo fatto la prova della comprensione e dell’amore, finché ciascuno di noi non ha lavorato, proprio in mezzo alla tempesta, per farsi diverso e migliore, finché non si è tentato di placare l’ansia e l’impazienza, per vedere, finché è possibile, cose serene e normali, i profondi motivi umani e costruttivi di questa tragedia, affioranti dall’abisso in cui siamo caduti.
Come siamo facili tutti alla condanna! Come ci piace estraniarci dal nostro tempo, per scuotere da noi pesanti e fastidiose responsabilità! Non amiamo il nostro tempo, perché non vogliamo fare la fatica di capirlo nel suo vero significato, in questo emergere impetuoso di nuove ragioni di vita, in questa fresca misteriosa giovinezza del mondo. Niente è finito per fortuna, niente è irrimediabilmente perduto, malgrado lo sperpero che si è fatto della bontà e della pace, malgrado l’oscurità sconcertante di questa che pur sappiamo esser un’aurora. Le forme, sì, possono far male; può spaventare il peso di irrazionalità, di eccesso, di violenza che accompagna il nascere faticoso di un altro mondo, il nostro, lo svolgersi significante di un tempo nuovo, il nostro, quello nel quale siamo stati chiamati a vivere.
Ma appunto per questo il nostro dovere è di non essere né impazienti né superficiali, di saper vedere ed aspettare, di accettare la mortificazione di non poter vedere con soddisfacente chiarezza l’ordine che questo disordine prepara, l’umanità nuova che questa disumana vicenda stranamente annuncia. E come è male essere frettolosi e disattenti osservatori e nutrire nel cuore una inutile e cattiva disperazione, così è male essere superficiali e frettolosi nei rimedi che vorremmo proporre per una rapida e completa sanazione di tutti i mali.
E’ come se oggi soltanto ci accorgessimo del male che è nel mondo, oggi che si è tutto spiegato e non c’è occhio che possa chiudersi ancora neghittosamente alla vista. Non pensiamo che questo tempo nasce da quello di ieri, nel quale abbiamo vissuto chiusi in noi stessi e colpevolmente ignari del domani che si preparava appunto in quella quiete apparente.
E’ come se occorresse far presto, impadronirsi delle leve di comando, disporre del mondo, dominarlo, conformarlo a nostro gusto. E non pensiamo che è terribilmente difficile dominare veramente la storia e che passare accanto, ignorandola, alla libertà incoercibile dello spirito, è come rinunziare per sempre a raggiungere la mèta, anche se si abbia l’impressione di fare più presto e meglio. Il problema è di saper rinunziare ad un successo immediato per uno lontano, ad un successo provvisorio e parziale per uno stabile e compiuto. Per questo bisogna ignorare l’inquietudine e la fretta, abbandonare lo stato di perpetuo allarme nel quale in fondo ci compiaciamo di vivere, per sentirci vittime di qualche cosa e protagonisti di una vicenda interessante.
Il nostro cammino è più lento e difficile. Una rinunzia momentanea può essere una grande tattica di combattimento; la pazienza, la misura, la serenità, la buona fede, la povertà dello spirito, il lavorare in profondità con lo sguardo rivolto lontano, sono le risorse dell’uomo spirituale, il quale crede nella vita e la ama. Di questa fede e di questo amore sopratutto noi abbiamo bisogno, un bisogno urgente. Siamo terribilmente stanchi di sentirci nemici fidati soltanto ad una buona arma; siamo stanchi di combattere sempre e a vuoto. Vogliamo illuminare l’oscuro avvenire ed amare il nostro tempo; non di un fiacco amore di convenienza e di supina accettazione, ma di uno operoso e pieno di fede, il quale sappia trasformare in silenzio ed in pace, poco a poco, ma sul serio, in profondità, per sempre.
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Grazie Mariapia di aver condiviso questo regalo di Pasqua davvero straordinario.
Mi ha colpito molto.
Le cose vere (quelle che si sentono in stato di integrità – come dice Marco) sono "sempre" attuali, fresche, capaci di orientare.
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Ringrazio moltissimo Maria Pia per aver postato questo scritto di Aldo Moro. Proprio in questi giorni sto rileggendo alcuni suoi scritti che mi paiono profetici. E sempre più la figura di Moro appare oggi come un ‘agnello sacrificale’, che ‘doveva’ essere sacrificato in nome della ragion di stato, e di quello che questa ragione ha prodotto nei successivi trent’anni.
Mi rammarico un po’ di aver postato un argomento così duro e laico nell’imminenza del Tempo Pasquale, ma ho soltanto cercato di esprimere il disagio di molte persone che oggi si trovano di fronte ad una totale mancanza di fiducia nei confronti della rappresentanza politica, di questa politica.
Forse, proprio in questa speranza, in questo tempo di Rinnovamento totale dell’Uomo, di ogni uomo, possiamo trovare un piccolo posto anche perché la vita sociale torni ad essere davvero più umana.
Un abbraccio a tutti, e l’augurio di una Buona Santa Pasqua di Resurrezione.
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Carissimo Fabrizio, grazie di questa provocazione politica.
Io credo che l’attuale povertà progettuale dell’azione politica, non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente, con diverse tonalità ovviamente, dipenda da un blocco della creatività culturale: la politica infatti è un’antropologia pratica, una branca cioè della filosofia.
Dove manca un progetto di umanità, o si trova bloccato a concezioni ormai superate, la stessa ideazione e prassi politiche si trovano paralizzate.
Ecco perché mi pare che oggi l’azione politica vera sia quella che incominci a disostruire i canali psichici e spirituali della creatività culturale.
In tal senso io interpreto i nostri Gruppi come forme di nuova politica, nel senso in cui per esempio Etty Hillesum intendeva la nuova azione storico-trasformativa, da radicarsi nel lavoro interiore.
Ciao e auguri.
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E’ maggio sulle rive del Mar Mediterraneo.
Piove e la piccola cittadina sembra completamente deserta.
Sono tempi molto duri, tutti sono indebitati e vivono sul credito.
Inaspettatamente un ricco turista arriva in città, entra nell’unico
hotel disponibile, mette 100 Euro sul desk della reception e si reca a
visionare le camere al piano superiore per sceglierne una.
Il proprietario dell’albergo prende la banconota e corre a pagare il
suo debito dal macellaio.
Il macellaio prende la banconota e corre a pagare il suo debito
con l’allevatore di maiali.
L’allevatore prende la banconota e corre a pagare il suo debito con
il fornitore di mangimi.
Il fornitore di mangimi corre a pagare la prostituta locale che in
questi tempi duri gli ha fornito i suoi servigi a credito.
La prostituta corre all’hotel e paga il proprietario per le stanze
che le ha affittato per portarci i clienti.
Il proprietario dell’hotel rimette la banconota da 100 Euro sul
bancone affinché il ricco turista non sospetti nulla.
In quel momento il ricco turista ritorna alla reception: ha
visionato le stanze, non le ha trovate di suo gradimento e così si
riprende i suoi 100 Euro e lascia la città.
Nessuno ha guadagnato qualcosa.
Tuttavia ora l’intera città è senza debiti e guarda al futuro con
molto ottimismo.
E questo è come il mondo occidentale sta facendo affari al giorno d’oggi.
letta
caro m,
e se questo fosse proprio l’inizio del cambiamento?
In fondo quando noi sperimentiamo "la conversione nel cuore" SIAMO GLI STESSI EPPUR DIVERSI e, solo dopo, cominciamo a porre gesti differenti.
Forse siamo più vicini ora ad un punto di svolta, di quanto siamo in grado di riconoscere.
Ho seguito con piacere la trasmissione rai del 4 Grazie!
Buon lavoro
letta