- L'intervento di Marco Guzzi e Fabrizio Falconi su Radio Uno Rai -
Più scendiamo nella confusione e nei conflitti che avvelenano le nostre vite, più diventano vere e profonde le parole scritte settant’anni fa da Etty Hillesum, la giovane intellettuale di Amsterdam uccisa nel campo di sterminio di Auschwitz. All’orrore estremo del male, quello senza paragoni storici prodotto dai nazisti, Etty sapeva reagire smarcandosi dall’odio, certo legittimo e comprensibile, che nutriva i suoi fratelli ebrei. E proponeva una via nuova, folle, ma straordinariamente vera: guardare prima al proprio marciume, estirparlo e dissotterrare quella potenza d’amore che sta in fondo alla nostra anima. Fino a imparare a lodare la vita sempre, malgrado tutto quello che può succedere.
Lo faceva con grande libertà creativa, con curiosità, pescando senza timori nel meglio della produzione e delle esperienze culturali e spirituali prodotte dall’umanità: la poesia, i testi sacri di tutte le religioni (ma in particolare la Bibbia), la letteratura, la preghiera, la psicologia, la meditazione, l’esercizio fisico, la scrittura, la filosofia, la vicinanza convinta verso il prossimo che soffre.
È la risposta che sempre più spesso cercano oggi gli uomini in ricerca. Una risposta per liberare la forza creatrice imprigionata dalle nostre paure e dalla nostra dipendenza dal giudizio altrui. Nei gruppi di Darsi Pace l’attitudine di Etty Hillesum è uno degli aspetti centrali alla base delle pratiche che vengono sperimentate. E anche i mezzi di informazione sempre più spesso si accorgono di lei, che è stata il cuore pensante tra le baracche del lager e che oggi è profeta di un’umanità nuova, liberata.
Nel link la puntata andata in onda sul programma Il viaggiatore di Radio Uno Rai. Intervengono, tra gli altri, Marco Guzzi, Fabrizio Falconi, Erri De Luca, Giuseppe Cederna, Enzo Maiorca e Angelo Branduardi.
http://www.radio.rai.it/radio1/ilviaggiatore/view.cfm?Q_EV_ID=313454
Per chi vuole approfondire la figura di Etty Hillesum, di seguito un intervento di Marco Guzzi.
UN DIO DA AIUTARE A NASCERE
Tutti concordano ormai sulla rilevanza storica degli scritti di Etty Hillesum, che vengono accolti come uno degli eventi spirituali più incisivi e sorprendenti degli ultimi decenni. E certamente poche pagine possono toccarci più a fondo di quelle in cui Etty esprime la propria riconoscenza, le proprie lacrime di riconoscenza tra i fili spinati dell’inferno di Westerbork.
Eppure non mi sembra ancora chiarito a sufficienza in che cosa consista l’originalità dell’esperienza spirituale di Etty, e cioè quella sua specifica natura che ce la rende così vicina, così contemporanea. E qui ha ragione Gaarlandt quando sostiene che le sempre più numerose rivendicazioni ebraiche e cristiane del suo pensiero dimenticano che Etty “segue un cammino assolutamente personale”, guidato da “un ritmo religioso tutto suo, che non è dettato da chiese o sinagoghe, né da dogmi, né da nessuna teologia, liturgia o tradizione – cose che le erano tutte completamente estranee.” E forse è proprio questo l’elemento spirituale che più ci riguarda, e che andrebbe più attentamente approfondito.
Proporrò dunque solo alcuni spunti molto sintetici, addirittura schematici, in questa direzione interrogativa, una sorta di indice per una ricerca ulteriore :
a) Etty inizia il cammino della propria trasformazione, descritta nei diari, da una condizione esistenziale già estrema, che non sembra determinata di per sè dalle persecuzioni in atto, ma da sommovimenti del tutto interiori : “in fondo ho già toccato i limiti, è già successo tutto, ho già vissuto tutto, perché continuo a vivere ?”. Oltre questa soglia “non mi rimarrà che il manicomio. Oppure la morte?” Qui Etty è sorella di Rimbaud e di Campana, di Trakl o di Dylan Thomas. Patisce cioè esistenzialmente la catastrofe di un’intera figurazione storica di umanità, di cui la Seconda Guerra Mondiale, come la Prima, non furono che lo scenario apocalittico: effetti cioè più che cause.
b) In questa catastrofe, storica e psicologica al contempo, l’ego occidentale sprofonda : “Questo io tanto ristretto, coi suoi desideri che cercano solo la loro limitata soddisfazione, va strappato via, va spento”. E crollano tutte le certezze teologiche e ideologiche, tutte le arroganze conoscitive del nostro ego. Per cui non resta che scendere più profondamente in noi stessi per cercare la fonte di un nuovo orientamento: “la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo Dio”.
c) E come la ricerca Etty questa fonte di vita, sottratta alle guerre mondiali del nostro ego? Innanzitutto attraverso un lavoro psicologico sulle proprie aree oscurate : “Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, (…) e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume”.
Incontriamo Dio cioè lavorando sulla nostra ombra. E qui Etty assorbe la lezione di Jung attraverso la psicochirologia di Spier. Ed è anche uno sblocco erotico e sessuale a liberare la sua spiritualità.
d) Questo sblocco psichico la libera progressivamente dalle tenaglie della paura, che prima la paralizzava : “Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo”. E questa liberazione dall’ego e dai suoi terrori sfocia nella creatività, nella scrittura. Il divino liberato si esprime cioè poetica-mente: “In me non c’è un poeta, in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poesia”. E anche qui Etty, attraverso Rilke, si connette alla linea poetica che da Hoelderlin in poi, e fino a Celan o a Luzi, esperimenta un dire trans-egoico che ci parla e ci guarisce.
Dunque l’esperienza spirituale di Etty sembra essere profondamente psicologica e poetica, e proprio per questo così concreta e capace alla fine di donazione completa di sé. Il cuore può continuare a pensare e addirittura a cantare nell’inferno, solo perché è stato ben lavorato, perché cioè le sue difese sono state già abbattute.
Non c’è niente di intimistico in questo itinerario, si tratta al contrario di contribuire a ricostruire il mondo su un “ordine superiore”: “Da qualche parte in me c’è un’officina in cui dei titani riforgiano il mondo”. Ma Etty sa che i progetti rivoluzionari fondati sull’odio e sulla vendetta, sulla proiezione semplicistica delle proprie ombre sul nemico di turno, e cioè le “durissime teorie sociali di un tempo” sono appunto residui del mondo che sprofonda, reperti di una figura di umanità già finita. Il mondo nuovo è solo l’uomo nuovo che lo incomincia a balbettare con le nuove parole che lascia sgorgare dal cuore pacificato in una assoluta riconoscenza.
Ribalbettando un mondo senza odio Etty incontra poeticamente e psicologicamente, e cioè da dentro la propria carne emotiva, la tradizione ebraica e cristiana: “Mi porterò una Bibbia e quei libretti sottili, le Lettere a un giovane poeta”. Nell’inferno del campo di Westerbork Etty porta nel cuore l’intera storia della salvezza e il travaglio rigenerativo della modernità che culmina nei balbettii dell’Uomo-Dio nascente, ricordato da Rilke proprio al giovane poeta: “Chi vi trattiene dal gettare la sua nascita nei tempi venturi e vivere la vostra vita come un bello e doloroso giorno nella storia d’una grande gestazione?(…) Festeggiate, caro signor Kappius, Natale in questo pio sentimento ch’Egli forse abbisogni appunto di questa vostra angoscia della vita, per iniziare”.
E’ il mistero di salvezza di Cristo che riemerge dal cuore poetico di Etty sciolto dalle catene dell’odio e dalle illusioni dell’io? Quando il suo amico Klaas, il “vecchio e arrabbiato militante di classe”, le dice sconcertato che il suo progetto di purificazione interiore non sarebbe altro che cristianesimo, Etty annota: “E io, divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma : certo, cristianesimo – e perché no?”
Un cristianesimo però decantato attraverso tutte le purificazioni della modernità e dello stesso nichilismo, secolarizzato al massimo, e perciò reso davvero non violento. Un cristianesimo filtrato da Rilke e da Jung, e cioè smascherato in tutte le contraffazioni (psico-teologiche) della sua storia. Un cristianesimo cioè ancora in buona parte futuro.
Ecco perché gli scritti di Etty escono solo nel
1981. Non sarebbero stati assimilabili prima. Non sarebbero stati tollerabili. Forse solo ora possiamo incominciare a riconiugare il Cristo con gli esiti estremi della modernità, la forza della tradizione con l’urgenza di novità poetica, abbandonando dentro e fuori di noi interi repertori storici, abiti mentali e figure di identità, linguaggi e rituali ormai inutilizzabili. Forse solo ora possiamo incominciare ad accettare una prospettiva che coniughi la trasformazione interiore con il processo storico di liberazione, e cioè psicologia, mistica, e politica in una sintesi inaudita, in un orizzonte folle e buono di guarigione e di salvezza davvero globali: “la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo”.
Etty sapeva essere profeta in tempi molto peggiori dei nostri. Ma anche ai giorni nostri, qua e là, si alzano voci che anticipano futuri possibili e che chiamano a una reazione etica. Uno di questi, per certi aspetti, è l’economista francese J. Attali, che ha appena pubblicato un libro, Sopravvivere alle crisi, Fazi editore.
Di seguito l’interessantissima intervista a J. Attali pubblicata oggi su Repubblica:
http://www.dirittiglobali.it/articolo-vs.php?id_news=20708
Il medioevo che ci attende
La profezia di Jacques Attali
Sono le classi dirigenti ad alimentare l´incertezza, ingrediente fondamentale per mantenere il potere Nel suo ultimo libro l´economista francese fornisce alcune ricette contro la crisi L´impossibilità dell´Occidente di mantenere questo tenore di vita senza indebitarsi Dovremo adattarci alla mancanza di solidarietà e alla necessità di cavarcela da soli
PARIGI Dopo la crisi, le crisi. «Nel prossimo decennio il mondo attraverserà cambiamenti radicali, solo in parte collegati all´attuale situazione finanziaria. Ciascuno di noi sarà minacciato e dovrà trovare gli strumenti per salvarsi». Nel suo ultimo libro (Sopravvivere alle crisi, Fazi Editore), Jacques Attali profetizza un mondo sempre più precario e ostile, nel quale le classi dirigenti sono incapaci di pensare nel lungo periodo e anzi alimentano l´incertezza, ingrediente fondamentale per mantenere il potere. «Dovremo abituarci a cavarcela da soli, come le avanguardie del passato» spiega l´economista, ex consigliere di François Mitterrand e primo presidente della Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Attali è uno degli intellettuali francesi più eclettici, capace di pubblicare opere su Karl Marx o sull´amore, ed è uno scrittore seriale. Si vanta di avere decine di libri già pronti nel cassetto, firma rubriche su molti giornali, colleziona consulenze e si occupa di Planet Finance, una Ong specializzata in progetti di microcredito. Instancabile, sempre di corsa. Come il mondo che prefigura.
Quali altre crisi ci aspettano?
«La crisi finanziaria del 2008 non è affatto terminata, nonostante i proclami trionfanti di qualche politico e banchiere. Quelli che gli anglosassoni definiscono "germogli" di ripresa sono, a mio avviso, soltanto segnali passeggeri. Molte banche continuano a essere insolventi, i prodotti speculativi più rischiosi si accumulano come e più di prima, i disavanzi pubblici sono ormai fuori controllo, il livello della produzione e il valore dei patrimoni restano in grandissima parte inferiori a quelli precedenti la crisi. La causa più profonda di questa crisi è l´impossibilità per l´Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi: su questo non è stata avviata un´adeguata riflessione».
Il peggio deve ancora venire?
«Nel 2020 la popolazione mondiale passerà da 7 a 8 miliardi e la classe media mondiale rappresenterà circa la metà degli individui che vorranno allinearsi al modello occidentale. Questo comporterà nuovi punti di criticità a livello ecologico. Nello stesso periodo assisteremo a progressi scientifici considerevoli, come le nanotecnologie, le neuroscienze, le biotecnologie. Ogni nuova scoperta scatenerà problemi etici e di possibili utilizzi secondari per scopi criminali o militari».
Tornando all´economia, dove finisce il tunnel?
«La congiuntura economica ci riserverà altre brutte sorprese. Personalmente, temo il ritorno dell´iperinflazione scatenata all´enorme liquidità creata dalle Banche centrali, la possibile esplosione della "bolla cinese" per colpa degli eccessivi crediti concessi e della sovraccapacità produttiva della Repubblica Popolare. Il sistema pubblico della sanità e dell´istruzione, per come l´abbiamo conosciuto finora, diventerà insostenibile per gli Stati. Il nostro stile di vita, sempre più precario e meno solidale. Chi vorrà sopravvivere dovrà accettare il fatto di non doversi più attendere nulla da nessuno. Andiamo verso un mondo che assomiglia al Medioevo».
Non le sembra esagerato parlare di un ritorno al passato remoto?
«Come nel Quattrocento, il potere sarà concentrato in alcune città e alcune corporazioni. Già oggi 40 città-regioni producono due terzi della ricchezza del mondo e sono il luogo dove si realizza il 90 per cento delle innovazioni. In mancanza di una vera organizzazione globale, si diffonderanno epidemie e catastrofi naturali climatiche ed ecologiche. Ci saranno sempre più zone "fuori controllo", dove imperverseranno organizzazioni criminali e bande armate. I ricchi dovranno rifugiarsi in moderne fortezze».
E tutto questo sarebbe dovuto anche all´incapacità delle classi dirigenti e al fallimento del sistema di governance mondiale?
«Di fronte a una crisi, qualunque essa sia, la maggioranza degli individui comincia con il negare la realtà. Purtroppo questo meccanismo si applica perfettamente anche alle imprese e alle nazioni. Finora i governi hanno adottato una strategia che fa finanziare dai futuri contribuenti gli errori dei banchieri di ieri e i bonus di quelli di oggi».
Lei ha presieduto la Commissione per la liberazione della crescita voluta dal governo Sarkozy, ma le riforme che aveva proposto sono state disattese. Anche nel caso della Francia manca il coraggio di preparare il futuro?
«Quello che più mi colpisce è che molti potenti vorrebbero tornare rapidamente al vecchio ordine, anche se è quello che ha scatenato la crisi finanziaria. Nell´attuale modello economico l´impresa è passata al servizio del capitale, a sua volta manipolato dalle leggi della Borsa. Le cose stanno così dal 1975, data dell´invenzione delle stock-options negli Stati Uniti».
Non è una visione troppo apocalittica?
«Non bisogna farsi prendere né dall´ottimismo né dal pessimismo. Negli ultimi 650 milioni di anni, la vita è praticamente scomparsa sette volte dalla superficie della Terra. Oggi rischiamo che succeda un´altra volta. Ma qualsiasi minaccia è anche un´opportunità. Quando si arriva a un punto di rottura siamo costretti a riconsiderare il nostro posto nel mondo e a cercare un´etica dei comportamenti completamente nuova. Sopravviverà di noi solo chi avrà fiducia in se stesso, chi non si rassegnerà. Ho affrontato parecchie crisi. E per questo ho pensato anche di raccogliere le mie lezioni di sopravvivenza».
Lei suggerisce il dono dell´ubiquità: cosa significa?
«I miei principi sono sette, da attuare nell´ordine. Innanzitutto bisogna partire dal rispetto di sé, e quindi prendere consapevolezza della propria persona, e dall´intensità, ovvero vivere pienamente sapendo proiettarsi nel lungo periodo. Ci sono poi l´empatia, indispensabile per capire gli altri, avversari o potenziali alleati, la resilienza che ci permette di costruire le nostre difese e la creatività per trasformare le minacce e gli attacchi in opportunità. Se questi cinque principi non funzionano bisogna cambiare radicalmente, coltivando l´ambiguità o persino l´ubiquità, imparando a essere mobili nella propria identità».
Ci lascia insomma un po´ di speranza…
«L´ultima lezione riguarda il pensiero rivoluzionario. In condizioni estreme, bisogna osare fino anche a violare le regole del gioco. Nessun organismo può sopravvivere senza operare una rivoluzione al suo interno. Ma tutto dovrà sempre partire dall´individuo. Come diceva Mahatma Gandhi: "Siate voi stessi il cambiamento che volete realizzare nel mondo"».
Ha appena pubblicato il primo "iperlibro", un volume cartaceo integrato da contributi audio e video. È questo il futuro della lettura?
«Non credo alla morte dei libri tradizionali. Ma è evidente che i giovani crescono imparando a leggere su uno schermo. Per loro sarà normale sfogliare una tavoletta elettronica come noi sfogliamo un libro. Anche quella dell´editoria è una crisi che si supera solo con il cambiamento».
letta
letta
Caro Massimo grazie comunque e sempre, perchè di Etty si parli.
Come hai ben delineato la portata rivoluzionaria del suo modo di vivere l’atroce orrore di quei tempi ci indica ancora oggi una strada per la nostra personale conversione : roconscere prima le proprie distorsioni, disinnescarne l’automatismo e raggiungere la sorgente pura dell’amore incondizionato che sta in fondo alla nostra anima, per imparare a benedire Dio esempre, malgrado tutto quello che può succedere.
Un abbraccio, e ancora grazie.
Marco F.
letta