DAI TEMPI DEL BUSINESS AMERICANO PARTE LA SVOLTA ZEN DELL’ECONOMIA
di M.C.
“Alla fine di tutto, quando fai un bilancio, ti accorgi che il tuo premio è nel viaggio. Non c’è altro alla meta”. Parola di Randy Komisar, cranio pelato, profilo ascetico e abiti spesso di foggia orientale, esperto di tecniche di meditazione buddista. Ma anche ex boss della Apple e della casa cinematografica Lucas Art (quella di Guerre stellari) con un presente da investitore finanziario nella Silicon Valley. Come spesso accade soffia dalla California il vento che potrebbe portare alla rivoluzione più radicale nel mondo dell’economia, un cambio di rotta che sembra una contraddizione in termini: il capitalismo zen.
Ora che la crisi ha affossato i sogni di chi sperava di arricchirsi puntando tutto sulla new economy e su internet, sono in molti gli economisti americani pronti a rivedere i fondamentali della scienza finanziaria. E a cercare soluzioni nuove che guardano alla ricerca interiore più che a quella di nuovi mercati da sfruttare, al benessere dell’anima più che quello della cassa. Non è un rigurgito New Age, ma qualcosa di molto profondo e concreto. La via proposta da Komisar, ispirata alla saggezza dell’oriente e cristallizzata nel suo saggio Il monaco e l’enigma, sta facendo breccia nei salotti più esclusivi dell’economia statunitense.
Oggi i suoi corsi, come riferisce un articolo di Federico Rampini su Repubblica, fanno il pieno di studenti alla Business school di Stanford, dove ogni anno l’iscrizione costa 50 mila dollari. Tra gli aspiranti emuli di Bill Gates e Steve Jobs, il verbo proposto da Komisar è semplice, ma anche difficile da mandare giù per chi pensa solo a far soldi: “Qui in California – dice – domina la logica che io chiamo quella del Piano di Vita Differito. Prima devi diventare ricco, solo dopo fai quello che veramente vuoi, e realizzi la tua personalità più profonda. La verità è che pochissimi arrivano alla seconda fase. E anche quei pochi fortunati, hanno speso così tanto nelle prima fase, che non sanno più quello che vogliono”. Dunque, conclude: non sprecate la vostra vita inseguendo un traguardo impossibile, adottate un Piano di Vita Integrale. Qui e ora.
E non è un segno isolato questo. Anche sulla sponda opposta degli Stati Uniti, non lontano da Wall Street, l’indiano Srikumar Rao guida uno dei seminari più gettonati della Columbia Business School, tanto da fare lezione anche di domenica: si chiama “Creatività e padronanza di sé”, ed è un corso in cui i futuri signori del capitalismo a stelle e strisce imparano a “esprimere gratitudine e apprezzamento verso chi condivide il nostro cammino”. Una perla del suo pensiero è ispirata al Bhagavad Gita, il libro sacro dell’Induismo: “Puoi avere un certo livello di controllo sulle tue azioni ma quasi nessun controllo sui loro risultati. Se condizioni la felicità ai risultati, ti condanni alla frustrazione”.
Non solo. Anche autorevoli economisti inglesi come Robert Skidelsky e Lord Layard hanno sposato l’idea di una riconversione drastica del modello economico. Il primo con un saggio intitolato “Quanto basta, l’economia della vita buona”, in cui sostiene che per una vita decente, oltre un certo livello di accumulazione di ricchezza si scade nell’irrazionale. Il secondo con una sorta di manifesto politico che propone politiche fiscali in grado di favorire il benessere sociale anziché la ricchezza materiale. “Esaurita la spinta propulsiva del vecchio modello, quello materialista e ipercompetitivo, l’arte della crescita seduce solo nella versione zen”, conclude Rampini.
Ma senza scomodare i consigli di amministrazione e gli alti funzionari pubblici, cosa può fare ognuno di noi per portare un po’ di spirito zen nel suo posto di lavoro? In che modo, le pratiche meditative fatte nelle mura di casa trovano dimora anche negli uffici, negli ospedali, nei supermercati?
Non sono una veterana di pratiche meditative, ma da quando cerco di frequentare con più assiduità questi spazi interiori la prima reazione quando entro in ufficio è: sono in una gabbia di matti! La maggioranza delle persone mi sembra “agita” da qualcosa di esterno, mi sembra che i comportamenti siano tutti una catena di stimolo-reazione, senza spazi di libertà. Poi però, nei contatti personali, quando saluto le persone, le guardo negli occhi, o ci parlo brevemente anche solo per motivi di lavoro, sento una specie di sofferenza, che a volte si traduce in fuga dall’altro a volte in bisogno impellente di raccontarsi, e mi convinco sempre di più che abbiamo tutti un disperato bisogno di ritrovare il nostro centro interiore, di ritrovare una direzione per uscire da questo smarrimento. La strada è durissima, e io me ne sto accorgendo. Mi sentivo molto meglio quando non avvertivo questo bisogno e quando facevo allegramente il “surf” su tutto quello che mi circondava, aspettando il week-end o il prossimo periodo di ferie. Ma il gioco non è durato a lungo. Nel mio caso sono stati problemi di salute che hanno “rotto” il meccanismo, ma forse si stava già rompendo senza che io me ne rendessi conto. La sfida, per quanto mi riguarda, è continuare la propria umile frequentazione di spazi interiori e contemporaneamente non abdicare al proprio ruolo lavorativo e produttivo. Non sopporto proprio quelli che dicono “a me non me ne frega niente, che vada tutto alla malora, io curo il mio orticello interiore e disapprovo tutto quello che fa l’azienda, anzi se posso la frego!”. Per quanto piccolo possa essere il mio ruolo, sono grata della possibilità che ho di guadagnarmi da vivere con il mio lavoro, e voglio dare il meglio di me in quello che sono chiamata a fare, anche se per questo non avrò ulteriori gratifiche economiche e nessun altro tipo di riconoscimento. Così facendo mi sento spesso un elemento anomalo, assolutamente non integrato con gli aziendalisti puri, tutti numeri e risultati, e non riconosciuto dai disfattisti. La strada per acquistare spazi di libertà, dentro e fuori, è proprio dura e solitaria, ed è fatta di compromessi quotidiani tra quello che vorrei fare o essere, e quello che in realtà sono. Accettare questo e continuare nonostante tutto a salire e scendere dal mio “monte della trasfigurazione”, ogni giorno, con fiducia, questa per ora è la mia sfida.
Caro Massimo, davvero molto interessante questa idea di un’ispirazione Zen dell’economia.
Mi richiama alla mente la nostra idea della necessità di nuovi mistici-tecnici, che sappiano dare un diverso orientamento all’evoluzione terrestre, superando gli schemi miopi e ormai palesemente disastrosi dell’homo economicus, per come lo abbiamo inteso almeno dal ‘700 in poi.
Certo non è facile immaginare un imprenditore “Zen”, e cioè sostanzialmente an-egoico e quindi in fin dei conti ben poco interessato ad una realtà fenomenica illusoria e comunque impermanente e insoddisfacente.
La spiritualità cristiana dell’Incarnazione e del Nuovo Io cristificato, che può e sa penetrare nel tempo per trans-figurarlo da dentro, mi pare che ci offra un orizzonte spirituale più consono ad un’azione di trasformazione attiva della storia.
Per il cristiano insomma la storia è una cosa seria e reale, una storia di salvezza, appunto, e quindi per lui è direi naturale, o almeno dovrebbe esserlo, diventare contemplattivo, con due tt, come suggeriva Tonino Bello.
Fare questo nella nostra esistenza quotidiana è poi la grande sfida del XXI secolo.
Ognuno di noi è l’alambicco di questa trasmutazione.
Ogni luogo di lavoro può diventare lo spazio faticoso e grandioso dei nostri sforzi di immettere sensatezza dove vige l’assurdo, e dolcezza dove regna la violenza, la fretta, e l’insensibilità.
Un abbraccio. Marco
Carissimi Antonietta e Marco
grazie per le vostre osservazioni.
Mi colpisce il percorso paradossale dello spirito: oggi l’occidente (dove il sole tramonta), guarda a oriente (dove il sole nasce) per cercare in saggezze antichissime linfa nuova al capitalismo morente, mentre l’oriente trova energia vivificante proprio in quel capitalismo che per noi è morente.
Carissimo mc, ecco la mia re-azione alla tua stimolante riflessione. Metto in fila i pensieri che mi sono venuti.
D’istinto mi sono detto che economia – interesse – profitto non sono declinabili con il non-egoico, con il ni-ente (ricordi Marco G. a Santa Marinella?).
Mi sono poi domandato se la scelta della “ricerca interiore” in ambito economico non sia una qualche trovata ulteriore dell’ego per cavare maggior profitto egoico.
Tuttavia, se fosse anche così, si può scommettere che la pratica “seria” della ricerca spirituale maturerà sicuramente dei frutti non-egoici, farà lievitare energie nuove, trasformative.
Infine, venendo alla tua domanda: sono d’accordo con Antonietta, che ringrazio per quanto ha davvero ben descritto.
Il segreto è partire per primi, senza aspettare che siano i capi, o il collega, o il sistema a diventare migliore (secondo il mio parametro).
Se qualche vento fresco ossigena ad ogni risveglio la mia anima mi è naturale liberare qualche boccata d’aria diversa dalla solita anidride carbonica che emetto e ricevo nei posti di lavoro.
Grazie Corrado,
anche io prendo queste notizie con le molle. Ma è questo che facciamo, no? Cerchiamo i segni del nascente laddove ci sono. Con tutte le ambiguità che sempre li accompagnano. Magari è soltanto una fragile cosmesi dell’ego, certamente il capitalismo alla canna del gas cerca di rendersi più presentabile. Ma almeno – mi pare – in certi ambiti provano a fare qualcosa che – comunque la metti – si presenta in chiave evolutiva. Come dici anche tu, sta a noi dargli l’ossigeno giusto perchè cresca nella direzione dello Spirito anzichè in quella dell’ego. A partire dalla nostra piccola partecipazione a questo sistema in ogni caso ancora capitalista, in cui siamo pur senza esserne parte attiva.
Un abbraccio.
M.
Carissimi, la notizia mi incuriosisce e mi auguro che quanto prima questi corsi dilaghino e vengano proposti ai dirigenti, al posto dei corsi che adesso sono in auge.
Corsi con i quali si vuole insegnare ai nostri dirigenti ad organizzare il lavoro del loro staff in modo sempre più efficiente e produttivo, nonostante il numero non vari.
Corsi nei quali i dirigenti devono imparare a far sentire il loro staff come parte integrante di una grande famiglia, piena di vitalità e fieri di farne parte.
Gli obiettivi sono sempre più alti, da raggiungere in un tempo esiguo…lo impone il business… e se i grafici e le percentuali dimostrano un ritardo….la soluzione è….lavorare, lavorare, lavorare…fino alle 10 della sera e se non si rispettano i tempi previsti dai piani stabiliti anche il sabato e la domenica…
Si prova a far capire in modo “umano” che così non si può procedere, si lavora stressati…inseguiti…affaticati…ma per dimostrare tutto vengono chiesti numeri: giorni/uomo, ore/uomo, grafici, effort…
Non si comunica in questo modo ed è difficile nella realtà quale quella che si vive a livello mondiale potersi opporre a questa forma di “nuovo lavoro”….
ci rimane da condividere con gli altri colleghi lo scollamento che si sente dentro rispetto a questa realtà…sperando che la pratica meditativa, giorno dopo giorno, ci aiuti a liberarci dall’oppressione e dalla sofferenza che si avverte.