Anni fa, quando lavoravo per il settimanale Panorama, ho visitato negli Stati Uniti una clinica creata e gestita da sacerdoti cattolici americani allo scopo di recuperare i loro fratelli così tragicamente caduti. Con l’obiettivo della cura e riabilitazione, venivano spesso in questo modo sottratti alle carceri.
L’esperienza mi ha colpito profondamente: quel luogo mostrava nella realtà dei fatti come l’amore e la misericordia suscitati dalla fede cristiana nei sacerdoti fondatori dell’Istituto, uomini di grande forza interiore, di lucida, pragmatica intelligenza e di precisa chiarezza d’intenti, potesse animare la volontà di soccorrere altri uomini-preti che si erano macchiati di colpe orribili per aiutarli a rinascere, attraverso un severo, inflessibile protocollo terapeutico e di vita comunitaria.
Una clinica modello, che potrebbe essere d’esempio anche per il mondo non religioso, fondata su una rivoluzionaria interpretazione del concetto della pena così come per primo la concepì alla fine del 700 Cesare Beccaria. Di seguito l’articolo che scrissi in quell’occasione.
L’unico segno di riconoscimento è la facciata di mattoni rossi, una caratteristica della Chiesa cattolica che così costruiva le sue case negli Anni ‘50 e ’60 in questa parte di America. Per il resto, all’esterno niente croci o effigi religiose. Non fosse per i rumorosi passeri, il silenzio qui si direbbe assoluto. Ma più che dalla quiete, questo edificio, che s’innalza solitario in mezzo a prati verdi tagliati all’inglese, è abitato dalla disperazione.
L’Istituto Saint Luke si trova a mezz’ora d’auto da Washington (oggi si è trasferito nel Maryland, ndr) e non è quello che a prima vista potrebbe sembrare, una casa di cura per cittadini americani.
Queste mura, che una volta ospitavano suore novizie, oggi nascondono un lebbrosario di anime, un concentrato di umanità perduta. Non sono uomini qualsiasi. Oltre queste pareti, la Chiesa accoglie i suoi figli perduti, sacerdoti che hanno smarrito la via fino a macchiarsi di azioni tra le più orribili. Alcolizzati, tossicodipendenti, habitué di prostitute e ragazzi di strada. Ci sono anche adescatori di bambini e adolescenti, che hanno rischiato e perduto la reputazione nelle loro comunità, per soddisfare gli istinti più insani.
Perché mai, accogliendoci, la Chiesa cattolica americana ha deciso di mettere a nudo le sue ferite più profonde? «Lo chieda a padre Connors», risponde padre John Geany, che al Saint Luke si occupa delle pubbliche relazioni.
Presidente e amministratore dell’Istituto, padre Connors parla in modo chiaro: «La Chiesa a volte fatica a capire i problemi della sessualità. Ci vuole perfetti, non ci incoraggia a dire la verità. Anzi, la nascondiamo per paura di essere scacciati. Molte deviazioni che trattiamo qui dentro andrebbero individuate in seminario e curate subito».
Campioni esemplari del più sano pragmatismo americano, padre G. e padre C. vanno orgogliosi del loro Istituto e con coraggio lo aprono ad estranei. In questo modo dicono di combattere il silenzio e il segreto che, mantenendo in vita i tabù, alimenta la malattia. La loro rivoluzionaria teoria terapeutica unisce la Bibbia alla psicologia, la teologia alla biochimica, la preghiera alla farmacologia.
Per entrare abbiamo dovuto sottoscrivere un patto: niente macchina fotografica alla presenza dei pazienti. Possiamo solo guardare questi preti che hanno tradito la loro missione.
Li incrociamo nei corridoi, dove i passi affondano nella spessa moquette, li troviamo seduti in cortile, li vediamo alla mensa self-service servirsi di pollo e patate all’ora di pranzo.
Vestono abiti civili, così americani nelle camicie a scacchi e nei pantaloni di tela leggera. Nomi non se ne fanno mai. L’anonimato è una regola ferrea.
Alcuni arrivano qui dopo aver scontato mesi di galera per i loro reati. Le loro storie sono spesso sconvolgenti. Qualcuna è stata pubblicata nel coraggioso saggio di un giovane prete teologo e psicologo, Stephen J. Rossetti. Il libro s’intitola “Schiavi dell’anima” e il sottotitolo “L’abuso sui minori della Chiesa cattolica”.
«Quasi sempre sono persone bloccate, nello sviluppo, all’adolescenza. Solo una minoranza ha avuto rapporti sessuali con bambini, tra i nostri ospiti, uno su cinque. Gli altri con adolescenti.
Un po’ alla volta si rendono conto che la loro è una malattia e, con il nostro aiuto, se ne liberano», racconta Frank Valcour, lo psichiatra dell’Istituto.
La sua cura in questi casi ha un nome che fa orrore: castrazione. «Non fisica, però, chimica», spiega. «Somministriamo il depo-provera, un concentrato di progesterone artificiale che riduce l’uomo alla pace dei sensi». Questa drastica terapia dura almeno sei mesi, finche il paziente non impara a conoscere e a controllare se stesso, attraverso un percorso obbligato che, giorno dopo giorno, dalle sette di mattina alle dieci di sera, lo accompagna nell’opera di riabilitazione.
«Quando arrivano qui, generalmente per volontà del vescovo cui sono stati denunciati, i sacerdoti sono terrorizzati», racconta Luisa Saffiotti, psicologa dell’Istituto. «Hanno paura, si nascondono. Molti negano l’evidenza e a modo loro sono sinceri, perché nella loro psiche scatta un meccanismo di rimozione. Altri, invece, si sentono sollevati, perché finalmente qualcuno si occuperà di loro, sottraendoli a una vita d’inferno».
«Non sono responsabile dei miei sogni», scriveva Sant’Agostino, mentre combatteva contro una carnalità dirompente che riusciva a sublimare nell’amore divino. Lui, però, era un santo. Dal racconto della psicologa emerge il ritratto di uomini-preti sconfitti, di lunghi tunnel di depressione, di quadri psichici complessi, di infanzie spesso segnate dalla violenza. Uomini fragili e angosciati, i cui problemi non sono legati al sacerdozio, così come la religione è impotente di fronte a questi “buchi” esistenziali.
Ma al Saint Luke la posta in ballo, per tutti, è il riscatto. L’obiettivo è ricostruire se stessi come persone, ritrovare la dignità dell’uomo e ritornare a una vita normale, anche se non tutti tornano alla missione pastorale. «Alcuni sono costretti a lasciare il sacerdozio», dice Saffiotti. «Chi continua è destinato a lavori d’ufficio oppure a centri specializzati per l’assistenza agli anziani o ai malati terminali. Nessuno rientra mai a contatto con i minori».
Colpevoli, allora, ma fino a che punto? «La morale richiede la libertà di poter scegliere tra il bene e il male», dice padre Connors. «Se scelgo il bene, agisco secondo il Vangelo, se scelgo il male, pecco. Questi preti sono malati, la loro coscienza non funziona liberamente, il loro comportamento è diventato irresponsabile».
«Quando, dopo aver trascorso alcuni mesi in prigione, fui ricoverato al Saint Luke, ero ossessionato dal passato e la colpa mi tormentava atrocemente», racconta un ex-sacerdote che ha terminato il percorso di riabilitazione.
«La colpa era io, ma mi sentivo vittima di una sorte che non avevo scelto. Ero schiavo di un istinto violento che a poco a poco si era impossessato di me, come accade a chi fa uso di droghe. Lo fai una, due, tre volte, poi perdi completamente il controllo. L’alcol mi aiutava a non pensare, ma più bevevo, più cedevo. Non ero felice, mai. Un paio di volte chiesi aiuto, indirettamente, a degli psicologi, raccontando la mia storia come se fosse di un altro. Mi risposero che non c’era niente da fare.
Ogni giorno dicevo basta e il giorno dopo ricominciavo. Finché qualcuno mi denunciò. In carcere ho trascorso quattordici mesi. Lì, trovai solo odio e disprezzo. Dopo la prigione, fui ricoverato al Saint Luke. All’inizio fu come essere messo di nuovo in catene. Mi sentivo solo, umiliato, ferito. Poi, sono venute le medicine, l’analisi, le diverse terapie. E la preghiera e il ritorno alla fede.
A poco a poco sono uscito dal tunnel. Oggi comprendo tutto il male che ho fatto e so di non poter fare nulla per rimediare. La speranza è che io possa ritrovare la dignità di una vita da spendere al servizio del prossimo».
Milly Gualteroni.
Scriveva Lutero nel suo ultimo appunto a mano: “Siamo mendicanti. Questa è la verità”. La gara ingaggiata dai maggiori opinion makers a chi si scandalizza di più, chi si straccia più platealmente le vesti, ha questo di ridicolo: ignora l’abissale profondità del male, quel mysterium iniquitatis che non è di qualche pretonzolo più corrivo, ma di tutti, senza eccezioni. Che però lo scandalo affiori a carico di una Chiesa negli ultimi anni un pelino troppo “triumphans, autocelebrativa e ripiegata su di sé, è cosa che – se non ci allieta – ci lascia almeno sperare, come già in altre fasi della storia bimillenaria di questa Istituzione – in un profondo processo di meta-noia, nel senso che tante volte in questo blog è stato richiamato.
Detto questo, vorrei commentare soprattutto un passaggio di questo bell’articolo, quello in cui si fa riferimento alla questione della formazione del clero. Se mai ci sarà un Concilio vaticano III, spero che la sua prima costituzione si occupi della formazione del clero e dei seminari. Ci sono passato, e posso testimoniarvi che i vivai vocazionali sono dei campionari di patologie umane, in un certo senso quanto il mondo che preme fuori, ma con un problema in più: l’altissimo livello di censura e rimozione, che una malintesa spiritualità esercita a mo’ di sovrastruttura. Io non sono affatto stupito di quanto la cronaca sta portando allo scoperto. mi pare il risultato di una spiritualità gonfia di retorica, che non conduce dentro sé stessi, ma al di fuori, che non accompagna alla verità, ma alla alienazione, verso pericolose identificazioni e giustificazioni psicologiche. Cioè a pericolose quanto fragili maschere, che i blandi refoli della vita pastorale bastano a dissolvere (e buon per chi subisce questo processo in forma pubblica, prima di compiere del male). Il tema è lungo, e un commento non è il contesto adatto per trattarlo. Mi limito a formulare alcune questioni, secondo me cruciali nel passaggio che stiamo vivendo:
– è ancora pensabile che si venga ordinati preti a 24 anni, poco oltre la soglia dell’adolescenza, ovvero in molti casi nel pieno di essa?
– è ancora sensata un istituzione come il seminario, nata nel Concilio di Trento per rispondere essenzialmente al problema dell’istruzione intellettuale del clero?
– è ancora possibile articolare il discernimento dei superiori tra “foro esterno” (il comportamento pubblico del candidato che è possibile osservare, cioè soprattutto la sua capacità di adeguarsi a poche regole di vita comunitaria) e “foro interno” (la direzione spirituale in forma privata, che è “il” settore oggi a mio avviso in crisi)? Questa separazione radicale tra interiore ed esteriore, che pure ha un solido fondamento giuridico, non rischia di accentuare la sindrome del “sepolcro imbiancato”?
– Sono sufficienti gli strumenti pedagogici ed educativi in mano ai superiori e ai padri spirituali? E’ mai possibile che chi si prepara alla “cura” d’anima sia egli per primo testimone di una incuria della sua anima, e un balbettante in materia di scienza “sottile” dell’animo e dello spirito?
– La preparazione culturale, ancorata a un disciplinare medioevale e a un’impostazione tutta tomistica, legata a una gerarchia anacronistica dei saperi (Filosofia ancilla Theologiae) e a impostazione prevalentemente apologetica, fornisce ai candidati i necessari strumenti di comprensione dei grandi tempi in cui sono chiamati a vivere?
Un articolo davvero molto interessante.
Grazie a Milly.
E grazie anche ad Antonio che solleva questioni cruciali.
Sarebbe forse opportuno che scrivessi diversi post su questo argomento della formazione del clero, in quanto da essa poi discende una formazione generale del Popolo di Dio, di cui tutti ormai percepiamo l’inadeguatezza.
E allora: dove sono i “buchi” maggiori?
Da dove ripartire per formare uomini e donne aperti alla propria costante trans-formazione e liberazione?
Come sai, carissimo Antonio, noi nei nostri Gruppi qualche idea in proposito la stiamo già sperimentando da tempo…
La mia impressione è che dovremmo ripartire dal corretto rapporto tra parole e realtà.
Tu parli non a caso di una spiritualità retorica, gonfia di parole vuote, che non trasmettono quasi mai un’esperienza personale, ma si forzano di darne una rappresentazione “plausibile”.
Ecco questo è il cuore del problema: è come se spesso il clero, ma anche i “parrocchiani” militanti, fossero educati a esprimere ciò che non sentono e a non esprimere ciò che sentono.
In altri termini all’ipocrisia, che è, come è noto, il vero nemico del Cristo/Verità.
Un abbraccio. Marco
Ancora una volta la barca di Pietro è sballottata dalle tempeste della menzogna,del peccato,e dell odio,con dolore e sgomento assistiamo alla situazione,a dir poco disastrosa,del clero in questi giorni.Certamente un occasione unica per chi non aspettava altro che sparare nel mucchio….E quale migliore occasione l avere finalmente “scoperto”il sommerso mondo dell immoralità dei chierici?Un boccone ghiotto e prelibato per chi,da tempo e in ogni modo,si adopera per strappare definitivamente L Europa(e il mondo intero)da quella madre che l ha nutrita e cresciuta,e che come unico baluardo continua a difenderla dalle ondate nichiliste,relativiste,e laiciste di un potere che sembra voler giustizia ma in realtà vuole solo far prevalere le sue ideologie.Ma la realtà è ben altra da quella che sembra apparire e che ci vogliono far credere”tutti i preti sono pedofili”,”i nostri figli sono in pericolo”.Noi sappiamo e conosciamo quella schiera silenziosa di sacerdoti,religiosi,religiose,che ogni giorno per le strade del mondo,o nel silenzio dei monasteri,offrono la loro vita per Cristo e per il bene delle anime.Ma il mondo non li accoglie,perchè non riesce a soggiogarli al suo potere e alle sue lusinghe,e li odia”….Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi….ma abbiate fede,io ho vinto il mondo…”.Il popolo assiste oggi attonito e confuso,e chiede,più di ogni altra cosa FERMEZZA.Quella sana fermezza della Chiesa ritenuta come un male di altri tempi da certi teologi e intelletuali,che non cedeva a compromessi,nè verso l immoralità,nè verso gli attentati alla sana dottrina,quella santa fermezza che tante volte nella storia ha salvato la barca di Pietro da terribili naufragi.Purtroppo nei seminari,nei conventi,e negli stessi monasteri si è cominciato a rinunciare alla disciplina,allo spirito di penitenza e di mortificazione con uno spirito gaio e festaiolo,nel nome di una presunta gioia nella fede.Il clero sia secolare che regolare,ha iniziato a trasformarsi in una sorta di categoria sindacale senza volto e identità,tutta protesa verso un umanitarismo sociale e filantropico,e il mondo applaudiva.La vita interiore?…un inutile spiritualismo….La pratica della penitenza?…Cose medievali di altri tempi.Era sorta una nuova primavera,quella dei tempi nuovi inaugurata dall era conciliare,e per queste cose non vi era più spazio;finalmente più liberi, più moderni.E…il risultato?Si vede è sotto gli occhi di tutti.
Questa questione. da qualunque parte la giri, mi addolora. Soprattutto pensando ai figli.
Forse per rinnovare i seminari è necessario interagire con la famiglia, insieme e in ginocchio, magari riscoprendosi come dono nella reciprocità, nel “per-dono”.
Quello che mi colpisce è l’aspetto della “dipendenza patologica” una distorsione che ha le radici, comunque nella famiglia e che spesso non è colta nella sua reale portata. (quale “seminario” prepara la famiglia???)
Io stessa stupisco ancora come sia potuta cambiare la mia vita quando ho smesso di fumare.
Come l’aver lasciato dopo quarant anni, un comportamento compulsivo, mi abbia trasformato.
Ci penso spessissimo a questo fatto; e qui mi ricollego all’ultimo aspetto che intendo prendere in considerazione.
Noi tutti siamo educati a disquisire su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato, è meglio fare così o il suo contrario e siamo come il gatto che si morde la coda.
Il cambiamento è possibile a partire da ciò che uno riconosce essere il proprio “cuore” (scusate! la parola mente mi è ancora un po’ estranea); da quello che sente, dalle proprie emozioni (quale empatia possibile se non riconosciamo ed accettiamo i nostri stessi sentimenti? ).
E questo tipo d’imprinting origina in famiglia, prima che altrove, o meglio, forse inizia ora ad essere posto a tema.
Per quanto possa scandalizzare “nessuno mi ha mai accompagnato verso un dialogo interiore” che potessi riconoscere come: “vita interiore”.
Quando questa Vita è “esplosa di suo” ho pensato d’impazzire e non è stato per nulla semplice da gestire.
Ringrazio “il caso” per aver incontrato Guzzi e questo sito che mi hanno concesso di farmene una ragione.
Io stessa ho cresciuto dei figli senza educarli a ciò.
Ho iniziato dicendo che da qualunque parte volgessi lo sguardo, sentivo dolore ed è vero; però sono anche molto serena. Mi sembra di cogliere come uno sgretolarsi di pietre in questi moti tellurici. Sono addolorata eppure fiduciosa che la vita si evolva in un modo più uomano.
Grazie per questo post.
Un’attenzione così magnanima, sarebbe auspicabile per qualsiasi persona che pecca, ma mi fa ben sperare, il fatto che esista un luogo di perdono e rinascita come questo, dentro la Chiesa e nella società.
ciao a tutti
Rosella
Bella questa immagine, Rosella: lo sgretolarsi di pietre nei moti tellurici dei nostri tempi, un disfacimento che ci sta rendendo sempre più umani, nelle profondità spirituali di tanto caos e di tanto smarrimento.
E’ proprio così: crollano migliaia di sepolcri imbiancati, tante strutture bagnate dal sangue delle vittime di interi millenni, si sgretolano le corazze mentali del nostro EGO cristiano, che ha saputo uccidere, perseguitare, torturare, mentire, azzittire, schiavizzare, inibire, pervertire, in nome di Cristo e della sua Santa Chiesa.
Alleluja!
Di tutta questa menzogna ammantata di sacri terrori non rimarrà pietra su pietra.
E il Bambino ride a tutti questi crolli, se la ride veramente di cuore… era ora…
Ciao. Marco
… sai Marco… Grazie.
anche i bambini hanno il loro “da fare” durante il travaglio e talora sono così impegnati che rischiano e faticano di brutto.
Il nostro Bambinello poi, nella fattispecie, se ne sta lì al crocevia fuori le mura, tra una mangiatoia e i dottori nel Tempio, sottrattosi alle braccia del padre e della madre terreni che lo custodivano e CONTEMPORANEAMENTE crocifisso sul Golgota, nella Chiesa e nel mondo.
Son proprio curiosa di sentirlo Risorto nel cuore col suo riso argentino, inondante di luce nuova la pagina bianca della mente, quasi fosse un caldo raggio dorato che fa l’occhiolino.
Sbucato tra nubi ormai sgonfie di pioggia battente le nostre anime, filtrato tra ciglia socchiuse che faticano ad accogliere la nuova visione dell’arcobaleno.
Approfitto per augurare a tutti i partecipanti del prossimo intensivo, un proficuo lavoro che ALLA FINE doni un’intensa GIOIA VERA.
… mentre io continuo a restarmene a mollo nell’invidia.
(Proverò ad offrirla allo Spirito d’Amore, chiedendogli d’immergerla nel fonte battesimale assieme a Gabriele e starò a vedere che effetto mi fa. Magari divento una nonna migliore, più sobria in parole e chiacchiere; ma se non ci riesce neppure Lui, porterò pazienza con me stessa e …la farò portare, per condivisione, anche a tutti voi!!!)
Un abbraccio
con affetto
Rosella
Il cammino intrapreso da questa clinica modello mi sembra rispettolla verità e che lo
so della verità e che lo faccia nella misericordia e nell’amore tu
telando anche la privacy del diretto interessato-
E’ un modello estensibile e perfettibile?
Credo di si.Mi pare che questa clinica modello sia riservata solo
ai religiosi e mi chiedo se esiste un’altra clinica simile per le
religiose e per i laici?
Anni fa,quando abitavo a Frascati fui operata ad Albano in una
clinica convenzionata tenuta in maniera esemplare dalle suore
Figlie di San Paolo.
Fu per me un’esperienza spirituale.Ricordo l’ottima organizzazione
la cura,la pulizia,l’integrazione fra il personale medico e parame
dico,laico e religioso.Le camere tutte a due letti ospitavano esclu
sivamente donne,laiche e religiose.
Qualche anno dopo la clinica si attrezzo’per accogliere anche gli
uomini(religiosi e laici) e questo a mio avviso è stata un’ulterio
re apertura.
Marco Guzzi si chiede come è posibile migliorare l’istruzione e la
formazione per i sacerdoti che guidano il POpolo di Dio onde evita
re certe dipendenze-
Mi pare che lui abbia iniziato a farlo molto bene,partendo dall’in
tegrazione che si respira dalla sua esperienza di vita di coppia
portata insieme dentro tutto cio’ che vive e dice da laico ai laici
ai religiosi e religiose per Darsipace e portarla la’ dove ognuno
si trova, single, coppia o religioso che sia-
Sappiamo per certo che la pedofilia trova il suo terreno piu’ ripro
duttivo in famiglia,prima cellula ammalata, dove spesso gli abusi
vengono perpretati e reiterati per la mancata integrazione nel rap
porto di coppia.
Credo che la risposta al problema non sia nascondere la verità per
difendere l’istituzione nè chiedere offerte come secondo la stampa
sono costrette a fare alcune diocesi USA per pagare le vittime de
gli abusi e non finire in bancarotta.
Mi piace ricordare il grande teologo della Chiesa di Alessandria,
Clemente che diversi secoli fa indicava la risposta:”gli uomini e
le donne partecipano in parti uguali nella perfezione e riceveran
no la stessa istruzione e la stessa disciplina.Infatti in Cristo
Gesù non c’è nè maschio nè femmina”.
come Rosella anch’io sono addolorata e serena perche vedo pietre
che dentro questi sismi si sgretolano e confido che gli Inferi non
“praevalebunt”-non prevarranno.Sono d’accordo con il Papa che il pe
ricolo piu’ grave per la chiesa non venga dalle persecuzioni ma dal
male che la inquina dall’interno.
Confido che prima o poi il PIETRO che è dentro ognuno di noi dovrà
ravvedersi per riscoprire il nostro essere tutti Figli di RE e Re,
“uno dei tanti ,niente di speciale”…come dice un verso di Guzzi
che cito a mente.
Grazie a tutti in primis a chi ha inviato il post.
Giuseppina Francesca
Mi spiace moltissimo vedere che il mio commento è diventato un diluvio.Data per certa la mia imperizia col computer,penso anche e comunque a un problema tecnico, forse un virus.
Scusandomi …chiedo per-dono.
Grazie e che lo SPIRITO ci conduca tutti, anche spirando da Campello, a sperimentare la VERA GIOIA
Giuseppina Francesca
Riporto l’articolo di Vito Mancuso apparso di recente sulla prima pagina di Repubblica dal titolo “Preti pedofili, perché il Papa difende Sodano?”.
Ieri il papa ha sottolineato che il pericolo più grande per la Chiesa viene dal fronte interno: “Il danno maggiore lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità”. Ma allora perché, due giorni fa, ha pubblicamente umiliato il cardinale Christoph Schönborn, finora il più coraggioso degli uomini di Chiesa nel lottare contro il terribile inquinamento interno che è la pedofilia del clero?
Io quasi non volevo crederci, non poteva essere vero che Benedetto XVI, dopo aver più volte affermato di voler fare tutto il possibile per stabilire la verità e perseguire la giustizia nello scandalo pedofilia, avesse costretto l’arcivescovo di Vienna a una specie di Canossa vaticana.
Eppure era vero. Benedetto XVI aveva costretto il presule, nonché stimato teologo di orientamento conservatore a lui molto vicino, a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano. La logica del potere romano è la forza che ancora domina la Chiesa cattolica.
Quello che però a mente fredda colpisce di più è il disinteresse mostrato dal papa per il merito delle accuse mosse pubblicamente da Schönborn il 28 aprile scorso contro il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato sotto Giovanni Paolo II, accusandolo di aver insabbiato il caso Groer.
Hans Hermann Groer (1919-2003), monaco benedettino, arcivescovo di Vienna e cardinale, fu costretto a dimettersi nel 1995 per aver molestato un seminarista minorenne (in seguito a suo carico emersero molti altri casi).
Immediato successore di Groer nella diocesi di Vienna, Schönborn quando accusava Sodano parlava di cose che conosce molto bene. Ma diceva la verità oppure mentiva? È vero o non è vero che Sodano da Roma ostacolò le indagini di Vienna? Il papa semplicemente non se ne è curato, non è entrato nel merito, alla verità ha preferito la forma ricordando che solo a lui è concesso accusare un cardinale. Così il comunicato ufficiale: “Nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al papa”.
Ma se è così, allora il papa è tenuto ad andare fino in fondo verificando se le accuse di Schönborn a Sodano sono fondate o sono solo calunnie. Lo farà? Non lo farà, per il motivo che dirò alla fine di questo articolo.
Nella predica a conclusione dell’Anno sacerdotale a piazza San Pietro l’11 giugno Benedetto XVI aveva detto di “voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più”. Alla luce del trattamento riservato a Schönborn queste parole appaiono molto sfuocate, mera retorica di stato. Di che cosa stiamo parlando, infatti? Stiamo parlando (occorre ricordarlo sempre!) di migliaia e migliaia di giovani vittime.
Oltre all’Austria scandali sono emersi ovunque. Negli Stati Uniti finora sono stati pagati indennizzi per 1.269 miliardi di dollari, con il conseguente fallimento di non poche diocesi.
In Irlanda nel 2009 sono usciti documenti come il Rapporto Murphy e il Rapporto Ryan, quest’ultimo sugli abusi del clero dagli anni ’30 agli anni ’70 (notare: anni ’30, altro che responsabilità della rivoluzione sessuale del postconcilio come scrive Benedetto XVI nella “Lettera ai cattolici irlandesi”): il risultato è che la Chiesa irlandese deve versare 2.100 milioni di euro di risarcimenti.
Poi c’è la Germania del papa: abbazia benedettina di Ettal in Alta Baviera, coro di Ratisbona, dimissioni di mons. Mixa vescovo di Augusta per molestie sessuali su minori, collegio Canisius dei gesuiti a Berlino…
C’è il Belgio con le dimissioni del vescovo di Bruges per i medesimi tristi motivi e le perquisizioni delle tombe nella cattedrale di Malines con le conseguenti deplorazioni pontificie.
Ci sono Polonia, Svizzera, Olanda, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Australia…
Don Ferdinando Di Noto, il prete da anni in prima linea contro la pedofilia, simbolo della rettitudine della gran parte dei preti, dichiarava il 18 febbraio scorso che in Italia i casi accertati sarebbero un’ottantina. Da allora, vista la frequenza delle notizie sui giornali, temo che la cifra sia aumentata non poco.
Di fronte a questi dati due cose sono sicure. Primo: se non fosse stato per la forza dei giornali e delle tv tutto sarebbe rimasto sconosciuto e insabbiato; se la Chiesa riuscirà un giorno a fare pulizia al proprio interno lo dovrà alla forza delle scomode verità fatte emergere dalla libera informazione.
Secondo: fino a poco tempo fa la linea tenuta dal cardinal Sodano sul caso Groer era la prassi abituale, come appare anche dalla Epistula de delictis gravioribus inviata il 18 maggio 2001 dall’allora cardinal Ratzinger ai vescovi di tutto il mondo che imponeva il secretum Pontificium per tutte le gravi trasgressioni del clero (notare: il caso Groer risale a sei anni prima!). È proprio questa la peculiarità dello scandalo, non tanto la pedofilia di preti e vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie, il fatto incredibile che i vertici ecclesiastici sapevano di questi crimini e, per non indebolire il potere politico della Chiesa, tacevano e insabbiavano.
Per anni e anni. Per interi decenni è stata preferita l’onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Le dichiarazioni del cardinal Sodano che riduceva a “chiacchiericcio” le accuse erano esattamente in linea con questa politica dell’insabbiare, e l’umiliazione inferta dal papa al cardinale Schönborn per averlo criticato è una conferma che questa politica non è terminata. La subdola peculiarità di questo scandalo mondiale è purtroppo ancora in vita.
Salvare la Chiesa prima di tutto. Prima dei bambini e della loro vita psichica e affettiva. Prima dei genitori e del loro inestirpabile dolore. Prima del senso di giustizia di tutta una società. Prima della giustizia di cui rendere conto davanti a Dio. Prima di tutto, la Chiesa e la sua immagine, e il conseguente potere che ne deriva.
Per questo l’ordine era (anzi è, perché altrimenti non si sarebbe salvata l’onorabilità del potente cardinal Sodano) coprire, insabbiare, dissimulare, mentire, negare, comprare. Tra l’ottantina di cardinali della Chiesa solo uno aveva avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura. Il papa l’ha messo a tacere, l’ha fatto rientrare tra le fila, imponendogli una bella dichiarazione di facciata.
Ma com’è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all’interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come “Donazione di Costantino” da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440).
Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell’obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell’essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l’ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: “Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica”.
Da tempo immemorabile la bilancia è il simbolo della giustizia. Su un piatto della bilancia ci sono le vite di migliaia di bambini, ragazzi e giovani irrimediabilmente deturpate da uomini di Chiesa. Sull’altro, che cosa mette la Chiesa? Oggi è costretta a mettere i nomi dei colpevoli, e tantissimi soldi. Ma si ferma qui, e non basta. Essa infatti deve aggiungere se stessa, la struttura di potere che l’ha fatta precipitare in questo abisso. Solo a questa condizione i due piatti possono tornare in equilibrio e generare la vera giustizia, quella che Gesù diceva di cercare sopra ogni altra cosa.
© – FOGLIO QUOTIDIANO
di Vito Mancuso
Molto interessante questo articolo di V. Mancuso che avevo per la veità già letto, grazie per la segnalazione m.
Tuttavia a rischio dell’eresia continuo ad essere del parere che molte di queste nauseanti distorsioni derivino ancora dall’imposizione del celibato, cioè dal non consentire una libera scelta di adesione a tale condizione di vita, ma dal voler obbligare a questa privazione ad ogni costo.
Leggendo questo articolo sono stata pervasa dall’orrore. Ancora una volta la chiesa pensa solo a proteggere e a curarsi esclusivamente di chi ne fa parte. Pensare alla riabilitazione di chi ha commesso crimini atroci contro bambini e adolescenti e’ senza dubbio nobile.
Ma avrei voluto poter leggere di cio’ che la chiesa fa per chi questi abusi li ha subiti.
In che modo la chiesa presta aiuto, assistenza e terapie a chi da bambino o da ragazzo abbia subito violenze da parte dei religiosi a cui era stato affidato? Cosa sta facendo la chiesa per le vittime degli abusi, di chi per anni ha convissuto con il trauma di essere stato abusati e violentato? Come sta riparando alle vite rovinate, umiliate e devastate da una simile esperienza?
Non denunciando alle autorita’ il personale ecclesiastico colpevoli di abusi contro i bambini e nascondendo gli orrori commessi dai propri rappresentanti, la chiesa si macchia degli stessi crimini divenendo automaticamente responsabile. Consentendo che questi crimini si siano ripetuti negli anni aumentando il numero delle vittime, senza che i colpevoli fossero puniti, hanno ferito le vittime ancora una volta.
In effetti è vero : cosa fa la chiesa per le vittime degli abusi ? Secondo me possiamo chiedergli di più , laici o non laici.
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