Chi guarda all’economia di mercato e ai suoi guasti – il divario crescente nella distribuzione della ricchezza a livello mondiale, ma anche i grandi squilibri e le fasi di ristagnazione e recessione che lasciano per strada centinaia di migliaia di persone, gli stili di vita contaminanti che la civiltà del consumo ipertrofico genera e le ricadute indesiderate che ciascuno di noi finisce per subire – può essere preso da un moto di sconforto.
Abbiamo infatti una grande sensazione di passività e impotenza. Siamo i delusi del cosiddetto “socialismo scientifico”: che l’abbiamo amato o l’abbiamo avversato, dobbiamo riconoscere il grande fascino che il marxismo e le teorie marxiane hanno esercitato sui due secoli passati, in quanto presagivano che il cambiamento, il mondo “nuovo” avrebbe fondato le sue premesse non sul velleitarismo di poche anime belle, sul sentimentalismo dei poeti e dei filantropi, ma su un sommovimento mondiale – a suo modo messianico – che avrebbe tratto linfa dalle leggi profonde della storia, della società e dell’economia, finalmente giunte a chiarimento. Da qui scaturiva un progetto politico, sociale e perfino antropologico, la cui portata storica tutti ricordiamo.
Ma il marxismo ha segato il ramo su cui era poggiato, e non solo per i lugubri esempi di socialismo reale che ha ispirato. Ben di più, perché ci ha lasciato immaginare la Storia e il sistema economico come entità golemiche del tutto scollate dall’umanità reale, in cui non c’è spazio per l’uomo e la soggettività. Entità dominate da una necessità impersonale, la dialettica storica, che è il peggior frutto dell’hegelismo da cui il pensiero di Marx traeva origine.
E se dovessimo oggi dire cosa è vivo e cosa è morto di quel sistema di pensiero, diremmo che – sfrondata della speranza di giustizia, di equità, di fraternità – è proprio l’idea di economia a resistere tenacemente: il “Sistema” come corpo inerte, automatico, impassibile nei suoi meccanismi e nella sua spietata razionalità. Così poco ragionevole. È questa l’economia di cui discettano nei salotti buoni della televisione e delle radio gli esperti, che in un linguaggio da iniziati vanno tracciando auruspici e vaticini, quasi sempre inattendibili, come già gli antichi maghi e astrologhi al soldo dell’Imperatore di Roma, loro diretti antenati.
Il punto è che l’economia è vista e trattata alla stregua, per usare un’espressione dell’idealismo tedesco, di una “natura oggettiva”, opposta e antagonista del mondo dello Spirito. Là abbiamo meccanicismo e necessità, mentre lo spirito reclama libertà e gratuità. Come venire a capo di una simile scissione? Una proposta interessante sembrerebbe provenire da quel filone di studi economici che potremmo rubricare sotto il titolo di “Economia civile” o “Economia della felicità”, e che proprio in Italia ha importanti esponenti e interpreti, tra cui Leonardo Becchetti, Stefano Zamagni, Luigino Bruni, e altri. Rimando alle loro particolareggiate trattazioni, molte delle quali accessibili anche on line. Qui mi preme solo accennare al nocciolo di queste teorie, che mi pare converga su un punto che è proprio del nostro lavoro nei gruppi: accorciare la distanza tra economia (di mercato) e aspirazioni civili, desiderio di giustizia ed equità, well-being come direbbero gli anglosassoni, è possibile solo se si ri-scopre la natura civile dell’economia, cioè i suoi fini civili, e si re-innesta l’attività economica sull’antropologia e le sue autentiche aspirazioni.
Questo filone di studi articola i seguenti punti:
- La riscoperta della natura civile delle dottrine economiche, le quali nascono tutte nei primi anni del Quattrocento, nel pieno della parabola dell’umanesimo civile. L’economia, sulla spinta della rivoluzione antropocentrica che caratterizzò lo spirito di quell’epoca, nasce asservita agli scopi del progresso civile e sociale dell’uomo, e alle sue aspirazioni spirituali più autentiche. L’attività economica è tutt’altro che a-finalistica, o meramente utilitaristica: il progresso economico serve anzi al progresso delle città e dei singoli, che proprio attraverso la differenziazione del lavoro, principio primo dell’economia di scambio, possono meglio difendersi nelle proprie reciproche debolezze cooperando insieme – in modo reciproco e relazionale – al progresso individuale e collettivo. L’etica, la ricerca del bene comune, la visione dei fini non sono affatto elementi esterni, “sovrastrutturali” come si dirà in seguito, ma elementi portanti dell’agire economico, espressioni dello spirito dell’Uomo che permea di sé l’intero mondo.
- Costatato che “nelle società a reddito elevato avere più reddito sembra rendere le persone più infelici” (ad esempio, Robert Wright sulla base di un’imponente mole di dati ha estratto la seguente legge empirica: al di sopra di un reddito procapite pari a circa 10.000 dollari all’anno, ogni successivo aumento di reddito apporta una soddisfazione aggiuntiva decrescente), si suggerisce di approfondire la natura “relazionale” dell’economia, basata sul principio di reciprocità. Da questo “fondamentale economico” deriva una nuova gamma di beni, per ora esclusi se non addirittura compromessi dall’economia di mercato, che sono i beni “relazionali”, e che dovrebbero costituire la base della “prossima” economia, in quanto orientata a procurare i mezzi di una reale felicità che l’attuale sistema non sembra garantire.
Questa nuova rivoluzione antropocentrica, anzi questa visione cosmo-antropocentrica, nella quale la soggettività e il mondo sono originariamente accordati nell’unità dello spirito, è esattamente l’esperienza che i nostri gruppi Darsi Pace propongono: chi di noi non ha sperimentato nei nostri esercizi di auto conoscimento e nelle nostre meditazioni tutta l’illusorietà della presunta separazione di “natura oggettiva” e “spirito soggettivo”? Vorrei proporre un ulteriore spunto di riflessione: ben prima che le dottrine economiche si sviluppassero in Europa, l’economia aveva una ben precisa struttura di accoglimento nella riflessione teologica dei Padri greci, che usavano l’espressione “economia divina” per significare la vita divina fuori di sé, cioè la relazione che il divino ha col mondo. Questa relazione con l’altro da sé, pensavano i Padri greci, esprime l’intima vita divina, ritmata nella relazione delle Persone. Proprio perché intimamente relazionale e processionale, il divino è aperto alla relazione col mondo nelle missioni del Figlio e dello Spirito Santo. Questo modello mi dà da pensare: come rifonderemo su basi relazionali l’economia, che è in fondo l’agire ad extra dell’uomo, innestandola sul principio di reciprocità, se prima non avremo ri-costruito le basi di una nuova umanità? Ciò che la ricerca empirica dimostra, circa la totale inesaustività degli attuali beni disponibili sul mercato a garantire la felicità, è in realtà il nostro dilemma: bisognerà infatti che uomini “liberati” riscoprano il gusto del “tempo libero” in cui fare scelte libere, il gusto delle relazioni, il senso profondo dell’essere-con-altri a partire dall’esperienza dell’essere in sé stessi relazione all’Altro (perché “Io sono un altro”, scriveva Rimbaud). Questo paziente lavoro di liberazione interiore, che è poi quello che tentiamo nei nostri gruppi, è indispensabile perché le persone recuperino, banalmente, quel sano discernimento individuale nella scelta dei beni su cui far convergere i propri sforzi, affrancandosi dai condizionamenti e dalle manipolazioni dominanti, con effetti certamente rivoluzionari sull’attuale (dis)organizzazione economica.
E la soggettività umana non sarebbe un fatto strutturale?
“Saggio sul principio della popolazione”è un libro del teologo cristiano ed economista Malthus,scritto nel 1799,dove fallisce Marx e la cultura cattolica,Malthus individua in maniera inoppugnabile e non con fumosi ragionamenti,ma con pensiero chiaro e semplice,basato sui dati,i problemi economici che affliggono l umanità,la popolazione umana tende e cresce in una progressione geometrica,mentre i mezzi di sussistenza crescono in progressione aritimetica:ogni 25 anni l arco di una generazione la popolazione tende a raddoppiare,mentre i mezzi di sussistenza aumentano con un ritmo molto più lento,ogni qual volta l incremento demografico oltrepassa una data soglia,la popolazione piomba nella miseria,perchè le risorse non sono sufficienti a sfamare tutti.Questo bisognerebbe dire con tremanda onestà intelletuale,se no si rimane a livello di rimozione dei problemi,cadendo nella peggiore forma di demagogia quella di promettere a tutti sapendo che ciò è impossibile.
Caro Antonio
grazie per questo interessantissimo post. Ci ricorda come il lavoro che facciamo nei gruppi non si limiti agli esercizi di indagine psicologica e alle pratiche meditative, ma implica la lettura della storio secondo chiavi nuove. Quelle dell’umanità nuova, appunto.
L’anno scorso alla radio ho fatto un programma di dieci minuti con due degli economisti che tu citi (Bruni e Zamagni, oltre al nostro Marcone Guzzi). Anche in questa occasione tracciavano linee poco sentite sui giornali di come trasformare la crisi finanziaria in opportunità di crescita personale. Per chi volesse ascoltare, il link è qui sotto. Un abbraccio.
M.
http://www.radio.rai.it/radio1/radioeuropa/view.cfm?Q_EV_ID=277132
Straordinario Guzzanti che imita Bertinotti, che delira le sue “cazzate” economicistiche, pantomima finale del tragico errore del marxismo di concepire il livello economico come fondativo, “strutturale”, e quindi genetico rispetto ad ogni altra espressione dell’umano, dall’arte alla religione.
E straordinaria la tua sintesi, Antonio, delle nuove prospettive di un’ecomomia che invece si concepisce come integrata nella complessità umana, e nel suo desiderio infinito di realizzazione e di felicità.
Grazie, perché, come dice anche Massimo, il lavoro dei Gruppi Darsipace si basa sulla convinzione che liberazione interiore e trasformazione del mondo siano ormai indissociabili.
Un mondo nuovo, ripensato anche nelle sue dinamiche economiche, non è altro infatti che la rete delle relazioni che una umanità nuova, meno egoista e cieca, saprà creare.
In tal senso Benedetto XVI, nell’ultima Enciclica “Caritas in veritate”, sostiene che oggi più che mai dobbiamo riscoprire la natura relazionale dell’humanum, il fatto cioè che l’io umano è relazione in sé e sostanzialmente, e che quindi l’io realizza se stesso aprendosi all’infinità degli altri con cui è appunto cotessuto fin dal principio.
Un abbraccio. Marco
“…il fatto cioè che l’io umano è relazione in sé e sostanzialmente, e che quindi l’io realizza se stesso aprendosi all’infinità degli altri con cui è appunto cotessuto fin dal principio.”
Marco ti ringrazio molto per aver posto “nero su bianco” questo concetto; mi fa bene vederlo “proprio scritto” lì davanti.
Quel che mi chiedo è: ma come non confondersi, fondendosi? mantenendo una relazione nella reciprocità e nell’infinità?
Certo la mia è da un certo punto di vista una domanda fuori tema, con una sua particolare “prospettiva economica” ma in me è quel “contessuto fin dal principio” che spesso emerge come limite, nel senso di perdita del limite nella con-fusione.
Non credo di aspettarmi una risposta, quel che mi è veramente necessario è porre la domanda, per continuare a riflettere “insieme a voi” e non da sola.
ciao
Rosella
Carissima Rosella, la domanda che poni credo che non abbia una risposta “logica”, quanto piuttosto iniziatica: vivendo cioè la nostra trasformazione comprenderemo che l’unione nello stesso Spirito non è confusione, ma individuazione assoluta.
La tradizione buddhista teorizza la dottrina del non-sé: ogni cosa non è che un processo di processi: senza sé, impermanente, e anche ciò che chiamiamo io è solo un’illusione ottica, il fissare qualcosa che in realtà è flusso, inconsistente in sé, puro vuoto.
La nostra spiritualità cristiana ci dice però che l’Assoluto stesso è Relazione tra Persone, che cioè l’elemento personale ultimo non è l’ego illusorio, ma un sè comunque reale e relazionale.
Questo schema trinitario della realtà relazionale assoluta della persona può farci intuire un nostro essere al contempo Relazione e Sé: un IO cioè infinita-mente aperto alla propria trasformazione nella relazione; ma pur sempre un IO.
Non una cosa fissata, non un oggetto, ma un soggetto legato alla processualità stessa della rivelazione dell’essere, della sua Creazione.
Questo è il paradosso di Gesù: Egli fa risuonare l’IO nell’Assoluto: un IO che resta dopo che ogni ego illusorio si è dissolto: prima che Abramo fosse Io Sono.
Un abbraccio. Marco
Caro Antonio,
ho letto il tuo post con attenzione e l’ho trovato molto interessante. Poiché non sono un esperto della materia (mi occupo di comunicazione), non posso commentare i tuoi argomenti.
Tuttavia ho notato un passaggio molto vicino al tema della comunicazione: ” … Là abbiamo meccanicismo e necessità, mentre lo spirito reclama libertà e gratuità …”. Infatti internet ha come genitori la libertà di espressione e la gratuità nella pubblicazione (e non la guerra come troppe volte è stato detto).
Mi sembra che “La riscoperta della natura civile delle dottrine economiche …” è aiutata in qualche modo dal fenomeno della partecipazione e della condivisione in rete, fenomeno proprio dell’internet di oggi. Un caro saluto
Vi consiglio una lettura del giornalista Luca De Biase: Economia della felicità. Dalla blogosfera al valore del dono e oltre
http://www.ibs.it/code/9788807171420/de-biase-luca/economia-della-felicita.html
e di seguire la nascita del libro utilizzando gli strumenti wiki e blog dove gli utentiin rete hanno contribuito alla redazione e suggerire spunti e quant’altro.
http://blog.debiase.com/stories/2005/07/21/economiaCrescitaFelicitaEB.html
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