15 Luglio 2010
LONDRA
«Ti stacchiamo la spina?»
E Richard disse no
Richard Rudd aveva sempre detto alla famiglia che se gli fosse accaduto qualcosa non avrebbe mai voluto essere tenuto in vita da una macchina. Ma si sbagliava. Dopo essere rimasto paralizzato nell’ottobre 2009 in un incidente in moto, il 43enne inglese autista di autobus ha fatto il possibile per far capire ai medici che non voleva morire. Con un segno dell’occhio, per tre volte di seguito, ha detto sì al medico che gli chiedeva se voleva vivere ancora. E così è stato. Oggi, trascorsi nove mesi da quel momento cruciale, Rudd rimane paralizzato e bisognoso di cure costanti ma riesce a comunicare con i familiari e le figlie, Charlott di 18 anni e Bethan di 14: sorride, muove gli occhi e la testa. «Quando è arrivato il momento di decidere – racconta il padre – non avevamo dubbi. Ci aveva sempre detto che non avrebbe voluto vivere appeso a un filo». Ma fortunatamente i medici che lo avevano in cura all’ospedale Addenbrooke di Cambridge, hanno voluto provarci ancora. Hanno sollevato le palpebre del paziente e gli hanno chiesto di muovere gli occhi verso sinistra se non voleva morire. Rudd l’ha fatto tre volte e a quel punto era chiaro che capiva e lo hanno tenuto in vita.
Il momento commovente è stato catturato dalle telecamere della Bbc che due sere fa ha dedicato al caso un programma dal titolo «Tra la vita e la morte». Il caso di Rudd ha sollevato la questione dei pazienti che esprimono una volontà di morire ma che poi cambiano idea. Il padre di Rudd si è infatti detto sollevato di non aver dovuto decidere il destino del figlio. «Decidere se un figlio debba vivere o morire è impossibile». Assistere una persona a morire nel Regno Unito è punibile fino a 14 anni di reclusione. I medici hanno il diritto di staccare la spina quando un paziente è considerato “clinicamente morto”, il che può significare morto cerebralmente ma non fisicamente. Il caso di Rudd ha dimostrato che questa è un’area dove legiferare è molto difficile. Recenti studi hanno dimostrato che alcuni pazienti riescono a comunicare anche quando sono in stato vegetativo. A differenza dei pazienti in coma, i vegetativi reagiscono a segnali diversi muovendo gli occhi. Ricercatori di Cambridge hanno cercato di insegnare ai pazienti a collegare un certo rumore con un soffio di aria fredda negli occhi. Dopo un po’ i pazienti cominciavano a chiudere gli occhi prima del soffio, prevedendolo e collegandolo al rumore. L’esperimento è riuscito su 22 pazienti in stato vegetativo e ha confermato che attraverso questi esercizi il malato comincia un lento recupero raggiungendo maggiore consapevolezza. La ricerca ha inoltre dimostrato che i criteri di diagnosi dei casi vegetativi usati oggi sono ormai inadeguati perchè falliscono nel 40% dei casi.
Il professor David Menon, che 13 anni fa ha fondato la Neuro-critical Care Unit (Nccu) all’ospedale Addenbrooke di Cambridge e che ha avuto in cura Rudd, ha dichiarato alla Bbc che nel suo reparto «le regole che governano la morte vengono sfidate quotidianamente». È importante pensare alla morte non come a un evento ma come a un processo che può essere accelerato, rallentato ma anche interrotto. È comune, dopo lesioni cerebrali, che il cervello resti irreversibilmente danneggiato mentre le funzioni del cuore e dei polmoni vengono mantenuti in vita dalle cure intensive. Circa il 40% dei pazienti nel nostro reparto registrano un miglioramento».
.
Da un articolo di Elisabetta Del Soldato
Già nel periodo del caso di Eluana Englaro ci siamo confrontati sul tema dei malati in coma ma ora visti gli ultimi episodi è il caso di tornarci su.
Quanto pensate incida la nostra incapacità di comunicare in modo diverso e creativo su una infausta diagnosi di morte ?
In una realtà economica come quella attuale impegnare risorse economiche per questi casi non è un buon busines, se foste voi a dover decidere sull’utilizzo delle risorse a chi concedereste più speranza?
Ci sono tante malattie rare e tanti malati terminali quale dovrebbe essere il limite di una cura per non sconfinare in accanimento terapeutico ?
L’argomento è pesante ma del resto siamo tutti terminali e pure un po’ malati quindi ne possiamo discutere anche con il caldo di Agosto…….
Un “pacio” a ciascuno di voi da Ale C.
A me pare che la frustrazione che ci prende su questi argomenti si sviluppi su un divario temporale tra prospettiva a lungo/lunghissimo termine e l’esigenza di trovare qui e ora soluzioni praticabili per chi vive queste esperienze.
Certamente la tecnologia è ancora assai rozza e così crea queste nuove situazioni sospese, intermedie tra la vita e la morte, che richiedono una nuova definizione e un nuovo modo di relazionarsi alla vita. Questo si innesta poi nel cambiamento antropologico che viviamo e che è richiesto qui intanto nella forma appunto di ridefinizione di cosa sia la vita.
Nell’attesa però che l’umanità evolva verso nuove modalità di comunicazione e di relazione più profonde, la questione rimane dolorosamente aperta per tutte le persone che continuano ad avere incidenti o che una malattia costringe a camminare sul crinale tra la sopravvivenza e la morte, tra la vita terrestre e la vita celeste.
Personalmente ritengo che la liberta di ciascuno dovrebbe poter essere preservata e dovrebbe essere tutelata la possibilità di esprimere la propria volontà, mediante gli strumenti che attualmente sono disponibili. Certo l’attuazione pratica della cosa si espone al rischio della fagocitazione nelle logiche economiche che governano il mondo, rischiando di trasformare ad esempio un testamento biologico nell’autorizzazione ad indirizzare la ricerca scientifica verso l’individuazione di soluzioni sbrigative di eliminazione veloce dell’incomodo, invece che nella direzione di supporto alla comunicazione in condizioni estreme per permettere alla libertà di esprimersi ancora.
In questo momento della mia vita, per l’esperienza (di dolore) accumulata finora, la mia prospettiva sarebbe di poter esprimere la mia volontà sapendo che sarebbe legalmente tutelata e non superata dalla volontà di altri che con la mia vita non hanno mai avuto a che fare.
Mi ha commosso leggere la storia di Richard Rudd e ho pensato a Piergiorgio Welby. La libertà personale credo dovrebbe essere inviolabile. Ciò che accende la responsabilità di chiunque si trovi accanto a chi vive una tale esperienza mi pare sia quella di offrire tutto il proprio calore affettivo affinché la scelta, qualunque essa sia, sia la più consapevole possibile. Devo poter volere che mi stacchino la spina non perché sono insopportabili la solitudine e l’angoscia della condizione, ma perché, nonostante tutta la vicinanza possibile di persone care, io percepisco quella condizione come non corrispondente alla vita. In fondo, a quel punto, sono già morta.
iside
Grazie Iside ; condivido ciò che dici e come lo dici anche più . un saluto 🙂
Grazie, Ale,un tema davvero estremo, su cui, credo, sia davvero difficile legiferare in modo troppo rigido e schematizzante. Molto lascerei alle scelte personali e alla riflessione dei familiari, illuminata, per quanto possibile, dalle opinioni dei medici curanti.
Un abbraccio a te, a Iside, e a Luca.
Marco
Ringrazio anch’io Iside per il suo articolato pensiero che condivido pienamente e ringrazio Marco per le giuste parole di sintesi su un tema così profondo. Speriamo e preghiamo che i nostri angeli custodi ci assistano sempre nelle decisioni cruciali illuminando i percorsi e le direzioni del nostro viaggio terreno.
Un affettuoso saluto a tutti
Grazie per l’apprezzamento e soprattutto per la condivisione su un tema tanto delicato.
iside
PS: a Luca grazie anche per lo smile che io invece non riesco mai ad inserire – sob!
❗ ciao Iside , clicca sullo smile e ti appare il corrispettivo della tastiera. poi quando invii il testo appare lo smile 🙄 🙄
Almeno credo..
Grazie Luca per il suggerimento informatico ma temo ci sia qualche “folletto” nel mio pc perché pur cliccando sullo smile in realtà il corrispettivo della tastiera non era tradotto nella faccina. Adesso ci riprovo 🙁
iside
ps: chiedo scusa per queste prove tecniche dentro un post così importante 😳
Ho letto e riletto il post e gli interventi ed ho avuto una grande difficoltà a lasciare emergere la radice di un pensiero sensato in me.
Mi sento coinvolta per diversi motivi, ma, fortunatamente non sono COINVOLTA PERSONALMENTE.
La mia decisione su me stessa è analoga a quella presa da Richard prima dell’incidente.
Sino a tre anni fa, essa derivava dal percepire disumana, e quindi a buon diritto personalmente RIFIUTABILE questa condizione di NON VITA ed avrei sottoscritto senza esitazione tutte le parole di Iside. Oggi metto in discussione le conclusive “…nonostante tutta la vicinanza possibile di persone care, io percepisco quella condizione come non corrispondente alla vita. In fondo, a quel punto, sono già morta”.
Pur consapevole di: sapere di non sapere ma di CREDERE DI SAPERE ho cercato di andare al fondo di questa decisione, che in me permane identica: credo di ritenere opportuno, allo stato attuale della nostra società, per il peso che grava sulla famiglia “che mi stacchino la spina”. Desidererei solo che tutti i miei familiari avessero il tempo di rileaborare il loro distacco, LA LORO SEPARAZIONE DA ME, la decisione di lasciarmi andare IN/nella PACE.
Cerco di spiegarmi: io ora amo finalmente la mia vita e così mi pare di essere pronta a lasciarla PER DONO.
A 65 anni mi pare di aver assolto al mio compito e mi sento, sostanzialmente felice e quindi posso anche passare oltre. E’ come se mi fosse stato necessario giungere a percepire questa RADICE iniziatica CONCLUSIVA del senso della mia vita per potermi sentire libera di lasciarmi all’eterno.
Che dirti Ale, come si risolvono i problemi ( anche economici) in famiglia: quali priorità? Condividendo e donando quello che si ha, liberamente, da sè stessi; se necessario anche la vita.
A Guzzi ed a tutti voi chiedo sia nel particolare ma anche più in generale:
– quale il principio di una possibile convivenza civile che possa andare OLTRE L’IMPOSIZIONE della norma (della legge) DEL LIMITE? se non quello che sta nascendo a fatica in ciascuno di noi, come nuova umanità?
– come renderlo socialmente applicabile? come si possono promulgare “leggi giuste” che inducano la LIBERTA’DI AMARE? Che rendano un gesto: “lo stesso eppur diverso” ?
Ho come la confusa percezione che sia proprio in questo “lo stesso eppur diverso” il nocciolo della questione.
ciao a tutti
Rosella
grazie anche da parte mia Luca 😛 😛 😛
Vorrei inoltre segnalare un film, mi sembra pertinente al post, molto bello sul rapporto tra l’uomo e la morte del 2004 che tratta il tema dell’eutanasia e mi aveva particolarmente colpito. Si tratta di “mare dentro” di Alejandro Amenábarche che ancora oggi mi fa tanto pensare
È tratto da una storia realmente accaduta molto commovente e coinvolge sia per l’intensità dei dialoghi sia per la toccante poeticità di sfondo.
Un saluto fabio
Sono rientrato solo ora ed ho potuto leggere i commenti per i quali vi ringrazio tutti.
In realtà anche per me è sicuramente fondamentale rispettare la volontà del soggetto interessato ma come abbiamo potuto vedere questa non sempre resta la stessa.
Chissà quante volte è accaduto che in quei momenti ci si attacchi alla vita più di prima e magari la volontà espessa in precedenza non è quella desiderata.
Auspico un maggior impegno nello sperimentare nuove forme di comunicazione che ad esempio possano registrare anche dei minimi cambiamenti, rilevabili con l’ausilio di strumenti adatti,in risposta a sollecitazioni o domande precise .
Certo sarà costoso ma in me è sempre più forte la convinzione che un modo per comunicare con chi è ancora in vita c’è…..sta a noi trovarlo.
Ale C.