Esistono due racconti della Creazione dell’uomo nel libro della Genesi: il primo è legato alla Creazione del Cosmo, nel primo capitolo, un racconto molto conosciuto. Ma esiste una curiosa dissomiglianza fa l’intento del Creatore e la sua decisione finale. Il suo progetto è questo:
E Elohim disse:
facciamo ‘adam in nostra immagine
come nostra somiglianza
Ma, poco dopo, ecco ciò che accade:
E Elohim creò ha’adam in sua immagine
In immagine di Elohim lo creò
Maschio e femmina li creò.
E Elohim li benedisse
Alcune cose saltano subito agli occhi, anche al lettore meno pratico: anzitutto manca il consueto ritornello che è bene!, ha accompagnato l’intera Creazione. Secondariamente, leggendo quanto scritto sopra, vediamo che ciò che Dio si auspica non è precisamente ciò che accade.
Anche alla fine del secondo giorno non c’è il ritornello che è bene, perché l’opera non è finita: fatta la volta celeste che separa l’acqua del cielo da quella rimasta in terra, bisogna aspettare che la terra emerga. Anche qui l’opera non è finita, ‘adam non è compiuto. È ancora legato al mondo animale (maschio e femmina) e necessita della benedizione per poter continuare la propria opera.
Se, nel progetto, ‘adam dev’essere a immagine e somiglianza, dopo è solo a immagine (il termine usato in ebraico indica la copia di un modello), la somiglianza sarà lui a doverla creare. Il “fare” voluto da Dio diventa creare (tre volte!), il lavoro non è compiuto: Dio ha fatto la sua parte, all’uomo il fare la propria. Il “facciamo”, allora, non è solo prefigurazione della Trinità o rimasuglio di una visione panteista dei popoli vicini, ma coinvolge Elohim e ‘adam, che insieme fanno!
La Bibbia ci mostra il volto di un Dio che costruisce l’uomo a propria immagine, lasciandogli la fatica di compiere la somiglianza. L’uomo è creato a immagine di Dio, ma è lui che deve finire la Creazione di se stesso, è lui che deve costruire la somiglianza con Dio! Contrariamente ai luoghi comuni, la visione dell’uomo che ha la Bibbia è assolutamente autonoma, adulta, dinamica. L’uomo non è un burattino in mano alla divinità capricciosa o bonaria, è facitore di se stesso, ma il suo modello resta Dio! Io mi realizzo, divento “me” solo e a condizione di conoscere Dio e di imitarne le dinamiche. La fede, allora, diventa piena realizzazione dell’umano, non contrapposizione!
Caro Paolo,
grazie per queste notazioni. E’ un passo che abbiamo letto mille volte, ma che ogni volta ci riserva sorprese.
La somiglianza che Elohim ha lasciato incompiuta è stata lasciata incompiuta o è un ‘inciampo’ della creazione (nel senso che ‘qualcun’altro’ ci ha messo lo zampino ?) In fondo ogni questione teologica mi pare che parta proprio dalla comprensione e dalla interpretazione di questi sette versi della Genesi.
f.
Caro Paolo
grazie per l’illuminante lettura che ci dai di un testo all’apparenza risaputo e invece sempre carico di mistero (perchè queste continue ripetizioni, “E Elohim creò ha’adam in sua immagine
In immagine di Elohim lo creò”, che evidentemente nascondono percorsi sfumati e complessi?).
Ho sentito di recente su Radio3, a Uomini e profeti, una bella riflessione del rabbino Benedetto Carucci a proposito: diceva che la Genesi biblica contiene due versioni, in una Dio viene chiamato Elohim, poi pochi versi dopo – nella seconda versione – viene chiamato Adonai. Ebbene, mentre Elohim in ebraico indica la perfezione di Dio, la logica assoluta, l’esattezza inconfutabile, Adonai allude all’aspetto misericordioso del divino, al suo piegarsi alle esigenze degli uomini, trattare con loro, cambiare posizione, mediare, comprendere, incoraggiare, guidare caso per caso secondo l’estro del momento.
Come se una volta compiuta la creazione nella sua forma perfetta (quella di Elohim), Dio (Adonai) si fosse reso conto che quella precisione fosse immobile, forse noiosa, e che solo l’ingresso della compassione nel suo progetto poteva donargli quella bellezza e quel dinamismo che la rendesse vera.
In questo senso sì, Dio ha bisogno di noi, del nostro consiglio, del nostro aiuto, della nostra creatività.
Grazie Paolo, un abbraccio
M.
per chi fosse interessato:
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-99a174ef-6b3e-474c-8a7a-bff681aa737b.html
Anche questo intervento di Paolo Curtaz, come il precedente, mi aiuta a leggere più attentamente il testo biblico e a sentirlo Parola vivente.
Diventare consapevole di me stessa ha significato vivere relazioni sempre più autentiche e libere ed ha modificato nel tempo la mia immagine di Dio: da un Dio giudicante che fa paura ad un Dio amorevole che si rivela in me accogliendomi come sono.
Scoprire la cellula divina nell’uomo e in ogni essere vivente è esperienza che cambia la vita e genera una forza creativa inaspettata.
Ora trovo la pratica meditativa un mezzo per entrare in un luogo di silenzio, di presenza, di pace e di gioia e per imparare “l’arte di dare figura a Dio in cose umane…di darsi pace.” (Questa vita – Marco Guzzi)
Giuliana
@ m
Bella segnalazione. Tieni presente che solitamente elhoim indica la divinitò in senso generico mentre adonai è il nome rivelato a Mosè (il tetragramma JHWH è sostituito da adonai perché sacro e impronunciabile). Nel primo capitolo prevale il nome elohim ma, se avete voglia, vi commenterò la Creazione dell’Universo… appena ne avrò il tempo! Per ora lavoriamo a diventare somiglianza… 😡
Si potrebbero leggere l’immagine come la carta d’identità di un individuo(seguendo il pensiero di Panikkar) e la somiglianza come l’identità di una persona?
E se noi (sono motivata nell’essere nonna)confrontiamo il percorso di crescita con le sue fasi di crescita, siamo certi di non lasciare che si perda una parola importante, che invece viene pronunciata nel percorso d'”individuazione” alla Jung?
Forse nasciamo tutti creativi poichè siamo immerso in un percorso d’individuazione, nel quale l’immaginario si fa mandala… mentre il riscontro scientifico della fase della crescita t’incasella in una “carta d’identificazione”… .
ciao
Rosella
Grazie Paolo per avermi dato la possibilità di riflettere su questo brano mettendo in risalto il “lavoro” di somiglianza che ci viene richiesto. In realtà mi ero sempre soffermato solo sull’aspetto dell’immagine e della sua ricerca ma quest’ultima è un percorso verso la somiglianza.. bello. E’ bello anche perchè ci viene indicato come e il COME oggi non lo spiega mai nessuno … forse quasi mai
Il cardinale e il filosofo di Armando Torno in “Corriere della Sera” del 15 settembre 2010 Il cardinale e il filosofo. Carlo Maria Martini e Giulio Giorello. Dialogo sulla fede. Giorello non
cerca di demolire con ogni mezzo l’idea di Dio, ma si ricorda come essa sia viva nell’uomo da
quando è apparso sulla terra. Non fa dell’ateismo facile. Lo scopo, dice, è «liberare Dio da quelli
che ne parlano troppo, anche a vanvera». Il cardinal Martini definisce le argomentazioni di Giorello
utili a capire la mentalità dei non credenti.
Domani uscirà il saggio di Giulio Giorello, epistemologo ed erede di Ludovico Geymonat
all’Università di Milano, Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo. Noto per le sue tendenze laiche e,
tra l’altro, per aver partecipato alla Cattedra dei non credenti istituita a suo tempo dal cardinale
Carlo Maria Martini, non ha scritto un libro — se ne contano dozzine — che cerca di demolire con
ogni mezzo l’idea di Dio, ma si ricorda come essa sia viva nell’uomo da quando è apparso sulla
terra. Non fa dell’ateismo basso o volgare, di quel genere che crede di liberarsi dal problema con
formule o battute, cerca piuttosto — di autore in autore — una via. Nelle sue pagine vi sono figure
di atei convinti quali Sade o Feuerbach, non disdegna però di mettere in gioco le proprie
convinzioni con Pascal o Kierkegaard. Il filosofo a cui guarda con più simpatia è Spinoza, che non
si può certo definire ateo. Questo lo pensavano Bayle — che comunque credeva alla possibilità di
una società di atei diversamente da un Voltaire che riteneva necessario il vincolo religioso — e
pochi altri.
L’ateismo di Giorello si basa su una scelta di vita: egli rappresenta l’uomo che non sopporta alcuna
autorità sopra di sé. Accetta Dio come amico, non come padrone. Il suo è ateismo pratico. Non
nasce da deduzioni epistemologiche ma da quelle — il termine è inattuale, in tal caso però vale la
pena spenderlo — esistenziali. Nel quarto capitolo lo chiama «ateismo metodologico», perché prova
una forte indifferenza verso ogni assoluto (in tal caso riprende uno spunto di Jean Petitot). Si
direbbe anzi che il fine a cui tende quest’opera non sia quello di liberarci da Dio, ma di liberare Dio
da quelli che parlano troppo sovente a vanvera nel suo nome e, in tale veste, fanno la loro parte per
dar forza agli argomenti dell’ateismo volgare. Inoltre vengono denunciate tutte le «chiacchiere»
sulla religione civile, ultimo esercizio da salotto televisivo. È altresì vero che Giorello prova una
discreta dose di nervosismo anche nel sentir nominare la religione della libertà (con il dovuto
rispetto a Croce).
Insomma, il libro è rivolto a un mondo senza imposizioni. In esso l’ateo può essere compagno di
strada del credente e diventa un fatto naturale chiedersi come si possa vivere, agire, lottare, morire
quando si conta solo su se stessi. È la sfida per un nuovo Illuminismo, nel quale si avverte il
bisogno d’amore a cui un tempo si dava il nome di Dio. Da «ateo protestante» (così si è dichiarato
l’autore), Giorello non cerca di dimostrare l’assenza dell’Essere Assoluto, ma di definire l’orizzonte
di un’esistenza senza di esso, rifiutando rassegnazioni e reverenze, ritrovando i piaceri della
sperimentazione nella scienza e nell’arte, riscoprendo infine la libertà, soprattutto quando essa
appare eccessiva alle burocrazie di qualsiasi «chiesa». Morale: Giorello spinge il lettore verso un
ateismo non dogmatico, utilizzabile anche da un credente stanco dei vari fondamentalismi, gli stessi
che alla Grazia del Signore hanno sostituito la repressione e l’intolleranza. Una sua battuta? «Non
credo molto a slogan tipo Comunione e liberazione; se proprio devo sceglierne uno, preferisco
Libertà e individualismo»
Un mondo senza l’Assoluto?
strano pensiero per un “filosofo”, davvero un pensiero bizzarro…
un ateo che vuole liberare Dio da quelli che ne parlano troppo, vuole forse insegnare ai santi a capire meglio Dio, e cioè a capire che non esiste: bizzarri pensieri, davvero segni di tempi di magra, per il pensiero
un filosofo che rifiuta qualsiasi autorità sopra di sé: e chi sarà questo sé, forse un assoluto? sciolto da ogni vincolo? guarda un po’: risbuca l’assoluto dove meno te lo aspetti, e per di più ha il volto e le misure di Giorello..
un ateo che vuole Dio come amico, e non come padrone, ma se non c’è, non sarà né amico, né padrone, e se è amico, allora Giorello forse è cristiano, e non lo sa…
Allegria!!! diceva Mike, forse un pensatore più acuto e profondo….
Marco Guzzi
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