Quando si discute sul sacramento della penitenza, come i teologi chiamano quello che la gente nomina come confessione, si parla subito di crisi, di allontanamento massiccio dei cattolici da questa pratica.
La confessione sacramentale e la promessa di pace e di liberazione che essa offre sono forse sentite come inadeguate ad appagare un desiderio molto più vasto di riconciliazione fra gli uomini, un bisogno universale di pace nel mondo.
Vi si vede forse una sorta di intimismo, di ripiegamento su sé stessi inefficace rispetto ai problemi che urgono a livello sociale nell’intero pianeta? Confessarsi è inutile? E’ da persone deboli e rinunciatarie? Il gesto di perdono tracciato dal prete nel segreto di un colloquio confidenziale o nella semioscurità di un confessionale antiquato non parla più all’uomo d’oggi?
Ho letto sull’argomento il volumetto La confessione, celebrare la riconciliazione del noto scrittore di spiritualità, monaco benedettino, A. GRUEN, ed Queriniana. Egli considera questo sacramento nei suoi vari aspetti: teologico, storico, pastorale.
Quello storico mi ha riservato molte sorprese: la Chiesa ha conosciuto, fin dai suoi inizi dei riti penitenziali volti a reintegrare in essa chi si era macchiato di colpe gravi, ma è solo dall’alto medioevo che la confessione ecclesiale pubblica venne sostituita da quella privata, praticata in Irlanda; fino ad alcuni secoli dopo ci si poteva confessare anche a un laico, che si impegnava a intercedere presso Dio per il perdono delle colpe e, come il presbitero, poteva accompagnare il penitente nella direzione spirituale. La confessione privata poteva essere ripetuta, tanto che nel XIX secolo si diffuse l’abitudine di confessarsi il più spesso possibile per ricevere più grazia sacramentale. Nacque così la così detta “confessione di devozione”, che oggi è praticata sempre meno. La grazia non è più concepita in senso quantitativo ed elargibile quasi magicamente!
Quando parliamo di calo delle confessioni, dobbiamo quindi considerare anche che, scrive GRUEN, “L’attuale forma della confessione, cioè l’esposizione dei peccati in confessionale, seguita da alcune parole del sacerdote, non rispecchia la vera intenzione che la Chiesa aveva del sacramento della riconciliazione ( …) molti ritengono di avere, come cristiani, l’obbligo di confessarsi: ma non esiste alcun obbligo di questo tipo (…) Sotto il profilo strettamente teologico, siamo tenuti a confessare soltanto i peccati mortali, che sono quelli in cui, in modo totalmente consapevole e libero, ci ribelliamo a Dio, in presenza di una materia grave. La maggior parte dei peccati non derivano da una decisione consapevole di ribellarsi a Dio, ma hanno la loro origine nella nostra debolezza, in quanto siamo travolti dalle nostre emozioni e passioni. Anche la psicologia ci dice che una decisione totalmente libera è piuttosto rara. Per la maggior parte dei peccati e delle mancanze che noi confessiamo non c’è bisogno tanto di una assoluzione, quanto piuttosto di un lavoro di purificazione finalizzato (…) Il problema è quello di riuscire a conoscere gli abissi del proprio cuore e di sviluppare delle capacità per poter cambiare certi comportamenti e sbloccare quei meccanismi che portano a commettere sempre le stesse mancanze. (…) Dobbiamo tenere distinti i due aspetti -riconciliazione e direzione spirituale- per sottrarci al pericolo di dare a ogni cosa subito il nome di peccato e di vedere peccati ovunque.
Qui il discorso di GRUEN diventa soprattutto pastorale: lo spazio e il luogo del sacramento del perdono può essere quello di aiutarci a distinguere la colpa reale dai sensi di colpa, sempre oppressivi e dannosi, che è necessario scrutare per spegnerli in noi.
Altra considerazione di GRUEN: Ci sono cristiani che vanno continuamente a confessarsi, ma non riescono a riconciliarsi con se stessi. Il compito più importante del nostro essere cristiani, però, consiste nel dire sì a noi stessi, nell’integrare le nostre ombre.(…) Il Dio di cui ci parla Gesù ci consente sempre di ricominciare daccapo: egli non ci annienta se abbiamo peccato, ma ci aiuta a risollevarci.
Molto significativa, mi sembra, la conclusione del libretto:
La confessione è un mezzo concreto per riconciliarci con noi stessi e con gli altri, per continuare a esercitarci nella conversione e per fare esperienza di Dio come di colui che ci ama incondizionatamente, ma non dobbiamo isolare la confessione, separandola dall’intero annuncio di Gesù. Essa, infatti, ha il suo significato solo all’interno della chiamata di Gesù a una vita che corrisponda alla volontà di Dio e, nello stesso tempo, al nostro essere persone umane. Nella confessione incontriamo Gesù che ha perdonato ai peccatori la loro colpa e il Dio di Gesù Cristo che ci fa sperimentare il suo amore misericordioso.
Personalmente, non posso dire di confessarmi volentieri; so, però, che mi fa bene. Di tanto in tanto ho bisogno di fermarmi per osservare la mia vita, per fare un bilancio e domandarmi:- E’ ancora giusto il modo in cui vivo? – Devo allora superare una certa resistenza e chiedere a un con fratello di confessarmi. Ma, dopo la confessione, so di aver fatto bene. So che non cambierò pelle e che continuerò a vivere in compagnia dei miei problemi e dei miei errori quotidiani, ma la confessione mi dà lo spunto per iniziare daccapo e per vivere in modo più consapevole e più attento.(…). Per me, come confessore, è sempre un miracolo vedere persone che si sentivano oppresse dalla loro colpa, ritornare a casa rincuorate e liberate, dopo aver capito quanto bene ha fatto Gesù quando ci ha donato il sacramento della confessione come luogo di riconciliazione.
GRUEN non specifica i motivi per cui non si confessa volentieri, ma io ho letto con piacere che anche questo monaco, così esperto in cose umane e divine ha difficoltà nel confessarsi: nei miei deliri solipsistici temevo di essere quasi unica!
Quando decido di confessarmi non metto in dubbio la misericordia di Dio, ma faccio fatica a organizzare un discorso sensato, a superare l’imbarazzo. E anche se le circostanze depongono al contrario, nascostamente temo il giudizio e le domande dell’interlocutore. Perché sono troppo ripiegata sul mio tormentato io egoico? O perché è sempre gravoso scrutare le mie ombre e accettarle, rinunciando a una mia falsa immagine ideale? Nel sacramento conosco ed esplicito i miei veri peccati, i miei punti deboli, o rimescolo inutilmente nel mio passato? so aprire veramente la mia anima a chi mi può aiutare a cambiare? L’impaccio che provo può essere superato?
Voi cosa ne dite: confessarvi è per voi un sacramento facile e sempre rasserenante? Vi piace? Vorreste una qualche forma diversa di riconciliazione? Una forma diversa del sacramento? Come? Nel nostro impegno di darci pace che posto occupa la confessione?
Vorrei interpellare anche i così detti non credenti, o i non praticanti: Cosa ne pensate di questa pratica cattolica? Solo una cosa per vecchiette o per bambini della prima comunione, o un rito che, senza pericoli di essere plagiati o di essere di etero -diretti, si può vivere da adulti nella fede? Lo stato del pianeta può migliorare anche così?
Pio XII scriveva:”Forse il più grande peccato nel mondo di oggi è che gli uomini abbiano incominciato a perdere il senso del peccato”(26 ottobre 1946).Il motivo della dimenticanza della legge di Dio,sta nella perdita del linguaggio spirituale.La realtà dell esperienza di Dio è stata ricoperta di oscurità,in mancanza di parole per dirla.Ciò che vi è di più censurato al giorno d oggi nel discorso sociale,e anche presso i credenti e la parola peccato.Cè una ignoranza spirituale che vuole imporsi,per l incapacità di dire con un linguaggio spirituale le realtà spirituali.Nel contesto di una società senza consenso e senza speranza,l angoscia della colpevolezza non può essere assunta,essa viene negata mediante il ricorso a tre strategie del discorso sociale:l accusa,l autogiustificazione e lo spostamento della colpevolezza.L accusa è il conio quotidiano della violenza endemica nei rapporti sociali.Questo procedimento è il più arcaico ,va di pari passo con il tentativo di giustificazione di sè,dove il discorso abituale si perde nella difesa e illustrazione dell immagine di sè.Solamente la parola della confessione costituisce il soggetto.Chi osa dire:”Sono IO”,riconoscendosi responsabile,assume il proprio passato e la totalità del proprio vissuto.
Grazie Mariapia, hai toccato con molta intelligenza un tema per me molto stimolante quello della confessione.
Ed in particolare grazie per la segnalazione di questo testo di A. Gruen che mi sembra degno di grande attenzione a giudicare dai brani che hai riportato, dunque mi riprometto di leggerlo quanto prima.
Riguardo alle questioni che hai efficacemente sollevato vado ad elencare sinteticamente il mio modo di pensare.
Premesso che nel corso dell’ultimo incontro dell’intensivo di S. Marinella di quest’anno fui proprio io a sollevare l’argomento con un sensibile crescendo di interesse e di interventi dei partecipanti che francamente mi sorprese, le mie riflessioni a ruota molto libera sono queste:
1- anche io ho molta ma molta difficoltà a confessarmi;
2- ho da sempre concepito la confessione (retaggio delle mie elementari, con annessa prima comunione, nella scuola delle Suore di Ivrea) come un benestare, un certificato, un ticket per poter accedere al sacramento della comunione;
3- ancora oggi fatico a inquadrarla in altro modo ad esempio come celebrazione della riconciliazione; per me continua ad essere un qualcosa che mi separa dalla comunione intima con Dio;
4- credo che lo spirito di contrizione e la giusta riflessione ed il riconoscimento delle proprie colpe e dei propri peccati in certi momenti riesca e dunque seppur di rado e balbettando arrivo alla comunione;
5- ma come ha bene evidenziato Gruen so che non cambierò pelle e che continuerò a vivere in compagnia dei miei problemi e dei miei errori quotidiani, e allora mi sento sporcamente ipocrita e continuo a domandarmi ma sei o eri veramente pentito o no? Chi vuoi fregare? … mi dico : tanto lo sai che ci ricascherai e allora che ci vai a fare in confessionale chi vuoi prendere in giro? Avevi solo voglia di metterti l’anima in pace, di darti pace!!!!
6- so che questo, come ci aiuta saggiamente Guzzi a capire, deriva certamente dalla mia personalissima rappresentazione egoica e distorta di Dio, ma mi tiene alla larga dalla confessione sacramentale;
7- è un alibi? Non lo so, forse si! Credo che l’amore di Dio è grande come grande è la sua misericordia e che, come Gesù ci ha insegnato, consente sempre di ricominciare daccapo, ma se un giorno si stancasse e dicesse:… e basta, ma la vuoi smettere o no? Ora non ti perdono più! Vai all’inferno.
8- aggiungo infine che le mie maschere al dunque sogghignano e sussurrano : ma poi chi è questo che ti sta di fronte e ti assolve? Ha capito veramente i tuoi peccati, dove hai peccato, e/o perche nasce il tuo peccato? Si è reso conto davvero se eri o non eri veramente contrito e pentito? Non si sarà sbagliato nella fretta di assolvere?
Però gli spunti che mi hai suggerito cara Mariapia vanno meditati con maggiore attenzione, in particolare mi ha colpito il passaggio dove Gruen dice … ma la confessione mi dà lo spunto per iniziare daccapo e per vivere in modo più consapevole e più attento. Ecco penso che questo sia importante e forse mi dà un motivo in più per ritornare alla confessione.
Un caro e grato saluto.
Marco F.
Grazie, carissima, tema direi cruciale.
Forse può essere utile ricordare che nei nostri Gruppi il primo stato del ritorno verso Dio è proprio quello che chiamiamo io in conversione, per cui lo stato della conversione-confessione è uno stato da ritrovare costantemente, ad ogni respiro, per poi aprirci al mistero della salvezza, e godere di tutti i suoi frutti: pace, gioia, amore, creatività, libertà, etc..
I sacramenti credo che debbano oggi ritrovare la loro fondazione iniziatica, diventare cioè segni di esperienze, e non più segni senza alcuna esperienza dietro.
Allora anche la Confessione sacramentale diventa uno dei vari strumenti sulla via, uno strumento utile di confronto con se stessi dinanzi ad un altro, che in alcuni momenti della nostra esistenza può essere molto fruttuoso.
Un abbraccio. Marco Guzzi
cara Mariapia,
non mi riesce di affrontare l’argomento della confessione se non rimandando a quanto ho scritto nel post di Domenico su: perdonarSi e riconciliarSi.
Desidero aggiungere poche cose, la prima è che sia recitare le preghiere, che partecipare ai sacramenti, spesso , per me, è proprio come afferma Marco, compiere un rito VUOTO DI SENSO INIZIATICO; se non quello di seguire docilmente un Altro… per apprendere l’umiltà nell’appartenenza.
Mi confesso sempre dal mio Parroco, una volta al mese circa, seguendo le indicazioni di Maria a Medjugorje, così come tento di recitare il rosario o di digiunare a pane ed acqua. Non trovo la cosa gratificante in alcun modo, solo faticosa ed umiliante ma… umiliarsi fa bene allo spirito. Almeno a me lo fa.
Trovo maggior vantaggio iniziatico/sensibile fondante nel lavoro proposto da Guzzi che nel sacramento della confessione, ciò nonostante, obbedisco; mantenendo ben distinto il sacramento e la direzione Spirituale.
Speriamo che anche i Sacerdoti comprendano che passa tramite IL LORO CUORE, il senso che trasmettono al popolo sia dei sacramenti che di tutti gli atti pastorali che compiono.
Sai quell’ “io sono tu che mi fai” sta a “tutto è RELAZIONE”, anche nel rapporto Presbitero e popolo.
Ti ringrazio molto per quello che hai scritto, un sacco di cose mi risuonano nuove.
A me piacerebbe molto che i Sacerdoti, una volta al mese, proponessero, una preparazione alla confessione, con: l’esposizione del Santissimo, un po’ di adorazione silenziosa, una preparazione meditativa comunitaria dell’esame di coscienza ed UNA CONDIVISIONE individuale con il Sacerdote per l’assoluzione.
Magari chissà…?
un abbraccio
Rosella
Carissimi amici miei,questo post sulla confessione giunge in un momento veramente propizio e pieno di Grazia.
Che belle le parole di Grun e quanto sono straordinariamente vere.
Anche io mi confesso raramente ,anzi negli ultimi anni molto raramente.
La confessione è stata per me negli ultimi anni una specie di Pronto Soccorso della Grazia .
Vado a confessarmi ,per dirla alla Romana quando intuitivamente , qualcosa mi suona “a coccio” nel profondo” in maniera molto seria e profonda .
Grazie al lavoro dei gruppi ho imparato ad acoltarmi e ci sono dei momenti nella mia Vita in cui la Ferita mi domina completamente ,annaspo , soffro,non capisco e allora in urgenza come un codice giallo vado a confessarmi.
Fortunamente ho un Padre Spirituale meraviglioso che mi conosce da piu’ di vent’anni .Ma in quella sacrestia polverosa ogni volta negli ultimi anni si è rinnovata una Grazia.
E veramente sento il Sacramento della Riconciliazione come un dono .
Ascoltiamoci nel Profondo , scopriamo la ferita fino in fondo e accostiamoci solo in quel momento alla Riconciliazione ,come malati in urgenza, sono sicura che il Signore allora ci fara’ trovare il medico giusto per ridarci la Grazia nel momento dell’Emergenza.
……….emergenza è una parola che ha sicuramente a che fare con l’urgenza, ma anche con qualcosa che sale dal Profondo e si rende visibile……
Questa è stata la mia esperineza con la confessione negli utlimi anni .
Un abbraccio e un regalino per tutti noi dal salmo 139
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della Vita.
Caro Michele,
Sì, tra le cause dell’allontanamento in massa dal confessionale, molti parlano di perdita del senso del peccato. Ma bisogna anche riflettere sul fatto che Il senso del peccato forse è stato sostituito da pesanti , spesso inconsci sensi di colpa, sempre dolorosi e paralizzanti. Bisognerebbe lavorare su questi sensi di colpa, per liberarcene! E qui entra in gioco l’impegnativo lavoro di autoanalisi, di confronto con gli altri, di pacificazione per mezzo di momenti di meditazione che ci propone l’itinerario di conversione di Marco . Forse la Chiesa ha finora sempre parlato di più di peccato che di sofferenza. L’uomo è intriso di sofferenza, anche psicologica :ci vorrebbe più pietà, che giudizio! Grazie ed auguri di serenità! Mariapia
🙂
Carissimi Marco F. , Rosella e Chiara,
grazie per l’attenzione e la partecipata sincerità con cui avete letto e risposto al mio post. Senz’altro il mettere in comune le nostre difficoltà come avete fatto voi ci aiuta a superarle; un giorno , lo spero proprio, riusciremo a gustare anche il sacramento del perdono non come un atto più o meno periodicamente obbligatorio, ma come un momento importante dell’io in conversione , alla scoperta di un volto di DIO, sempre più risanante , rasserenante, perché misericordioso.
Riguardo all’accesso alla Comunione , io rifletto su questo: all’inizio di ogni Messa c’è l’atto penitenziale, che, per fortuna, durante la messa domenicale a cui partecipo, è prolungato con un tempo di silenzio e con invocazioni che richiamano le letture bibliche del giorno. Cerco poi di concentrarmi sulla formula che si recita prima di accostarsi al sacramento: “ Signore, non son degna di accostarmi alla tua mensa, ma dì una sola parola e io sarò salvata”.
Caro Marco F., tu sottolinei tra le altre, una difficoltà che, Gruen , dice di essere di molti: il pentimento; a questo proposito afferma: “In passato il pentimento veniva esagerato: era come se prima, ci si dovesse sentire il più grande peccatore del mondo e svalutare totalmente. Per poi essere di nuovo incoraggiati con l’assoluzione. Questa idea del pentimento contraddice la dignità della persona umana e porta spesso, all’instaurarsi del comportamento sbagliato. Il pentimento non consiste in una emozione deprimente, “ ma piuttosto, in un no all’azione compiuta. Non significa rimuovere il mio passato, ma confrontarmi con esso ed essere pronto ad assumermene la responsabilità.” Questo ci aiuta anche a non rimuginare sugli errori commessi e ad aprirci a comportamenti diversi.
Anch’io, come Rosella, tendo a distinguere confessione sacramentale e accompagnamento spirituale. Penso:nella prima avviene un giudizio, con un reo confesso e una assoluzione, nel secondo c’è l’esposizione a un ‘altra persona delle proprie difficoltà spirituali, innervate in quelle psicologiche. Quest’ultimo lavoro dovrebbe prescindere o no, anche secondo il metodo del darsi pace, da ogni giudizio?
Prendersi in mano, accogliersi e farsi accogliere con tenerezza , a prescindere da ogni giudizio non è importante per curare e guarire l’io egoico? Marco G., nostra guida spirituale illuminaci!
Certo, forse l’ideale sarebbe unire , nel sacramento le due cose, trovando un sacerdote con cui sia possibile realizzarlo, come , mi sembra, succede a Chiara. Anch’io, cerco di farlo con sacerdote amico da parecchi anni. Ma talora ho difficoltà ad aprirmi del tutto, sento il bisogno di ascoltare un’altra voce su particolari problemi. La prima è una mia difficoltà su cui lavorare, il secondo è un bisogno di allargare la mia esperienza.
Un caloroso abbraccio a tutti e un augurio di provare sempre più gioia nel perdonare e nel lasciarsi perdonare! Con l’aiuto anche dei versi del salmo riportati da Chiara, versi che amo anch’io.
Mariapia
Che bel post, Mariapia. Grazie e grazie anche agli interventi che toccano un passaggio centrale nella pratica di fede: mi manca molto la presenza di un sacerdote capace di entrare in un clima di accoglienza e ascolto profondo. Grazie a Chiare per il 139.
M
Cari amici,
amo molto le coincidenze che acadono per puro caso e quindi oggi mi permetto corrispondere agli ultimi post trascrivendo due dei messaggi dati da Maria ai veggenti di Medjugorje
2 Settembre 2010
Cari figli, sono accanto a voi perché desidero aiutarvi a superare le prove che questo tempo di purificazione mette davanti a voi. Figli miei, una di esse è il non perdonare e il non chiedere perdono. Ogni peccato offende l’amore e vi allontana da esso – l’amore è mio Figlio! Perciò, figli miei, se desiderate camminare con me verso la pace dell’amore di Dio, dovete imparare a perdonare ed a chiedere perdono. Vi ringrazio. ”
25 settembre 2010
“Cari figli, oggi sono con voi e vi benedico tutti con la mia benedizione materna di pace e vi esorto a vivere ancora di più la vostra vita di fede perché siete ancora deboli e non siete umili. Vi esorto figlioli, a parlare di meno e a lavorare di più sulla vostra conversione personale affinché il vostro testimoniare sia fruttuoso. E la vostra vita sia una preghiera incessante. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”
buona domenica a tutti
Rosella
Cara Mariapia, voglio ringraziarti anch’io per questo post che tocca un tema spinoso.
Le difficoltà nascono dal fatto che manca una iniziazione al sacramento, cioè un percorso che aiuti a prendere consapevolezza del proprio stato di separazione e della necessità di un ritorno/con-versione/integrazione, come quello che fa fare Marco nei gruppi.
Manca anche una celebrazione comunitaria attraverso liturgie penitenziali in cui il singolo e la comunità tutta si interrogano sul proprio stato di peccato, che è sempre rottura di una relazione.
Ricordo che negli anni settanta nelle comunità di base si praticava la confessione comunitaria: ci si confessava davanti a tutti, ma l’attenzione era rivolta principalmente alle responsabilità sociali, ai silenzi omertosi, alle connivenze. Come comunità si prendeva consapevolezza delle situazioni di ingiustizia e ci si mobilitava per contrastarle attraverso un impegno politico. Il rischio era (ed è stato per molte comunità) una sorta di scissione proiettiva: il male era tutto fuori.
Nei decenni successivi la confessione è ritornata ad essere un fatto personale riguardante solo la sfera privata.
Ho partecipato una volta ad una Messa secondo il rito praticato nello Zaire: dopo la celebrazione della Parola si ha una lunga pausa di silenzio cui segue lo scambio della pace: ognuno va a cercare tra i presenti la persona con cui vive un conflitto, parlano, si chiariscono e si scambiano la pace; solo dopo si presentano le offerte, dando così concretezza alle parole del Vangelo (se stai presentando un’offerta all’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, vai prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a presentare l’offerta).
La Messa allora non è un rito vuoto e la Parola diventa veramente vita, esperienza di comunione.
Pur con tutti i limiti che presenta oggi l’offerta di questo sacramento sento la grazia che mi arriva quando ricevo il perdono: una dolcezza dentro di me che mi commuove e mi fa piangere.
Un abbraccio. giovanna
Caro M.: “chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto”, dice il Vangelo.
caro Corrado,
notavo che nel dialogo del blog, in questo post mi mancava proprio la testimonianza di qualcuno come te. Ne percepivo l’assenza.
Ti spiace, se ne hai il tempo, di condividere con noi,qualcosa di più circa la tua esperienza?
Grazie per Loreto.
un abbraccio
Buona giornata a tutti
Rosella
Vi ricordiarmo che questa e tante altre discussioni proseguono anche sul nostro profilo facebook. Ogni giorno su Darsi Pace su facebook trovate gli articoli della rassegna stampa, gli appuntamenti dei gruppi e le idee della redazione. Chiedete l’iscrizione al link qui sotto:
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Carissimi,
sono anche le esperienze concrete che facciamo e quelle riportate da altri quelle che ci fanno crescere e che ci spingono a cercare sempre, con fiducia. Giovanna ci ha riferito due esperienze liturgiche molto interessanti. Si può fare vivere il perdono allargando e approfondendo i momenti penitenziali della messa e quello dello scambio di un segno di pace. Nulla va fatto meccanicamente e per abitudine, anche nella liturgia,ci vuole creatività, sia da parte dei celebranti, sia da parte dei fedeli. Sono d’accordo con Rosella nell’auspicare un maggiore incremento di momenti penitenziali collettivi con riflessioni approfondite sulla parola di Dio e guida ad esami di coscienza significativi. Forse anche la confessione individuale risulterebbe più convincente , liberatoria, come l’impegno ad avviarsi verso comportamenti ,anche piccoli ,di cambiamento.
Vi riporto ancora una considerazione di A.Gruen: “ nel nostro inconscio esistono delle barriere che ci impediscono di credere nel perdono: sono delle idee arcaiche, secondo le quali ogni colpa deve essere pagata, espiata. Per liberare il nostro inconscio da queste immagini arcaiche, c’è bisogno del rito che trasmette non solo al nostro intelletto o al nostro sentimento, ma anche alle profondità del nostro inconscio, la certezza di essere accettati incondizionatamente da Dio e la cessata necessità di rimuginare sulla nostra colpa.”
Per fortuna la chiesa cattolica è sempre stata maestra nella celebrazione di riti coinvolgenti ; è auspicabile che continui il rinnovamento liturgico del Concilio vaticano II, con forme adeguate alle esigenze della modernità o postmodernità.
Grazie di cuore Mariapia per questo post che mette a fuoco uno dei problemi, forse “il problema”, da affrontare per giungere alla vera intimità di Dio nella nostra vita, nel nostro vivere.
Grazie anche a tutti gli altri per i loro ricchissimi interventi che per me sono come oro.
Avrei molto da dire ma in questo momento non ho molto tempo (!!!altro problema!!???!!!) ma vi vorrei segnalare un libretto che a me ha aiutato moltissimo a rigurado:
“IL PECCATO: ALIENAZIONE O INVITO ALLA LIBERAZIONE?”
JEAN CLAUDE SAGNE, EDIZIONI PAOLINE (1976)
E’ datato come edizione ma vi posso assicurare attualissimo per il contenuto e per il tema affrontato in questo post.
Un abbraccio a tutti e ancora grazie.
Angelo Lello Viola
Cara Rosella, scusami se rispondo solo ora. Lo faccio volentieri.
Anzitutto la mia esperienza è che mi confesso, con una certa regolarità. Il prete confessore è importante, ovvio, ma fino ad un certo punto, perché chi perdona è un Altro.
Tengo distinta la confessione (più sobria) dalla direzione spirituale (più articolata).
Il senso del peccato è proporzionale al senso di Dio. Più avverto Dio per come egli è (cosa fa, come lo fa) e più mi accordo delle mie logiche contrarie a quanto esce dalla sua bocca, contrarie al suo esempio. E così misuro tutta la distanza tra la sua luce e la mia tenebra, tra la sua misericordia e la mia miseria. Davanti alla sua luce vedo le mie zone d’ombra, mi accorgo dove la mia vita segue altre vie (il peccare comporta un scelta libera del male: vedo il bene ma faccio il male!). Il resto viene da sé…
I peccati non sono i problemi. Posso vivere i miei problemi con afflato evangelico (le virtù evangeliche si provano quando le cose non vanno bene, non quando tutto scorre via liscio) oppure secondo prospettive antievangeliche (in questo caso chiedo perdono).
Capisco che per molti la difficoltà è: cosa devo dire? Quali sono i peccati? Forse facendo l’esame di coscienza rischiarato da una pagina di Vangelo applicata a sé, la cosa è più facile.
Come confessore sono a disagio quando una persona esordisce dicendo: “non so che cosa dire, padre”; “non ho fatto niente, non ho peccati particolari”. Mi viene subito da pensare (ma non sempre lo dico): “e allora vai in pace, non perdiamo tempo in due”.
Ovviamente non è sempre così. Basta poco al confessore per “sentire” la qualità dell’animo della persona che si confessa. Nel ministero della confessione ho potuto misurare la raffinatezza spirituale di certe anime (di ragazzi, giovani, anziani). Quando mi accade di sentire il santo respiro delle anime, resto sempre intimamente edificato!
Grazie Corrado,
non ci avevo mai pensato:”Forse facendo l’esame di coscienza rischiarato da una pagina di Vangelo applicata a sé, la cosa è più facile”.
In effetti anch’io, soprattutto agli inizi,ero tra quelli che pensano: non sò che dire.
Adesso me la cavo meglio, nel senso che comincio a riconoscere il mio peggio. Però prenderò l’abitudine di mettermi comunque a meditare La Parola del giorno prima di confessarmi.
ciao
Buona giornata.
Rosella
Grazie Maria Pia per questo post.
Condivido con altri che hanno commentato, la mia personale difficoltà ad accostarmi al sacramento della Confessione.
Per me, il motivo principale risiede nel fatto che la Confessione è istituzione della Chiesa (cattolica) piuttosto recente, e cioè di età medievale (un migliaio di anni circa dopo Cristo).
Si formalizzò nella Chiesa cioè solo in epoca tarda, istituzionalizzando il rito della ‘riconciliazione’ (privata e poi pubblica) che veniva conferita dal Vescovo.
Anche se la prassi della Chiesa cattolica è stata quella di intendere gli unici due riferimenti di Gesù al perdono dei peccati (Gv. capitolo 20 e Matteo 18,18) come la concessione di questo potere ‘esclusivo’ alla Chiesa, molti cristiani si appellano al Vangelo di Marco, cap.2,7, quando l’affermazione degli Scribi “Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?” non è contestata da Gesù, che anzi la mette in pratica, essendo egli stesso Dio.
Insomma, nel cuore di molti alberga la speranza di essere ‘compresi’ da Dio, e perdonati da Dio anche senza passare per il Sacramento della Confessione, che purtroppo, c’è da dirlo, è amministrato spesso in modo davvero desolante (come del resto capita anche con molte omelie che ascoltiamo la domenica).
Personalmente proseguo la tradizione semplice di mia madre, che si confessava una o due volte l’anno, a Pasqua o a Natale. E spero di essere compreso ugualmente da Dio, nel mio pentimento, se è sincero.
F.
Caro Fabrizio, leggendo il tuo commento mi sono venute a galla due considerazioni (forse non ho capito bene la stringata sintesi storica).
La prima è che il sacramento della penitenza-riconciliazione è antico nella Chiesa, anche se è cambiata la prassi nel corso dei millenni. Abbiamo notizie sufficienti fin dal sec. III circa la penitenza pubblica per peccati gravi che escludevano dalla comunione con Cristo-Chiesa (la scomunica appunto) e la riconciliazione pubblica da parte del Vescovo il giovedì santo. Tale penitenza, detta anche canonica (duramente disciplinata), era vista come un secondo battesimo, una sola seconda possibilità di riconciliazione dopo aver già ricevuto il battesimo. Poi si parla di penitenza tariffata (sec. VII-XI), reiterabile, preceduta dalla confessione al prete e seguita dalla riconciliazione privata ricevuta dal prete; infine dal sec. Xi si fa strada la cosiddetta penitenza privata, con la confessione a un prete, l’assoluzione e dopo la penitenza. Una sintesi storica anche in Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1447.
La seconda è che il sacramento non solo dà il perdono di Dio ma riconcilia anche con la Chiesa (era molto evidente nell’antichità, giacché era il Vescovo che riconciliava sacramentalmente i penitenti, riammettendoli nella comunione ecclesiale, e dunque alla comunione eucaristica). Cristo passa per la Chiesa. Poiché il mio peccato non riguarda solo Cristo ma ferisce il corpo ecclesiale (Cristo vive nella Chiesa e viceversa), il sacramento mi riconcilia anche con la Chiesa. Il prete è ministro di Cristo ma anche della Chiesa. La formula di assoluzione del resto ricorda proprio “per il ministero della Chiesa”.
In una visione “privatistica” del rapporto con Dio si capisce bene la difficoltà di dover andare dal prete, perché poi, a che serve, me la vedo io con Dio, sarà lui a capirmi ecc. ecc. . Nel rapporto con il Dio di Gesù Cristo vivente nella Chiesa, le cose sono un po’ differenti. Il battesimo inserisce in Cristo-Chiesa. E dunque il perdono che invoco è quello di Cristo-Chiesa.
Che poi il sacramento soffra a motivo dei confessori è verissimo. Ma è vero che soffre anche a motivo dei penitenti.
Un caro saluto e buona domenica! C
Caro Corrado,
è proprio questo il punto: che il sacramento della confessione attuale è ‘riconciliante anche con la Chiesa.’
Ecco: ma QUALE Chiesa ? La Chiesa – quella che sono capaci di incarnare gli uomini – è forse un ente immutabile nei secoli, una entità monolitica e in-discutibile, assiomatica ?
Se fossi vissuto nell’VIII secolo dopo Cristo, sarei stato contento di pagare denaro sonante per ottenere la mia brava assoluzione dai peccati contro la Chiesa ?
Se fossi vissuto in Argentina, durante la dittatura, sarei stato lieto di riconciliarmi con quella Chiesa che – nelle stesse persone – appena avevano finito di riconciliarmi, passavano all’esercito i nomi dei ragazzi da trasferire sugli aerei della morte, da far precipitare in mare dopo le torture ?
Insomma, il problema – ma parlo per me, è la mia sensibilità – è proprio che la Chiesa passa per gli uomini. E che io non sono disposto a riconoscere in ogni ministro ministrante il Signore Dio incarnato, a priori, solo perché indossa il regolare abito talare.
La confessione è per me – ma credo non solo per me, perché altrimenti non sarebbe in crisi profonda questo sacramento più degli altri – un fatto di fiducia ‘personale’ con il rappresentante della Chiesa su questa terra.
Come penitente sono conscio di far soffrire insieme al Signore, la comunità dei fedeli. Ma non riesco a prescindere dall’idea che chi mi deve assolvere per i meriti di Cristo, dovrebbe e DEVE avere mani più monde delle mie.
f.
Caro Fabrizio,
anche chi serve il Corpo di Cristo deve allora avere mani più monde di chi va a riceverlo? E chi battezza – rimettendo tutti i peccati – dovrà essere immacolato?
Sai bene che la Chiesa ha sempre insegnato la validità dei sacramenti anche se celebrati da un prete indegno. Del resto, Dio ha affidato agli uomini e non agli angeli, puri spiriti, il potere di rigenerare alla vita divina, mediante l’economia sacramentale.
Quanto a “quale Chiesa” ? feriamo col peccato e di cui abbiamo bisogno del perdono, è chiaro che è il corpo di Cristo, la comunione dei santi, ossia tutte le membra sante dell’organismo ecclesiale in cui circola la vita di Cristo. Non si tratta della sola gerarchia (vescovi e preti), ma della “Chiesa santa” (come professiamo nel Credo). Ecco il paradosso, forse difficile da accettare: un prete indegno mi concede il perdono di Dio e della santa Chiesa che ho ferito con il mio peccato. Il ministro, più degno o meno indegno, è tramite di realtà più grandi di lui. Nessun prete sano ti dirà che celebra l’Eucaristia perché lui è degno, o che siede in confessionale perché lui è degno di…. Forse che l’assoluzione di Padre Pio valeva di più dell’assoluzione di un altro prete certamente meno santo di lui?
Certo, la santità del prete ha la sua importanza, ma per invitare alla conversione, esortare con l’esempio, ecc. ma è altra cosa.
Dici che la “confessione per te è un fatto di fiducia “personale” con il rappresentante della Chiesa”. Ma chi si confessa non chiede né riceve il perdono “personale” del prete con cui ha un rapporto personale di fiducia. Confessandoci, confessiamo una serie di cose: la nostra miseria e la misericordia di Dio; confessiamo di aver contraddetto il Vangelo, misconoscendo così la nostra appartenenza a Cristo vivente nella Chiesa, vivente in ogni uomo (a motivo dell’incarnazione).
Apprezzo che tu voglia dei preti migliori di come li vedi.
Prega per me. Così a idea, senza conoscerci di persona, penso che le mie mani di prete non sono più monde delle tue.
C
Caro Corrado,
io mi confesso dal mio parroco che non è ne meglio ne peggio di me, e lo faccio proprio in nome di UN’ APPARTENENZA.
Ciò nonostante, la Chiesa ministeriale, i sacerdoti ed i teologi, troppo spesso si sono arrogati il diritto di volere le loro pecorelle più pure di loro. Non semplicemente di accoglierne il dolore ma,
di volerle proprio PURE per poterle assolvere, vedi talune situazioni “ridicole” rispetto ai divorziati risposati, “se non consumano” possono … .
Ora è comodo sai applicare due pesi e due misure, sottilizzando teologicamente, per garantirci una assoluzione che ci assolva. Disquisizioni che ci toccano solo intellettualmente come quelle che la povertà nelle beatitudini è da intendersi ” quella spirituale” mantenendo intatte le nostre pance piene.
O che non è lecito utilizzare nelle famiglie i metodi contraccettivi se non quelli naturali; no anche all’uso del preservativo per evitare contagi, bisogna paraticare L’ ASTENSIONE, .e si può andare avanti.
Certo E’ PERCHE’ IL POPOLO NON CAPISCE.
Certo è che io non colgo tutta l’immacolata purezza delle indicazioni che il magistero mi pone difronte come fossero una massa opprimente che toglie il fiato.
QUALE MISERICORDIA nell’accompagnamento alle pecorelle smarrite come me, che non capiscono ma che vivono la vita, proprio come i loro non immacolati pastori?
Scusa lo sfogo, ma è ora che anche i Sacerdoti apprendano l’appartenenza AL POPOLO DI DIO.
Un abbraccio
Rosella
Caro Corrado,
il mio discorso, me ne rendo conto, è molto presuntuoso, e il mio giudizio severo ed ingiusto, perché sono io il primo a peccare, e a riconoscere che in ogni uomo, ogni uomo – e dunque anche nei sacerdoti e nei religiosi e perfino nei santi – è il peccato, per il solo fatto di essere un uomo e di aver ‘abdicato alla sua estasi’, come scriveva Mallarmé.
L’innocenza era in noi, come dimostra un bimbo appena nato, ma poi qualcosa nella creazione deve essere andato storto, e questo riguarda TUTTI, nessuno escluso.
Dunque, chi sono io per giudicare ? Mi permetto soltanto di dissentire sul ‘rapporto personale e di fiducia’ con un confessore. Può darsi che sia illogico, o sbagliato o perfino blasfemo: ma mi sembra che molti di noi hanno proprio bisogno di quel tale confessore e non di un altro, proprio perché in lui scorgono una più facile, una più accogliente possibilità di essere perdonati. Quindi esiste una pretesa di questo genere, è molto diffusa, anche tra persone colte e meno colte, ricche o meno ricche, e un perché ci deve essere. Io sostengo: proprio perché la confessione è il più delicato dei Sacramenti, ed è diverso da tutti gli altri.
Comunque stai sicuro: pregherò volentieri per te, e per la tua missione che oggi mi appare quasi eroica, e tu per favore prega per me.
Un abbraccio
F.
Caro Corrado,
vorrei scusarmi con te, e, per dirla tutta a causa del mio sfogo ho perso anche Messa.
Bene!
Tu hai fatto la fine che tante volte abbiamo fatto noi, alcuni decenni fa, quando andando a Messa ci sorbivamo la predica di quelli: che a Messa non ci andavano più.
Sei l’unico Sacerdote intervenuto e… ne hai fatto le spese per parte mia.
Sai Corrado, io ricordo con una tenerezza infinita te ed i tuoi confratelli al convegno con Marco dell’anno passato. Pensando a voi mi vergogno di quanto ho scritto, poichè certamente la dedizione che offrite ai “poveri” (di spirito e di corpo) è incomiabile.
Un abbraccio
Rosella.
Cara Rosella, mi piace il senso di “appartenenza” tra fedeli e preti di una stessa parrocchia.
Leggendo altre tue considerazioni, ho pensato al fatto che talvolta il peccato peccato, quello che ci fa morire davvero spiritualmente, sta da un’altra parte di dove noi pensiamo che sia. Voglio dire che la “luce vera” ci aiuta anche a individuare con verità le nostre ombre, che spesso stanno prima di quello che siamo abituati (più o meno) a chiamare peccato o a sentirlo chiamare peccato. Un segno che si sta progredendo nel cammino cristiano è la grazia di vedere luci e ombre che prima non si vedevano. E dunque agire di conseguenza.
Caro Fabrizio, concordo pienamente con te che occorre cercarlo un buon confessore (come si cerca un buon medico, così uno cerca anche un buon confessore). E chi cerca, trova.
Forse tu intendi per confessore anche un direttore spirituale di cui fidarsi e sentirsi a proprio agio, dal quale attendere consigli. I due servizi possono anche coincidere nella stessa persona, ma sono funzioni diverse. Ci sono ottimi direttori spirituali tra i preti ma anche tra i laici (padri e madri di famiglia, frati non preti. monache di clausura, eremiti… ).
Ti sono grato del ricordo al Signore. Conta sul mio.
Un abbraccio fraterno.
C.
Ho visto adesso il tuo commento delle 7:13.
Ricambio l’abbraccio, Rosella!
C.
Carissimi,
gli interventi sull’argomento , la discussione tra Fabrizio, laico e Corrado, prete, con le considerazioni di Rosella confermano che confessarsi sacramentalmente ed assolvere e consigliare è impresa che può essere difficoltosa e talvolta ingrata. Di questo, di solito, nelle conversazioni tra cattolici si parla poco.
Spesso, diciamocelo, il penitente sente il confessore come altro, separato o peggio superiore a lui, per la funzione in quel momento esercitata, talora teme anche di essere giudicato,manipolato, indirizzato grossolanamente. Il presbitero, pur con tutta la buona volontà del mondo, di fronte a un estraneo che si limita a un semplice elenco impacciato di peccati e mancanze, risponde, come minimo ,con parole scontate, e, forse, dentro di sé , avverte sentimenti di insofferenza.
Ecco perché, come avete scritto anche voi, si va a cercare per questo sacramento una persona di fiducia, infatti la materia di questo segno efficace di salvezza è proprio un incontro tra due persone , entrambe devono prepararsi a comunicare con sincerità, ad accogliersi, ad ascoltarsi reciprocamente E tutto questo richiede fatica.
Personalmente il mio desiderio non è quello di incontrare un prete senza peccato, ma un prete che sappia rispettare la mia coscienza e calarsi nella mia realtà. In “ Esperienze pastorali “ e nelle lettere, Don Lorenzo Milani, parla di questo sacramento a cui dava moltissima importanza , ci comunica che lui si confessava spesso, come forse era costume ai suoi tempi ed era sempre disponibile per i suoi ragazzi e parrocchiani. Ricordo la descrizione della commozione profonda da lui provata quando finalmente un ragazzo riuscì ad aprirsi sul peccato con lui e l’indignazione provata per un frate che, avendo ricevuta la confessione di un giovane di aver votato comunista, ( allora per questa scelta politica c’era la scomunica) si rifiutò di dare l’assoluzione., senza conoscere il contesto , la cultura familiare, le esperienze e intenzioni del penitente.
La confessione, come tutte le esperienze umane è mutata nel passato e muterà , credo inevitabilmente in futuro, e penso che questo non debba allarmare e spaventare, ma sollecitare tutti: gerarchie,preti e laici a impegnare una creatività operativa e coraggiosa. L’importante è credere fino in fondo che Gesù è venuto per i malati e per i peccatori. Se lo vogliamo e chiediamo possiamo essere sicuramente guariti e perdonati. Questo ci può aprire alla gioia e alla leggerezza. Mariapia
Cara Maria Pia,
ti ringrazio moltissimo per questo tuo commento che mi apre molti spazi di riflessione personale.
Soltanto per chiarezza vorrei specificare però che io non ho mai scritto di desiderare o cercare un “prete senza peccato”.
Ho scritto l’opposto, ovvero che penso che i sacerdoti, essendo uomini come noi, sono naturalmente portati a peccare.
Ho scritto soltanto che mi piacerebbe pensare che il sacerdote che mi comunica abbia “mani più monde delle mie”, proprio per la natura del fatto che è lui a dover perdonare me – per i meriti di Gesù Cristo – e non l’inverso.
Solo per la chiarezza.
Fabrizio.
Ho letto altrove cose che mi fanno ridere. Tipo che le confessioni calano perché la gente non sente più la differenza tra bene e male… ridicolo…
Io a confessarmi non ci vado più per motivi precisi. Intanto perché è successo che dei sacerdoti abbiano fatto i cretini.
E poi perché ci sono delle cose mie molto personali di cui vorrei liberarmi, ma che ad un uomo non racconto. Punto.
Ma qui sono cocciuti e pensano che una donna non possa fare il sacerdote… quando capiranno l’errore forse quel giorno tornerò a confessarmi. Forse. Il 32 di un mese.