Il lavoro svolto nei gruppi di Marco Guzzi, in questi anni, mi ha insegnato sicuramente una cosa fra le tante: il conseguimento di una pace interiore e della propria serenità non può prescindere da una buona relazione con il prossimo, anche nei contesti più difficili.
Così mi sono posta l’obiettivo, nell’ambiente lavorativo e non solo, di una maggior comprensione delle esigenze altrui, con l’ascolto e la partecipazione.
Nel mio lavoro occupo un ruolo di responsabilità e sono circondata in massima parte da persone giovani che, mai come in questi tempi, soffrono per tutta la precarietà che il mondo del lavoro offre.
Non hanno certezze nel futuro, sono mal pagati, e non percepiscono alcun compenso in caso di ferie o malattia.
In tale situazione, pur cercando di esercitare un certo rigore, allo scopo di gratificare chi si prodiga con passione e onestà rispetto quelli un po’ più “sfaticati”, ho lavorato per lasciare loro lo spazio dovuto, incentivando la creatività di ognuno.
Mettere a disposizione la mia modesta esperienza nel campo operativo è per me motivo di grande soddisfazione. Il riscontro di quanto cerco di dare mi è arrivato spesso con frasi del tipo “Lo faccio solo per lei, dottoressa!”.
Non nascondo che, in alcuni momenti ho dovuto superare momenti di debolezza ed egoità, in cui magari prevaleva un certo timore di essere superata nel ruolo. Non c’è dubbio quale contesto migliore per il nostro lavoro di “Darsi pace”!
Proprio qualche settimana fa una persona del mio reparto ha portato una pagina di un giornale (il Corriere della Sera) con un articolo di Francesco Alberoni e, polemicamente, lo ha appeso in bacheca. Ha tenuto a precisare che l’ironia non era affatto nei miei confronti, anzi! Bensì per i vertici più in alto! Tirando un sospiro di sollievo ho letto il testo e vi ho trovato, non senza sorpresa tutto ciò in cui credo.
Ve lo propongo.
Dal Corriere della Sera 20 settembre 2010
I dirigenti senza consenso che non sanno fare squadra
Quando a qualcuno viene assegnata qualsiasi carica, preside, dirigente, direttore generale, presidente, gli viene conferito un potere. Egli ha la possibilità di programmare, prendere decisioni, dare ordini. Ma c’è una grandissima differenza se il suo titolo e il suo potere sono legittimati solo da coloro che lo hanno nominato o vengono invece accettati, riconosciuti anche dai collaboratori, dai dipendenti, da coloro che vivono nell’ambiente in cui opera. Chi ottiene questo riconoscimento è un leader.
Il leader indica la meta e trasmette a ogni livello dell’organizzazione l’importanza, il valore di ciò che si sta facendo, crea entusiasmo e orgoglio, per cui ciascuno mette a frutto la sua intelligenza e prodiga le sue migliori energie. Il leader non ha paura di scegliere le persone più creative, dotate di autonomia di giudizio perché sa come guidarle. Lo stato maggiore delle grandi imprese di successo è sempre formato da manager di prim’ordine, che il leader tiene costantemente informati e con cui si consulta per le decisioni importanti in un clima di rispetto e di armonia. È una costruzione corale di cui lui è il direttore d’orchestra, ma a cui ciascuno contribuisce con la propria abilità. L’impresa diventa allora una comunità a cui tutti sono orgogliosi di appartenere, perché vivono il suo successo come proprio.
Purtroppo non tutti i manager riescono a diventare dei leader. Perché sono insicuri, non riescono a proporsi delle mete elevate, hanno paura di fallire, frenano la creatività. Quando scelgono i collaboratori, prendono solo quelli che considerano inferiori a loro. E non danno mai tutte le informazioni, le tengono per sé come fossero un segreto prezioso. Non discutono con gli altri, non li consultano, non delegano nulla, danno solo ordini perentori. Quando vedono che qualcuno dei loro dirigenti ha successo e viene apprezzato all’esterno, hanno paura che li possa superare, che li possa mettere in ombra e allora lo ostacolano, cercano di sbarazzarsene.
Si può imparare a diventare un leader? È difficile, però si può fare imparando a lavorare in équipe, cioè raccogliendo attorno sé i propri collaboratori, dando loro tutte le informazioni, discutendo coralmente i problemi e assegnando in pubblico a ciascuno i suoi compiti. E, la volta successiva, verificando insieme i risultati, in modo che tutti si sentano partecipi e riconoscano in lui una saggia guida.
F. Alberoni
Non credo certo di essere un leader (termine un po’ pretenzioso), piuttosto una persona che cerca disperatamente il suo ruolo “messianico”, ruolo che Marco G. ci invita a riconoscere ed a seguire. Chissà che questo non sia il mio?
Per concludere vi invito a questo: riconoscete in voi stessi o in chi è (o è stato) un po’ più in alto di voi una figura che si avvicina ad un vero leader?
Gabriella
Cara Gabriella non sei tu che puoi dire se sei un leader oppure no … ma le persone che da te dipendono come dice Alberoni. Da quello che racconti mi sembra di sì.
A me è capitato di avere dei capi sia leader che no. Per differenza ho imparato molto soprattutto da quest’ultimi ossia cosa non fare.
Mi domando: Un genitore cos’è? Un insegnate?
Un leader non è anche l’effetto di una trans-formazione?
Non è un tendere a qualcosa di nuovo?
Essere leader è difficile, ma quello che sottintende è il piacere di vedere intorno a sè crescere le persone che possano a loro volta far da “maestri”.
Certo c’è il dover fare delle cose .. ad esempio un percorso che liberi la nostra “creatività” dal profondo. Una trasformazione che implica uno sforzo: il dovere fare delle cose per quel piacere, un piacere “gratuito”.
Per quanto mi riguarda si può diventare dei leader nel senso che possiamo puntare ad acquisire certe attitudini. Questa è una scelta morale.
Si. Almeno per me 🙂
Credo che l’essere leader derivi da un certo grado di bravura – o di autorità che quella bravura conferisce; molto banalmente per es., quando si gioca a calcetto il leader è quello che con la palla ci sa fare di più. Come potrebbe uno scarso, che non sa passare nè tirare nè smarcarsi fare il leader?
Non è vero peraltro il contrario: una persona brava in qualcosa può non essere un leader.
In linea di massima un leader è qualcuno che ha qualcosa da insegnare e che lo sa e lo vuole fare: tutti noi infatti, più o meno consciamente, ricerchiamo la conoscenza e l’eccellenza (perchè ci fanno sentire più vivi); e credo anche (ma posso sbaglarmi naturalmente) che chi non ha mai cercato un leader, una guida e un riferimento per sé, non potrà mai a propria volta essere un leader e un riferimento per gli altri.
Un abbraccio a tutti.
Enrico
Cara Gabriella,
c’è qualcosa che non mi torna.
Che leader era quello che cavalcando un asino entrava osannato in Gerusalemme?
lo stesso che poco tempo dopo è stato crocifisso?
Mi pare che la questione del “riconoscimento di un leader” sia la questione più controversa per la sua fragilità intrinseca. Credo che solo un leader alla fine possa dire di sè stesso “sono stao un buon (ottimo, decente pessimo) leader” tiranto le somme complessive del “contesto” in cui opera.
Il pensiero di Alberoni, così com’è stato riportato nell’articolo, mi pare che delinei degli obiettivi evolutivi condivisibili, che però necessiterebbero di un po’ di pratica del metodo “darsipace” (o altro) per superare : insicurezza, mancanza di mete elevate, creatività, assenza di delega ecc. ecc.
Le soluzioni di tipo comportamentale descritte non mi pare che possano reggere “la persona” del leader.
Questa del leader è una faccenda che prendo in considerazione per la prima volta; ma, in sintesi direi che: un leader è colui che sà essere sè stesso nel momento in cui viene messo da parte, poichè quella è la carta più rivelativa di un uomo (madre, padre guida, capo…), dove conosce veramente se ciò che ha donato ha riempito di senso la sua vita.
Un abbraccio, buona giornata e buon lavoro a tutti
Con affetto
Rosella
p.s. dimenticavo:
Gabriella “complimenti di vero cuore” per la dedizione amorevole e semplice, che poni al tuo lavoro e nella Vita.
…sai trasmetterla anche via post.
Grazie e ciao
Rosella
Cara Gabriella
il punto è che chi ha l’onere e l’onore di guidare un gruppo di lavoro si trova davanti due scelte: o instaurare una piccola dittatura fatta di ordini, orari rigidi e gerarchia, o puntare sui risultati e sulla fiducia.
Inutile dirti da che parte sono. Ma il problema, come nella tesi del Grande Inquisitore di Dostoevskji, è che difficilmente si trovano persone pronte a coniugare la libertà che offri loro con la responsabilità necessaria al lavoro. Spesso mi è capitato di dire: non voglio che rispettiate orari, gestite il lavoro come meglio credete, siate creativi, l’unica cosa portatemi qualcosa di ben fatto entro una certa data. Il risultato il più delle volte è che tutti sparivano per giorni (prendendo lo stesso stipendio di altri colleghi che stavano al chiodo otto ore al giorno) e al momento della consegna mi ritrovavo con cose rabberciate sciattamente pochi minuti prima dell’incontro.
Allora la metterei cosi’: giusto e necessario un approccio basato sulla libertà e sul rispetto delle singole attitudini personali, ma con una reciproca libertà del responsabile di poter scegliere la squadra e di poter dirottare su un capo più tradizionale chi non accetta che libertà non è sinonimo di menefreghismo.
Grazie per questo post, Gabri, ottima riflessione.
Un abbraccio
M.
Caro M, poichè quasi mai è possibile scegliersi i collaboratori (forse alcuni) o interloquire con terze parti con i quali esercitare la propria leadership la tua proposta appartiene al mondo ideale 🙂
E’ come dire che se un figlio è poco gestibile allora cerco qualcuno a cui piazzarlo 🙂
(… succede anche questo quando si delega alla scuola, all’oratorio o alla strada)
In realtà nel caso specifico mi sembra più un problema di accompagmamento e di proposizione di un modo di lavorare “diverso” per loro. Magari non sono abituati. L’umano si rilassa facilmente .. tende non allo “stato di presenza” ma di “sbrago” 🙂
La gestione della libertà non è semplice. C’è bisgono che qualcuno te la insegni.
Un mio (ex) collaboratore poteva lavorare solo se gli dicevo cosa fare con scadenze brevi altrimenti andava nel pallone o combinava casini.
Quello che per noi può sembrare sciatteria potrebbe (in questo caso era) paura di no saper gestire la libertà di lavorare come credeva meglio di fare.
Metto queste faccine oerchè mi vengono in mente tanti esempi vissuti che adesso mi fanno ridere .. prima no.
Per questo nella mia prima risposta dicevo che è necessario un percorso lungo il quale far fiorire alcune attitudini tipiche del leader.
Tendere ad esserlo e sperare che altri apprendano da te (Maestro che si circonda di maestri nel picoolo)
Un abbraccio e buon lavoro 😉
“Quello che in definitiva conferisce il potere della leadership è la capacità di incarnare idee visionarie, di non avere paura degli ideali. Molti posseggono le caratteristiche di una forte personalità, ma a pochi è dato di rappresentare ed esprimere degli ideali”. (J. Hillman)
L’autorità autentica mi pare che derivi da questa fonte visionaria di pura idealità, che sappia però tradursi in progettualità pratica.
Chi possiede questo tipo di autorità viene riconosciuto (solo) da chi cerca di aumentare il proprio potenziale vitale, e cioè da chi vuole veramente crescere.
Chi possiede autorità, e quindi sa far crescere, si pone poi al servizio spontanea-mente, in quanto il fine stesso dell’autorità è appunto “augmentare”, accrescere altri.
L’esercizio liberato dell’autorità consiste cioè in un puro servizio, che diventa pura gioia, ad altissimo gradimento!
In tal senso Dio, che è fonte di ogni autorità, esercita il suo potere soltanto accrescendoci, fino al punto di farci diventare come Lui: Autori della vita e della sua storia.
E proprio così si diverte e gode nella sua beatitudine eterna: il massimo di realizzazione di sé coincide con il massimo di realizzazione degli altri…
Fuori da questo circuito di donazione di vita, e di crescita senza perdita alcuna, proliferano i poteri di questo mondo, e cioè le forme psicopatologiche della nostra mente, che vuole dominare, asservire ed essere asservita, possedere escludendo, primeggiare schiacciando, pavoneggiarsi mettendo in ombra, e così via.
Per tutte queste malattie consiglio una dose massiccia dei Gruppi Darsipace…..
Un abbraccio. Marco
Ottima riflessione cara Gabriella, e molto sensato ed appropriato l’articolo di Alberoni.
Devo ammettere che quando leggevo quotidianamente il Corsera, non sapevo fare a meno degli “editoriali” di Alberoni che per quanto scontati fossero riuscivano cmq a spiegare fatti anche ovvi, ma con originali e sempre interessanti conclusioni da punti di osservazione più inconsueti.
Ma per tornare al tema che opportunamente hai sollevato, e che in modi molto interessanti è stato già commentato da chi è già intervenuto prima di me, debbo ammettere che di veri leader a ben guardarmi intorno ne vedo pochi, forse proprio oggi più che mai. C’è crisi di tutto, di idee, di coraggio, di iniziative e di figure sensate. Mi viene però in mente a ben pensare che l’unico vero leader che ho avuto la fortuna di conoscere e poter apprezzare nel pieno delle sue attvività è stato mio zio Gino, scomparso anche lui troppo presto. Lo ricordo sempre, ogni giorno, e tante volte mi vengono ancora alla mente i suoi insegnamenti ed i suoi modi di dire e di fare. L’ho visto e l’ho affiancato al lavoro e ho assistito al suo modo di guidare, ed indirizzare i suoi ed è stato per me un vero esempio.
Credo sia importante per un leader potergli riconoscere la figura di guida rsponsabile che si prende a cuore il lavoro di ognuno dei suoi collaboratori, incitando, comprendendo, strigliando quando serve e prendendo a calci nel sedere quando ci vuole.
Quello che un leader deve avere penso sia una sorta di carisma, una specie di vocazione che tiene dentro e che gli fa capire ed immedesimarsi realmente nella vita e nei problemi e nel lavoro di tutti quelli che lo circondano, tenedo sempre chiaro l’obiettivo da raggiungere con tutta la responsabilità che richiede, anche a costo del proprio sacrificio.
Un vero leader ha a cuore tutti i suoi e deve saperli riconoscere, trattare al meglio e guidare a qualunque costo, anche con i sacrifici, condividendo la sofferenza e la gioia dei suoi, per raggiungere infine l’obiettivo prefissato.
Grazie per l’occasione di questo pensiero.
Un abbraccio di pace e di cuore.
Marco F.
Carissimi grazie per i vostri interessanti commenti e quanto mai utili alla mia esperienza.
Ringrazio in particolare Domenico e Rosella per le belle parole nei miei confronti. Illuminanti le parole di Hillmann citate da Marco G: “rappresentare ed esprimere degli ideali” e quelle di Marco stesso quando dice che chi è autorevole (come era Gesù) si pone al servizio degli altri spontanea-mente.
Ma è proprio l’essere autorevole che risulta molto difficile, parlando tempo fa con M. avevo sentito il suo sfogo in merito a quante delusioni egli aveva subito proprio da coloro cui aveva dato una certa libertà di agire. E’ così non tutti sono uguali e allora io dico si ricomincia, sapendo di chi ci si può fidare, gli altri vanno condotti; il caso del collaboratore di Domenico che andava nel pallone se non guidato è capitato anche a me. Spesso noto che non si può pretendere da tutti le stesse cose, ognuno ha le sue potenzialità e a volte si può passare sopra anche a continui ritardi se in cambio si ha una maggiore creatività utile all’azienda.
L’importante è essere un riferimento con la dovuta disponibilità e la giusta autorevolezza. Concordo con Enrico, quanto sono stati importanti per me alcuni riferimenti nella mia vita lavorativa e non solo. E a questo proposito non nascondo una certa commozione leggendo nel commento di Marco il ricordo di un nostro amatissimo parente (per me acquisito), zio Gino, una guida e un padre per Marco, un esempio per noi tutti di famiglia.
Grazie a tutti e un abbraccio Gabriella
Non per piaggeria, ma:
ho spesso parlato faccia a faccia con Marco Guzzi, e altrettanto spesso l’ho visto parlare in pubblico; ebbene il suo impegno, la sua passione, la sua attenzione alle sfumature, alla scelta delle parole, alle possibili conseguenze di quel che diceva sono sempre stati esattamente gli stessi, e cioè sempre d’altissimo livello.
Poi mi viene in mente che Marco Guzzi ebbe a dirmi più d’una volta: da giovane ho a lungo cercato una figura di riferimento, finché ho capito che avrei dovuto diventare io quella persona che andavo cercando.
Forse questa frase, unitamente a ciò che Marco Guzzi è, può risultare utile a parecchi “cercatori”: tirar fuori la leadership spirituale, la presa di coscienza di sé che alberga, forse assopita, forse non creduta, dentro ciascuno di noi.
Un caro saluto.
Enrico
Carissimo Enrico, tu sai quanto io speri e creda nella tua autorevolezza e nel suo prossimo fiorire….
Ciao, e grazie. Marco
Se c’è un leader in un gruppo si percepisce subito, l’intelligenza emotiva esercita una capacità di raccogliere, coagulare, indirizzare le varie idee verso una realizzazione concreta, convolgendo tutti verso una stessa meta.