Perché scrivo di me? Perché ora?
Me lo sono chiesto anch’io.
Forse perché i tempi sono pronti, in me e intorno a me: sono tempi di rivelazione, dove molte realtà negative si stanno sgretolando, la menzogna che sottende al male non regge più.
Dobbiamo fare i conti con tutte le forme di inganno, chiederci dove le alimentiamo, le tratteniamo, le assecondiamo e guardare in faccia la nostra realtà. L’umanità vive in un mondo inquinato, sfruttato, lacerato, abusato e noi ci siamo dentro, forse è il tempo in cui ognuno di noi può capire dove siamo chiamati ad avere un po’ meno paura e a rivelarci e a togliere così la terra sotto i piedi al male.
Per me è stato un lungo processo di consapevolezza ed ancor di più quello di liberazione e trasformazione, solo ora sento un fluire naturale e così ho pensato di iniziare da me, dalla mia storia.
Non ve la racconterò tutta, state tranquilli. Solo un passaggio.
Oggi conosco il rispetto grazie ai miei figli.
L’abuso inizia proprio da questa parola, rispetto.
La predisposizione all’abuso non è un virus, non si contrae per contatto, ma ha delle caratteristiche ben precise nell’ambiente in cui si sviluppa: la prima è il potere, la sopraffazione, la mancanza di rispetto, di considerazione dell’altro, come altro da sé e dall’idea di dominio e di prevaricazione su tutto ciò che riteniamo ci appartenga.
L’idea che l’altro è altro da noi, e come tale non possiamo toccarlo, manipolarlo, inglobarlo, prevaricarlo, annullarlo, adoperarlo, minacciarlo e ricattarlo, è estranea a molti.
Non ho mai vissuto fuori da tutto questo. Non conoscevo la libertà e il rispetto, ma quello che è più grave è che non ho mai pensato di non essere rispettata e di non rispettare gli altri.
Un giorno parto per Londra, vado a trovare mia figlia. Desideravo stare con lei, condividere tante cose. Non è stato così.
Ritorno, non è accaduto nulla di quello che speravo, ho però la consapevolezza precisa di non averla raggiunta ed anzi di averla nuovamente ferita.
Non riuscivo a spiegarmi quel divario tra la mia intenzione prima di partire e il risultato al mio rientro. Ma qualcosa ci eravamo dette, qualcosa che lei era riuscita a ridirmi e io ero finalmente riuscita a sentirlo: “tu non mi rispetti”.
Sentii come un lampo dentro di me, il rispetto come espressione d’ amore, come qualcosa che ha a che fare con il cuore, una profonda e amorevole considerazione dell’altro, di mia figlia.
In me e nella mia famiglia il rispetto è sempre stato vissuto come un qualcosa che aveva a che fare con l’educazione, un qualcosa di molto asettico e doveroso, come lavarsi i denti o dire buongiorno.
E’ stata talmente primaria la condizione di non rispetto della mia identità di bambina che non ho mai percepito questa privazione e l’ho perpetuata negli altri con leggerezza e inconsapevolezza, lasciando crescere in me un dolore profondo e una condizione di infantile onnipotenza.
Ho capito che le grandi mancanze della nostra storia, quando le si vedono, non si possono camuffare, né gestirle, né rimediare. Si può solo curarle e guarire totalmente, non c’è altra via, perché il vaso è colmo per sé e per gli altri: tutto deve venire alla luce, il male evolve sempre in altri danni più penosi.
Ho conosciuto il dolore, la disperazione, la mancanza di vita che annienta e immobilizza i giovani abusati, conosco sulla pelle la loro rabbia verso i propri genitori, per le aspettative di protezione, comprensione, di carezze, di rassicurazioni mai arrivate.
Noi genitori, incapaci di vedere, di percepire, di sentire l’avvicinarsi dell’ombra.
Distratti e risucchiati dal nostro piccolo ego, lasciamo vuoto il campo dove inizia il rito sottile ed adescante, con la complicità di un ambiente familiare omertoso e a sua volta violato che tiene in custodia il male, e tace.
Ciechi e assenti a quel qualcuno che vuole sfregiare la purezza, per un sentimento trasversale di sfregio e di prevaricazione su tutta la famiglia.
L’ombra è fredda, non entra minimamente in relazione con l’emozione dell’altro, non sente nulla.
Pietre, sassi dove nulla passa, insensibili al dolore proprio e altrui. Impermeabile alla sofferenza.
Lui, capta che c’è un varco, una mancanza, che non sono amati abbastanza, che non c’è, intorno a loro, un’aurea di protezione solida e adulta.
Sente che sono alla ricerca di amore, che anelano ad un po’ di attenzione in più e vigliaccamente si insinua in quel varco. Loro cadono nella trappola.
Messo un piede, rimangono incastrati in quel ricatto pauroso, che parla di perdita, di annullamento, di separazione da sé ed allora si strappano la zampa come cuccioli braccati, fuggono, non sanno che lì nella trappola rimane anche la loro anima e che un giorno dovranno tornare a prenderla, tutti.
Separarsi da sé è perdita di energia, continua ed incessante, un dissanguamento senza fine.
Tornare è un cammino lungo, faticoso, doloroso, pieno di smarrimenti e di interruzioni.
Tornare vuol dire sperare negli uomini, sperare in qualcuno, più di qualcuno, in un’ umanità che ti aiuti a ricongiungerti. E’ stringere mani adulte, solide, umane nella loro essenza più profonda, è stringerle forte, tanto forte, con quella forza che non hai e che racimoli giorno dopo giorno nella speranza di risentire quella linfa vitale scorrere in te, l’immensa forza della vita.
E’ la giustizia che aspetta di riprendere il suo posto, ora. La giustizia non è un fatto giuridico, è rimettere le cose a posto, in linea con la vita, in assetto con lei, è svelamento, è luce, è verità, è ricominciamento per tutti e in tutti.
“ E’ bene tenere sempre presente che il dominio della menzogna non può mai estendersi all’infinito.
E’ stato posto un limite alla menzogna e a ogni elemento distruttivo, e cioè ad ogni forma di male, tanto a
livello personale e relazionale quanto sul piano storico e collettivo: la menzogna è destinata ad accrescersi solo fino ad un certo punto, per poi autodistruggersi.
La limitazione espansiva del male è una delle leggi più belle e rassicuranti del piano divino.”
Marco Guzzi
Grazie, Patrizia, per esserti raccontata così intensamente, sento nelle tue parole la forza di chi ha attraversato il dolore lasciandosi purificare e trasformare.
Io non sono madre, mi sono rispecchiata in quello che hai detto come figlia che non si è sentita rispettata dalla madre, la quale inconsapevolmente le imponeva il proprio modello femminile: donna abnegata, dedita alla famiglia, sottomessa ai maschi e capace di sostenere su di sé le loro mancanze. Io figlia accondiscendente, ma piena di rabbia perché non si sentiva vista e riconosciuta.
Quanta sofferenza per entrambe!
Fino a quando è cominciato il cammino di ritorno: dentro e verso me stessa lungo il quale, spenta la rabbia e attenuato il dolore, ho cominciato a riallinearmi con la vita e a sentirne tutta la sua forza.
Giuliana
Cara Patrizia,
ho faticato molto a comprendere il perchè fosse necessario un ascolto empatico e silenzioso durante le condivisioni personali, negli intensivi (e non sò neppure se l’ho veramente compreso); ma, quel che in questo momento mi chiedo è perchè questo, di silenzio, lo trovo: “fuori luogo”, e mi procura un certo disagio.
Anch’io non so che dire, ma intuisco che “non è giusto” non donarti un riscontro anche se le parole adatte faticano ad arrivare.
Forse queste:
“Hai tutta la mia stima!”
Con affetto
Rosella
Carissima Patrizia, grazie di queste parole, che so quanto ti sono costate, quante lacrime, quanto lavoro interiore, quanta ricerca di un possibile riscatto, di un perdono…
Vorrei anche dire che nei giorni trascorsi molti di noi non vedevano il tuo post, da qui l’assenza di commenti….Ora sembra che tutto sia tornato in ordine.
Un abbraccio. Marco
Cara Patrizia,
grazie per questa tua vibrante testimonianza! Ogni tua espressione è da meditare: lo farò, condividendo con te fatiche, speranze, aperture!Mariapia
Grazie Patrizia.Penso che questo sia uno dei post più belli letti ultimamente.Perchè quì si respira veramente l’aria di DP,e mi ricorda i motivi per cui frequento DP.Infatti giornalmente rientro in una sorta di trance che riesce a camuffare e stravolgere completamente la realtà dei fatti ,fino a convincermi che sono addirittura una brava personcina.Tornare tutti i giorni a vedere real-mente il letame che mi sommerge è tremendo e a volte non lo sopporto.Nel tuo post si respira la fatica,la decisione,l’abbandono che danno forza e speranza.
Davide
Concordo con te Davide. La radicalità di questa testimonianza ci riporta alla fatica del processo di conversione, a questo nostro io ‘duro a morire’.
Una autocoscienza dolorosa e afflitta che però porta con sé come una segreta gioia: la resa, l’abbandono che ci riallinea alla vita.
Grazie Patrizia.
Paola
Giuliana, ho sentito una vera condivisione sulle conseguenze di bambini non visti, non riconosciuti, non rispettati e che a loro volta, molto probabilmente non rispetteranno, come nel mio caso e forse anche nel caso di tua madre.
Rosella, grazie per la sensibilità e per la stima.
Marco Guzzi, la tua mano ha la forza della vera umanità.
Maria Pia, mi sento sostenuta dalla tua condivisione
Davide, grazie della parola bellezza e di aver sottolineato il senso incarnato dei gruppi darsipace, lascia che la luce attraversi quel letame di cui parli e che probabilmente anche tu sostieni, è dura è vero, ma l’unica via per liberarcene.
Paola, hai colto perfettamente la “segreta gioia” che mi sostiene.
I figli, che grande dono Dio ci ha dato!
Con il primo corso di Marco ho perdonato i miei genitori per non avermi quasi mai capita.
Ora mi sento più madre che figlia, so di fare tanti errori anche io con loro, ma ce la sto mettendo tutta affinché, qualsiasi cosa “spero positiva” scelgano avranno sempre il mio appoggio. A volte mi piacerebbe fossero come “io” vorrei, ma so che ripeterei lo sbaglio dei miei genitori e allora cerco di accettarli così come sono.
Le cose “brutte” me le fanno ” godere” tutte a casa; ma so che hanno anche molti lati positivi che però a me, come diceva Gesù, non sarà mai concesso di vedere, perché loro sono frutto del mondo, io sono solo l’arco, che non vedrà mai la freccia che ha lanciato dove andrà a finire. Quando non avevo figli, oppure quando loro erano piccoli pensavo che questo non sarebbe mai stato possibile. Oggi, mi rendo conto più che mai, che loro mi stanno “scivolando via” che non mi vogliono nella loro vita.Sanno solo che sarò il loro punto di appoggio nelle difficoltà, ma loro vogliono vivere la vita staccandosi da me. Già soffro ora che ancora li ho vicini, ma li sento distanti, però è una fase che devono passare per crescere ed io mi devo rassegnare. I miei figli mi sono stati donati solo in “prestito” solo per crescerli e non per averli sempre accanto.
Ma io un modo per sentirli sempre vicini ce l’ho! Faccio la catechista e torno mamma dei bambini piccoli che mi vengono affidati per la 1 Comunione ed ho due ragazzi dell’età di mio figlio grande che mi aiutano nel lavoro, sono anche amici di mio figlio e così mi sento mamma anche di tutti loro che mi danno tanta gioia, quella che a volte non ho più dai miei figli. L’amore è lo stesso, non devo rinchiuderlo dentro la mia famiglia e basta, altrimenti soffrirei troppo per questi distacchi. Qualcun altro godrà la gioia di avere vicino i “miei” figli. Il ” rispetto” è proprio questo accettare di non “goderceli” troppo a lungo. Un abbraccio a Patrizia che ha sofferto molto.
Ti auguro di trovare tanti altri “figli” da amare, anche se i tuoi, nel bene e nel male fanno parte di te. Un abbraccio.
Quando è l’anima a parlare, il suo racconto è sempre “toccante”.
Patrizia, quando mi hai detto che pubblicavi anche tu un post, ho percepito sul tuo volto la gioia di questo traguardo.
Come se fossi riuscita a sbloccare una parte di te che aveva un certo timore di esporre la propria vulnerabilità.
Per me all’inizio è stato lo stesso, ma poi ho capito che questo sito, più di altri, doveva essere un luogo di lavoro e così mi ritrovo con una certa facilità a scrivere di me, ad esprimere le mie debolezze, ma anche le mie conquiste, avendo superato la paura folle che avevo di essere giudicata.
Per ciò che riguarda il rispetto verso gli altri, ma in particolare verso chi amiamo di più, questo è un problema infinito; spesso mi ritrovo a relazionarmi con i miei figli con le stesse modalità insopportabili di mia madre.
Perché questo? Per farla scontare anche a loro? Perché inconsciamente le riteniamo giuste?
Naturalmente il lavoro nei gruppi serve ed è servito a maturare la consapevolezza di tali atteggiamenti ed a tentare di correggersi.
Siamo quindi più fortunati dei nostri genitori, che a loro volta hanno subito il “non rispetto” (più o meno pesante) da parte di chi li amava!
Un abbraccio Gabriella
Ciao Patrizia,
Leggo le tue parole frutto della tua storia, del tuo percorso.
Ho cercato di ascoltarle ad occhi chiusi con il desiderio di respirare le emozioni che han guidato il tuo cuore e le tue mani.
Catturo il desiderio di un dialogo che vuole esser tale,
una nuova musica che vuoi iniziare ad ascoltare.
Colgo li un’umiltà fiera,raggiunta ed accettata,
sfiorare con mano leggera e sicura,
guardare con occhi fanciulli,
sentire con cuore libero
lo sgretolarsi di radicati e polverosi assolutismi.
Grazie Madre.
Carissimo Daniele, benvenuto tra di noi….
Marco
Non dimentico che uno dei motivi iniziali dell’ingresso ai gruppi DP era il desiderio di questa conversione per far volare i figli.
http://www.youtube.com/user/darsipace#p/search/0/tyYQ5dDFYSo
Oggi, io come padre 40enne, ho più strumenti, ho maturato una sensibilità che ieri (over 50) non c’era.
Rompere la catena male-detta non è facile e investe ciascuno di noi, sereno per quanto mi riguardo che non salvo nessuno (chissà cosa dice il mio ego a tal proposito .. 🙂 )
Aggiungo che questa conversione l’ho cercata faticosa-mente, coraggiosa-mente e tenace-mente la tengo viva ed alimento.
Malgrado ciò riconosco che contribuisco al bene e al male che esce fuori come il vapore e l’acqua calda che fanno cadere il coperchio generando confusione.
Quello che ho cominciato io spero possano proseguire i miei figli perchè quello che abbiamo “intorno” distorce il nostro “interno” maledetta-mente… ma qualche anticoprpo cominciamo ad averlo 🙂
Un abbraccio
Ringrazio tutti e vi abbraccio con particolare affetto, nella piena consapevolezza
di quanto può essere stato difficile superare le resistenze e l’imbarazzo nel
commentare il mio post.
Un grazie particolare a mio figlio Daniele per il suo coraggio e la sua generosità.
Cara Patrizia penso che di fronte a certe tematiche l’intensità della sofferenza e la frustrazione percepita è tanta e tale che è molto difficile da esprimere e da far capire. Quindi, prima di tutto brava per essere riuscita a trasmetterci le tue emozioni e poi un grazie di cuore per questa tua testimonianza che è a mio avviso un inno alla vita. Quella vita in cui noi tutti combattiamo ogni giorno alla ricerca della giustizia che tu hai tanto bene descritta.
Fabio
Ciao, Fabio, sono felice di incontrarti qui….
La scommessa di questo sito sta tutta nel tentativo di farne un luogo molto particolare, in cui comunichiamo a partire dal rovesciamento costante delle nostre difese, e cioè, potremmo dire, da dietro le quinte del teatrino del mondo, e del suo eterno e noiosissimo carnevale….
Un abbraccio. Marco
Si Fabio, hai colto l’essenza del mio messaggio, il mio è proprio un inno alla vita!
Il male è già stato sconfitto, la luce ha già attraversato le profondità più oscure della terra, a noi non resta che lasciare la presa, non trattenere il male, non alimentarlo, esporsi a questa luce è favorire la nostra realizzazione per quello che siamo veramente “un irripetibile sogno di Dio”.Ciao e grazie