Come diversi di noi, credo, in questo periodo particolare mi sento sotto assedio. Aprire un sito on line di un quotidiano, leggere un giornale, guardare la tv, mette ogni giorno a confronto con quadri umani del tutto depressivi. Mi sembra che il mondo sia attratto unicamente dal bizzarro, dall’eccessivo e dallo spaventoso.
Mentre io sono mortalmente annoiato da questo panorama, e mi sento di contrario, attratto – come un invertebrato notturno – soltanto da qualcosa o da qualcuno che balugina luce.
Ma la luce appare sempre più rada, sempre più difficile da scovare. E ho come l’impressione che la luce non possa e non potrà mai arrivare – finalmente e del tutto – se questo scenario vecchio che ci paralizza, consunto e cascante, non verrà del tutto eliminato. Se con esso non si riuscirà prima o poi, definitivamente, a fare i conti.
E’ su questo sentire che sono nati – negli ultimi giorni – questi versi. Raccontano di un passaggio che tarda a venire ma che sembra sempre più urgente, sempre più irrimandabile.
Corpo morto
è avvelenato e celebrato morto
anche se il vento ancora non ha chiuso
la porta, riprende a parlare col fiato corto
l’anatomopatologo dice che è un delitto
e non un semplice torto,
lasciarlo lì a marcire come muffa nel parco
bisogna svellerlo e toglierlo
portarlo a posto
chiuderlo all’istante, riporlo
celebrarne le esequie
e seppellirlo,
il tuo cervello si dispone all’ascolto
ma non ancora per molto
germoglia del pensiero
il fiore non ancora colto,
e subito svanisce insieme al corpo caldo
bisognoso di cura e composizione
come la nave che affonda nel porto
a un passo dalla riva,
nel freddo del fiordo
compensa con calma il trapasso
finale, la presentazione
del conto,
riunisce le forze, disattiva il contatto
e cade finalmente nel pozzo,
cade e nessuno ci penserà più,
cade come una storia che cade,
come un corpo corrotto
come una cosa che si rompe
e succede, come una ferita grave
o un gioco senza scopo e senza morale,
come un semplice corpo morto, cade.
Fabrizio Falconi – 16 novembre 2010
… io non sono nessuno …
ma, in questo abisso di grigia disperazione …
in questo rallenty di caduta …
mi hai mostrato il bagliore di un raggio di luce…
…mantengo il cervello in ascolto …
Grazie.
marco f.
Caro Marco,
non so che dire… . Mi piacerebbe molto condividere la visione del tuo desiderio, ma ho come l’impressione che il conto sarà molto, molto più salato del previsto.
Non sono pessimista, lo ero molto di più anni fa. Questo perchè ora sono cambiata.
Il mio cuore è cambiato.
Ho la netta percezione di una salvezza universale “già data” ma da un certo punto di vista percepibile solo se ci concepiamo “globalmente” come un corpo unico. Nel senso che la salvezza di un “altro”: di un altro colore, famiglia o razza sia “come fosse” la mia di salvezza, quella dei miei figli o dei miei nipoti… e francamente ancora non penso proprio di esserci a questa consapevolezza vissuta/sentita nell’intimità del mio cuore di carne.
Individualmente temo che subiremo una sorta di “sorte”. Così come capita e sarà veramente dura…..
Non sò come la pace nel cuore possa consentirmi questa serenità sostanziale, ma è quello che auguro a ciascuno di noi, soprattutto a quanti, proprio come te hanno figli piccoli o come me: nipoti neonati.
E’ questo sai che ci fa avvertire più acutamente l’urgenza del momento, di UN RESPIRO che sia DI VITA.
Un abbraccio di cuore
Rosella
Fabrizio, scusami, parlavo con te lasciandomi trasportare dai tuoi versi e non con tuo fratello.
… ci sarà un perchè???
Ciao e Buona Domenica ad entrambe le famiglie. Rosella
Caro Fabrizio,
la tua poesia rappresenta bene il tuo sentire. Il sentire comune, più o meno consapevole, di un mondo che si sta consumando ma ancora non lo è del tutto.
Il passaggio. Che come un parto è doloroso, ma non può non aprire ad un’altra vita in un’altra dimensione.
Aperta libera senza confini. Senza guerre. Solo pace. Tutta Amore.
Un passaggio come una Pasqua di Resurrezione che è per sempre.
Nel tuo scritto individuo l’evocazione di tragici fatti odierni (il corpo nel pozzo: la giovane vita strozzata di Sara) insieme alla memoria dantesca degli ultimi versi del V canto dell’Inferno:
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Dice al proposito Caretti: ” Lo smarrimento di Dante è l’ultimo atto di un’estenuante lotta sopportata dal poeta tra la consapevolezza sempre più viva della precarietà umana e il sentimento dell’eterno, qui legato strettamente all’idea del dolore.”
Una buona fruttuosa settimana a tutti
Filomena
Grazie, carissimo, è proprio così: un Corpo sta proprio putrefacendo, un Corpo antropocosmico, psichico e materiale.
Ma c’è anche già un Altro Corpo, il Vero Corpo, come lo chiama Bonnefoy, in cui già da ora rinasce il nostro germoglio verdino.
Un abbraccio. Marco
Grazie di cuore, Marco (G.).
@Filomena: grazie davvero. In effetti nei miei versi è entrato anche, forse perfino inavvertito, l’eco delle varie tristi o raccapriccianti vicende che la cronaca (ci) sottopone come un rosario quotidiano. Sì è così: avverto profondamente questo passaggio, e questo mondo che si sta consumando ma che “non è ancora consumato del tutto”.
Però ho l’impressione a volte – e questa poesia riflette questo sentire – che la luce sia come ‘bloccata’ dalla presenza di questo corpo morto ingombrante e tirannico, che è ovunque, e che non permette alla luce di filtrare, di farsi largo. E’ come, insomma, se io avverta la necessità di disfarsi completamente di questo corpo vecchio, di toglierlo di mezzo, di venirne finalmente a capo.
@Rosella: anche io sono convinto che sarà un passaggio molto traumatico. Del resto ogni morte e ogni seppellimento lo è. Il fantasma del morto aleggerà ancora a lungo, l’elaborazione del lutto, anche se accompagnato ad un sollievo e a una liberazione pura – sarà doloroso e travagliato.
@Marco:solo grazie. Anch’io cerco di tenerlo in ascolto.. hai visto mai ?
Fabrizio
Fabrizio, condivido il tuo sentire e credo che, come tu dici, la cronaca quotidiana contribuisca parecchio a tale penosa situazione spirituale. Basti pensare ad Avetrana… Ecco, se mi metto a pensare a come i media hanno trattato e stanno trattando quella storia la mia nausea giunge a livelli intollerabili.
La risposta sta nei tuoi versi però, e non soltanto nel contenuto dei versi ma nel fatto stesso che tu li abbia scritti; un gesto di ribellione alla putrescenza, un fiore nel fango – senza retorica.
Speriamo in tempi migliori, speriamo che questa insostenibilità esistenziale si faccia più presente e pressante in tutti – non è che mi auguri qualche catastrofe, ma auspico grandi e anche traumatici cambiamenti.
Enrico
Carissimo Enrico,
ti ringrazio davvero molto.
Sì, anche io sento che qualcosa di molto pesante sta per succedere, a livello collettivo ma anche individuale, complessivo. Sarà un passaggio traumatico e non è affatto detto che il ‘dopo’ sarà migliore. Ma oramai il crollo rovinoso (e anche liberatorio nel senso che ho tentato di descrivere nei versi, cioè di ‘liberazione’ da/di questo corpo putrescente) mi sembra inarrestabile.
f.
Grazie a tutti perchè leggendo i vostri interventi,lo smarrimento apocalittico, da fine dei tempi,s’illumina del senso di chi attende e prepara tempi nuovi.
Anche i versi che ho scritto qualche tempo fa mi sembra indichino il disagio-liberatorio di un parto necessario.
UMILTA’
Urge
umiltà in ugola di usignolo
strozzato da urlo,da ululo usato,
da sibillanti uterine serpi.
Fantasmi
scivolano come scialuppe in sciami
partono per profondi putridi porti.
Parto
di umile unita umanità.
BUON AVVENTO a tutti, di cuore.
Giuseppina
Grazie, cara Giuseppina.
Fabrizio