Ho terminato da poco tempo la visione della sesta e ultima serie del telefilm americano Lost; ho riflettuto sui motivi che a mio avviso rendono Lost un prodotto raro e straordinario; e credo d’aver raggiunto alcuni punti fermi.
La prima cosa che mi preme sottolineare è che Lost traccia una maestosa metafora, e come tale non va interpretato alla lettera; alla maniera dei grandi romanzi e delle grandi poesie, Lost comunica ciò che racconta ma anche qualcos’altro, è costantemente in tensione verso differenti sintonie, parla fra le righe oltre che dentro le righe, e soddisfa il desiderio umano, insopprimibile e sacro, d’infinitezza e alterità.
A cosa risponde infatti ogni metafora forte se non alla necessità psicologica e spirituale d’una maggiore pienezza e ricchezza, e cosa realizza se non la (più o meno valida) fuga da un mondo che non ci basta? Spiega Marco Guzzi nel suo saggio L’Uomo nascente, a proposito del suicidio dei poeti Trakl e Celan: “La lettera, il letteralizzare uccide sempre. Solo lo spirito vivifica. Letteralizzare la morte iniziatica nel suicidio manifesta tragicamente la sterilità del prendere alla lettera (e quindi del bloccare) la parola in un suo significato fermo, fisso, invece di lasciare che continui a parlare.”
E’ dunque a mio avviso un errore giudicare Lost soltanto dalla trama, da quel che ne è stato dipanato e da quel che invece è rimasto insoluto, da quanto i conti tornino o non tornino; affiorano incongruenze (e qualche ingenuità) ma il senso generale è chiaro, ed è chiaro proprio nella sua balenante, fertile oscurità, è chiaro proprio perché oscuro. Come in una poesia di Celan, come in un romanzo di Kafka o Dostoevskij, non ogni cosa può risolversi razionalmente; la metafora, quand’è creativa, contiene una forza poetica che trascende l’intelletto e lo nutre, guidandolo verso nuove frontiere di coscienza.
Il secondo aspetto di Lost che mi piace sottolineare è la sua inesauribile vitalità, la sua inventiva degna d’un vero romanzo. Personaggi numerosi e scolpiti, caratterizzati in maniera tale da darci l’impressione di conoscerli bene e da sempre, e da infliggerci un lutto nel momento in cui ci abbandonano, situazioni sempre nuove e imprevedibili, una capacità costante di tenere desta l’attenzione; caratteristiche in buona parte svanite dai prodotti televisivi e letterari nostrani.
Mentre infatti la tv si concentra sulla banalità quotidiana o su vicende storiche svuotate d’ogni complessità, la letteratura tende a soffermarsi sulla cronaca oppure su un male di esistere gratuito, piattamente immotivato e irrimediabilmente individualistico. In un contesto del genere prodotti in grado di risvegliare sentimenti di paura, gioia, empatia o commozione rischiano di sembrare una vergogna; quasi che Melville, Conrad, Tolstoj, Dostoevskij, Dickens, Stendhal, Flaubert, Kafka (per non parlare di Cervantes o Shakespeare), non si curassero della vigoria narrativa e non fossero divertenti e avvincenti oltre che profondi e impegnati.
Il problema consiste quindi nell’intendersi sul significato da dare alla parola impegno: io credo che un lavoro che s’impegni sui temi capitali dell’umano (come fa Lost, come fanno gli scrittori succitati) non possa che risultare anche coinvolgente, perché ciò che tutti ci riguarda possiede il fascino ineguagliabile della vita.
Il terzo aspetto che desidero porre in risalto è l’impegno che Lost domanda allo spettatore; un impegno davvero cognitivo, una collaborazione intellettuale che scongiura qualunque ristagno o, quel che è peggio, qualunque sotterraneo o paludato indottrinamento (e questo senso di perenne avventura mi ricorda per certi versi il lavoro interiore dei Gruppi e di Darsi pace, così come il messaggio alla base dell’intera serie: e cioè che solamente l’unione sconfigge la solitudine e persino la morte, e che è fondamentale coltivare i rapporti interpersonali per vivere davvero una vita piena).
Guardando Lost non si può essere mai davvero sicuri di qualcosa o qualcuno, e il personaggio di John Locke ce ne offre un esempio perfetto. Da illuminato che subito intuisce la natura magica dell’isola (un’isola che rammenta da vicino quella della Tempesta shakespeariana, specie per via della sua natura essenzialmente metafisica), egli poco a poco perde sicurezza e dignità, sprofonda nei dubbi tormentosi che ogni uomo di fede attraversa, e finisce per diventare addirittura l’ospite del Fumo Nero ovvero della parte malvagia di quel luogo, l’incarnazione del Male. Tale metamorfosi risulta per lo spettatore (ma vorrei chiamarlo piuttosto, e non a caso, lettore) spiazzante e penosa. Quasi immediatamente tendiamo a riporre in John Locke – noi così come i suoi compagni di naufragio – le speranze di venire a capo dell’enigma, e le speranze sono messe a dura prova dal mutamento di Locke in un mostro, anzi nel “mostro” per antonomasia. Ma, fatto salvo il finale in cui Locke appare redento assieme a tutti gli altri, la sua figura incarna l’eterno agone fra Bene e Male, rispecchiando la drammatica ambiguità della vita e l’oscillazione fra tenebra e speranza che ciascuno custodisce senza mai poter dire a sé stesso: ho finito, adesso posso stare tranquillo, ora sono al sicuro.
Seguire Lost significa dunque ridiscutere tesi assodate, e assume il catartico ufficio di smuovere le dighe entro cui imprigioniamo le indistinte contraddizioni della nostra esistenza, specialmente quelle che più ci spaventano e angosciano.
Lost è dunque un prodotto imperfetto ma rivoluzionario, anzi proprio in quanto rivoluzionario risulta imperfetto. Un simile risultato di creatività, ambizione, bellezza e pathos ci insegna che le tragedie emotive della nostra declinante era possono indurci a fiorire in luminose, inedite forme di sapere e in una modalità di conoscenza la quale, procedendo quasi a tentoni, giunge a sfiorare le pareti del Mistero. Come scrive Rimbaud nella Saison en enfer: “Ma mi accorgo che il mio spirito dorme. Se fosse proprio sveglio sempre cominciando da questo momento, presto saremmo alla verità, che forse ci sta intorno con i suoi angeli in lacrime!”
Carissimo Enrico, torni su un tema a noi caro: Lost.
Mi piace questa tua allusione al linguaggio simbolico, al nostro bisogno di non letteralizzare, di non prendere alla lettera, e quindi di non ridurre alla lettera le figure della vita e del mondo.
Letteralizzare significa in fondo imprigionare nel già saputo.
Letteralizzare significa ridurre ogni cosa al “non è altro che”…
Lost ci insegna a capire che ogni cosa è anche molto altro oltre ciò che sembra, e quindi ci insegna uno sguardo contemplativo su ciò che accade, uno sguardo che osserva e insieme tenta di intuire, si protende oltre, ascolta.
Lost ci insegna a vivere in modo iniziatico, seguendo cioè un processo che trasforma al contempo la nostra comprensione e la nostra stessa soggettività.
Un abbraccio. Marco
Anche se non ho visto tutte le puntate, a me Lost è piaciuto perché mi sembrava che rispecchiasse benissimo quello che noi stiamo facendo con i gruppi Darsi Pace. Noi vogliamo ” Sopravvivere” anche se il mondo è ostile, anche se a volte ci sembra di parlare con delle persone vive che in realtà ” sono morte dentro” proprio come Lost. L’unica differenza tra noi e il film, è che noi cerchiamo di farci chiarezza mentre nel film si giocava un pò troppo sull’ambiguità. La cosa interessante del film erano le maschere che nessuno aveva più, nel bene e nel male ognuno era veramente se stesso, così come cerchiamo di fare nei ns gruppi, sperando di far uscire la parte negativa di noi e tenerci solo quella buona. E’ in questo modo che potremo dirci pronti per “una nuova umanità”. Un Saluto.
Marco
In effetti il linguaggio metaforico m’interessa moltissimo; mi sembra una delle dimostrazioni più lampanti del’alterità umana. Perciò ho letto il tuo splendido libro L’UOMO NASCENTE con piacere e gratitudine.
Luciana
E’ vero: sull’isola ciascuno è costretto suo malgrado a lasciar cadere le maschere sociali, è messo letteralmente a nudo; questo viene tentato anche nel lavoro dei gruppi di Marco; in fondo darsi pace potrebbe essere considerato una specie di isola nell’ambito del mondo attuale, un’isola profetica e un po’ magica.
Caro Enrico,
dal tuo ricchissimo appassionato post ritaglio questo passaggio che più di altri mi ha colpito, anche in relazione al suicidio di Monicelli (davanti ad un suicidio non trovo parole adatte, mi sembrano tutte o di condanna o di assoluzione, e non me la sento davvero di giudicare)
” A cosa risponde infatti ogni metafora forte se non alla necessità psicologica e spirituale d’una maggiore pienezza e ricchezza, e cosa realizza se non la (più o meno valida) fuga da un mondo che non ci basta? Spiega Marco Guzzi nel suo saggio L’Uomo nascente, a proposito del suicidio dei poeti Trakl e Celan: “La lettera, il letteralizzare uccide sempre. Solo lo spirito vivifica. Letteralizzare la morte iniziatica nel suicidio manifesta tragicamente la sterilità del prendere alla lettera (e quindi del bloccare) la parola in un suo significato fermo, fisso, invece di lasciare che continui a parlare.”
Molto bella la tua riflessione sulla metafora come necessità di sperimentare qualcosa di più ampio e più profondo nella nostra vita.
Come vivere non ad una sola dimensione, ma in una pluridimensione che ci permette di godere il più pienamente possibile della vita.
Per questo amo la poesia.
Per questo devo stare attenta a non esondare in un desiderio eccessivo di evasione che rischierebbe di non farmi vivere il presente.
E’ il presente stesso ad essere talmente ricco di sfaccettature che ce ne sfugge sempre qualcuna.
Trovo poi bellissimo il brano di Marco da te citato: la Parola Vera non è mai lettera morta, cristallizzata in una forma fissata una volta per tutte, ma è vivificata dallo Spirito che in essa si esprime e la rende sempre attuale.
E quindi (per tornare a quanto dicevo all’inizio) di fronte ad un fatto che lascia pensare come un suicidio, a qualunque età esso avvenga, le parole non devono venire dal giudizio ingessato e incartapecorito dell’ego ma dalla freschezza palpitante dell’io ravvivato dalla preghiera, dal contatto con la Fonte.
E di questo nei nostri gruppi si fa concreta sensibile esperienza.
Un caro saluto
Filomena
Filomena
Ti ringrazio molto.
In effetti la grande poesia ci dis-loca e ci fa vivere più intensamente, anche quando (come per es. nel caso di Leopardi) è triste o addirittura disperata. La metafora è un autentico mistero, forse il più grande mistero di quel mistero che è a propria volta il linguaggio. La cosa che più mi ha colpito di LOST è proprio il suo continuo, incessante metaforizzare.
A tal proposito mi viene in mente un autore (anch’egli americano) spesso sottovalutato dalla critica, ma che a mio avviso metaforizza forse meglio di chiunque altro la nostra era tenebrosa: Stephen King.
King, esattamente cone LOST, è sintonizzato sull’immaginario collettivo di oggi, sulle nostre paure più riposte, personali e globali; la sua forza non sta tanto nello stile ma nella visione, nella qualità della sua immaginazione.
Forse LOST più di King cerca una via d’uscita; è più luminoso.
In ogni caso (sono ripetitivo, lo so) ammiro questo tipo di arte che osa, che rischia e che da noi manca.
Enrico
Caro Enrico,
hai sapientemente toccato, con un taglio appropriato e molta passione, un tema assai caro ai frequentatori abituali di questo sito : lo straordinario capolavoro che è stato Lost.
Trovo molto azzeccato anche il considerare gli spettatori che con tanta passione l’hanno seguito dei veri e propri lettori.
In Lost ci sono, secondo me, talmente tante cose, o meglio chiavi di lettura!, che bisognerà vederlo e rivederlo bene per capirne sempre un po’ di più, ed interpretare ancora meglio, mettendoci anche del nostro, tutti gli spunti di riflessione che ha saputo donarci.
Si sono già susseguiti diversi post 😀 sugli aspetti più toccanti di questa opera e sulle caratteristiche più consonanti con il lavoro che svolgiamo nei nostri gruppi, quindi non mi sento di aggiungere molto.
Voglio invece ringraziarti di cuore, hai centrato molto bene l’analisi dell’opera.
Io poi sono particolarmente affezionato alla storia complessiva ed ai personaggi che ci ha proposto, e non smetto di rivisitarla mentalmente ogni volta che mi capita o che posso, o che la vita di tutti i giorni mi rimanda lì a quell’Isola.
Preciso infine che solo un paio di settimane fa ho, per caso !?, rivisto l’intera Ultima Puntata e … mi sono di nuovo commosso 😳 .
La visione che Lost mi ha suggerito della vita oltre la morte terrena, e dell’importanza delle relazioni con gli altri che fanno parte delle nostre esistenze, mi ha dato un grande senso di pace e serenità, mi accompagna, mi consola ancora sempre e mi lascia una tenace speranza di Luce.
Cari saluti a tutti.
Marco F.
Solo dopo aver postato il commento mi sono accorto della tua citazione di S. King.
Caro Enrico, e non posso fare a meno di aggiungere, come nota di redazione, che proprio gli autori di Lost, interpellati, più o meno alla fine della terza stagione, indicavano di essersi ispirati tra l’altro ad un grande romanzo di questo autore che ovviamente ho poi anche io divorato letteralmente : L’Ombra dello Scorpione!!! Molto, ma molto interessante.
Ancora saluti di pace a tutti.
Marco F.
Caro Enrico
Lost è una grande riflessione sul senso del tempo. Che perde la sua dimensione lineare quando lasciamo che venga assorbito nella rivelazione ultima del divino. Ti invio una bella intervista a Enzo Bianchi che, nel posto di guardia degli anziani, riflette sul dono del tempo:
http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/378204/
Grazie a tutti.
In effetti L’OMBRA DELLO SCORPIONE è il libro di King che ho amato di più; anche lì ci sono i “buoni” e “gli altri”, i cattivi; anche lì ci si affeziona ai personaggi, si entra in un mondo; anche lì c’è una riflessione antropocosmica sull’esistenza umana.
In ogni caso, è verissimo che LOST offre talmente tante chiavi di lettura che risulta impossibile esaurirne la sostanza con un intervento. Ognuno rimane colpito da qualcosa. A me ha dato molto respiro mentale e spirituale la potenza della metafora che la serie realizza, lo spostamento immaginativo e creativo che induce.
M
Ti ringrazio per la segnalazione di Bianchi, che stimo molto.
Che perla di intervista che hai proposto caro M!
Mi hai regalato un raro scampolo di serena sapienza e profonda beatitudine.
Ispirate riflessioni, con le quali dovremmo tutti confrontarci.
…. l’importanza delle relazioni….
Grazie di cuore, grazie davvero.
Consiglio proprio a tutti di leggerla.
Marco F.
P.S. : Hai per caso letto quel libro??
No, è uscito in questi giorni. Ma lo farò. Un abbraccio