La natura, la Bibbia, la morte, il senso della vita, l’amore: le poesie di Emily Dickinson sono una delle luci più potenti per illuminare la nostra ignoranza. Una puntata dedicata all’opera della poetessa americana nel programma Il viaggiatore su Radio 1 Rai. Intervengono, tra gli altri, il filosofo Marco Guzzi, l’etologo Giorgio Celli e la monaca di clausura Cristiana Dobner e il pastore valdese Pietro Ricca. Qui sotto il link a Radio Rai:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-36bec22e-493e-4aff-88ce-34949df5fe24-radio1.html#p=0
Di seguito l’analisi di Marco Guzzi.
Emily Dickinson, concepire l’Eterno come tempo presente
1. Come si sa Emily Dickinson non aveva nessun interesse per la vita letteraria, tanto che non desiderava neanche pubblicare le sue poesie. Eppure possedeva una coscienza piena della propria vocazione, che le faceva esclamare, già a 21 anni: “Noi che ci dilettiamo ad immaginare di essere gli unici poeti mentre tutti gli altri sono prosa”. Ed inoltre aveva una considerazione addirittura suprema dell’essere poeti: “Valuto – quando faccio il conto/ al primo posto – i poeti – poi il Sole -/ poi l’estate – poi il cielo di Dio -/ e poi – la lista è finita “ (569).
Per lei fare poesia significa infatti penetrare nel mistero della vita per trasformarla da dentro. Fare poesia significa essenzialmente esercitare una inesausta pratica conoscitiva della propria anima, al fine di guadagnare un punto di vista nuovo e, direi, felice sulle cose, sull’esistenza terrena e sul mondo: uno sguardo che finalmente veda.
Che cosa? Emily dice con chiarezza: “le cose/ che nessun orecchio ha udito,/nessun occhio scrutato”(160). Ma questo Mistero Invisibile ci si rivela contemplando in trasparenza le cose più ordinarie: un uccellino, un albero fuori della finestra, un ragno. Non è lontano da noi, è solo velato.
In tal senso Emily scrive in una lettera del febbraio del 1863: “Il soprannaturale è soltanto il naturale rivelato. Non è la rivelazione che attende/ ma i nostri occhi non ancora pronti”. E’ la nostra anima che deve imparare a vedere, a divenire poetica, e quindi veggente, per scoprire nelle cose più ordinarie il Significato più sorprendente: “amazing sense/ From ordinary Meanings”(448).
2. Imparare a vedere è qualcosa che ha a che fare con il mistero della morte. Ordinariamente, con i nostri occhi di carne, noi vediamo infatti che le persone e tutte le cose nascono, crescono, e muoiono, svanendo nel nulla. Emily è ossessionata dal pensiero della morte, più di 500 poesie sono infatti incentrate sul morire. Ella osserva e descrive con precisione a volte raggelante le ultime espressioni facciali del morente, quasi a volergli strappare l’ultimo segreto. La morte è sempre con lei, pronta a rubarle le persone più care: “Ah, Morte troppo esigente! Ah democratica Morte! Che ha ghermito la più altera zinia del mio giardino – e poi ha stretto forte al suo petto la bambina del servo! Ditemi, è dappertutto? Dove nasconderò i miei tesori? Chi è vivo?”(Lettera del 6.11.1858).
E’ dunque tutto qui? Non c’è altro da dire? Possiamo solo temere e sfuggire la morte, rinviare una condanna capitale che annienta il senso di tutta la vita? Oppure qualcos’altro è possibile? Oppure c’è dell’Altro da scoprire? Su questa seconda ipotesi si gioca la scommessa di tutta la vita di Emily: “Le sole notizie che conosco/ sono bollettini tutto il giorno/ dall’Immortalità.// I soli spettacoli che vedo/ domani e oggi/ forse l’Eternità// l’Unico che incontro/ è Dio”(827).
3. Ma come conquistare quest’intimità con l’Eterno, questa nuova chiaro-veggenza? E poi che cosa realmente riusciamo a intravedere da lì, da quello stato? Potremmo dire così, seguendo la lezione di Emily: per toccare almeno in minima parte il mistero della (nostra) eternità, e cioè della vita come esperienza eterna, dobbiamo reiteratamente morire a quel punto di vista mortale, che ordinariamente ci imprigiona.
Anticipando la morte, scopro in me qualcosa che non è mortale, un’adesione all’essere da cui scaturisce un nuovo dire, oltre che un nuovo vedere, come precisa molto bene Yves Bonnefoy a proposito di Baudelaire: “Morto, già morto, già colui che è morto in un qui e in un adesso, Baudelaire non ha più bisogno di descrivere un qui e un adesso.
E’ in loro e la sua parola li reca”. Questo morire coincide con il crollo di ogni nostro orientamento “naturale”: “Sentivo un funerale nel cervello”(280).
Per vedere l’Eterno la nostra mente spazio-temporalizzata dev’essere cioè letteralmente liquidata, insieme alla visione del mondo che su di essa si fonda: “il tempo qui non aveva più base,/ era svanita ogni misura “(1159). 4. In questi istanti supremi (cfr. The Soul’s Superior instants, 306) l’Anima concepisce l’Eterno come una dimensione del tutto familiare: l’Eternità non è altrove o dopo la morte; ma si rivela come il risvolto, la custodia d’amore del tempo mortale (1684). Ed è proprio l’Anima umana quell’essere bifronte, la “finita infinità”(1695), che coniuga l’Eterno (il Cielo) al tempo de-finito (la Terra), che cioè li tiene insieme, consustanziale ad entrambi (370).
L’Anima umana, se resta fedele all’Eternità cui appartiene, se adesso se ne ricorda (cfr. Forever is composed of nows, 624), concepisce appunto l’Eterno (pro-creandolo) nelle sue forme temporali, e allora questi momenti passeggeri, questi corpi transitori, questi fiori che amiamo non sono destinati al nulla (che non è), ma sono tutti figure dell’Eterno, che provengono dall’Eterno, sono anche ora nell’Eterno, e torneranno nell’Eterno, da cui mai si separarono.
E’ solo l’Anima che deve imparare a concepire le cose così, a svegliarsi, e quindi a concepire anche se stessa come figlia e insieme come madre dell’Eterno, riconoscendo la propria sovrana dignità: “Il Paradiso dipende da noi./Chiunque voglia/Vive nell’Eden, nonostante/Adamo e la cacciata”(1069). Qui Emily tocca il mistero centrale del cristianesimo: l’Anima-Maria, ri-coniugata con l’Eterno (“Bride of the Father and the Son/Bride of the Holy Ghost”, 817), concepisce l’Eterno come Figura Umana de-finita, come Figlio, che è insieme figura finita ed immagine eterna: figura che la morte non può quindi distruggere, ma anzi riconsegna allo splendore eterno da cui proviene. L’Anima Umana concepisce quindi l’Eterno non con una semplice comprensione intellettuale, ma con la fatica tutta carnale di una reiterata gravidanza: la concezione dell’Eterno, in altri termini, non è un concetto ma un concepimento. Vedendo e concependo la vita così, possiamo davvero cantarne la lode, celebrarne la bellezza eterna e passeggera, ed impegnarci in essa con tutto il cuore.
In effetti il movimento della Dickinson è tutto un oscillare fra la disperazione e la speranza.
La sua poesia, in apparenza semplice, è di una profondità incredibile. La sua originalità di pensiero fa dire al famoso critico Harold Bloom: “La Dickinson ci aspetta, perennemente lungo la strada della nostra lentezza, perchè pochissimi tra noi sono in grado di emularla ripensando a fondo ogni cosa per noi stessi.”
In una poesia nella quale descrive la sua cecità (spirituale ma anche, durante certi periodi, fisica, e insomma la sua angoscia nerissima) conclude con il suo tipico slancio di speranza ormai quasi insperato: “O la tenebra si altera/ O qualcosa nella vista/ Si abitua alla Mezzanotte/ E la Vita procede quasi diritta.”
Bisogna proprio dirlo: le parole di Marco sanno dar vita a tutto ciò che toccano. E questa, credo, sia davvero Poesia.
Ho letto questa riflessione sulla grande Emily e mi è venuta una folle voglia di vivere, di guardare il mondo con rinnovata disponibilità.
Vorrei imparare l’arte dell’innaffiatoio.
Grazie di cuore.
renato
Carissimo Renato, grazie del tuo ascolto sempre così intenso e amichevole. Proprio in questi giorni mi sto chiedendo: ma da dove viene e come viene a noi lo Spirito, senza il quale tutto è vano?
Che rapporto c’è, ad esempio, tra le nostre tecniche meditative e lo Spirito della preghiera?
Come si impara l’arte dell’innaffiatoio?
Oggi mi sento di dire questo:
bisogna implorare, bisogna soffrire tutta la nostra nientità, e sfondare con un Grido la notte glaciale.
Prima di questo grido De profundis rischiamo sempre di restare nella nostra vanità, nel nostro orgoglio arido, sterile, senza parole, nella nostra asfittica autosufficienza.
Che Dio ce ne preservi.
Per innaffiare ci vuole l’acqua che viene dalle piogge, dall’alto, e ci vogliono tanti buchi nella nostra carne affinché questa grazia possa scendere sui nostri fiori e sulle anime dei fratelli.
L’umiltà, carissimo, l’umiltà, e poi ancora l’umiltà di chi lecca per terra la salvezza, ed è felice di questo abbassamento, perché SA che tutto il resto è solo una menzogna.
Anche questo è Natale.
Marco
Caro Marco,
leggo il sito e respiro. Quanto è grande l’umiltà. Penso alle tue parole e la rabbia per questa mia condizione fisica, assurda d’impotenza e di impedimenti, si riduce e quasi scompare per lasciare il posto invece ad un’accettazione più rasserenante del mio stato
Grazie a tutti voi e Buon Natale da Fabio e Paola.
Grazie Marco per la tua bellissima analisi di questa poetessa, da me molto ammirata.
Un abbraccio.
Carissimo Fabio, la tua lezione di umiltà è costante e mi spinge ad una preghiera sempre più intensa: salvaci, Signore!
Vieni a salvarci!
Poni fine alle nostre pene!
Abbi pietà di noi.
Carissima Rashide, grazie a te, e un bacio e un augurio affettuoso.
Marco
Grazie carissimo Marco,
le tue Parole sanno di Altro e sanno, come sempre, ogni volta aprire squarci nella mente ottenebrata
stupenda la riflessione sull’Anima figlia e madre dell’Eterno ! e sulla concezione di Dio che non è un concetto, fisso e già dato, ma un concepimento, fatto di cura attenzione compartecipazione … di tutto ciò che occorre per fare spazio al suo Essere in noi, per intessere nella nostra carne la carne di Lui
e tutto il resto viene dopo
grazie, con affetto grande
Filomena
Che bello, Marco leggere un post su Emily Dickinson! L’ho conosciuta tempo fa, grazie a te.
Ho le sue poesie sul comodino, ogni tanto quando la sera sono sfinita dalla stanchezza e dai pensieri, apro questa raccolta, leggo i versi, prima in italiano per comprendere il significato dei termini poi in inglese per carpirne l’emozione. Sì proprio come tu hai fatto domenica durante il nostro incontro.
Mi chiedo come sia possibile che questa donna fragile ed al tempo stesso fortissima, con una vita da reclusa (per sua scelta) in un periodo in cui le donne non erano certo agevolate in niente, possa trasmettere ancora a distanza di secoli tanto sentimento e passione.
“I might be lonelier – without the Loneliness” (“Sarei forse più sola senza la mia solitudine”).
E. Dickinson
Un abbraccio Gabriella
Grazie, carissime Filomena e Gabriella, di tanto ascolto.
Emily ci mostra ancora una volta quel nesso terribile e misterioso tra luce e dolore che non finiremo mai di comprendere e di accogliere…
Un abbraccio. Marco
Grazie! La lettura del commento alla poesia di Emily Dickinson è stato un vero balsamo per l’anima, “figlia e madre dell’eterno”, perciò “il Paradiso dipende da noi”! Ho letto più volte il commento introduttivo, perché mi è sembrato un vero dono, da custodire gelosamente e da coniugare in ogni circostanza della vita. Ancora “l’anima umana concepisce l’Eterno non con una semplice comprensione intellettuale, ma con la fatica tutta carnale di una reiterata gravidanza… la concezione dell’Eterno non è un concetto, ma un concepimento”…”celebrare la bellezza della vita eterna e passeggera ed impegnarci in essa con tutto il cuore”! La sottolineatura di queste parole sta, per me, a significare non solo l’importanza, ma la terapia per alleggerire la fatica del vivere! Virginia
Grazie, carissima Virginia, del tuo ascolto attento e così capace di assorbimento interiore.
Un bel conforto anche per me…..
Marco Guzzi
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