Come può un sopravvissuto dell’Olocausto perdonare il suo aguzzino nazista? Cosa può perdonare un contadino indù che ha visto la sua famiglia sterminata dalla furia dei musulmani pachistani negli anni Cinquanta? O un monaco buddista tibetano torturato per anni dalla repressione cinese? Sono storie estreme, raccolte con un accurato lavoro sul campo, da cui parte la riflessione di Perdonare, il bel libro di Eileen Borris- Dunchunstang che mi ha regalato il mio amico Fabrizio. Storie al limite, dove il male si presenta nella sua forma assoluta, inconcepibile per noi rintanati dentro discreti recinti di civiltà. Storie, però, che permettono a questa acuta psicologa americana di tracciare una mappa universale dell’anima umana di fronte all’ingiustizia. Anche quando il torto assume aspetti molto meno distruttivi di quelli spalancati dalla grande Storia: il tradimento del coniuge, il voltafaccia di un amico, il dispetto di un collega, la persecuzione del burocrate, il ritardo della giustizia. O, forse il caso più difficile da superare, il nostro errore del passato, la colpa che prende dimora dentro di noi, senza mai darci tregua.
Perdonare, allora. Ma cosa vuol dire perdonare? Perdonare, scrive la psicologa, è un atto di coraggio altissimo che ci rende più forti di chi ci ha colpiti. Perdoniamo per essere liberi, per diventare migliori, sbarazzandoci di quei sentimenti di rancore e rabbia che rischiano di condizionare il nostro equilibrio, la nostra vita futura. Insomma, dice la Borris, le nostre colpe e quelle altrui sono ostacoli che vanno rimossi, nella convinzione che il perdono non è una debolezza o un cedimento, ma la grazia di vedere l’umanità negli altri, di guardare oltre la superficie delle loro azioni e di comprendere il dolore che ne è causa, vincendo lo stereotipo secondo cui chi rinuncia alla vendetta è un debole.
Perdonare non è però semplice. Non è immediato. Ma impone un tempo, una riflessione fatta non soltanto di testa, ma di cuore e di nervi. Un percorso dentro se stessi. E nel libro c’è un decalogo per sgombrare il campo da soluzioni semplicistiche, buonistiche, che sotto l’apparenza del perdono maschererebbero stati alienati di paura, vigliaccheria, moralismo, vittimismo e ipocrisia. Ecco i punti su cui riflettere:
1) Il perdono non è obbligatorio, ma volontario. Nessuno cioè può costringerci a perdonare, solo noi possiamo decidere. Il perdono è una nostra scelta, il gesto più generoso che possiamo compiere, non soltanto verso chi ci fa torto, ma anche verso noi stessi.
2) Il perdono è uno stato d’animo. Perdonare è dimenticare. E quando perdoniamo alleggeriamo i nostri ricordi dal peso della ferita. Così il dolore si riduce.
3) Il perdono non è la giustificazione di chi ha commesso un torto. Non siamo tenuti cioè a fingere che il torto non sia avvenuto. Il perdono è la scelta di estinguere il debito del torto subito.
4) Il perdono è riflessivo. Quando perdoniamo qualcuno che ci ha fatto un torto, o perdoniamo il torto stesso, beneficiamo anche del sollievo di non dovercene più occupare. Tutti abbiamo conosciuto chi si ostina a non dimenticare la fine di una relazione o il divorzio dei genitori. E continua a prendere decisioni che risentono di quelle cicatrici emotive. Bene, forse è più saggio liberarsi di quel fardello perdonando il torto.
5) Il perdono è liberatorio. Quando si giunge alla decisione di perdonare, si prova una sensazione di leggerezza bellissima. Quasi euforica.
6) Il perdono non equivale ad amare i nemici. Nessuno è tenuto ad amare un nemico. L’odio però costa energia. E quando ci si nutre di odio, si consumano sia tempo che forze.
7) Il perdono non giustifica chi ci ha trattato in modo ignobile, non ci dice di accettare passivamente le ingiustizie, né nega il diritto alla rabbia, al desiderio di giustizia e di castigo. Non nega neppure il diritto di non scusare chi ci ha fatto un torto.
8) Il perdono non è facile, ma i risultati sono gratificanti. Visto che perdonare è soprattutto una questione mentale, richiede un percorso di comprensione. L’elaborazione non avviene sforzandosi di credere che il debito di un torto non sia dovuto, ma prendendo consapevolezza che il tentativo di recuperare quel debito ci sosterebbe più del semplice condonarlo.
9) Il perdono è auto-guarigione. Quando decidiamo di perdonare, persino l’imperdonabile, medichiamo la ferita originaria e la lasciamo guarire alla luce del sole.
10) Il perdono è rafforzamento di sé. Il perdono non è un atto di debolezza, ma un atto di forza. Ricordiamocene quando subiamo un torto: soltanto noi possiamo perdonare chi lo ha commesso. Abbiamo un potere enorme nelle nostre mani.
Su queste basi il processo del perdono può cominciare in modo sano. Partendo dal racconto, dice la psicologa. Perché svelando la propria storia, ripercorrendola nel profondo, condividendo il proprio dolore si può scendere in quelle profondità dell’animo umano dove riposano le energie che ci permettono di perdonare. E in definitiva di amare.
M.C.
Grazie! Salverò il sito tra i miei preferiti. Veramente bello, il brano. Il tema del perdono,credo sia alla base della nostra religione. Nodale. Siamo o non siamo cristiani? Ma fino a 70 volte sette? Bella riflessione. Una buona serata, per adesso. Paola 😀
E’ molto interessante quello che ci scrivi sul perdono, anche a me rimane molto difficile perdonare e capisco, quando ci riesco, che è l’unico modo per stare meglio; come scrive Paola, essendo cristiani ed avendo anche noi stessi delle colpe da farci perdonare dal Padre Nostro, se noi non perdoniamo come possiamo pretendere di essere perdonati? A questo proposito, mi viene in mente la figura di Giuda, si uccide perché pensa che quello che lui ha fatto é troppo grave per essere perdonato da Dio. La disperazione di chi ha fatto il male penso che per qualcuno esista, quanti pentiti, anche in carcere, sono dei disperati? So che è difficile perdonarli ma ” dobbiamo ” farlo perché, come scrive Marco Guzzi nel suo libro, questo è un atto di ” PER DONARSI”. Un Saluto.
Carissimo M.C.
grazie per questa sintesi-riflessione sull’importanza e la centralità del perdono che equivale all’amore.
Effettivamente credo che tutti abbiamo sperimentato quanta ariosità si allarghi nella nostra anima dopo un atto di vero perdono. Quanto sollievo, quanta leggerezza !
Nonostante queste prove certe, a me capita di non riuscire a perdonare con troppa facilità, avverto spesso una resistenza caparbia dell’ego, una chiusura che mi fa soffrire. E mi succede anche di tornare su cose che pensavo di avere perdonato con cuore sincero e che invece riaffiorano e squarciano ancora la tela che tesso ogni giorno. Come un ragno. Penelope ignota.
Dunque questo decalogo mi è molto utile e lo terrò a mente.
Un abbraccio
con affetto e stima
Filomena
… “SU QUESTE BASI IL PROCESSO del perdono PUO’ COMINCIARE in modo sano. Partendo dal racconto, dice la psicologa. Perché svelando la propria storia, ripercorrendola nel profondo, CONDIVIDENDO IL PROPRIO DOLORE si può scendere in quelle profondità dell’animo umano dove riposano le energie che ci permettono di perdonare. E in definitiva di amare.”
Sottoscrivo in pieno.
Di seguito mi pare possa esserci, giusto giusto “la cottura” del pollo alla “Nonna Guzzi”: Bollisci il pollo e schiumalo dalle schifezze.
Ed il pollo che bollisci, sei tu stesso. Colui che si accinge a perdonare cuoce e schiuma le sue proprie schifezze di dolore, di rabbia e di quanto altro abbia in sè, all’interno di una pentola relazionale (lo psicoterapeuta, la moglie, un amico lo Spirito Signore della vita…) colma “d’acqua che va riscaldandosi nel modo adatto, quello giusto. Sino al momento in cui tutto bello cotto e (vivi)-sezionato in porzioni è posto al centro della tavola in attesa di essere “mangiato”. La porta aperta e l’ospite atteso…
e quel “E in definitiva di amare” si potrebbe compendiare così:
” Non si perdona per interesse, per esempio perché l’altro cambi. Sarebbe un calcolo che non ha nulla a che vedere con la gratuità dell’amore del Vangelo. E’ per Cristo che si perdona.
Perdonare è perfino RINUNCIARE A SAPERE cosa l’altro se ne farà di quel perdono.”
di Fr: Roger di Taizè – da: In Te la pace nel cuore – piccola meditazione quotidiana del 13 Ottobre.
buona giornata a tutti
Rosella
Io ho cpaoito che senza perdono non vivrei bene e mi sforzo giorno per giorno di superarmi.
erratum: capito (ma voi avrete capito, certamente)
🙂
Grazie carissimo per questo bel richiamo al testo della Borris, con tanto di manuale applicativo, per una attitudine sempre troppo poco frequentata in special modo dal sottoscritto ed in particolare anche nei riguardi del proprio se.
Trovo tutti i passi proposti degli ottimi spunti di riflessione. Ma la cosa che a ben riflettere sento di più è quella straordinaria leggerezza che si prova dopo aver perdonato, che ti da forza, pace e serenità.
E mi pare molto opportuno che nel lavoro dei nostri Gruppi si porti all’attenzione questo tema, da cui non a caso prende il titolo dell’importante libro di Marco Guzzi:
“Per donarsi”.
Un abbraccio a tutti.
Marco F.
All’interno del lavoro di autoconoscenza, mi rendo conto di quanto rancore io abbia dentro e questo certamente ostacola il perdono, tanto che il primo passo è il “perdonarsi”. Se non ho misericordia di me, non la posso certamente avere per chi mi sta accanto. Con il lavoro che ho intrapreso in modo più ordinato con il corso telematico dei Gruppi Darsi Pace, sto iniziando a sentire in modo preciso quanta resistenza ho all’abbandono. Non ho ancora capito cosa sia la forza che mi trattiene, ma la difficoltà a perdonare è anche il mio voler ostinatamente trattenere (per me): trattenere per me un’amica invece che lasciare libera l’amicizia di vivere nella trasformazione degli eventi, trattenere per me una sicurezza del quotidiano che mi sta invece sfuggendo di mano. Forse solo adesso, dopo tanti anni di percorso, sto iniziando a “sentire” davvero dentro di me, oltre il piano più strettamente riflessivo, queste forze leganti, forse è tempo di usare misericordia. Ma forse il perdono di sé e degli altri accadono intrecciati.
Un affettuoso saluto a tutti
iside
Uno dei lavori più interessanti che ricordo nei gruppi di Darsi Pace è stato quello di scoprire le parti sadiche si nascondono dentro di noi. Senza che ce ne rendiamo minimamente conto facciamo del male al prossimo e, peggio ancora, ne godiamo. Quasi sempre forti delle nostre blindatissime ragioni.
E’ stato liberatorio notare come dietro a tanti nostri atteggiamenti vittimistici e colpevolizzanti ci sia un piacere sottile di vedere l’altro inquieto per noi. Il piacere di tenerlo legato a noi con la nostra condanna morale. Che in realtà è solo l’incapicità di lasciare andare lui e noi, di abbandonarsi alla vita. Di perdonare, cioè. O in parole più chiare, di amare.
Grazie alla meditazione, grazie all’osservazione, alla scrittura, all’individuazione delle strategie nascoste, alla condivisione con i compagni di viaggio, poco a poco ci si libera di queste gabbie, che ci fanno star male perchè ne avvertiamo tutta la loro squallida falsità.
E il sollievo è grande dopo l’abbandono.
Grazie a Paola, Iside, Rosella, Luciana, Filomena e Marco per i vostri preziosi punti di vista.
Un abbraccio
Carissimi, come avete espresso molto bene, nel nostro stato ego-centrato, quando cioè ci troviamo nelle nostre forzate strutture mentali strategico-difensive, noi non possiamo perdonare niente e nessuno.
Noi, in quello stato, sperimentiamo gli altri come nemici o come strumenti da usare.
Anche se ci sforziamo di essere buoni, in realtà noi LI’ non amiamo nessuno, teniamo tutti legati alla nostra disperata ricerca di controllo.
Non solo quindi non perdoniamo chi ci offende, ma neppure chi ci vuole bene e ci fa solo del bene.
Teniamo tutti sotto chiave, in quanto siamo noi stessi nella gabbia della nostra disperazione.
Perdonare significa uscire da questa gabbia.
Ecco perché perdonare sul serio significa semplice-mente cambiare stato, convertirci (meta-noia), sperimentare il nostro scioglimento, uscire dalla prigionia egoica, e QUINDI liberare tutti: sciolti sciogliere, liberi liberare, etc.:
tana libera tutti…
Ecco perché il processo del perdono è un dinamismo di lunga durata, in quanto ricadiamo spesso nel nostro stato egoico, e la carne ci mette molto tempo a riplasmarsi, i nervi richiedono tanti stati di grazia per liberarsi dei propri codici automatici.
Ogni sforzo di perdonare senza godere del proprio scioglimento, rischia d’altronde di diventare una forma sottile di autoinganno e di odio ulteriormente mascherato.
Un abbraccio. Marco
Caro m. solo oggi ho letto il tuo bellissimo post.
Mi hanno sempre colpito le persone che non sanno perdonare e serbano rancore a lungo, e sono tante! Io non mi sono mai pentita di aver perdonato, anche se a volte mi è costata tanta tanta fatica!
Eppure nel tempo ne sono stata sempre ricompensata. Devo ammettere però che hai toccato un punto per me dolente nel tuo post. Io che ho così tanta facilità ad amare il prossimo e perdonare i torti subiti non trovo altrettanto facile perdonare me stessa.
Infatti ancora non ho superato del tutto il mio sentirmi in colpa per alcune mie azioni passate e credimi questo per me è motivo di tanta sofferenza, chissà perchè sono così clemente con il prossimo e non altrettanto con me stessa.
Abbraccio tutti Gabriella.
GLI OSTACOLI AL CAMMINO DI CRESCITA INTERIORE PER DIVENTARE CAPACI DI PERDONARE
Un bambino non sa difendersi dai compagni cattivoni e si lamenta coi genitori, che gli dicono di menarli. Cosi lui diventa violento. Se la maestra non si lamenta coi genitori, ancor peggio se la maestra incoraggia questa violenza, e’ un male per il bambino che cresce violento. Ben presto il giovane sara’ un disadattato che finira’ male oppure se si comportera’ bene soffrira’ mentalmente, lacerato interiormente da impulsi violenti repressi socialmente impraticabili. Se invece la maestra si lamenta coi genitori , i genitori insegnano al bambino a difendersi in modo assertivo , senza vendicarsi, senza offendere, usando la comunicazione e il fanciullo trova un equilibrio. Ma occorre anche insegnargli che oltre a trovare il modo di comunicare con gli altri, occorre il perdono, cioe’ riuscire a superare le offese e ritrovare in fretta serenita’ e pace del cuore a prescindere da qualunque tipo di offesa ricevuta e senza smettere di voler bene alle persone, senza il bisogno della vendetta, che invece va condannata perche’ quando ti vendichi non stai amando il tuo prossimo. La cosa piu’ importante e’ percio’ insegnare al bambino a voler bene al prossimo, a non odiare nessuno, neppure chi ti fa del male. Infatti, poiche’ il peccato esiste, il male esiste, i difetti e le mancanze esistono, le persone non sono perfette e sbagliano spesso e volentieri, ogni giorno tutti sono immersi nell’oceano dei comportamenti altrui, che possono essere piu’ o meno corretti, tutti sono circondati dalla maleducazione, da ogni tipo di piccole e grandi mancanze di rispetto. E’ ovvio quindi che se a fronte di queste cose ognuno smettesse immediatamente di voler bene agli altri cominciando ad odiarli, ben presto di fatto nessuno vorrebbe piu’ bene a nessuno e vivremmo in una giungla sempre in guerra piena solo di odio e rancore. Percio’ voler bene al prossimo e’ necessario, anche se oggi questo non viene pubblicamente dichiarato da nessuno, a parte i sacerdoti. Anzi viviamo in una societa’ dove molti soggetti portano avanti con veemenza discorsi egoistici e aggressivi che ben poco hanno a che fare con il voler bene al prossimo. Penso per esempio alla pessima impressione che spesso ricevo da certe donne di mezza eta’, madri, che si vede chiaramente come vivano nella piu’ completa diffidenza e nell’odio verso il prossimo, diffidenza carica di giudizio negativo e di chiusura verso l’altro, madri che trasmettono ai figli questa impostazione di vita dell’uno contro tutti gli altri visti come nemici a meno che non siano persone conosciute da una vita e passate sotto il setaccio del giudizio sociale mille volte. Una societa’ dove le persone non si vogliono bene l’un l’altro e’ una societa’ astiosa, fredda, dura, violenta, aggressiva, chiusa, senza comunicazione, di fatto non e’ una societa’, che nell’etimologia stessa del nome indica un legame. Di fatto diviene un luogo arido abitato da individui separati che non si sopportano. Voler bene al prossimo significa quindi essere capaci di provare un certo qual flebile sentimento di vicinanza per il prossimo, un minimo flusso elettrico positivo deve scorrere nelle vene, transitare nell’etere e congiungere la gente tra loro. Altrimenti solo (ma forse neppure quello basta), uno stato di polizia armata fino ai denti puo’ fungere da deterrente per trattenere i lupi dal mangiarsi gli uni con gli altri. Se allora e’ fondamentale che ognuno di noi cerchi ogni giorno di coltivare dei buoni sentimenti verso il prossimo, occorre chiedersi cosa dobbiamo fare non appena il prossimo si comporta male con noi. Dal momento che gli altri non sono affatto perfetti ne’ come noi li vorremmo e’ ovvio che questo accade quotidianamente ovunque, dobbiamo rinnegare tutto quanto appena detto? ognuno di noi ogni giorno ha a che fare con molte persone, sul lavoro, in famiglia, per strada, nei negozi, sui mezzi di trasporto pubblici, durante i viaggi, in palestra, ecc… di tutte queste persone sappiamo perfettamente che molti sono quelli sgarbati, i volgari, gli aggressivi, quelli irrispettosi, i violenti, gli ignoranti e i menefreghisti, ecc… se uno è suscettibile , permaloso, puntiglioso, litigioso e ribattesse a tutte le piccole e grandi mancanze di buona educazione e di rispetto, si troverebbe ben presto a non poter piu’ mettere il naso fuori di casa e a non poter piu’ neppure aprire la propria porta di casa a nessuno. E’ del tutto evidente che e’ molto difficile concretamente trovare sempre l’occasione e il tempo e le persone disponibili per chiarire ogni singola situazione e ottenere sempre delle scuse, quindi e’ chiaro che una parte fondamentale del saper vivere in comune e’ lo sviluppare la capacita’ di perdonare il male altrui. Cio’ significa portare avanti nel corso degli anni un processo di crescita interiore che attraverso la messa in pratica di idee cristiane porta un soggetto dall’essere una bestiolina reattiva malmostosa litigiosa vendicativa irascibile permalosa e rancorosa ad un uomo cristiano maturo, caritatevole, equilibrato, forte nel senso di imperturbabile, misericordioso, ricco di amore per il prossimo e capace di compassione e di buoni sentimenti, quantomeno non di belligeranza ne’ di odio verso tutti coloro che gli fanno dei torti. La religione cristiana e’ fondamentalmente una legge di amore universale cui si aggiunge l’esortazione ad amare il tuo nemico, cioe’ a perdonare il male altrui. La religione cristiana insegna che il perdono deve essere un moto del cuore, un sentimento di compassione, carita’, amore verso chi compie il male. Tutto cio’ viene descritto come un qualcosa di poco razionale e di molto emotivo, per sua natura non e’ un qualcosa che puo’ essere appreso intellettualmente in cinque minuti, ma e’ un qualcosa che discende da una pratica quotidiana di perdono che dura una vita, partendo dai torti piu minuscoli per arrivare alle offese piu grandi. E’ un allenamento costante del cuore, un esercizio continuo. Se tale allenamento non viene mai fatto e uno anziche’ divenire sempre piu bravo a perdonare al contrario va a poco a poco sempre piu’ giu’ smettendo via via di perdonare praticamente ogni cosa, il suo cuore si indurisce, diventa di pietra e non e’ piu’ capace di perdonare niente: ad ogni minima offesa e torto e mancanza di rispetto egli sara’ sofferente, vivra’ in un inferno di rabbia e desiderio di vendetta e sete di ripicca e di giustizialismo. Questo e’ l’inferno sulla terra, cioe’ la condizione di perenni infelicita’, guerra, dolore, sconforto e odio verso il nemico. Invece tale allenamento si puo’ e si deve mettere in pratica sempre di piu’ e non sempre di meno. Il perdono e’ dunque una pratica quotidiana di allenamento all’amore verso il prossimo peccatore e cattivo verso di noi, di allenamento a dare sempre meno spazio all’odio e all’ira nel nostro cuore, uno sviluppo profondo e articolato di virtu’ fondamentali quali la carita’, la misericordia, la mitezza, la capacita’ di comprensione, ecc…
Tuttavia va detto che alcune persone possono non riuscire a raggiungere questo obiettivo di vita, oppure possono scegliere volontariamente di non perseguire tale obiettivo oppure possono ignorarne l’importanza, insomma vari sono i motivi e gli ostacoli che possono far si’ che delle persone rimangano degli arcigni spiriti vendicativi perennemente in guerra col mondo cattivone. Queste persone sono disadattate, con una qualita’ di vita pessima, con enormi difficolta’ sociali, hanno un deficit in un aspetto fondamentale del vivere comune , sono incapaci, non hanno sviluppato tale competenza del cuore. Un deficit cosi’ grave assorbe una quantita’ esagerata di energie e intralcia il corso normale dell’esistenza in tutti i suoi aspetti realizzativi e di relazione. Si puo’ percio’ dire a buon titolo che questo problema rovina la loro vita. Allora e’ evidente che e’ di vitale importanza evitare di finire cosi’. Questo e’ un problema che va quindi affrontato fin da piccoli, non trascurandolo fino alla tarda eta’. Cosiccome rendersi conto a 30 anni di non aver imparato a leggere e scrivere e’ molto troppo tardi, altrettanto importante e’ non rimandare questo argomento, ma proprio svilupparlo in modo naturale nelle fasi di crescita e sviluppo di una personalita’ ancora in corso di evoluzione, quindi piu’ malleabile e plasmabile rispetto alla tarda eta’ indurita e piu’ difficile da scalfire. Educatori e genitori hanno la fondamentale responsabilita’ di non trascurare questo aspetto fondamentale dello sviluppo umano di un giovane, hanno l’onere di preoccuparsi attivamente che questo aspetto non resti sottosviluppato, esattamente come per la scrittura e la lettura. A questo fine occorre secondo me che genitori ed educatori lavorino sulle possibili cause del mancato sviluppo di questo aspetto, le ragioni di un fallimento grave a fronte di un bombardamento educativo cattolico che dovrebbe portare una persona a maturare in questo senso. Occorre che genitori ed educatori si applichino attivamente su ognuno dei possibili ostacoli al fine di monitorare che il giovane non sia intralciato nella crescita da questi muri, e dovranno cercare in tutti i modi di abbattere questi muri. Solo cosi’ il giovane potra’ riuscire a percorrere un sereno cammino di sviluppo della capacita’ di perdono. Genitori ed educatori devono essere consapevoli che e’ loro dovere contribuire attivamente a formare un giovane all’amore verso il prossimo e al perdono, affinche’ sia in grado di sopravvivere psicologicamente al male subito dagli altri che tocca tutti quotidianamente in misura piu o meno marcata; affinche’ egli riesca a superarlo senza bisogno di vendetta e riesca a passare oltre senza perdere il suo equilibrio psicofisico e interiore, cioe’ essendo capace di ritrovare in fretta la pace del cuore e continuando a voler bene al prossimo. Oltre all’esame di maturita’ intellettuale alla fine del liceo, bisognerebbe che la chiesa ad esempio si preoccupasse di testare seriamente un giovane anche nella sua maturita’ del cuore, e solo cosi’ si puo’ parlare veramente di un uomo. Piu’ che l’esame del grado di capacita’ di perdonare raggiunto in un dato momento, bisognerebbe verificare che egli sia nelle condizioni favorevoli a svolgere il quotidiano allenamento al perdono ed ottenere risultati. Anzitutto bisogna partire dall’analisi del concetto di vendetta: va fatto capire al giovane che quello che appare come un bisogno profondo e sacrosanto di vendetta va interpretato per quello che e’: c’e’ una mancanza di allenamento quotidiano emotivo alla compassione, all’amore per il prossimo e al perdono verso chi compie il male. Al posto di questo lavoro interiore quotidiano impegnativo complesso e faticoso, per vari motivi che analizzeremo non e’ stato fatto nulla, o non si e’ riusciti nell’intento, per cui si lascia di fatto il campo libero al dilagare di sentimenti negativi di odio nei confronti di chi compie qualunque tipo di male. Quel che resta e’ un atteggiamento superficiale, come un campo lasciato incolto. Nel momento dell’offesa quello che si fa e’ lasciare spazio a pensieri semplici del tipo: quello che tu hai fatto a me e’ brutto e mi scoccia, se io lo faccio a te saresti contento? Verifichiamolo. Ti piace cosi’ tanto fare il maleducato? ti insegno io l’educazione. Tu volevi scocciare me, mettermi nella situazione oltremodo dolorosa di dover perdonare, ti metto io nella situazione di dover sopportare l’offesa e dover perdonare. Si vede come la vendetta e’ una strategia mentale per evitarsi la grana di dover fare la fatica di perdonare un torto. Fatica troppo gravosa perche’ non si e’ preparati a tale compito. Non si e’ persone mature capaci di perdonare, e si usa una strategia infantile mascherata sotto la parvenza dell’uomo maturo che liquida come stupidotto chi compie il male e lo reputa bisognoso di una lezione di vita per crescere. Questa condizione interiore rivela la sua immaturita’ e inconsistenza nel momento in cui si sta male finche’ non viene attuata la vendetta. E’ chiaro che se uno e’ un uomo maturo perfettamente equilibrato, solido e in pace con se stesso non e’ pensabile che stia male psicologicamente se non mette in pratica al piu’ presto la sua vendetta-punizione, come se dovesse liberarsi da un peso tremendo. Tutto questo disagio rivela al contrario una chiara carenza di competenze emotive che provocano seri problemi psicologici invalidanti. Vediamo quali sono gli ostacoli che possono bloccare il percorso quotidiano di allenamento emotivo al perdono. E’ bene notare che in un giovane possono essere presenti uno o piu’ di questi problemi, e’ facile che se uno si ritrovi ad avere enormi difficolta’ nell’arte compassionevole del perdono sia ostacolato da piu’ di uno di questi problemi.
# LE BESTIOLINE
Piu’ che di un ostacolo interiore , in questo caso si tratta di una categoria di persone. Alcuni , anche se non ce l’hanno scritto in fronte, rifiutano volontariamente di fare il lavoro necessario diventare compassionevoli e capaci di perdono, perche’ rifiutano del tutto di essere convertiti, non vogliono sentire ragioni, non gli interessa nulla di tutto cio’, vogliono restare barbari, sono fieri di essere dei barbari e pensano che gli vada bene una vita da barbari, che si tagliano le braccia l’un l’altro con un ghigno arcaico sulla faccia. Amano la guerra, e’ la loro passione. Costoro non credono se non nell’umana natura piu’ bestiale, non sono interessati alla compassione ne’ ai buoni sentimenti e non credono che l’uomo possa essere diverso da un animale sempre in guerra. Costoro non hanno alcun richiamo religioso verso alcuna fede ma si fidano solo dei loro istinti, quindi confidano solo nell’istinto. E’ la religione dell’istinto, quella che crede solo nel mondo empirico e in cio’ che si puo’ dimostrare. Costoro sono restii ad accogliere il messaggio cristiano e preferiscono un stile di vita basato sul “colpo su colpo”. Tu colpisci me io colpisco te, e siam contenti cosi’, unni colla spada sempre in mano, preoccupati solo della loro autodifesa e sopravvivenza. La bestia abita in loro comodamente e li comanda a bacchetta e loro son contenti cosi’. Come si fa a convertire un simile boscimane, che ha solo una gran voglia di distruggere tutto, di radere al suolo, violentare, depredare, possedere, conquistare, sottomettere, dominare? Costoro sono bestie vestite da uomo moderno in giacca e cravatta, dategli una pelle di daino da mettere sulle spalle, una spada e uno scudo e quelli vi tagliano in due la scrivania senza pensarci, altro che computer e tecnologie. Costui ride in faccia al prete, lo schernisce, pensa di conoscere l’uomo molto meglio della chiesa, anzi ritiene che la chiesa abbia una visione antropologica falsa che cerca inutilmente di sostenere che l’uomo e’ una creatura di Dio votata al bene, dotata intimamente di un profondo anelito verso l’infinito e verso nobili sentimenti d’amore e di pace. Un giovane che si trovi in questa situazione e’ un giovane problematico per un sacerdote , un educatore, un genitore, che vogliano aiutarlo, perche’ qui non si tratta di un povero cristiano che ha delle difficolta’ nel cammmino cristiano; qui si tratta di uno che non vuole affatto essere convertito al cristianesimo. Sotto sotto la chiesa con tutto il suo bagaglio intellettuale gli sta sullo stomaco, non la sopporta, la vive con pesantezza e insofferenza e la farebbe sparire volentieri dalla faccia della terra. Costui deve essere anzitutto aiutato a capire che la chiesa e’ in realta’ la prima a descrivere l’uomo come la bestia piu’ pericolosa sulla terra, un groviglio di istinti minacciosi e primitivi e se non ci si applica seriamente e costantemente per elevarsi al rango di cristiani civilizzati, si e’ destinati ad essere appunto una bestia feroce e basta senza speranza di salvezza.
# ACCIDIA
Un ostacolo interiore al percorso di crescita nella capacita’ di perdonare e’ dato dalla pigrizia: Il giovane che non si allena non progredisce, e’ svogliato, non si applica, magari sapeva cosa fare, ma per anni e anni non lo ha fatto punto e basta. Risultati insufficienti ne conseguono. Occorre che gli adulti si preoccupino di monitorare questo aspetto e di incentivare il giovane pigrone con la minaccia della prospettiva futura certa di ritrovarsi in un sacco di problemi psicologici e di relazione. Va incoraggiato il giovane a cominciare dalle piccole cose non onerose da perdonare per arrivare a quelle piu’ serie.
# LIMITI INTELLETTUALI
un altro ostacolo puo’ essere dato da LIMITI INTELLETTUALI piu’ o meno marcati, che nel corso del tempo portano a non riuscire ad apprendere i fondamenti del cristianesimo, che per quanto il perdono sia un moto emotivo del cuore e poco razionale, necessitano comunque di un certo livello di capacita’ di comprensione della realta’. Non e’ detto che tutti abbiano tali capacita’ in misura uguale ed adeguata, per cui e’ possibile che alcuni siano stati meno capaci di assimilare. Sono piu’ lenti, esattamente come in qualunque disciplina e allenamento. Allora in soggetti cosi’ lenti e testa di legno e’ importante fin da piccoli insistere il doppio o il triplo delle volte, con intensita’ doppia o tripla, su queste cose, fino ad essere certi che il giovane abbia assimilato veramente le cose importanti, ci vuole pazienza e dedizione. Chi tra costoro viene seguito di piu’, come un giovane principino fortunello e circondato da maestri selezionati , ha speranza di farcela, gli altri se trascurati restano inevitabilmente indietro se non riescono da soli a fare il cammino.
# LIMITI ETICI
possono esserci limiti etici, cioe’ un giovane che e’ piu’ incline al male, alla cattiveria, al peccato, all’odio verso gli altri, alla vendetta, ama poco per sua natura, non e’ infatti detto che tutti siano necessariamente dotati dello stesso slancio infinito d’amore verso gli altri, magari a causa di traumi infantili o di un carattere ereditario piu’ violento o negativo, ecc… allora e’ fondamentale che genitori ed educatori cerchino di individuare questa inclinazione malevola e cerchino con metodi accorti di indirizzarla verso il bene, attraverso il buon esempio e l’insegnamento e lo sforzo di far apprezzare i valori positivi cristiani.
# CATTIVI MAESTRI E CATTIVI ESEMPI
Il giovane puo’ avere dei cattivi maestri e pessimi esempi. Essendo il perdono un articolato sentimento o moto del cuore maturato e affinato negli anni, a maggior ragione sappiamo che queste cose si imparano dall’esempio di altri piu’ che da mille discorsi. Soprattutto genitori ma anche altre persone che si frequentano,maestri, catechisti, personaggi dei film, qualora abbiano a loro volta problemi sulla capacita’ di perdonare terze persone, non sapranno trasmettere il giusto messaggio ne’ dare il buon esempio. Allora e’ il caso di preoccuparsi dell’influenza che puo’ ricadere sulla giovane psiche e cuore del fanciullo. Occorre tenere il giovane al riparo da influenze negative e cercare di esporlo il piu possibile a influenze positive, si deve dare il buon esempio e lodare i buoni esempi e selezionare buoni maestri per il giovane, ecc…ricordandoci che il perdono e’ una declinazione della capacita’ di amare, e’ su questo che si debbono valutare gli adulti da affiancare ai piu’ giovani. Se uno cresce in mezzo a un branco di gente arida e cattiva che non sa amare, come imparera’ ad amare se non puo’ evere un buon esempio da imitare e da cui assimilare?
# EDUCAZIONE PUNITIVA E VIOLENTA
Un giovane cresciuto con punizioni piu o meno violente a fronte di peccati o mancanze commessi, puo’ fare suo questo metodo coercitivo e violento. Quando egli si trova di fronte una persona che commette un torto verso di lui, sara’ spinto sulla base del modello appreso dai genitori, o educatori vari, a provare un impulso violento a produrre una azione di castigo aggressivo. E’ abbastanza facile intuire che un siffatto moto del cuore contrasta apertamente con il sentimento compassionevole del perdono. Stridono, collidono, c’e’ attrito. Non vanno d’accordo. Quindi il perdono risulta frenato e il giovane vive un profondo disagio interiore tra il dover perdonare e il voler bastonare. Allora e’ fondamentale che il genitore e l’educatore rifiutino la violenza come mezzo educativo e anzi la condannino apertamente.
# CONVINZIONI RAZIONALI CONTRARIE AL PERDONO
Sembrerebbe ovvio che non ha molto senso scrivere un trattato razionalissimo sulle ragioni per cui e’ doveroso e santissimo e giustissimo perdonare, perche’ se anche lo si fa, poi non si riesce a vivere questi principi se a livello emotivo un giovane e’ invece animato da tutt’altri sentimenti di odio vendetta. Tuttavia non e’ proprio cosi’, perche’ nel corso del suo sviluppo personale, il giovane puo’ inserire tra i suoi pensieri alcuni ragionamenti logici contrari al perdono che possono interporsi tra lui e lo svolgimento dell’attivita’ quotidiana di allenamento emotivo del cuore al perdono e quindi portarlo a smettere di allenarsi del tutto fino a pietrificare il proprio cuore inibendo del tutto la capacita’ di perdonare. Il giovane puo’ convincersi tramite errati ragionamenti logici che perdonare in generale sia del tutto sbagliato, perdente, che non faccia bene a lui ne’ al mondo, che sia una cosa stupida e ingiusta e illogica e incomprensibile che non porta a nulla di buono, puo’ ritenere che la vendetta , il dare legnate e lezioni dure a tutti coloro che sbagliano e sgarrano, sia la via per essere felici e sereni , per migliorare il mondo ed essere tutti piu’ felici, puo’ arrivare a sentirsi in dovere di praticare la vendetta. Questo giovane ovviamente avra’ grosse difficolta’ a intraprendere e percorrere con profitto un serio cammino di allenamento emotivo quotidiano del perdono di molteplici piccole e grandi cose. Tali convinzioni razionali possono essere causate da ragionamenti personali cosiccome essere state inculcate da qualcuno che ha avuto influenza sul giovane. La parte razionale del cervello puo’ avere una forte influenza sullo sviluppo emotivo di una personalita’ e puo’ ordinare alla parte emotiva di bloccare determinati flussi emotivi usando forti principi. Allora e’ importante andare a verificare in modo chiaro che la mente di un giovane non sia gremita da tali pessimi ragionamenti e occorre aiutare il giovane a destrutturare tali convinzioni logiche errate per sostituirle al piu’ presto con quelle convinzioni logiche corrette che sono delle porte spalancate alla pratica del perdono.
# CARENZA DI UMILTA’
Un altro ostacolo puo’ essere rappresentato dalla mancanza di umilta’, cioe’ il mancato sviluppo di una virtu’ fondamentale per sviluppare la capacita’ di perdonare. Intesa l’umilta’ come la convinzione di essere noi per primi creature fragili limitate peccaminose piene di errori e di cattiveria, quando manchiamo di essa pensiamo di essere sempre dei giusti, senza malizia e senza cattiveria, senza peccato al contrario degli altri. In questo caso il giovane ha difficolta’ a perdonare perche’ non accetta che gli altri gli facciano cose terribili che lui mai pensa di fare, non vuole accettare di essere sempre una santa vittima ingiustamente attaccata e ferita. Si vive tutto questo con un sentimento di ingiustizia insopportabile, come una bilancia troppo pendente sempre dallo stesso lato. Tutto questo puo’ far avvertire il perdono come un qualcosa di ingiusto: io sono un santo non faccio mai nulla di male, tutti gli altri sono cattivi , mi picchiano e io li devo perdonare tutti in continuazione. Non e’ facile aspettarsi che una persona che vede le cose in questo modo distorto sia realmente disposto a vivere con serenita’ questo martirio e tortura quotidiani. Il giovane non si presentera’ agli allenamenti quotidiani del cuore, li saltera’ come un dovere odioso, allora e’ fondamentale che il giovane sia spinto a coltivare la virtu’ dell’umilta’ tramite il riconoscimento e l’ammissione dei propri peccati e delle proprie mancanze e della propria eterna imperfezione. Oppure , per restare nel tema della mancanza di umilta’ , un’altra possibilita’ e’ che il giovane sia presuntuosamente convinto di essere bravissimo a perdonare anche se cio’ non e’ affatto vero, e non ritiene di aver bisogno di allenamenti, per cui non si allena. Anche in questo caso occorre aiutare il giovane ad aprire gli occhi, rendendolo consapevole della sua impreparazione.
# BASSA AUTOSTIMA
Una bassa autostima puo’ comportare una fragilita’ caratteriale per cui ogni mancanza di rispetto, ogni offesa, ogni minimo torto, hanno un impatto eccessivo sulla vittima troppo sensibile e troppo vulnerabile, la maggiore sofferenza che ne deriva amplifica la percezione della portata del male ricevuto rendendo automaticamente piu’ oneroso lo sforzo di perdonare. La mole emotiva di perdono che va messo in atto per annullare il dolore percepito e’ molto superiore al normale. Tutto questo scoraggia a perseguire il perdono come strada risolutiva di una sofferenza interiore e spinge il soggetto verso una via piu’ semplice e meno faticosa quale la vendetta. Allora e’ fondamentale che genitori ed educatori aiutino il giovane a sviluppare una buona autostima al fine di desensibilizzarlo dal male ricevuto e permettergli in tal modo di scegliere il perdono come strada agevolmente percorribile. Inoltre va aggiunto un altro aspetto importante leggermente diverso dl precedente: una bassa autostima riduce la capacita’ di togliere importanza agli altri e al loro operato, cosa che aiuterebbe il giovane a ridimensionare la percezione del male ricevuto. Laddove gli altri si liberano del fastidio di un’offesa semplicemente pensando che l’aggressore e’ un povero deficiente, il giovane con bassa autostima non riesce ad “abbassare” l’aggressore rispetto a se stesso e continua a dare troppa importanza alle sue parole o gesti.
# VISIONE ATEA DELL’UNIVERSO
abbracciare una visione atea dell’universo, che rinnega l’esistenza di un Dio creatore, puo’ essere fonte di scetticismo verso i principi cristiani visti come invenzione falsa da parte degli ebrei. E’ certamente possibile per un ateo sviluppare una filosofia di vita costruita sul semplice buonsenso e ragionamento che includa una valida morale , un’etica forte e anche l’importanza di un sentimento di amore e di perdono e di carita’ tra gli uomini, cioe’ sono tutte cose che possono essere pensate come buone e utili e giuste e importanti anche da un semplice pensatore ateo. Pero’ va riconosciuto che l’atesimo puo’ essere per molti una fonte di perdita di convinzione nelle idee cristiane ritenute una pura invenzione umana. Allora e’ fondamentale che il giovane sviluppi la virtu’ della fede, al fine di essere forte e deciso nel credere alla importanza dei valori cristiani tra cui somma posizione e’ occupata dal perdono nella vita di tutti gli uomini. E’ fondamentale che il giovane sia aiutato nel coltivare la sua fede e nello sconfiggere i dubbi di fede che rendendolo superscettico possono portarlo a invalidare il sistema di valori religiosi. Ad esempio una delle maggiori convinzioni di fede cristiana e’ che l’amore e non il castigo e l’odio cambia le persone: credendo a questo allora si puo’ aver fiducia che il perdono pieno di carita’ e compassione spingera’ l’aggressore alla conversione, che dalla violenza non nasce nulla di buono, ma anzi solo altra violenza. Credere al valore catartico della violenza e’ da fascisti atei che vedono le persone come muli dalla testa dura che devono essere bastonati per essere convinti a fare cio’ che devono. Bisogna aver fiducia nella possibilita’ delle persone di migliorare e pentirsi e diventare piu’ buone, bisogna avere pazienza nei tempi dell’amore, che raggiunge il cuore degli altri. Un altro esempio di convinzione di fede cristiana e’ l’esortazione a non erigere noi stessi a giudici del male altrui, lasciando a Dio tutto questo e confidando in Lui. E’ ovvio che un ateismo militante indebolisce e allontana a tutte queste convinzioni.
# FILM DI HOLLYWOOD
Va riconosciuto che la televisione costituisce una fonte di valori negativi o positivi potentissima. Passando attraverso immagini forti in movimento, attraverso storie raccontate dal film, attraverso personaggi star innalzate a modelli di personalita’, i messaggi veicolati sono di fortissimo impatto, specialmente su una psiche giovane o comunque influenzabile, e in proporzione alla quantita’ di film visti nell’arco degli anni. Il problema e’ che nella produzione hollywoodiana si puo’ chiaramente individuare la presenza di alcuni messaggi fondamentali ricorrenti che permeano la maggior parte dei film. Uno di questi principali messaggi e’ la chiara dicotomia bene-male: migliaia di film insegnano che il cattivo, il male, devono essere distrutti in tutti i modi possibili e immaginabili, modi tragici, violenti, definitivi e fortemente punitivi. Il fine di annientamento giustifica i mezzi violenti e punitivi. Quando il finale prevede l’assicurazione alla giustizia secondo modalita’ civili e tranquille del malfattore, di solito il film non ha successo e scompare presto dagli elenchi. Tutti questi film hanno fatto il loro successo facendo leva sul sentimento dell’odio verso il male, verso il cattivo, insegnano ad odiarlo, a disprezzarlo, a volerlo distruggere, il cattivo e’ sempre un attore piu’ brutto dell’attore buono. Il cattivo deve essere sempre estremamente perfido, viscido, malvagio, orripilante, ributtante, odioso. Questi film hanno usato un sentimento negativo molto forte e radicato nel cuore dell’uomo per fare montagne di soldi al botteghino. Alimentano tale sentimento negativo, lo coltivano come il loro miglior cliente, affinche’ film dopo film tale sentimento coltivato dai film prededenti funga da richiamo continuo al botteghino. E’ un modo come un altro per fidelizzare il cliente tramite una dipendenza psicologica, una droga. Cosi’ facendo pero’ tutti questi film, presi insieme, rappresentano un corpus educativo a cui un giovane viene esposto nel corso di anni in maniera piu’ invasiva, piu’ violenta e anche quantitativamente superiore rispetto alle ore di ascolto di un genitore o di un educatore. L’insieme dei film hollywoodiani rappresenta un grande fratello che trasmette questo messaggio molto violento di odio verso il male e di distruzione verso chi lo compie. E’ abbastanza ovvio che questo messaggio forte e chiaro non favorisce ma anzi inquina pesantemente le condizioni psicologiche idonee a frequentare con profitto e passione i quotidiani allenamenti emotivi del cuore alla compassione e al perdono. Ecco perche’ i giovani devono essere assolutamente tenuti lontano dai film hollywoodiani.
# IL MALE VISTO COME METODO TERAPEUTICO E COME DETERRENTE
Un altro ostacolo e’ rappresentato dall’idea, che un giovane puo’ fare propria, secondo cui attraverso la sofferenza si diventa piu’ buoni. Si pensa che la sofferenza ha un valore educativo catartico e che far provare il male al prossimo attraverso la vendetta, invece che amarlo e perdonarlo, sia un bene perche’ facendo provare al cattivo sulla sua pelle lo stesso male da lui commesso, gli fa capire che non e’ piacevole e quindi lo aiuta a convincersi che fare del male al prossimo non e’ una bella cosa perche’ neanche a lui piace riceverla. La vendetta viene attuata perche’ si ritiene il cattivo un ignorante emotivo che non ha ancora capito che fare del male agli altri non e’ cosa piacevole per chi la riceve, e inoltre si vuole far vedere al cattivo che non conviene far del male agli altri perche’ spesso il male torna indietro sottoforma di spiacevole vendetta. Con quest’ultimo aspetto si pensa di contrastare efficacemente quindi anche a chi e’ pienamente consapevole della sofferenza che provoca coi suoi gesti cattivi ma se ne frega finche’ il timore di riceverla indietro non diventa un deterrente psicologico radicato nella sua testa. Allora e’ fondamentale spiegare al giovane vendicativo che la chiesa dice che dal fare il male non puo’ derivare un bene. Il giovane puo’ essere indotto a ritenere il contrario dall’esempio della crocifissione di Dio, un esempio di un male assoluto da cui deriva la salvezza dell’uomo, cioe’ un bene assoluto. Il giovane puo’ cominciare a ritenere la sofferenza come un mezzo positivo educativo molto efficace , rispetto al perdono e all’amore visti come inefficaci a smuovere il cuore del cattivo. Come si puo’ evitare tale confusione del messaggio cristiano nella mente di un giovane? Occorre spiegare al giovane che il Dio cristiano lascia che gli uomini lo sbattano in croce, una sofferenza atroce che testimonia quanto Dio ama gli uomini. La croce e’ un male che Dio subisce dagli uomini. Dio non ha sbattuto gli uomini sulla croce per convertirli, al contrario ha lasciato che gli uomini mettessero in croce Lui, per convertirli al bene. Il fatto che in ogni chiesa cattolica la croce campeggi come il simbolo piu’ importante non significa affatto che nella religione cristiana la sofferenza sia di considerata di per se’ un bene. Se cosi’ fosse il sacerdote predicherebbe di andare in giro a tirare calci alle vecchiette. Al contrario proprio perche’ e’ sofferenza dolorosa puo’ essere usata come prova che uno ama davvero quando sopporta una tale sofferenza senza vendicarsi. Quindi la croce nella chiesa e’ li’ per ricordare che il Signore ama cosi’ tanto gli uomini da incarnarsi e lasciare che essi lo trucidassero senza poi vendicarsi, ma anzi continuando ad amarli. Il messaggio della croce e’ semplice: guarda cosa ha fatto Dio per te. In tal modo non solo dimostra il Suo amore che funge da base solida per la fede, ma in piu’ indica la strada del sacrificio di se’ come strada dell’amore che porta alla salvezza. Di fronte alle offese, prendi la tua croce, cioe’ la sofferenza dell’orgoglio ferito, e fai come Dio, sopporta senza vendicarti, nonostante il tuo prossimo ti abbia ferito tu continua ad amarlo come facevi prima e vinci il dolore ritrovandoti sereno e felice come Dio. Resta da spiegare quindi perche’ se dal male della crocifissione di Dio deriva il bene della salvezza dell’uomo, e’ invece sbagliato ritenere che facendo del male a qualcuno lo educo al bene. La risposta sta nella differenza tra subire il male, accettare il male e fare il male. Sono cose diverse con valore diverso. Dio nel lasciarsi crocifiggere subisce un male, e questo e’ un male punto e basta, ma il fatto fondamentale e’ che poteva arrabbiarsi e incenerire tutti mentre invece accetta il male su di Se’ e questo e’ un bene che porta al bene per tutti noi. Quindi il bene e’ derivato non dalla crocifissione in se’(che e’ una gran brutta cosa), ma dalla accettazione da parte di Dio del male ricevuto. Il vendicatore invece subisce il male (e questo e’ un male punto e basta) ma non lo accetta affatto e compie il male a sua volta sull’aggressore. Questo non porta a niente di buono per nessuno. Si potrebbe argomentare che la vendetta offre a chi la subisce l’occasione di perdonare a sua volta, cioe’ di trovarsi nella medesima situazione in cui lui ha messo inizialmente la sua vittima, percio’ la vendetta non farebbe altro che mettere un cattivo nella stessa situazione in cui il cattivo ha messo la sua vittima, cosa c’e’ di male in tutto questo? Tutto, infatti due persone anziche’ una sola, hanno fatto del male al loro prossimo e quindi il vendicatore ha semplicemente raddoppiato il male, mentre l’amore non e’ stato raddoppiato perche’ non c’e’ alcun amore, c’e’ solo uno scambio di cattiveria, nessuno ha perdonato nessuno: infatti il cattivone ha subito una vendetta a fronte del male commesso per primo , per cui non ha nulla da perdonare, e’ in pari col vendicatore.
# LA GIUSTIZIA DEGLI UOMINI AL POSTO DEL PERDONO CRISTIANO
Un altro ostacolo e’ rappresentato dall’esempio della giustizia degli uomini, cioe’ le leggi che prevedono punizioni per ogni reato commesso. Da questo esempio mastodontico il giovane puo’ assimilare che tutto cio’ che e’ sbagliato deve essere punito. Poi si accorge che ci sono comportamenti sbagliati , come la maleducazione e altre azioni cattive e irrispettose, che non sono sempre perseguibili dalla legge per ovvi motivi pratici, cioe’ l’impossibilita’ pratica di organizzare un sistema legale che possa arrivare a controllare ogni piu semplice singolo comportamento umano quotidiano. Si capisce che correre dall’avvocato per ogni mancanza di rispetto e ogni piu piccola offesa e’ impraticabile per ovvie ragioni e allora si capisce che queste cose sono orribili ma non possono scomodare ogni volta avvocati e organi statali, per cui si finisce a pensare che occorre fare da se’. Esiste una zona grigia dove la legge non arriva e dove occorre arrangiarsi. Questo tipo di pensieri puo’ portare un giovane a cercare la cosiddetta giustizia privata, vista come accettabile e appunto giusta. Ecco che allora non c’e’ piu’ spazio per allenarsi al perdono cristiano, esiste un altro modo di risolvere le cose, cercando di imporre la giustizia umana ovunque, riproponendo nel proprio piccolo gli stessi schemi utilizzati dalle leggi. In questo caso l’obiettivo primario e’ dare soddisfazione al proprio orgoglio e senso di giustizia, e comunque si pensa o si spera che dal fare questa giustizia il cattivo imparera’ a comportarsi bene. Allora e’ fondamentale che genitori ed educatori anzitutto aiutino il giovane a chiarire cosa significa ottenere giustizia. La legge non mette in pratica vendette, ma per fare giustizia infligge punizioni che non sono mai vendette: ad un’offesa non infliggono offese, ad uno schiaffo non rispondono con uno schiaffo, ma con la prigione oppure con una multa. Cioe’ il senso delle pene vuole essere deterrente e correttivo, mai vendicativo. Percio’ il giovane dovrebbe capire che la vendetta personale attraverso la stessa azione uguale o simile inflitta al cattivone non rispecchia l’esempio delle leggi. Resta percio’ da capire come un privato possa attuare una giustizia privata deterrente e correttiva ma non vendicativa, seguendo il modello delle leggi statali. Questione aperta e complicata dal momento che stabilire quale pena e’ corretta per un certo comportamento scorretto e’ cosa assai difficile e arbitraria. Le leggi potrebbero dire che nei casi in cui e’ troppo complicato e inattuabile scomodare gli organi statali e gli avvocati , occorre fare da soli secondo delle tabelle: es. se uno ha alzato la voce con te sei autorizzato a chiedergli 30 euro senza passare dal giudice, ma e’ evidente che questo aprirebbe le porte ad un caos totale creato da tutti coloro che per denaro potrebbero andare in giro a farsi dare soldi accusando qualcuno di aver alzato la voce. Senza un giudice che possa ascoltare le parti e’ troppo complesso e arbitrario concedere il potere di giudizio ad una parte sola che si sente lesa, perche’ questo espone a troppi rischi di ancora maggiori ingiustizie che poi porterebbero ad ancora maggiori conflitti e cosi’ via…allora e’ fondamentale far capire al giovane che cercare la giustizia umana in questioni impraticabili per vie legali e’ una strada possibile e puo’ portare in alcuni casi ad una soluzione semplice, ma occorre comprendere che non sempre e’ cosi’ e molto spesso e’ molto complicato e puo’ generare guai piu’ grandi e portare a maggiori dolori, oltre che grande dispendio di tempo ed energie, senza sicurezza di risultati… non e’ percio’ una grande idea riporre grandi aspettative nella giustizia privata. E’ fondamentale far capire al giovane quindi che e’ necessario disporre nel bagaglio delle opzioni anche dell’opzione perdono, al fine di poter vivere serenamente perche’ si copre tutto lo spettro dei possibili inconvenienti di relazione: per le cose piu’ grandi ci sono gli avvocati, per quelle piu’ piccole ci sono i chiarimenti, la possibilita’ qualche volta di ottenere in qualche modo una sorta di giustizia privata( strada spesso complicata e rischiosa) e anche il perdono. E’ fondamentale far capire al giovane che perdonare significa amare e quindi e’ l’alternativa piu’ cristiana e piu’ buona. Poi va fatto capire che e’ la strada piu’ semplice ed efficace, occorre far capire il concetto di convenienza del perdono, efficienza del perdono, nel senso che rappresenta una via che offre molti vantaggi pratici per migliorare la qualita’ della propria vita e permettere di vivere la propria vita in modo da poter riuscire a perseguire e realizzare i propri obiettivi di vita senza essere continuamente interrotti da problemi di questo genere. Vendicarsi significa invece fare a propria volta il male uguale a quello ricevuto ed e’ percio’ cosa completamente diversa dalla giustizia e non contemplata dalla stessa. Solo quando il giovane e’ veramente convinto di tutte queste cose fondamentali per cui ritiene che la strada del perdono e’ la migliore in moltissimi casi, che immancabilmente si presentano spesso e volentieri nella vita di ciascuno, allora questo ostacolo si puo’ dire rimosso e il giovane prosegue nella pratica di allenamento quotidiano al perdono. E’ poi fondamentale aiutare il giovane a comprendere che la vendetta e’ la messa in atto di un comportamento cattivo che e’ sullo stesso identico piano morale basso dell’atto ricevuto e cosi’ tanto deprecato e odiato. Non solo sul medesimo piano freddamente morale(cioe’ di cosa e’ giusto e cosa e’ sbagliato), ma anche sul medesimo livello di gesto cattivo del cuore, che provoca sofferenza e dolore emotivi. Attuando la vendetta ci si rende colpevoli di un male esattamente come il primo aggressore e questa non e’ una bella cosa di cui andare fieri. Occorre spiegare al giovane vendicativo che deve assumersi la responsabilita’ morale e di “sofferenza emotiva” delle sue azioni, mentre attuando la vendetta egli afferma implicitamente che fare il male sia cosa buona e giusta. E’ evidente che il giovane vendicativo ritiene che fare il male sia sbagliato quando lo si fa per primo a qualcuno innocente, mentre e’ cosa buona e giusta quando lo si fa ad una persona che e’ stata cattiva con lui. Per il giovane vendicativo la stessa azione puo’ essere moralmente buona o cattiva a seconda della situazione che la genera. Questo e’ un punto su cui il giovane va aiutato a riflettere con serieta’. Oppure il giovane puo’ essere in grado di riconoscere che la vendetta consiste nell’attuare un’azione esattamente pari in cattiveria all’aggressione ricevuta, ma puo’ ritenerlo un male necessario per raggiungere una giustizia equitativa. In questo caso e’ chiaro che il giovane vendicativo vede come molto piu’ importante e prioritario il ristabilire un equilibrio di giustizia, rispetto alla bonta’ delle azioni individuali, che non e’ cosi’ importante. La giustizia e’ per lui obiettivo piu’ significativo rispetto alla diffusione dell’amore tra le persone e alla vittoria dell’amore sul peccato. Di fatto egli non si mostra interessato alla vittoria della compassione e dell’amore reciproco e gli preferisce una giustizia sommaria e violenta, ritenendola evidentemente il sommo bene per la felicita’ degli uomini. E’ fondamentale allora aiutare il giovane a rendersi conto gradualmente che la giustizia di Dio non e’ quella degli uomini basata sulla bilancia tra dare e avere, ma per Dio un mondo giusto e’ un mondo pieno e sovrabbondante d’amore. Il giovane deve essere aiutato a capire che un mondo pieno d’amore e’ molto piu’ felice di un mondo pieno solo di giustizia umana (dove l’unico risultato e’ la punizione di ogni cattiveria); e inoltre che un mondo pieno d’amore e’ un mondo di gran lunga molto ma molto piu’ felice di un mondo pieno di vendetta, che deve essere posizionato ad un livello ancora piu’ basso di un mondo pieno solo di giustizia umana. Infine va fatto capire al giovane che l’esempio della croce dimostra che per avere un mondo veramente felice occorre contemplare una certa dose di sofferenza e sacrificio, da vivere proprio nel momento del perdono del peccato e della imperfezione altrui. L’umanita’ non e’ divinita’ e il mondo sara’ sempre pieno di peccato finche’ gli uomini non volgeranno il loro cuore a Dio. Ma anche quando faranno questo, essi continueranno a sbagliare spesso e volentieri, percio’ questo dimostra che il perdono e’ parte necessaria del mondo se ci si vuol vivere dentro. Se tu vuoi un mondo d’amore devi accettare la sofferenza con la fiducia che tutta questa sofferenza serve a diffondere l’amore e a convertire i cuori ad esso e in ultima analisi a creare un mondo migliore e pieno d’amore. Questa e’ la fede cristiana. Se un giovane rinnega questa fede, va aiutato a capire che e’ lui quello che si illude di conoscere il cuore dell’uomo meglio di Dio, e’ lui che non vuole capire che il cuore dell’uomo risponde all’amore, lo desidera e lo cerca. Diventare buoni e’ possibile e auspicabile per chiunque. Aspettarsi che le persone siano tutti degli dei perfetti e’ follia senza senso che ignora la realta’. Arrabbiarsi con tutti coloro che non sono perfetti e’ uno scavarsi una sicura fossa di rabbia. L’umanita’ non e’ affatto perfetta.
Per quanto difficile sia perdonare. Circa alcuni punti:3 Il perdono non è giustificare il torto. Scusate, ma se non si giustifica il torto non si riesce a perdonare o per quanto mi riguarda. Gesu sulla croce ha detto: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!” Dunque, perdonare significa anche giustificare ” sono inconsapevoli di ciò che stanno facendo” 6 punto: perdonare non significa amare i propri nemici. E, invece si, perché nel perdono hai già rinunciato ai sentimenti di vendetta ed odio quindi hai già aperto il cuore (ho hai “sufficiente spazio”) per il sentimento dell’amore poiché dal tuo cuore sono usciti nel senso che sono stati distrutti dal perdono i sentimenti di odio, di rancore e risentimento.
Il perdono, l’unico modo di liberarsi del rancore: è ciò che spiegano praticamente tutte le ricerche di psicologia…: ad esempio: http://happily.it/liberarsi-dal-rancore-in-10-mosse/
A me ricorda tanto il perdono in senso cristiano… che sia una coincidenza?
Io li perdoneró di aver divulgato x 9 anni immagini mie personali.ma loro credono che le cose che ho detto fossero critiche e pensieri veri ,e terribili.Ma volevo far credere a M. Che ero una tosta come lui.invece inventai tutto anche che ero simpatizzante dei R.C. e forse credeva di essere targhettato .invece mi ha creduto proprio sulle balle e su cose FALSE.Io perdono vediamo se Voi anche?
..sono sempre la Emy.nn ho un delirio,hé .volevo dire che ho dovuto perdonare e capire il punto di vista di chi si era sentito attaccato gratuitamente.Ma chi si credeva che x delle balle raccontate ad una sola persona veniva fuori un putiferio?.questa metodica di attacco si chiama gang stalking,io nn ne avevo mai sentito parlare,in realtá sembra che questa voce sia facile da trovare se si cerca in internet.Ciao,scusate ma non sono molto filosofa io perdono tanto nn mi aspetto equitá.
Cara Emy, capisco che tu sia molto arrabbiata con chi ritieni ti abbia violentemente offesa e tradita, ma non riesco a comprendere molto bene i contenuti di questa tua rabbia, né chi siano queste persone che hanno pubblicato tue immagini, né perché ritieni di comunicare questo problema proprio in questo sito.
Ciao, e comunque fai bene a disporti ad un atteggiamento di perdono, che in ogni caso allevia le nostre sofferenze. Marco
Che bella pagina, grazie!
Avrei una domanda per Marco Guzzi di cui ho apprezzato i post e, in particolare, quello sullo stato ego-centrato=gabbia da aprire per liberare tutti.
Come si fa ad aprire la gabbia, concretamente?
C’è del vero in quanto sostenuto nell’articolo ma anche una lacuna enorme che rende il tutto poco credibile. Certo che si può perdonare, con il tempo, un male ingiustamente subito, quando il ricordo del dolore sofferto si fa più labile e si comincia a riapprezzare il piacere della vita. Ciò accade solo perchè la memoria rende meno sensibili le ferite inferte nel passato. È questo, semplicemente, un meccanismo di autodifesa che, per fortuna, la maggior parte delle persone possiede, aiutandole a non impazzire. Però parlare del perdono in questo senso non aiuta. Se pensiamo invece a coloro che subiscono reiterate violenze apparentemente senza fine, mogli picchiate a sangue ogni santo giorno, persone torturate con sadica lentezza, lo stillicidio del mobbing aziendale, solo per fare alcuni esempi, non possiamo assolutamente pensare che esse possano o debbano perdonare senza divenire anche noi cinici persecutori delle vittime Eppure è proprio a queste che servirebbe se non altro per Interrompere la consapevolezza stessa dello strazio subito, uno svenimento nel l’inconscenza. Ma a questo interrogativo la scrittrice non risponde, anche perché risposta non esiste