Una magnifica semplicità pervade la raccolta di poesie intitolata La pioggia d’estate, di Yves Bonnefoy (1923). Gli elementi chiave di questa silloge sono l’acqua (di fonte oppure di pioggia), l’erba, il vento, i sentieri, le piante, l’oro; e poi, mescolati alle sostanze naturali, la fame e sete di vita, il turbamento, la speranza, la gioia e un eros umilmente cosmico.
Nella concezione di Bonnefoy l’invisibile è appena dietro le porte socchiuse della nostra percezione, è a portata di mano per chiunque voglia o sappia concederselo, è infine quasi spontaneo – anche se mai ovvio né banale. “Ci piaceva che la crepa nel muro/ Fosse quella spiga da cui sciamavano mondi.” Una squisita libertà splende sopra ogni suo verso, sopra ogni sua invocazione dell’eterno: “Sentivamo la voce che vuole che si ami/ Al vertice dell’estate/ Come giocano i delfini nella loro acqua senza riva.” Una simile libertà io l’ho percepita soltanto in alcuni brani di Rimbaud, poeta carissimo a Bonnefoy; libertà che somiglia a un vetro appena lavato e traversato da un raggio di sole mattutino. “La nostra vita, quei sentieri/ Che ci chiamano/ Nella freschezza dei prati/ In cui l’acqua brilla” canta Bonnefoy, quasi rispondendo al Rimbaud che esclama: “L’acqua dei boschi si perdeva nelle sabbie vergini,/ Il vento, dal cielo, scagliava ghiaccioli agli stagni…/ Ora! come un pescatore d’oro, o di conchiglie,/ – Dire che non mi curai di bere!”
Eppure questa voce così limpida non cessa mai d’interrogarsi e riflettere sulle questioni capitali dell’umano, soprattutto sulla gabbia del tempo che, proprio in un contesto selvatico e anzi edenico, ci affligge e ci fa ombra. Bonnefoy supera di slancio la finitezza affrancandosi per prima cosa dall’ossessione del contare, del classificare e dello schematizzare così propria della nostra epoca: “Ci piaceva il suo modo/ D’essere in ritardo/ Ma com’è permesso/ Quando il tempo cessa,/ Felici d’udire in lontananza/ La sua semplice siringa/ Sconfiggere, Marsia bambino, il dio/ Soltanto del numero.” Condannando il numero ovvero la coazione, egli sembra invitarci a sciogliere le tensioni egoiche che ci spingono a cristallizzare, a oggettivare di continuo la realtà, letteralizzandone gli assunti più drammatici quali la finitezza e la caducità; e lo fa trascorrendo con dolcezza impercettibile da un’immagine all’altra, aprendo un’immagine dentro l’altra come uno sbocciare di fiori, fino all’assunto sapienziale: “Ma chiara è questa notte/ Come desideravamo che fosse la nostra morte./ Essa sbianca gli alberi, si allargano./ Il loro fogliame: sabbia, poi schiuma./ Anche oltre il tempo spunta il giorno.”
Per Bonnefoy insomma il “frutto senza fine” è evidente, indiscutibile ancorché non dimostrabile da un punto di vista logico: è un’essenza più forte d’ogni raziocinio. Per giungere a coglierlo egli ribalta di continuo il punto di vista e rovescia ogni luogo comune, ogni angusto materialismo in una nuova visione (per usare un termine caro a Marco Guzzi): “Che questo mondo rimanga/ Come cessa il tempo/ Quando si lava la piaga/ Del bimbo che piange./ E quando si ritorna/ Nella stanza scura/ Si vede che dorme in pace,/ Notte, ma luce.”
I versi di Bonnefoy mantengono un’agilità meravigliosa anche, anzi soprattutto quando s’impegnano a confutare l’evidenza di quel mondo terreno che pure descrivono in maniera così struggente; e così il poeta arriva al punto d’oltrepassare il linguaggio stesso, di certificare uno statuto ulteriore che intride il mondo terreno e che le parole possono solo indicarci, lontano all’orizzonte: “Hanno viso di bimbo/ Appena nato,/ Folgore che dorme ancora,/ I lineamenti distesi,/ Sorridente come prima/ Che vi sia linguaggio.” Bonnefoy si smemora nel suo contemplare, e c’insegna una volta di più che le grandi voci poetiche sono, dentro l’incanto della creazione, libere da ogni vincolo egoico, che davvero l’io diventa altro, un-altro-da-sé, in occasione delle autentiche epifanie del pensiero: un pensiero che pensa e si pensa. “Che bel tempo, stasera!/ A stento/ So, su questo sentiero,/ Che ancora esisto.”
Allora torna la libertà di cui parlavamo in precedenza; nella pioggia estiva che bagna ma non raffredda, nella natura che è sì labirintica, ma solamente per chi esiga a ogni costo un risultato algebrico; se invece si è pronti ad accoglierla, essa ci ricompenserà con una ricchezza infinita di soluzioni e di rivelazioni: “E scegliere questo sentiero,/ Oppure quest’altro,/ Così senza fretta va, evaporando,/ La pioggia nell’erba.” E le barriere della nostra psiche cadono senza far rumore, dolcemente vinte dall’aprirsi d’un diverso e più vasto intelletto: “Qui diventa laggiù senza cessare d’essere.”
Gennaio 2011
Caro Enrico, spero che tu abbia trovato anche lavoro come insegnante. Se così non fosse te lo auguro con tutto il cuore! Sei uno splendido insegnante, anche se qualche passo di quello che hai scritto ho bisogno di rileggerlo perché sono un pò ” ignorante” si sente la tua gioia nello scrivere, nella descrizione dei particolari, forse, come dici tu non fai bene gli esercizi di meditazione, ma hai il dono della poesia e del coglierne i lati sapienti. Sei un giovane talento che spero non verrà sprecato dai tagli alla scuola. Ce ne fossero di giovani e bravi insegnanti come te! Il terremoto a l’Aquila che ha colpito la tua giovanissima famiglia ( il tuo bambino non era ancora nato) non ti ha piegato su te stesso. Grazie! Ci dai una bella lezione a noi “diversamente Giovani”. La tua bellezza nel descrivere la vita con le poesie non ti è stata toccata. Hai rialzato la testa, hai continuato a camminare nonostante le difficoltà! Saluti a tutta la tua famiglia.
Grazie, carissimo, di questa splendida introduzione a Yves Bonnefoy.
Tu sai quanto io apprezzi l’opera di questo autore, che annovero nella piccola cerchia dei grandi profeti del Giorno, di coloro cioè che, proprio attraversando fino in fondo le asprezze della notte e dei suoi inferi, sanno comunque intravedere, intrasentire i primissimi, ma certissimi, aromi dell’aurora.
Un abbraccio. Marco
ps forse non sai che ho scritto un saggio su Bonnefoy nel 1986, che fu anche tradotto in francese e donato allo stesso poeta…con sua grande soddisfazione…
Caro Enrico,
ciò che hai scritto mi commuove, ma non mi sono ancora concessa il tempo di meditarlo (questa mattina ho seguito la V lezione del telematico) ed ora mi accingo al “fare”.
Non posso però esimermi, dal condividere la “piccola meditazione quotidiana”, tratta dal sito di Taizè ( In Te la pace del cuore di Fr: Roger )
“Semplificare non significa mai scegliere un rigorismo glaciale, senza benevolenza, tutto pieno di giudizi su coloro che non hanno il nostro stesso punto di vista. Se la semplicità di vita fosse sinonimo di incupimento, come potrebbe aprirsi al Vangelo? Lo spirito di semplicità traspare nei segni di gioia serena ed anche attraverso un cuore gaio. SEMPLIFICARE E’ un invito a DISPORRE il poco che si ha NELLA BELLEZZA semplice DELLA CREAZIONE. ”
ciao e buona giornata a tutti.
Rosella
Grazie caro Enrico per le suggestioni e le riflessioni che hai stimolato con questo interessante intervento su Bonnefoy.
Sono stato molto colpito dalla tua osservazione che ho sempre avvertito forte nella mia consapevolezza:
“… l’invisibile è appena dietro le porte socchiuse della nostra percezione, è a portata di mano per chiunque voglia o sappia concederselo…”
Ecco, credo che il segreto della nostra esistenza sia tutto qui. Dobbiamo imparare a vedere con gli occhi dell’amore.
Un abbraccio.
Marco F.
Luciana
Ti ringrazio per il tuo affetto e la tua stima. Debbo dire che la vera poesia – quel è quella di Bonnefoy – stimola la voglia di farla conoscere e apprezzare, e aiuta il buonumore (dopo il terremoto non avevo voglia di leggere romanzi e mi misi a leggere un sacco di poesia, lo ricordo bene).
Marco Guzzi
Mi piacerebbe leggere il tuo saggio, perchè senza piaggeria ti considero (avendo letto La profesia dei poeti, L’ordine del giorno e L’uomo nascente) il migliore.
Rosella e Marco F.
Grazie infinite per la vostra attenzione. In effetti leggendo Bonnefoy si percepisce il metafisico, una specie di leggerezza che ci sta intorno, intorno alla nostra pesantezza.
A presto.
Enrico
m
Caro Enrico,
questa mattina mi sono risvegliata IN PACE; ed immediatamente è emersa in me, la risposta “personale” a questo tuo post. sulla DIVINA SEMPLICITA’.
Io sono di molto più ignorante di quanto, voi tutti messi assieme, possiate ritenere. Persino quello che ho letto o studiato me lo sono dimenticato (… ma come guariscono i maiali sotto Circe? spero che sia INCARNANDO. Duro lavoro mettere su carne.) Eppure sto qua perchè vi è una grande assonanza con il desiderio profondo che muove le persone che s’incontrano in darsi pace.
In fondo a me basta poco, anche solo il verso di una poesia “non parlo se prima non tocco la gioia, non voglio mentire” per coagularvi una luce che si fa traccia in un cammino…(divago un po’, contaminata dal post di Domenico).
Io son fatta così, accetto la mia età ed accetto alcuni limiti che la vita mi ha imposto, come quello di una ignoranza che non mi consente di godere a fondo del bello: dell’arte in generale se vogliamo.
Ci sono troppe cose belle al mondo perchè io possa veramente gustarle tutte, ma quello che trovo essenziale è la questione di COME VIVERE IL PRESENTE.
Vivere, umilmente il mio presente quotidiano, in modo assolutamente artistico se vogliamo: NUOVO.
Accettando la mia ignoranza ormai incolmabile e coniugandola con lo stupore nelle risonanze che voi mi donate.
Ovviamente non sto sempre in questo stato di beatitudine; ma, se sto qua, è proprio per abitare LA VITA LA MIA in modo più felice, stabilmente.
In fondo io sono proprio una bella sfida anche per voi (e non solo voi lo siete per me). Sono, in parte, un corpo estraneo, che fluttua vistosamente tra una esteriorità misera ed una interiorità immaginifica. Ma, non è un po’ così per tutti, se visitiamo, magnanimamente, il nostro cuore?
La Divina semplicità che mi era così evidente al risveglio, se ne è andata sotto un cumulo di parole di troppo.
Pazienza, ho ancora da faticare pigiando su acini d’uva, per estrarre il nettare di vino.
Sarà per la prossima volta.
ciao a tutti e buona giornata
Rosella
“Ci sono troppe cose belle al mondo perchè io possa veramente gustarle tutte ..”.
Cara Rossella, anch’io vivevo questa malinconia, questo dispiacere. A ben pensarci è come dire che mi dispiace molto non poter leggere tutti i libri che vorrei.
La soluzione Troisi di non leggere (“loro sono tanti a scrivere io sono uno a leggere”)è divertente ma non soddisfacente.
Sono convinto che le scelte importanti siano contenute in un palmo di mano. Le cose belle (e brutte) che abbiamo al possibilità di vivere sono quelle che ne conseguono.
Non voglio più ingozzarmi di notizie, di persone, di cose, .. sono più leggero. Mi godo quello che ho e scelgo con cura il resto. Come fai tu.
“E scegliere questo sentiero,/ Oppure quest’altro,/ Così senza fretta va, evaporando,/ La pioggia nell’erba”
Un abbraccio di cuore
Come si fa ad averne una copia ?
In giro non l’ho trovata…grazie !
Caro Maurizio, questi sono i dati dell’edizione, che temo sia in realtà fuori commercio… forse Enrico potrebbe darci qualche altra indicazione. Ciao. Marco
Titolo La pioggia d’estate
Autore Yves Bonnefoy
Curatore Fabio Scotto
Illustrato da Farhad Ostovani
Editore Ed. del Bradipo, 2001
Lunghezza 102 pagine