Ho appena finito di leggere Il cimitero di Praga di Umberto Eco e le riflessioni di Flannery O’Connor sul mestiere di scrivere dal significativo titolo Nel territorio del diavolo, trovandoli violentemente incompatibili. Mi è anzi parso che la O’Connor, nell’indicare ciò che non funziona in un racconto facesse riferimento precipuo all’opera di Eco, scrittore che ha venduto finora oltre venti milioni di copie ed è stato tradotto in più di quaranta lingue. Parte della “narrativa di qualità” non merita di fregiarsi dell’etichetta, e Il cimitero di Praga costituisce un buon esempio al riguardo.
Il problema di Eco è la mancanza di contatto con le zone profonde dell’interiorità che generano mondi narrativi seri. Eco possiede una vastissima dottrina, una memoria prodigiosa e una cultura invidiabile, oltre a ben trentadue lauree honoris causa, ma tale bagaglio ostacola anziché favorire quel respiro che dilata l’immaginario e la coscienza. L’io di Eco è troppo occupato a mostrarci quante nozioni possegga, quanti nomi e vicende sappia governare per mettersi in ascolto dell’altro-da-sé indispensabile alla riuscita d’un romanzo robusto, in cui poter entrare dalla suola delle scarpe fino alla cima dei capelli, e laggiù prendere caldo o freddo o ridere o piangere. Eco non si fa e non ci fa spazio, e le sue parole restano imprigionate nella carta. Mi soccorre la O’Connor: “L’arte è una virtù dell’intelletto pratico, e la pratica di qualsiasi virtù richiede un certo ascetismo e un nettissimo superamento della parte meschina dell’io. […] Nessuna arte è sommersa nell’io; al contrario, nell’arte l’io dimentica se stesso per rispondere alle esigenze della cosa vista e della cosa che si sta creando.”
Ne deriva che Il cimitero di Praga si riduce a un’interminabile elenco, poiché laddove manca l’inventiva l’autore crede di sopperire con l’erudizione, con l’informazione o con le idee; ma quando in narrativa le idee sono così esplicite diventano schemi mentali (un’eccezione è Dostoevskij, che non fa mai nulla per nasconderci la sua visione dell’esistenza, ma il genio drammatico che possiede è tanto grande da liquefare ogni ideologia). Il libro di Eco è sprovvisto del dramma, ovvero del pensiero che pensando ci obbliga a pensare, e quindi schiude nuovi orizzonti aprendo una crisi. Dice la O’Connor: “Quasi tutti sanno cos’è una storia finché non si siedono a scriverne una. A quel punto si ritrovano a scrivere un bozzetto intrecciato a un saggio, o un saggio intrecciato a un bozzetto, o un editoriale con dentro un personaggio, o un’anamnesi con la morale, o qualche altro ibrido.”
Eco ignora che un romanzo è qualcosa di vivo ancorché misterioso, dotato d’un proprio battito cardiaco, d’una propria lingua e d’un senso profondo (che spesso nemmeno l’autore vede ma appena intuisce) a causa del quale esso diviene necessario e non avrebbe potuto esistere se non nella forma in cui esiste. C’è una sorta di fatalità, d’imperativo categorico in ogni romanzo riuscito. Se invece questo fuoco non brucia, se il compito che l’autore assolve è gratuito e quindi insincero, l’opera ne risente; è esteticamente fragile perché lo è eticamente; zoppica sin nelle virgole; non è un’opera, ma un autore-all’opera. O’Connor mi soccorre: “Alla maggior parte delle persone riesce più facile enunciare un’idea astratta anziché descrivere. […] Sono consapevoli di problemi, non di persone, di questioni e di temi, non dell’ordito dell’esistenza, di anamnesi, e di tutto quel che sa di sociologia, anziché di quei particolari di vita concreti che danno realtà al mistero della nostra posizione sulla terra.” Ella è convinta che la narrativa sia “un’arte incarnatoria”, e come darle torto se la dis-incarnazione produce un romanzo che sembra un manuale di storia, misto al diario d’un prete scritto su commissione da un professore universitario?
Umberto Eco, sulla scorta dei trascorsi avanguardistici nel Gruppo 63, potrebbe affermare di rifarsi a un certo genere di romanzo colto e iperconsapevole che partendo dal Settecento (Sterne) arriva fino al postmoderno e ai giorni nostri (Robbe-Grillet, Pynchon o Foster Wallace, e in Italia Gadda o Arbasino); un genere intriso di citazioni, stilemi, accumuli; un intarsio che ammicca all’uomo colto e al “lettore medio”. Ma il punto è lo stesso: per scrivere qualcosa di vivo occorre l’enorme fatica di calarsi nella realtà fenomenica e questa, indagata con franchezza, apparirà un mistero assoluto finanche al laico più razionale. Eco sembra ingenuamente (e non senza arroganza) convinto che basti oggettivare, ironizzare o rubricare per restituire il mondo, la storia e l’esistenza umana nelle loro laceranti contraddizioni. E così dai suoi elenchi (d’etimologie, ricette culinarie, battaglie, luoghi, tradizioni, leggende eccetera) si ricava un vuoto nauseante, un’atmosfera d’estraneità e d’artificio che non ci fa partecipi perché non coinvolge la nostra disponibilità a stupirci, a vedere il mondo con occhi diversi, sospesi sulla possibilità. Ancora la O’Connor: “Se non gli viene dato modo di vivere l’azione, di toccarla con mano, il lettore non crederà a niente di quello che il narratore si limita a riferirgli. […] Lo scrittore di narrativa deve rendersi conto che non è possibile suscitare la compassione con la compassione, l’emozione con l’emozione, o i pensieri con i pensieri. A tutte queste cose bisogna dar corpo, creare un mondo dotato di peso e spessore.”
E la narrazione dove sta nel Cimitero di Praga? Si può affermare non ci sia, benché il libro segua per cinquecento pagine le avventure del protagonista (unico personaggio inventato) Simone Simonini sullo sfondo di tre città (Torino, Palermo, Parigi) e di vicende realmente accadute, tirando in ballo i protocolli di Sion, Garibaldi, Ippolito Nievo, Freud, la Comune francese, la carboneria, gli ebrei, i gesuiti e altro ancora. Questo è il paradosso conclusivo dell’opera di Eco: un romanzo storico, che narra fatti veri, suona poco concreto, pallido e trasparente, una specie di burla kitsch per bibliofili, una lezione accademica tenuta con l’aria di chi sta scherzando. Chiamo per l’ultima volta a testimone la O’Connor: “Quando scrivete narrativa state parlando con personaggi e azioni, non di personaggi e azioni. Il senso morale dello scrittore deve coincidere con il suo senso drammatico.”
Eco è immorale (o’connorianamente parlando) perché non percepisce il dramma dell’esistenza umana, e non lo percepisce perché non è un romanziere ma un sommelier, un abile degustatore di singoli ingredienti, incapace però di combinarli nella minestra saporita dell’arte. La sua erudizione ha quindi il duplice torto d’impigrire lo scrittore che vorrebbe emergerne e d’impoverire i lettori che vi si immergono.
Come sempre Enrico, riesci a cogliere i lati mancanti e quelli “genuini” di uno scrittore. Sei proprio bravo! Io il libro non l’ ho letto ma neanche lo leggerò, quando un autore scrive solo per far vedere quanto è bravo e non riesce a far spazio anche a chi lo legge,a farlo pensare e anche ” crescere” non serve a nulla! Serve solo a fargli vendere libri.Ti ringrazio di avermelo citato, casomai mi fosse venuta la tentazione di comprare il suo libro. Sono stufa di leggere libri o ascoltare persone che parlano, parlano anche bene, ma non dicono niente, non ti scaldano il cuore! Se li leggessero loro! io ho già poco tempo per leggere e certo non lo perderò a stare ad ascoltare chi non ha nulla da dire o chi non gli interessa quanto le sue parole servano per una vera empatia con l’altro. Di questi ” gradassi” è pieno il mondo, solo perché Eco scrive bene si sente il più bravo? Solo perché Berlusconi “compra” i voti è il più amato? da chi ? Dalle prostitute? E io dovrei pure pagare un suo libro? Ne ho piene le tasche di questi “cervelloni” che non dicono nulla e guadagnano tanto e oltretutto ti prendono in giro perché tu sei “ignorante”! Bé io da ignorante queste persone non le voglio più sentire!Faccio l’esercizio a 9 punti sorrido e poi le butto via! Grazie Enrico di illuminarci come sai fare tu! Un Saluto e Un bacione al tuo “piccolino ” a te e tua moglie.
“Eco è immorale (o’connorianamente parlando) perché non percepisce il dramma dell’esistenza umana, e non lo percepisce perché non è un romanziere ma un sommelier, un abile degustatore di singoli ingredienti, incapace però di combinarli nella minestra saporita dell’arte. La sua erudizione ha quindi il duplice torto d’impigrire lo scrittore che vorrebbe emergerne e d’impoverire i lettori che vi si immergono.”
Carissimo, queste tue parole mi aiutano a completare il discorso avviato nel post precedente.
Chi mai direbbe infatti che Eco sia immorale? così compito, così politicamente corretto, così colto e internazionale, così “di sinistra” e antiberlusconiano (e quindi automaticamente morale e giusto, no?)?
Ci vuole per davvero un grande coraggio per smascherare la menzogna quando è così ben confezionata…
Perciò desidero ringraziarti di cuore, perché è il cuore pensante, il cuore per davvero sanguinante, che può percepire la gravità devastante di ciò che si mostra sotto il crisma della più assoluta correttezza e impeccabilità letteraria e culturale, ben difeso da tutto il carrozzone dei critici e dei quotidiani mondiali.
Quanto male può produrre un libro del genere nei milioni di lettori, che magari pensano di trovarsi dinanzi ad un capolavoro?
Quante menti giovani saranno confuse e ulteriormente ottenebrate? quanti ragazzi perderanno perfino la speranza di incontrare una parola poetica, incendiaria, che sia capace di illuminare e di salvare?
E chi si alzerà per gridare al cielo tutto questo orrore?
Pochi, carissimo Enrico, come sempre…
Un abbraccio. Marco
Grazie Enrico: lucido, appassionante, perfetto. Ed il testo della O’ Connor è stupendo, come le sue lettere – Sola a presidiare la fortezza – o i suoi racconti, da cui estraggo questa frase, a proposito del ‘politicamente corretto’ di eco e di molti altri:
“Il signor Head non aveva mai conosciuto la pietà, perchè era stato troppo buono per meritarla”
Bah, io non credo proprio che chi sia antib. sia automaticamente nel giusto.
Provo però un certo smarrimento, se ho ben capito, Eco è immorale e B. è morale?
…., povero me, anzi, poveri noi.
Marco F.
luciana
In effetti Eco fa pesare la sua (peraltro notevolissima) cultura.
Io credo che la cultura però, se sei un artista, vada messa a servizio dell’opera; sennò resti un professore universitario e semiologo, che è tutt’altro.
marco guzzi
Una certa cultura è davvero molto ben equipaggiata; Eco credo che di questa cultura rappresenti uno dei cuori pulsanti.
alessandro
La O’Connor è strepitosa e “spietata”; è questo soprattutto che mi piace di lei, oltre al grande talento.
marco f.
Penso che nessuno sia automaticamente nel giusto; diciamo che Eco è immorale “o’connorianamente” come ho scritto, e cioè nella sua incapacità di percepire e considerare sul serio il mistero della vita e dell’arte (e affermo questo senza, spero, risultare enfatico, perchè ci credo).
Grazie a tutti.
Enrico
Enrico:
Il post è molto interessante, ma la tua conclusione “Eco è immorale (o’connorianamente parlando) perché non percepisce…” mi sembra una forzatura.
La O’Connor, mi pare, non scrive affatto che un autore che non fa coincidere il senso morale con il senso drammatico sia IMMORALE.
Sta dicendo un’altra cosa, e cioè che per lei la letteratura deve tener conto del senso morale che deve (dovrebbe) coincidere con il senso drammatico.
Chi non lo fa, non è automaticamente IMMORALE.
Giungere ad una conclusione di questo tipo ci porterebbe a bollare come Immorale una buona parte della letteratura moderna mondiale, e la quasi totalità di quella contemporanea.
Anche perché ricadremmo nel vulnus esplicato da Marco nel post precedente e in questo: chi è che stabilisce chi o cosa è immorale ? E’ immorale chi ha ragione ? Chi ha buon senso ? Chi si riferisce a valori ? A quali valori ?
La morale è un terreno scivolosissimo, ed è molto pericoloso addentrarvisi. Perché, kantianamente, sono convinto che la morale sia ‘dentro di me’ e ciascun uomo sappia cosa sia, anche se viene oltraggiata ogni giorno.
Per me B. non è immorale perché organizza orge (laddove se venisse provato, come sembra, che ci sono minorenni, la cosa non è più morale o immorale, ma è UN REATO, almeno finché non aboliranno l’articolo relativo del codice penale, come stanno cercando peraltro di fare), ma perché egli è il capo del governo e la quarta carica dello stato e mi rappresenta. Rappresenta me, te, e tutti gli italiani. E se non si capisce che esporre se stesso, e la carica che si ricopre mettendola nelle mani di una puttana diciottenne che può ricattarti semplicemente con un i-phone per sempre, e su tutti i siti del mondo, vuol dire essere degli irresponsabili e dei folli, oltre che degli amorali.
Così di Eco non potrei mai dire che è immorale per quello che scrive e per come lo scrive (io non ho letto ‘Il cimitero di Praga’, ma personalmente dopo aver enormemente ammirato ‘Il nome della Rosa’ e dopo essere rimasto deluso dai seguenti, mi ha annoiato e non l’ho più letto), semmai mi sembrerebbe giusto contrastare, come tu hai fatto, una forma di letteratura che oggi serve veramente a poco o a nulla, proprio perché non va alla radice dell’uomo, si trastulla con l’ovvio, con l’erudito o con l’effettaccio – cioè con il nulla – come fanno ormai molti, se non tutti, gli autori contemporanei specie in italia.
f.
Nicola D’alviano Sono impressionato dall’arsenale dispiegato per analizzare e criticare il libro di Umberto Eco. Mi pare che molto più di una critica letteraria questo sia una specie di “regolamento di conti”. Si direbbe che qualcuno che si pretende “credente” non possa accettare che qualcun altro non lo sia e per questo si sente in diritto di trasformare giudizi che dovrebbero essere di natura puramente letteraria in giudizi morali sulla persona che scrive. La fede dovrebbe anzitutto fornire serenità e larghezza di spirito, non desiderio di giudicare non potendo reprimere.
Il libro dispiega una vasta quanto singolare erudizione. Eco è uno straordinario scrittore di saggi e un docente di notevole levatura. I suo romanzi sono spesso prolissi e noiosi. Da qui al volerlo gettare all’inferno e in non si sa quale girone ci corre parecchio.
Nicola
La convinzione di detenere indiscutibimente il monopolio di ciò che è morale e di ciò che non lo è ricoprendola di parole tanto vaghe quanto nebulose mi inquieta. La nebbia mi ricorda il fumo e le parole mi ricordano il fuoco, altro che profondità. Il pensare che poi milioni di persone possano essere avvelenate da tali nefandezze che Eco propalerebbe ai quattro venti e che aspettino solo di essere salvate non si capisce da chi è grottesco e in fondo anche pericoloso.
Come ho detto questo è un regolamento di conti travestito e ne sono ancora più convinto.
Enrico Macioci
Il dibattito si fa complesso. Adesso purtroppo non ho tempo di rispondere argomentando. Lo farò, credo, domattina con un po’ di calma.
Intanto una cosa però: non ho mai detto d’essere “credente” e non ho mai detto di detenere “il monopolio su ciò che è morale e su ciò che non lo è”.
La questione morale da me sollevata è puramente estetica, e non ho conti da regolare nè con Eco né con nessun altro, ci mancherebbe.
A presto.
Enrico
9 minu
Mi associo con il contributo luminosissimo di Fabrizio, del quale non cambierei nemmeno una virgola, lucido sapiente e chirurgico su tutti i fronti: morale, amorale, eco, o’connor, b. etc.
E sottoscrivo anche il disagio, a ben riflettere, comunicato da Nicola. In effetti non era mai capitato su questo sito di mettere al rogo o condannare qualcuno o qualcosa e mi sembra davvero … anomalo, ove non pericoloso… Ho sempre creduto nella veste positiva e propositiva del nostro lavoro ed è la prima volta che mi sento tirato a bruciare qualcosa. Non ritengo di aggiungere altro perchè sinceramente mi da un po’ di brividi.
Marco F.
Carissimi, solo qualche piccola nota per evitare ulteriori confusioni o facili fraintendimenti:
1) Io ho criticato l’intervento di Prosperi, in quanto mi sembra unilaterale ritenere il cattolicesimo e la sua pratica confessionale la causa teologica della nostra presunta immoralità.
Rileggetevi il suo articolo e comprenderete che questa è la sua tesi sostanziale, il suo obiettivo polemico insomma, prima e più di B., è la Chiesa cattolica.
2) Questo non significa affatto scusare B., come è ovvio; ma solo ritenere che le cause della nostra decadenza sono un po’ più complesse e articolate, come avevo tentato di chiarire nella mia ultima mail, anche qui pubblicata.
Ad esempio, B. non è anche figlio proprio di un certo americanismo? di un certo consumismo? di un certo materialismo americani? non è in fondo, e in un certo senso, proprio il politico più americano che abbiamo mai avuto, il vero self-made man? e non andava infatti tanto d’accordo proprio con Bush….?
3) La valutazione morale delle persone o degli atti è una delle cose che mi sono più estranee.
Credo che nei miei 20 libri io non abbia mai fatto un discorso morale, e cioè di costume.
A me interessa la trasformazione fisica dell’uomo nella sua realtà spirituale: la trans-figurazione, e basta.
Gli atti derivano dagli stati di questa trasformazione, il resto è retorica o moralismo: pretendere di dare valutazioni (degli atti) senza conoscere gli stati (in cui sono commessi).
La morale perciò mi è quasi sempre sospetta, e i moralisti mi sembrano quasi sempre maschere difensive.
In fondo resto un figlio di Nietzsche, prima di diventare, forse, un figlio di Dio.
4) la valutazione dell’opera di un autore perciò è ben più grave di un giudizio morale.
Un autore che menta, che scriva in stato egoico, un egoista/autore insomma, per dirla con Rimbaud, produce OGGI un danno per sé e per i suoi lettori di portata cosmica, non morale, e ne rende conto a Dio, e non a qualche codice morale di umana o sociale fattura.
5) Il giudizio estetico, relativo alla verità dell’opera, alla sua giustezza, è un giudizio perciò radicale, sullo spirito da cui ci lasciamo ispirare, e quindi su ciò che immettiamo, di luce o di tenebra, nel corpo degli altri e del mondo.
Questo giudizio è simile al giudizio che dovremmo sempre rinnovare senza infingimenti o attenuazioni di sorta sul male: non sulla persona, ma sugli atti malvagi.
In tal senso questo giudizio, che può e talvolta deve essere molto duro, è un atto di carità, o di correzione fraterna, senza il quale la vita spirituale si trasforma in una melassa insignificante.
6) Che questo punto di vista sia ancora scarsamente rappresentato, lo so.
Che di conseguenza oggi pullulino opere ed autori del tutto oziosi o decisamente letali, lo sappiamo bene.
Che presto verrà il tempo di una resa dei conti, è certo.
Che dire tutto questo sia pericoloso, è ovvio.
Che il pericolo sia strutturale alla vita stessa e alla creatività in particolare, è altrettanto ovvio.
Che non essere per nulla pericolosi per gli assetti di questo mondo, come per esempio Eco, possa darti oggi molto successo, è drammaticamente vero e palese davanti agli occhi di tutti.
Che il Cristo abbia detto che la persecuzione, l’emarginazione, il fraintendimento, e il tradimento, siano i segni più precisi della validità di ciò che diciamo, è attestato.
Che darsi pace sul serio significhi sempre diventare anche un segno di contraddizione per molti, è l’esperienza comune di chi percorre questa via.
Che oggi infine ci sia la congiunzione astrologica tra Sole e Marte, e che quindi si sviluppi molta conflittualità, ne sono consapevole, e lo stiamo vedendo in Italia, e un po’ in tutto il mondo, oltre che qui…
E che questa conflittualità possa essere utilizzata per chiarire, approfondire, e quindi comprendersi meglio, e di conseguenza darsi per davvero pace, è lo sforzo di trasmutazione delle enrgie che ci è richiesto.
Un abbraccio. Marco
Non mi sorprende…niente mi sorprende! Stiamo tentando nei gruppi di “darsi pace” di guarire, il che significa che siamo consapevoli di non essere “sani” (compreso noi che scriviamo su questo sito).
Non vado oltre, ma sono un tantino amareggiata e vorrei esprimere il mio pensiero.
Credo fermamente nella buona fede di Enrico che ha scritto nel suo post un’ottima critica letteraria, cosa che è parte integrante del suo lavoro di scrittore; l’intento di questo sito però é ben altro (o almeno io così la penso) e cioè partire da uno spunto che può essere anche un libro, od un film od un fatto di cronaca o della propria vita e crearne una riflessione positiva in senso spirituale per dare pace e speranza al prossimo. Nicola da fuori non ci ha certo percepito così.
Francamente mi nausea aver sentito termini come comunista, destra e sinistra!
Riprendiamoci e non ci arrendiamo. Gabriella
Nicola D’alviano Non ho usato termini di carattere politico che non erano inerenti al tema. Mi pare però che prendere l’ultimo romanzo di Eco e spianare l’artiglieria pesante per demolirlo sia come lanciare bombe su un villaggio di capanne. Eco è un ottimo saggista e uno scrittore commerciale. Certo il suo prodotto non è a buon mercato è farcito di abbbondante erudizione. Non credo che rischi “di correompere milioni di anime” perchè è talmente noioso che poche di queste anime avranno la costanza di leggerlo fino in fondo. Mi sembra che quanto a corruzione varrebbe assai più la pena di osservare quella che viene da anni e quotidianamente distillata attraverso le televisioni. Queste hanno davvero un impatto devastante su milioni di persone e l’effetto lo vediamo. Ricordo di aver parlato con colleghi non italiani che lavorano nel marketing di alcune multinazionali. L’Italia è nota per essere il paese dove basta passare un prodotto con costanza nella pubblicità televisiva per ottenere risultati di vendita che in qualunque altro paese dell’Europa occcidentale sarebbero impensabili. Allora se vogliamo confrontare l’impatto del libro del povero Eco, che francamente non mi pare così corruttore come alcuni sostengono, con il resto, direi che la risposta emerge da sola. Mi pare invece che investire di botto i gli intellettuali laici (perchè di questo si tratta), a parte Nietsche che è sufficientemente antiilluminista e irrazionale per condire molte minestre, come se avessero tutte le colpe di questo mondo sia un atto che difficilmente può aiutare a darsi pace. Come dice il Vangelo, si guarda il fuscello che ha nostro fratello nell’occhio e non si guarda la trave che abbiamo nel nostro.
Inoltre devo insistere, mi pare che il punto di partenza sia sempre la convinzione di detenere il privilegio della verità rivelata, e di guardare e giudicare glil altri sempre attraverso questo filtro. Posso sbagliarmi, mi pare però un filtro deformante. I giudizi estetici si danno sulla base del genere che si esamina, non si trattano allo stesso modo Proust e Liala a meno che non si voglia metterli entrambi all’Indice (che per fortuna il Concilio Vaticano II ha abolito).
Sottoscrivo l’analisi di Nicola, voce esterna a Darsi Pace, ma che sento in questo momento mi rappresenta. Voglio essere libero di dire: Eco è una gran palla, un uomo che si sottrae allo spirito, che non tocca l’anima sua e dei suoi lettori, ma voglio mantenere la lucidità di non mettere un brutto libro sul piano della devastazione culturale che ci investe da troppi anni. Uno è un’occasione mancata che al massimo ha procurato qualche sbadiglio, l’altro un piano criminale che ha svuotato il cervello di un paese. Se perdiamo la capacità di mettere le cose in prospettiva e mettiamo tutto sullo stesso piano abdichiamo alla nostra libertà di discernere. E di pensare.
Vedo che la discussione si è scaldata. Conosco molto bene l’Umberto Eco semiologo e filosofo, e sufficientemente l’Eco narratore per dire che il difetto principale dei suoi romanzi è di essere degli esperimenti da laboratorio, nei quali i meccanismi narrativi vengono smontati, strizzando l’occhio al lettore sinché questi non se ne avveda. Puri divertissement, in fin dei conti. Detto questo, il Nome della Rosa mi ha divertito come pochi altri libri e, Eco incolpevole e inconsapevole, ha finito anche per regalarmi qualche squarcio sensato.
Per comprendere gli anatemi di Enrico (e Marco G., suppongo), forse bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa è la letteratura, cosa è l’arte, cosa è la bellezza. Capisco bene che l’immoralità, per usare le parole di Enrico, è l’abdicazione in campo estetico al compito rivelativo, o rivoluzionario, dell’arte. Scrivere significa (o dovrebbe significare) far vacillare il senso del mondo. Parole non mie, ma di Eco, citate da Opera Aperta.
Io mi permetto di suggerire (sono di formazione pareysoniana) che l’invenzione estetica, la “forma formante” di Pareyson (il quale era tutto meno che formalista) intesa come “un tal fare che, mentre fa, inventa il modo di fare” è già in quanto tale contenuto di una rivelazione possibile. La personalità dell’artista, singola e irripetibile, si manifesta nell’opera come un concreto “modo di formare”, uno stile originale e storico che attivamente elabora uno spunto, si proietta sulla materia, la interpreta e la forma incidendovi come contenuto. Guarda caso, Pareyson è stato il maestro di Eco, discepolo invero un pochino degenere.
Quanto al doloroso caso del signor B.: mi pare che sia il campione vivente di una certa corruzione. Ma la corruzione, come Marco da qualche parte mi pare abbia scritto, è la disgregazione di un corpo che avviene quando questo ha perso il suo principio vitale. Purtroppo B. è anche questo: l’effetto (tanto politico quanto ahinoi di costume) oppositivo e reattivo di una presunta perfezione e purezza antropologica, che noi sappiamo non ha vero fondamento. Un’educazione dell’uomo fondata “solo” e unilateralmente sui lumi – dottor Jekyll – finisce per produrre anche dei mostri – il signor Hyde. E ‘mo ditemi se B. non vi ricorda tantissimo un signor Hyde, solo un pizzico più ridicolo e grottesco. Dunque anche B. è colpa della sinistra? No, della sinistra operaia certamente no. Dell’unilateralismo dell’apollineo certamente si.
Fabrizio Falconi
Condivido, Massimo, la tua analisi riguardo il potere di (presunta) corruzione: le proporzioni sono quelle che tu dici. I romanzi di Eco, per quanto brutti e per quanto vuoti o ‘o’connorianamente immorali’ sono enormemente irrilevanti purtroppo rispetto a un semplice programma devastante – come quello che fa piangere le persone in diretta sui loro drammi famigliari esibiti pornograficamente – che milioni di persone ingurgitano quotidianamente, passivamente, beatamente seduti nelle loro solitudini disperate.
Provo a rispondere un po’ a tutti.
Fabrizio Falconi
Dov’è che mi contraddico? Per la O’Connor chi non riesce a far coincidere senso drammatico e senso morale non è uno scrittore valido, e siccome per lei il senso morale risulta decisivo per ottenere uno scrittore valido, chi non ce la fa a congiungere i due aspetti (drammatico e morale) non è uno scrittore ANCHE perché non è morale (e ANCHE perché non è drammatico); mi sembra lampante.
Quando ho definito Eco “immorale” mi sono premurato d’anteporre l’avverbio “o’connorianamente” proprio per prevenire simili obiezioni.
La reazione, non solo tua, al mio uso della parola “morale” mi stupisce un po’.
Questo si deve forse dalla confusione fra morale e moralistico; io non intendevo affatto essere moralistico, non lo sono mai stato; ma sono convinto che in arte la morale e cioè l’onestà e l’intensità del sentire e il loro successivo “incarnarsi” siano essenziali, che nell’arte seria l’etica diventi estetica e viceversa. A tal punto si può anche passare dalle intenzioni dell’autore alle sue effettive qualità artistiche; voglio dire che c’è chi ce la fa a “incarnare” il pensiero e chi invece no, e il pensiero se ne sta a galla da qualche parte, un palloncino allo sbando. Chi non ce la fa a “incarnare” il pensiero può essere la persona migliore e più onesta e retta e impeccabile del mondo, ma come artista sarà immorale (se il termine non ti piace sostituiscilo con uno che ti piace di più, io partivo dal discorso della O’Connor e il resto viene di conseguenza).
Certo in quest’ottica molti autori contemporanei difettano, e ne cito due acclamatissimi: Bret Easton Ellis e Michel Houellebecq. Si tratta di due romanzieri in cui sovente la rappresentazione del Male è gratuita – nel senso che spiegavo nel post – e dunque (per rifarsi ancora alla O’Connor, che si badi bene non era una verginella bensì una donna implacabile) “pornografici”. Spero che quest’altro termine non scateni ulteriori polemiche.
Nicola D’Alviano
Trai dal mio pezzo conclusioni su di me che sono solo tue. Dovresti indicarmi un rigo in cui affermo di voler imporre una certa visione o in cui mi ergo a Savonarola del pensiero. Mi concederai però che l’atto di critica è libero e, vivaddio, può diventare anche vigoroso quando si pensa che ne valga la pena.
Tieni conto – mi sembra bizzarro dovermi giustificare su questo piano – che il romanziere che io ritengo (nel mio piccolo) il più dotato e importante degli ultimi decenni è il cileno Roberto Bolano, un uomo che dichiarava di non credere affatto nell’aldilà. Ciò non m’impedisce – com’è ovvio! – d’apprezzarne l’opera e persino di cogliervi gli spunti metafisici che quell’opera (per me) manifesta; infatti ritengo che ancora più importante di ciò che un uomo pensa di credere o non credere, sia ciò verso cui l’ESSENZA di quell’uomo tende, anche suo malgrado.
Marco F.
Di mettere al rogo qualcosa non ho parlato né mai parlerò. Ma le sane stroncature sono possibili senza che si venga presi per manichei o integralisti?
Gabriella Somma
Il mio è un atto di critica letteraria che tenta, nello spirito del sito, di rendere un servigio al sito medesimo. Solo che il servigio si può rendere sia esaltando qualcosa (il post scorso su Bonnefoy) che mettendo in guardia da qualcosa, se questo qualcosa mi sembra artificioso e posticcio, oltre che sopravvalutato dai media culturali.
Non vedo cosa ci sia di negativo; l’attitudine spirituale è anche, credo, un’attitudine attiva, ardente, pronta. L’importante è motivare: troppo spesso oggi ci vengono offerti prodotti cui dovremmo credere a prescindere. Se poi la critica non è condivisa nessun problema, purché non mi vengano attribuite intenzioni oscurantiste o pregiudizi “politici” eccetera.
Io ho, semplicemente, affermato che il libro di Eco secondo me non funziona.
Sul discorso Eco/Berlusconi
A parte che in un brillante saggio del 2003 Alfonso Berardinelli ha accostato le due figure in maniera acuta e non priva di stimoli, a me viene in mente questo.
E’ chiaro che si tratta di due fenomeni differenti qualitativamente e quantitativamente, di due piani remotissimi.
Il problema, per come la vedo io, è che una certa sinistra “culturale”, iconizzando figure che non posseggono un pensiero forte (penso per esempio a Saviano, penso saltando di palo in frasca a Lucrezia Lante Della Rovere che da Santoro annuncia uno spettacolo teatrale tratto da un’opera di Concita De Gregorio, penso al best seller della Littizzetto, ai romanzi di Veltroni, insomma penso a una lobby avvolta su sé stessa, autoreferenziale, culturalmente arroccata), dicevo questa sinistra in realtà favorisce la perniciosa, anzi penosa egemonia culturale berlusconiana. Certo la tv arriva a un numero di gente incalcolabile; ma se anche i cosiddetti pensatori pensano in maniera superficiale donde arriverà la scossa?
Ecco dove può annidarsi secondo me il “pericolo” di Eco: non tanto nelle copie vendute, non nelle persone che lo leggono (molte meno di quelle che lo comprano), quanto nell’accettazione aprioristica d’un’eccellenza che non c’è.
Mi dispiace ma tu non hai semplicemente affermato che il libro di eco non funziona, ammesso che sia questo il posto più indicato per dirlo, hai detto molto di più. La “sana stroncatura” a me, e non solo, è sembrata più una gogna. Anche io ho letto il bellissimo “il nome della rosa” e da lì in poi ho trovato eco noioso e ripetitivo. Ho egualmente letto la o’connor e l’ho trovata molto interessante ma non eccelsa. Ma il problema non è questo. Il problema è : il sito Darsi Pace ha bisogno di una pubblica gogna, dove indicare cosa mettere all’indice? o meglio cosa “sconsigliare”??in questo caso hai voglia a mettere….
Perchè se la risposta è si allora io mi dissocio.
Marco F.
Nicola
Come dici, le concusioni sono soltanto mie, e sono d’accordo perchè non ho pretese di oracolo. Posso anche sbagliarmi e, vista la tua reazione, mi fa piacere pensare di essermi sbagliato. Meglio così.
Come diceva poco sopra Antonio Finazzi, bisogna intendersi su cosa si intende per letteratura. Il romanzo (posto che ancora esista) è la costituzione di un mondo coerente i se stesso. Esiste ancora l’illusione che basti parlare o scrivere per modificare le cose, che una individualità fissata nelle sue caratteristiche possa influire in modo determinante sulla teoria e sulla pratica. Ho qualche dubbio che sia così. La letteratura è filtrata attraverso l’industria culturare e Umberto Eco, almeno nei suoi romanzi “di massa” è esattamente questo. Come molti altri del resto.
Se ci scordiamo che tutto ciò con cui veniamo in contatto è merce ed è mediato proprio attraverso questo, forse ci sfugge l’essenziale e attribuiamo alla letteratura un ruolo e una importanza che forse ha avuto ma che non ha più. Non siamo più ai tempi in cui Goethe scriveva il Giovane Werther e i borghesi suoi coetanei si vestivano col panciotto gialle e magari si suicidavano. (Sempre in numero limitato mentre la maggioranza delle persone era occupata a mettere insieme il pranzo e la cena e a costituire le rendite per la minoranza che le godeva). Oggi la letteratura passa attraverso libri che si devono vendere e che se non si vendono finiscono al macero e provocano fallimenti. Questo non è un particolare di dettaglio che non può non influire su tutto.
La cultura italiana è per tradizione fondata sulla letteratura, il nostro paese è nato da una idea letteraria, in fondo. Ora vediamo che questo ordito non regge più, le forbici del signor B. che non è un ixos ma è lo specchio di una cospicua parte di Italia hanno compiuto l’opera.
Per questo dico che mi sembra ingeneroso oltre che poco utile prendersela con Eco o del resto con molti altri. Gli schemi applicati a Eco si potrebbero prestare ad un giudizio su gran parte della letteratura contemporanea, perchè no? Mi viene alla mente la frase dei Promessi Sposi” …. Va, Va povero untorello non sarai tu…..
Comunque la discussione si è scaldata e questo fa soltanto piacere.
Il post precedente è scritto da Nicola sul nostro profilo fb.
“Per comprendere gli anatemi di Enrico (e Marco G., suppongo), forse bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa è la letteratura, cosa è l’arte, cosa è la bellezza.”
E già, carissimo Antonio, il problema sta tutto qui.
Ora, nei nostri Gruppi la creatività culturale contemporanea viene interpretata come manifestazione di una lotta finale tra due figure antropologiche alternative: il Morente e il Nascente.
Diciamo sempre che il Morente, che è anche in ciascuno di noi, vuole distruggere il bambino appena nato, in base allo schema messianico che ci guida.
E diciamo altresì che il Nascente DEVE denunciare le trame del morente, smascherarlo con profetica fermezza: l’annuncio autentico del Nascente non può cioè separarsi dalla denuncia del Morente.
Lo dicemmo anche in uno dei 4 Video di presentazione di questo sito.
Questo aspetto conflittuale d’altronde fa parte del dramma messianico in quanto tale, come il Cristo ci ha ripetutamente detto, e come ci ha mostrato con la sua tragica vita.
Tutto ciò che alimenta il Morente attenta alla vita del Nascente: non ci sono mezze misure o compromessi.
Questo dovrebbe essere evidente e oggetto di esperienza quotidiana per chi segua i nostri Gruppi: o siamo nello stato ego-centrato, infatti, oppure ci volgiamo agli stati del Ritorno.
E le due cose confliggono tra di loro.
Perciò Cristo resta un segno di contraddizione, il quale, proprio portando la vera pace, scatena la guerra finale e divide fino alle midolla il bene dal male con la sua spada implacabile.
Comprendo che non tutti possiamo percepire nella carne la radicalità di un giudizio poetico; ma esso resta decisivo e radicale, e mette in campo questioni davvero cruciali, messianiche: una lotta tra spiriti, in definitiva.
L’esorcismo spirituale è una delle opere fondamentali del Cristo, ed è in effetti una delle più alte forme della sua carità.
Una sana stroncatura mi sembra una sorta di esorcismo.
D’altronde credo che siamo tutti d’accordo che il cristiano abbia il dovere di denunciare il male senza mezzi termini, di scandalizzarsi, che so, del commercio d’armi, o del degrado televisivo, o della mancanza di libertà in Egitto o in Cina, o della pena di morte, “stroncando” e “mettendo alla gogna”, se necessario, con la sola forza della parola, chi si renda responsabile di questi mali.
E allora perché tanto scalpore per chi denunci il potere ottenebrante operativo in ambito letterario o filosofico o giornalistico?
Ma ora mi vado a leggere il tuo post…
Ciao. Marco
“La critica è un fucile molto bello: deve sparare raramente!” (Benedetto Croce)
Cari Marco ed Enrico, sapete che nella sostanza condivido fino in fondo il vostro approccio. Pongo però una questione di misura. Non ricordo chi, se De Sanctis o Croce, distingueva tra “scrittori di parole” e “scrittori di cose”. Posto che una distinzione del genere non mi convince del tutto, perché rischia di rimettere in gioco un contenutismo semplicistico e referenzialista che, secondo me, non appartiene ai fatti d’arte (ma su questo sono sicuro che ci capiamo), credo valga la pena riconoscere che essa ha sempre operato come discrimine di valore, direi nella letteratura mondiale di ogni epoca. Basta scorrere un manuale di letteratura latina per rendersene conto. Solo che non tutto ciò che viene scritto e divulgato ha la reale ambizione di essere un fatto d’arte. Magari vuole intrattenere leggermente o divertire, non certo avviare alla verità, né per questo merita di essere additata all’indice. Lo confesso, d’estate sotto l’ombrellone leggo volentieri i libretti di Montalbano, e mi diverto parecchio (oddio, in realtà sempre meno; Camilleri va scadendo). Così come molti di noi avranno letto, che so, Agatha Christie o Simenon. A me piace De Gregori; De Gregori è un poeta? Penso proprio di no, ma se a 14 anni non avessi sentito De Gregori a 18 non avrei probabilmente letto Rimbaud. A mio figlio, appena sarà possibile, metterei volentieri tra le mani tanto Salgari e Verne quanto Antoine de Saint-Exupéry. I primi due valgono quanto il terzo? Ovviamente no, ma anche nell’industria letteraria a cui appartiene il 99% di ciò che viene pubblicato (e l’1% di ciò che viene ricordato), esistono variazioni di qualità e differenze di valore, a cui prestare un po’ d’attenzione. Questa industria esercita una qualche funzione propedeutica, e non mi sentirei di condannarla in blocco. Insomma, il problema materiale in Italia è che non si legge affatto, e che abbiamo una percentuale di analfabetismo, anche di ritorno, che fa spavento. Non sarà il caso di prestare attenzione anche a questo fatto?
Detto tutto questo, se Camilleri e altri artigiani del libercolo (perché questo sono, artigiani) smettono le vesti di onesti artigiani, e decidono di collocarsi in blocco sul Monte Parnasio dei poeti (cosa che purtroppo oggi succede, avete ragione!), allora si che condivido il vostro allarme, e benvenute siano le vostre stroncature che gridano all’usurpazione.
Leggendo la replica di Enrico e gli inteventi di Antonio, direi che abbiamo messo a fuoco il punto.
Continuo a pensare che la conclusione di Enrico è una forzatura rispetto al pensiero della O’Connor.
E mi sembra che abbia ragione Antonio: come sempre, “è una questione di misura.”
Francamente paragonare Camilleri a Eco mi sembra profondamente ingiusto, si tratta di due categorie lontane di scrittori. Eco non è Thomas Mann. Ma in confronto a Camilleri, è Borges.
Stiamo parlando di un giudizio estetico, perché il giudizio letterario è estetico.
Per me, come per voi, la letteratura, come ogni altra forma di espressione artistica, dovrebbe perseguire un intento spirituale, dovrebbe avere contenuti che si rimettono alle questioni ultime umane, al senso della nostra vita sulla terra, alla morte, al mistero che tutto avvolge.
Ma una letteratura che non si occupa di questo NON è letteratura ? O non è ‘moralmente’ letteratura? Io non arrivo ad essere così drastico, e mi sembra che il ragionamento sia potenzialmente molto pericoloso.
I Beatles hanno scritto Ob-la di Ob-la da (cosa che fra l’altro provocò la dissociazione dell’intellettuale Lennon) e quindi la loro musica non è musica, non è arte ?
Io credo che dovremmo sempre tenere d’occhio il quadro d’insieme. Eco è un intellettuale colto, erudito, e anche se scrive brutti romanzi, si impara sempre qualcosa, leggendo.
Non è un corruttore di anime, mi sembra.
E io non capisco perché i nostri toni da crociata siano pronti a scattare per lui e per gli intellettuali come lui, quando siamo immersi in un immondo spettacolo, tutti i giorni, che veramente corrode le anime, le corrompe demonicamente ogni giorno, ogni ora delle nostre vite (non per noi, che magari schifiamo la tv, ma per una infinità di persone che a questi spettacoli si abbevera quotidianamente).
Insomma, Eco mi appare molto molto più irrilevante di quel che appare. I suoi romanzi restano a far decoro (spesso intonsi, cioè non letti) nelle case dei borghesi italiani.
Dovremmo forse riconoscere tutti che la furia che proviamo per Eco e compagni ha forse anche a che fare con le nostre ombre personali, che ingigantiscono e radicalizzano i giudizi oltre misura.
F.
mi scuso per i refusi e le ripetizioni, ho scritto senza rileggere.
f.
Marco F.
Affermi: “Mi dispiace ma tu non hai semplicemente affermato che il libro di eco non funziona, ammesso che sia questo il posto più indicato per dirlo, hai detto molto di più.”
Due cose:
1) cosa ho detto allora secondo te?
2) E perché questo non è il posto adatto per dire che un romanzo culturalmente molto popolare non funziona?
Debbo poi domandarti perché definisci un giudizio critico “pubblica gogna”.
Veramente l’esercizio di critica ha visto nel corso dei secoli e millenni interventi ben più spericolati del mio, fatto da personaggi più grandi di me su personaggi più grandi di Eco (cito solo Tolstoj che definì il Re Lear di Shakespeare “al di sotto di una critica seria [sic!] ).
Nicola
Proprio perché quello che dici è drammaticamente vero io credo che occorra, ove possibile, discernere fra letteratura urgente e non urgente.
In questi giorni esce un saggio di Carla Benedetti, Disumane Lettere, che fra le altre cose si occupa, m’è sembrato di capire dalle recensioni, proprio di tale scollamento fra letteratura e presa sulle coscienze, dell’addormentamento umanistico, delle lettere appunto che non sanno reagire al problema di mancanza d’ “incarnazione”, che sonnecchiano.
Perché è chiaro che l’assenza di una ricezione adeguata è un problema, è sintomo d’una sordità, e quale sordità può essere desiderabile?
Antonio Finazzi Agrò
Il tuo discorso non fa una piega e lo condivido appieno, come condivido l’altro tuo precedente intervento, molto calibrato.
Io ho adorato e adoro una letteratura più “commerciale” o considerata tale (faccio tre nomi: Verne da ragazzino, King da adolescente, Lansdale da adulto).
Il problema che ho tentato di sollevare è quello del filtro culturale oggi in Italia (e non solo); secondo me non è un bene che Eco venga fatto passare per alta letteratura e per pensiero di prima qualità – e non mi riferisco a nessuno di Darsi Pace, nessuno qui l’ha detto (e se lo dicesse mica mi scandalizzerei, ma gli chiederei dove e come e perché); lo dicono però alla tv e sui giornali, e non mi avete fatto notare proprio voi che oggi il potere di corruzione mentale dei massmedia è giunto a livelli addirittura infernali?
Gli interventi di Marco Guzzi espandono notevolmente il campo d’azione cui il mio post afferisce; ritengo tuttavia che anche un semplice atto di critica letteraria possa contribuire (fatta salva la possibilità di sbagliare, in buona fede però!) a discernere meglio fra morente e nascente, e quindi assuma un ruolo non trascurabile.
Un saluto e a presto.
Enrico
Mi sento pienamente soddisfatto dalla replica di Enrico, che comprendo e condivido. Non c’è dubbio che c’è molto di peggio dei romanzi di Umberto Eco, anzi, che oggi in Italia al peggio sembra non esserci fine (ma anche su questo stato comatoso dell’arte varrebbe la pena di riflettere: forse una certa forma dell’espressione dilegua, perché se ne deve manifestare una nuova?). Il guaio è che Eco (che, poveraccio, qui assolve a un ruolo di pars pro toto) è avvolto da un’aurea di magniloquenza, da folle plaudenti e consensi del tutto sproporzionati rispetto alla qualità artistica intrinseca delle sue opere. Che ripeto, sono meccanismi freddi e inerti, scientifiche latomie dei meccanismi narrativi. Il programma del gruppo ’63 ha fatto una fine ridicola. Alla faccia dei proclami rivoluzionari!
Guardate, il riferimento che facevo a Pareyson non era casuale. Lo so, è un autore poco conosciuto (guarda un po’), che soffre di damnatio memoriae (guarda un po’), ad opera dei suoi stessi allievi Vattimo ed Eco (guarda un po’). Ma il suo è un pensiero estetico potente, esplicitamente anti crociano, che avvolge l’intero campo dell’agire umano intorno al binomio rivelativo (l’arte e il pensiero autentici) – espressivo (il semplice opificio dell’arte e del pensiero), riuscendo però a suturare la dicotomia, abbracciando nella considerazione dei fatti d’arte anche gli aspetti materiali e produttivi, i tentativi mancati, gli spunti non elaborati. E dunque a porre discernimento e insieme a riconoscere continuità anche nell’ovvia differenza di giudizio e valore tra un’opera e l’altra.
Chi sa, magari ci faccio un post.
Mi sembra tutto davvero molto sproporzionato e incomprensibile. Folle plaudenti per Eco ? Ma dove ? Ma quando ? Eco è semplicemente uno scrittore che vende moltissimi libri (che peraltro nessuno o pochissimi leggono), come Ken Follet, e questo forse è il lato più inaccettabile, in Italia.
Detto questo, non lo si vede MAI in tv, io non sento una sua intervista da millenni, e tranne per quei pochi che leggono repubblica e leggono i suoi articoli sulla stessa o su l’espresso è invisibile.
Se Eco ha le folle plaudenti, allora Fabio Volo e Moccia cosa hanno ?
Bah.
f.
Mi sono evidentemente espresso male. Eco (e non solo Eco) rappresenta una elite. Le “folle plaudenti” appartengono alla medesima elite. Che non ha più consenso nel paese, ha rotto – e non da oggi – con la cultura popolare di massa. Tradotto: nessuno li caca. Questa elite si auto legittima, si sente separata, con molte buone ragioni, da ciò che la circonda. Ma da un elite intellettuale, permettimelo, io pretendo un po’ di più.Se lesina in qualità culturale, io mi faccio qualche domanda. E non farmi l’esempio di Fabio Volo e Moccia. Fabio Volo e Moccia? Mi tengo ovviamente Eco per tutta la vita, magari mi rompo le palle a leggere i suoi libri ma, hai visto mai, imparo qualcosa. Però che c’entra? Io dai vari artigianucoli di questa sgangherata industria, che non riesco più neppure a chiamare “culturale”, non mi aspetto nulla. La cultura popolare di massa italiana in effetti fa schifo, sommamente schifo, infinitamente schifo, è un’opera di corruzione costante dell’ethos di un popolo, che involgarisce sempre più nella sua bolsa ignoranza. E’ mai possibile però che sia solo colpa di Berlusconi? O forse le agenzie educative, Chiesa e sinistra in testa, hanno precise responsabilità, la prima per cinismo e la seconda per miopia, nell’aver lasciato sgombro il campo? E’ mai possibile che ormai da decenni nessuno in questi due campi produca una sola idea originale, un solo pensiero che abbia corpo e vigore? Credo che tutti noi, se siamo stati colpiti dalla proposta di Marco, è anche perché vi abbiamo colto un fermento culturale del tutto nuovo, la speranza di non morire di noia. Per quanto mi riguarda, questo è stato il “miele” che mi ha convinto poi ad accettare di occuparmi di cose più serie.
Ciò detto, con Eco intendo discutere, perché mi sento nel suo campo e non in quello di Moccia e Volo. Eco per tutta la sua vita ha scritto di semiotica, estetica, teoria dell’arte e della narrazione, si è formato su San Tommaso, è stato allievo di Pareyson, ha prodotto saggi originali come Opera Aperta e Lector in Fabula. E’ mai possibile che si riduca a produrre bigini insipidi? Guarda che gli ultimi due romanzi sono illegibili! Non penso, come Marco, che meriti l’inferno, ma una critica seria e argomentata si, non credi?
Premetto che non è forse questo il posto più adatto ma proverò ugualmente a sintetizzare il mio pensiero.
Per Enrico:
1) se tu non hai capito cosa hai detto di molto di più che il libro di eco non funziona, vuol dire che non hai letto i 27 commenti al tuo post;
2) il sito Darsi Pace è nato con altro scopi, cioè non quelli di indicare cosa non va letto, non va visto, non va ascoltato o non va partecipato ma nella fattispecie con, tra l’altro, lo scopo di rendere più manifesto e partecipato il frutto del lavoro dei gruppi.
Per tutti gli altri :
– prendo atto della svolta della linea editoriale del sito con l’introduzione delle liste degli indesiderati, o meglio degli “sconsigliati”, dei non graditi etc. e dunque della radicale politicizzazione del sito stesso probabilmente come avrebbe dovuto essere nel corso naturale delle cose;
– rivendico il diritto di non riconoscermi in tale svolta e di considerare pertanto esaurito il mio tempo all’interno della redazione;
– confermo di adempiere gli impegni che mi sono assunto nel corso dell’ultima riunione in relazione alla pubblicazione del prossimo post;
– anticipo sin da ora che mi riservo di rassegnare ufficialmente le mie dimissioni nel corso della prossima riunione di redazione che si è programmata.
Buona pace a tutti.
Marco F.
Nicola D’alviano Ho letto con interesse tutti gli interventi e mi è venuta l’idea che in fondo, per quanto si faccia, un discorso letterario puramente all’interno della letteratura non è realizzabile. C’è sempre qualcosa che rimanda ad altro, che rimanda al di fuori. Ho riletto anche le citazioni di O’Connor riportate da Enrico Macioci. Mi pare che in definita O’Connor rimproveri a Eco di non essere Tolstoi o Manzoni, mah…
Mi pare che nel corso del 900 abbiamo tutta una serie di esempi che vanno da Proust a Joyce a Musil che ci mostrano come la letteratura abbia sovente preso strade diverse da quelle desiderate da O’Connor.
In fondo, i romanzi di Eco, per tornare a lui, non sono nulla di rivoluzionario o di avanguardia, sono dei pastiches. Lo si vuole rimproverare perchè non sono bastevolmente edificanti? Il nome della Rosa, in fin dei conti lo era e si prestava a lettura a vari livelii. Era per questo un grande esempio di scrittura letteraria? Un romanzo del secolo? Ne dubito era ed è un best seller. Buon per Eco che da professore di università noto ad una cerchia relativamente ristretta è di colpo diventato une degli scrittori italiani più noti del pianeta. Notorietà non significa necessariamente arte. Prendiamo un altro caso: Pier Paolo Pasolini, quale scrittore italiano del 900 ha avuto più senso civile di lui? La sua relligiosità, nel senso proprio della parola era indiscutibile e lo era proprio perchè non ortodossa. I suoi scritti indicano con notevole preveggenza il disastro in cui siamo immersi fin sopra il collo. Eppure, eppure è stato condannato da tutti, ha subito un numero incredibile di processi ed è morto tragicamente in condizioni che molti considerano ancora misteriose. Mi pare facesse tutto ciò che O’Connor trova desiderabile in uno scrittore, come mai è stato così poco amato e specialmente nel nostro paese? Nemo profeta…. con quel che segue. Scusatemi, è una digressione ma mi è venuto in mente questo esempio. E quando parliamo di Pasolini non parliamo certo di Eco, saggista e studioso cospicuo ma scrittore di romanzi che collocheremmo nel segmento medio alto del mercato di consumo salvo il fatto che sono quasi tutti mortalmente noiosi. Però il marchio vende a prescindere dal contenuto. Scusatemi se mi sono dilungato ma i vostri interventi erano ulteriormente stimolanti.
Scusate riporto qui quanto pubblicato poco fa al post precedente che confusione!
..Con sincerità devo dire che condivido pienamente lo sconcerto di Marco, mio marito, ma non sono d’accordo sul mollare. Naturalmente rispetto la sua decisione (proverò a fargli cambiare idea, ma la vedo dura!), ma io al contrario sono spinta dalla voglia di crederci ancora.
Quando mi riferivo alla mia “nausea” per le prese di posizione politiche non mi rivolgevo certo a Nicola, che ha subito giustamente specificato: “Non ho usato termini di carattere politico che non erano inerenti al tema.” Io aggiungerei che tali termini non sono inerenti neanche agli intenti del sito!
Quindi forse mi sento di fare un appello…proviamo a riconciliare i toni e cerchiamo di ritrovare tutti lo Spirito che ci ha guidati per costruire tutto questo!
Grazie Gabriella
Postilla:
@Enrico: “non è un bene che Eco venga fatto passare per alta letteratura e per pensiero di prima qualità – e non mi riferisco a nessuno di Darsi Pace, nessuno qui l’ha detto (e se lo dicesse mica mi scandalizzerei, ma gli chiederei dove e come e perché).”
Premesso che mi piacerebbe sapere quali sono i canoni che ti permettono di stabilire cosa sia “alta letteratura” e cosa sia “pensiero di prima qualità”, è noto che si può passare alla storia della letteratura anche con un solo libro (ci sono innumerevoli esempi in proposito).
E dunque, anche tralasciando i libri successivi (che pure la critica straniera non considera alla stregua di Liala, o di Faletti), Eco è già entrato nell’eccellenza letteraria italiana, con “Il nome della Rosa”, che è l’unico romanzo italiano degli ultimi 20 anni ad essere studiato e considerato e insegnato nelle facoltà di letteratura italiana in molti paesi del mondo.
Oltre ad aver venduto 22 milioni di copie nel mondo (22 milioni !) di cui sei soltanto in Italia, ed essere stato tradotto in una cinquantina di lingue, “Il nome della Rosa” ha avuto critiche entusiastiche pressoché unanimi, dal Franfurter Allgemeine al più sperduto supplemento culturale dell’est asiatico.
Tanto per fare un esempio – ma basta cercare – un sondaggio commissionato da ‘Le Monde’ con la collaborazione delle librerie FNAC e 17.000 interviste realizzate in Francia, lo ha addirittura piazzato al 14.mo posto dei libri del Secolo. Per chi vuole curiosare la classifica (ovviamente un po’ franco-centrica):
http://it.wikipedia.org/wiki/I_100_libri_del_secolo_di_le_Monde
E’ l’unico libro di uno scrittore italiano vivente compreso nell’elenco.
Non so cosa altro serve per decretare che una letteratura sia ‘alta’ e che il pensiero sia di ‘prima qualità’. Poi se vogliamo divertirci a sentirci noi i più intelligenti e i più smagati degli altri, facciamo pure.
F.
Marco F. (e Gabriella)
Sono molto colpito (e dispiaciuto) per la vostra reazione, che davvero non capisco. Sono spiazzato.
Marco, addirittura dimetterti.
1) Comunque: non tutti i 27 commenti al mio post sono dello stesso tenore, e poi c’è contrapposizione e contrapposizione.
2) Trovo sconcertante attribuire al mio intervento intenti politici. Per quel che può valere o interessarti, io sono assolutamente contrario all’attuale Governo in carica – che fra l’altro si è adoperato poco e male per la mia città colpita dal sisma; e considero Berlusconi un uomo patetico e dai comportamenti penosi. Ciò detto, perché un sito come Darsi Pace non può accogliere pezzi che critichino qualcosa? Che c’è di male nel discernere, o almeno nel provarci? Perché lodare Bonnefoy (il mio scorso post) va bene e criticare Eco è così disdicevole? Possibile che la posizione politica di Eco debba influenzare o peggio corrompere alla radice ogni ragionamento sulla sua opera narrativa?
Davvero, ripeto, non capisco il perché della tua ostilità – se esagero con il termine ostilità, e tu puoi smentirmi, ne sono lieto.
Nicola D’Alviano
La O’Connor non pretende niente da nessuno, in realtà; esprime il suo modo di vedere l’arte. Anzi forse lassù si starà innervosendo per essere stata chiamata in causa dal sottoscritto.
Io ho preso spunto da lei perché, come ho spiegato, mentre leggevo Eco leggevo anche le sue riflessioni sulla scrittura; e mi è sembrato di potermi esprimere “aiutato” da lei.
Credo, insomma, che il punto non sia collocare Eco (o Tolstoj o chiunque) su un certo gradino, a un certo livello eccetera; ma (come ha scritto sopra anche Fabrizio Falconi) verificare chi scende a certe profondità e chi no; e verificare chi prende sul serio la scrittura e chi la scambia per un collage o un’esibizione radical chic.
Fabrizio Falconi
I Beatles o Jovanotti o Iva Zanicchi sono musica, così come Eco è letteratura, e anche Moccia, e pure Volo.
Il punto è: possiamo cercare di capire quale letteratura (o musica, o politica, o filosofia) ha cose importanti da dirci, quale può procurarci un ampliamento di coscienza o – per usare la celebre frase di Kafka – spaccare il ghiaccio che dimora in noi? (Riguardo la letteratura d’intrattenimento il discorso sarebbe lungo, ma ce n’è di straordinaria; anzi ci sono autori immensi che a mio avviso intrattengono alla grande oltre che illuminare: Shakespeare, Dostoevskij, Tolstoj, Kafka, Melville, Dickens, Bolano, Foster Wallace solo per citarne pochi).
Io mi sono permesso di dire la mia su Eco perché pratico la scrittura e la lettura quotidianamente da molto tempo; posso sbagliare, ovvio; ma quando avanzo un argomento lo faccio con la ragionevole certezza di non dire cose clamorosamente errate, perché dietro c’è tempo, studio e passione.
Non potrei mai dire altrettanto a proposito della musica o della pittura o del cinema: non ne ho le competenze.
Magari, unendo le nostre tante competenze, possiamo generare più luce.
L’unione fa la forza, no?
Enrico: dire la tua su Eco è un diritto, ci mancherebbe pure. E fra l’altro abbiamo anche la stessa opinione – che abbiamo espresso dialogando su altri post – su quale dovrebbe essere il ruolo della letteratura, su cosa ci interessa come lettori e come uomini, trovare in un libro. E non è un caso che scriviamo qui e che ci riconosciamo nei discorsi, nella passione e nella visione di Marco G. – che io frequento da un trentennio.
Credo che la baraonda in questo post sia nata da un senso di estremizzazione per il quale chi non si riconosce in un certo modo di intendere la letteratura, si è sentito ‘bollato’.
Chi ha per caso apprezzato ‘Il nome della Rosa’ e l’ha trovato un romanzo non solo bello ma importante, si è sentito “figlio di un Dio minore”.
Sicuramente non era questa la tua intenzione, ma in ogni comunicazione – specie in quella scritta, limitata e limitante dei blog – bisogna sforzarsi io credo di tener conto delle sensibilità e delle differenti visioni del mondo, che per fortuna esistono sempre (e qualche volta anche con buoni argomenti).
F.
Nicola D’alviano MI sfugge perchè qualcuno dovrebbe attribuire ad un altro la patente di scrittore che prende sul serio la scrittura oppure che è radical.chic (termine peraltro piuttosto caratterizzato). Non siamo di fronte ad un tribunale, o si? . Un libro è bello o è brutto, per semplificare – naturalmente il tutto visto rispetto al genere che rappresenta. Io non conosco O’Connor sufficientemente per poterla criticare, la prendo per quello che tu hai citato. Eco ha una sola responsabilità, quella di scrivere romanzi che promettono molto e mantengono poco. Sarà radical-schick? Questo non è un giudizio estetico, è una penosa formula giornalistica da maggioranza silenziosa quindi la lascerei da parte.
Il libro, tra l’altro ha suscitato molte perplessità anche negli ambienti ebraici. Un libro che genera tante discussioni, dopo tutto, non deve essere così ir rilevante (forse lo è dal punto di vista letterario ma non dal punto di vista civile) o forse si pensa più all’autore che a quello che ha scritto? Ma allora se il giudizio è rivolto a Eco e non al suo libro usciamo dalla letteratura. In questo caso si può dire che Eco è uno dei pochi intellettuali italiani che difende una democrazia ferita e morente mentre molti altri tacciono di fronte allo scempio morale prima che politico in cui questo paese sta vivendo. E’ questo che gli si vuole imputare? Anzi molti tra coloro che si riempiono la bocca di una pretesa morale sono silenziosi complici di quanto avviene e magari approfittano anche dei vantaggi in influenza
e potere che questo procura. Ognuno è responsabile di fronte alla propria coscienza.Comunque con questo siamo di nuovo usciti dall’ambito letterario, di fatto però sembra difficile restarci.
Carissimi, davvero non comprendo il problema, dov’è il problema?
Si è animata una vivace e ricchissima e a volte divertentissima e a volte faticosissima discussione intorno al giudizio di Enrico su Eco, e allora?
Qualcuno, come dice Fabrizio, può essersi sentito un po’ colpito dalla radicalità del giudizio, e allora?
L’altro giorno sulla nostra pagina di Fb ho letto un articolo davvero offensivo scritto da un sacerdote contro il card. Bagnasco, una vera e propria stroncatura fatta con una aggressività senza limiti nei confronti di chi comunque presiede la Conferenza Episcopale Italiana.
Nessuno di noi si è scandalizzato, o ha urlato alla lesa maestà, o alla politicizzazione eccessiva, anche se, per esempio, io non condividevo affatto quei toni.
Questo sito vuole comunicare gli esiti del nostro lavoro nei tre livelli in cui si svolge: spirituale, psicologico, e CULTURALE, connessi.
Implica perciò inevitabilmente un confronto anche critico con le culture del Morente che dominano in questo mondo.
Confronto d’altronde sempre svolto, e che può ovviamente provocare dissensi e fasi di chiarificazione: cos’è morente? cos’è nascente?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Sì, ma anche ad ognuno di noi.
Il giudizio culturale è sempre anche un giudizio radicale. Emerson diceva che quando nasce un vero poeta si compie un giudizio su tutta la storia precedente. E’ un vero e proprio tribunale la storia umana, e la storia della cultura.
E Eco ritiene giustamente di partecipare a questo livello alla storia, per cui è giusto valutarlo al livello in cui legittimamente pretende di collocarsi.
Che poi emerga una valenza latamente politica nei nostri interventi, mi pare ovvio.
Anche se parliamo di preghiera, e lo facciamo sul serio, prendiamo una fortissima posizione politica, anche se magari pochi se ne rendono conto.
Fin dai primi incontri del primo anno di DP noi ci diciamo che il nostro lavoro interiore è finalizzato a trasformare il mondo, ed è perciò fortemente politico.
Il sottotitolo del libro “La nuova umanità”, che leggiamo nei primi due anni di DP, si definisce “Un progetto politico e spirituale”.
Dunque, che problema c’è?
A me pare che Enrico abbia risposto con correttezza e precisione alle obiezioni mossegli.
Possimao non essere d’accordo, e allora?
Saper reggere il conflitto è una delle esigenze primarie di chi tende a darsi e a dare pace.
Reggere il conflitto significa discutere e magari perfino litigare rimanendo insieme, confidando nella capacità dell’altro di chiarire, precisare, raggiungere un punto intermedio.
Questa fatica fa parte del nostro lavoro.
Darsi pace significa innanzitutto sapere sopportare il conflitto senza rompere, continuando ad amare l’avversario, e a sentirlo come una parte di sé, pregando ogni giorno per la sua felicità.
Ieri abbiamo avuto una riunione davvero stupenda, mi dispiace che Massimo, Marco, e Gabriella non vi fossero.
Abbiamo meditato e pregato insieme come raramente avviene.
E’ lo Spirito che illumina e ci aiuta a distruggere sempre con attrezzi nuziali, come dice Char.
Carissimo Marco, dunque, lasciamo scorrere via ogni amarezza, perché questo momento è davvero un momento meraviglioso.
Un abbraccio. Marco
Carissimo Marco
concordo pienamente con lo spirito del tuo ultimo messaggio. Ci siamo presi un po’ tutti troppo sul serio.
Provo a ricostruire il mio percorso:
1) ho letto e apprezzato il primo post di Enrico: l’ho fatto leggere a amici atei e persino loro hanno condiviso che nell’ultimo Eco c’è un compiacimento senza nerbo della propria erudizione, che nulla risveglia nella coscienza.
2) Fin qui tutto bene. Uno può essere o meno d’accordo. La discussione si è accesa, mi pare, quando il tema lanciato da Enrico (ossia il valore etico della letteratura, cosa rende oggi uno scrittore necessario per chi cerca luce dentro se stesso, nel difficile dosaggio tra etica e estetica, sempre in bilico da una parte o dall’altra), quando questo tema, dicevo, si è trasformato in una sorta di giudizio universale sui peccati dell’umanità. In cui qualcuno ha sentito il bisogno di inserire per forza le responsabilità di questo e di quello, di mettere dentro tutto, con tesi condivisibili (certo, è vero che c’è un’egemonia culturale della sinistra che poco offre al bisogno di verità profonda dell’umano, ma perchè la destra – che ha in mano tutte le tv e le case editrici italiane – non è in grado di contrapporre autori e progetti validi?), argomenti importanti, ma che a mio avviso esulavano dal tema lanciato da Enrico. E la buttavano, non in politica, ma nel clima da pollaio di contrapposizione partitica che viviamo ogni giorno su tutte le reti tv.
3) E’ chiaro che, a questo punto, alcuni di noi si sono risentiti di fronte a un’analisi che, nel dichiararsi non unilaterale, finisce per mettere tutto sullo stesso piano: Eco, Berlusconi, MOndadori, Mancuso, Platinette. Santoro e Paragone. Tutti colpevoli, dunque nessun colpevole. In sostanza: siccome Eco non è un uomo spirituale e i suoi libri – specie gli ultimi – procurano noia (benissimo, sottoscrivo), allora l’autore di un romanzo comunque vivo e vero e necessario come il Nome della Rosa (un inno alla potenza dell’ironia contro la mestizia clericale) diventa corresponsabile dello sfascio culturale in cui sprofondiamo, al pari di chi da vent’anni ha succhiato agli italiani ogni residuo critico, rimbambendoci con pubblicità e modelli patetici e anticristiani. E’ su questa equiparazione, per molti di noi inaccettabile, forzata e poco onesta intellettualmente, che si è scatenato il conflitto. Ci fosse stata maggiore gradualità nell’analisi, caro Marco, stai sicuro che nessuno si sarebbe infastidito. Tutti avremmo concordato su una corresponsabilità di cause, dando a ciascuno il peso che merita.
4) Il conflitto, su questo hai ragione Marco, è per tutti noi l’emersione delle nostre ombre personali. Spero che ognuno di noi, da una parte e dall’altra, ne tenga conto per il suo processo di crescita personale.
5) Voglio concludere che, personalmente, queste divergenze politiche (o meglio preferisco dire sulle nostre rispettive tenebre), non scalfisce di nulla la stima e l’affetto che nutro per tutti i compagni di questo viaggio con Darsi Pace. Mi associo all’invito di Marco di lasciar scorrere via ogni amarezza e spero che si possa tornare tutti a discutere nella bellezza dello Spirito che ci illumina.
Un abbraccio
M
Carissimi tutti,
ho cercato di seguire il vostro intenso, intensissimo scambio, che mi ha turbato, animato, commosso, coinvolto, fatto sentire di volta in volta vicina alle vostre anime … tutte belle.
Per esperienza so quanto questo strumento che utilizziamo possa essere potente, nel bene e nel male. Mi è capitato spesso,nel blog gestito in passato da Fabrizio F, il mitico Mysterium, di percepire come estremamente aggressivi dei post o dei commenti che, riletti in un altro stato della coscienza (ma questo lo capisco ora, dopo 2 anni e mezzo di gruppo guzziano) mi dicevano altro. Non mi colpivano più, non mi ferivano.
Il mio invito è questo: incontrarsi e parlare guardandosi negli occhi, sentendo le sfumature della voce e il calore dell’umanità dell’altro. Così l’altro con le sue parole, non sarà più nemico, ma semplice-mente fratello nella sobria Umanità.
E questo contatto nessun computer al mondo potrà mai sostituirlo.
Con affetto
Filomena
Renato Cirica Carissimi, ho seguito la discussione sviluppatasi qui e sul sito di DP. Credo di concordare con quanto ha scritto Macioci nel suo post, e con gli interventi “decisi” di Marco Guzzi. Il fatto è che non mi interessa la “letteratura”, che ritengo morta e che a quanto pare non desidera neppure rianimarsi più di tanto. Se una persona di altissima cultura, pieno di lauree, dotato di milioni di gigabyte di memoria storica (cosa che già avrebbe fatto tremare Nietzsche), dedica anni di lavoro, ricerca, fatica, per produrre qualcosa di “inessenziale” rispetto all’appello dei tempi, allora davvero c’è una questione etica di mezzo. E se ne parla, in tv da Fazio, come si parla del proprio figlio più bello e simpatico, allora c’è probabilmente una visione distorta della realtà. Insomma se si tratta di puro divertimento (art-pour-l’art), non so che farmene; se invece vuole essere il frutto maturo di un cammino esistenziale, allora mi preoccupo, e mi domando a cosa serva il “sapere”.
La questione per me è, alla fine, abbastanza semplice (quasi semplicistica): perchè uno scrive invece di starsene zitto? Uno scrive, direbbe Celan, perchè “accade qualcosa”, e a partire da questo preciso accadere. E non crede che questo possa essere qualcosa di rivoluzionario (cioè di sensato, di essenziale), perchè ogni rivoluzione autentica procede da una trasformazione individuale. Se manca questo lavoro personale di trasformazione, allora non c’è “Senso”: ciclo basso (Char).
Ma infine, non comprendo come ci si possa sentire “infastiditi” per queste cose. Se un amico mi dicesse all’improvviso che Char è un cretino, correrei a rileggermi una sua poesia, per cercare di capire se ha ragione lui oppure no.
Comunque ho imparato molto dalle vostre riflessioni, anche se a volte viaggiavano ad una altezza che mi è preclusa. Grazie, e… scaldatevi ma alla giusta temperatura. Un abbraccio a tutti.
Per carità qui nessuno percepisce un nemico, almeno da parte mia, e mi dispiace tantissimo che Enrico, per cui ho sentito subito un sentimento di simpatia, si sia sentito attaccato o peggio si senta in colpa! Qui non è colpa di nessuno, sono le anime che hanno parlato ed in quel momento qualcuno ha percepito un disagio le cui cause sono state ben sintetizzate da Massimo. Grazie dei vostri ultimi commenti, per me il lavoro continua come e forse meglio di prima! Un abbraccio Gabriella
Dimenticavo non ho risposto subito perchè stamane mi sono rifatta occhi e spirito al Vittoriano con Van Gogh, mito folle ma dal talento indiscutibile. E guai a chi dice il contrario!!! 😛
… ma sei sicura che sia pittura “alta” ??
🙂
F.
Sono felice che i toni si siano addolciti, e chiedo venia se il mio post è sembrato aggressivo. Ho solo affermato con una certa forza delle convinzioni, in buona fede.
Voglio replicare a Fabrizio Falconi quando domanda: “mi piacerebbe sapere quali sono i canoni che ti permettono di stabilire cosa sia alta letteratura e cosa sia pensiero di prima qualità”. E poco più sotto conclude: “Poi se vogliamo divertirci a sentirci noi i più intelligenti e i più smagati degli altri, facciamo pure.”
Fabrizio, io credo che un canone non debba mai trasformarsi in una gabbia. Tu sai bene che persino Dante e Shakespeare sono stati esclusi, per decenni quando non secoli, dal canone; e conoscerai Il canone occidentale di Harold Bloom che ha scelto 26 scrittori occidentali su…quanti? E a prezzo di quante polemiche? Ebbene io, pur non condividendo tutte le sue scelte, l’ho ammirato per il coraggio, per l’audacia.
Sono convinto che di Eco romanziere in capo a massimo trent’anni non rimarrà nulla (Nome della rosa incluso); posso sbagliarmi; ma se anche fosse qual è il dramma?
Tieni conto che una buona fetta di critica italiana e straniera considera Eco un artista men che medio (basti ricordare Berardinelli che parla di narrativa di polistirolo spacciata per marmo di buona qualità, di furbo di paese eccetera), o proprio non lo considera un artista (Bloom stesso); e che le classifiche di vendita o il successo “culturale” di un’opera non ne garantiscono affatto il valore – il valore di un’opera è garantito dal tempo e dalla resistenza alle riletture, interpretazioni, imitazioni, dalla sua forza d’ispirazione e dalla sua capacità d’essere un modello, uno stimolo per i successori.
Ma al di là di questo, io credo seriamente (anche se umilmente) che noi possiamo prenderci il rischio – qui, adesso – d’esprimere un giudizio su un artista famoso anche se il giudizio è “in minoranza”; è pure così che il cosiddetto canone si rinnova, rinvigorisce, rimette in discussione e si rinforza oppure s’indebolisce, o no?
Ho citato in un mio commento precedente il cileno Roberto Bolano, morto a cinquant’anni nel 2003. Secondo me è un romanziere straordinario, e anche secondo parecchie persone con cui dialogo via web. Ed è proprio via web che io ho conosciuto Bolano e che sempre più gente lo va scoprendo, al punto che ultimamente Sellerio ha deciso di ripubblicare il lunghissimo romanzo del 1998 I detective selvaggi (che pubblicò allora di straforo), nonché l’opera omnia (2666 escluso, che è di Adelphi) proprio fiutando che il “canone” sta oramai accogliendo Bolano, sia a livello di critica che di pubblico.
Insomma penso che occorra rischiare, sempre mantenendo il senso della misura ma senza eccessivi pudori, e con intima fiducia in ciò che si fa.
Ringrazio anche tutti gli altri che sono intervenuti, a favore o contro; è stata una discussione ricchissima e appassionante.
Enrico
Carissimi,
vogliamoci bene, nonostante tutte le diversità, e non consentiamo a Eco, a Berlusconi, e a nessun altro di turbare la nostra amicizia e la nostra pace.
Il consiglio di Filomena è utile, e credo che possiamo già esercitarci virtualmente per guardarci negli occhi ridendoci su e alleggerendo le tensioni…
Un bacio
Paola
Caro Enrico,
ti ringrazio molto per il tuo ultimo commento. Quando scrivi “io credo che un canone non debba mai trasformarsi in gabbia” , hai detto tutto.
Il confronto anche aspro scaturito in questo post deriva esattamente da questo. Cioè dal fatto che qualcuno ha avvertito il ‘canone’ espresso dal post, come una gabbia.
Se si parla di ‘orrore’ che è quello che spargerebbe Eco, è ovvio che chi magari ha amato o abbia ammirato o si sia divertito a leggere uno dei suoi romanzi, si senta un tantino messo nell’angolo o all’indice.
I canoni letterari o artistici, in generale, sono la cosa più volatile che esista. Dovremmo sempre ricordarcene. Perfino Van Gogh, tanto per restare nell’esempio citato da Gabriella, fino alla sua morte fu considerato un artista indegno, inutile, immorale. Oggi è venerato come uno dei più grandi artisti di sempre.
Al contrario ci sono letterati che in vita sono stati perseguitati dalla critica ufficiale – come Simenon o Maugham o C.S.Lewis – perché di troppo successo, e cioè commerciali, vuoti e vacui, inutili e magari dannosi, e oggi sono considerati nell’empireo.
Tu sostieni che di Eco non rimarrà nulla. Io sostengo che il Nome della Rosa sarà l’unica opera letteraria italiana del trentennio 1980-2010 che resterà, nelle riedizioni e nelle antologie straniere, per molto tempo.
Vedremo chi ha ragione.
E’ anche molto bello confrontarsi su questo. Tu ami Bolano. Io ancora non l’ho letto, anche se in molti me ne parlano assai bene. Ma anch’io come te mi sforzo di ricercare una letteratura ‘alta’, cioè quella che per me è tale e va alla radice dell’essere umano. E cerco di farlo senza schematismi mentali, senza barriere precostituite, lasciandomi sorprendere. Negli ultimi anni ho amato anche Mc Ewan (il primo, e conoscendolo ho avuto la riprova che molto spesso i grandi scrittori è meglio conoscerli dai loro libri perché umanamente sono insopportabili), Marias, Sebald, Danilo Kis, e l’irriducibile ateo Saramago che a mio avviso, con ‘Cecità’, ha scritto il romanzo più spirituale degli ultimi 50 anni.
Ciao, e a presto.
Fab
a proposito di quella scocciatrice di Flannery O’ Connor
http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=6761
Grazie Alessandro per la tua interessantissima segnalazione.
Voglio notare che la O’Connor era veramente…guzziana.
Nacque il 25 marzo (del 1925) tanto per cominciare.
E fra le altre cose, sentite cosa rispose a chi la accusava di non poter essere un’artista seria perchè obnubilata ovvero condizionata dalla fede cristiana: “Quando mi sono sentita dire che siccome sono cattolica non posso essere un’artista, mi è toccato rispondere sconsolata che proprio perchè sono cattolica non posso permettermi di essere meno di un’artista.”
A presto.
Enrico
“Mi è anzi parso che la O’Connor, nell’indicare ciò che non funziona in un racconto facesse riferimento precipuo all’opera di Eco”
peccato che la o’connor sia morta nel 1964
peccato quindi che sia impossibile che “facesse riferimento”
prima di scrivere fregnacce su un Gigante, ripassarsi il vocabolario
Scusate ma c’è un mio omonimo: il Giancarlo che parla di Eco non è Salvoldi.
Giancarlo Salvoldi pensa che il gigante sia la Flannery O’ Connor.
E che Eco sia drammaticamente nella schiera di chi cerca di salvarsi dalla disperazione, ma purtroppo riesce solo a mascherarla: simile a chi, nel dolore, non riesce a trovare altro che un dolce Nulla, che è preludio alla “dolce morte”.
… ero certo che non eri tu … ognuno d’altronde si sceglie giustamente e liberamente i propri maestri … Ciao. Marco