L’attenzione è una qualità umana (sempre più rara, visti i sempre nuovi e pressanti motivi di dis-trazione) e cristiana. Fa infatti parte della cura per l’altro, si riferisce cioè più esattamente alla cura di un altro essere umano,all’ascolto di lui/lei – e quindi alla fratellanza – che in qualche caso autenticopuò portare all’aiuto risolutivo, cioè ad un intervento di guarigione.
Di questo parla, la lettera che pubblico oggi, scritta da Simone Weil a Joe Bousquet nel 1942, un anno prima di morire. Bisogna leggerla con attenzione, appunto. Come tutte le cose scritte da Simone, contiene un tesoro che si svela mano a mano, che rivela sempre ulteriori profondità.
Inserisco la lettera in una doppia versione – video, e nella trascrizione letterale.
Mi ha profondamente commossa constatare che ha dedicato una viva attenzione alle poche pagine che le ho mostrato.
Non ne traggo la conclusione che meritino attenzione. Considero tale attenzione come un dono gratuito e generoso da parte sua. L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono. Fin dalla mia infanzia non desidero altro che averne ricevuto, prima di morire, la piena rivelazione. Mi sembra che lei sia orientato verso questa scoperta. In effetti, ritengo di non aver conosciuto, da quando sono giunta in questa regione, nessuno il cui destino non sia di gran lunga inferiore al suo; tranne un’eccezione. (L’eccezione, lo dico di sfuggita, è un domenicano di Marsiglia quasi completamente cieco, di nome padre Perrin. Deve essere stato nominato da poco, credo, priore in un convento di Montpellier; se capitasse a Carcassonne, ritengo che varrebbe la pena di organizzare un incontro tra voi.)
La scoperta che le dicevo è in fondo il soggetto della storia del Graal. Solamente un essere predestinato ha la facoltà di domandare ad un altro: «Qual è dunque il tuo tormento? ». E non gli è data nascendo. Deve passare per anni di notte oscura in cui vaga nella sventura, nella lontananza da tutto quello che ama e con la consapevolezza della propria maledizione. Ma alla fine riceve la facoltà di rivolgere una simile domanda, nel medesimo istante ottiene la pietra di vita e guarisce la sofferenza altrui.
E questo, ai miei occhi, l’unico fondamento legittimo di ogni morale; le cattive azioni sono quelle che velano la realtà delle cose e degli esseri oppure quelle che assolutamente non commetteremmo mai se sapessimo veramente che le cose e gli esseri esistono. Reciprocamente, la piena cognizione che le cose e gli esseri sono reali implica la perfezione. Ma anche infinitamente lontani dalla perfezione possiamo, purché si sia orientati verso di essa, avere il presentimento di questa cognizione; ed è cosa rarissima. Non v’è altra autentica grandezza. Parlo di tutto questo non propriamente come un cieco, ma come un quasi cieco potrebbe parlare della luce. Almeno penso di vedere abbastanza per avere potuto riconoscere in voi questo orientamento.
E un regno in cui opera il semplice desiderio, purché autentico, non la volontà; in cui il semplice orientamento fa avanzare, a patto che si resti sempre rivolti verso lo stesso punto. Tre volte felice colui che è stato posto una volta nella direzione giusta. Gli altri si agitano nel sonno. Colui che procede nella giusta direzione è libero da ogni male. Benché sia, più di chiunque altro, sensibile alla sventura, benché la sventura gli procuri soprattutto un sentimento di colpa e di maledizione, tuttavia per lui la sventura non costituisce un male. A meno che non tradisca e non distolga lo sguardo, sarà sempre preservato. Anche quando si sente completamente abbandonato da Dio e dagli uomini, è comunque preservato da ogni male. Per aver parte a questo privilegio basta desiderarlo. E’ proprio questo desiderio a essere cosa estremamente difficile e rara. La maggior parte di coloro che sono convinti di averlo, non l’hanno.
Tutta la parte mediocre dell’anima si rivolta e vuole soffocare il desiderio da cui si sente minacciata di morte, e riesce il più delle volte a raggiungere il suo scopo attraverso qualche menzogna. Allora si sente al sicuro. Gli sforzi, la tensione della volontà non la turbano. Si sente unicamente minacciata dalla presenza nell’anima di un punto di desiderio puro. Quanto prima le manderò la copia di alcuni versi di Eschilo e di Sofocle con il mio tentativo di traduzione. Anche un Nuovo Testamento in greco. Mi rimprovero di non averle detto una cosa a Carcassonne. Questa. Poiché lei ha bisogno di far venire un farmaco da Marsiglia, se in qualche modo posso esserle utile, disponga di me. Non tema di causarmi disturbo, se sarà necessario.
Creda alla mia amicizia.
Carissimo Fabrizio,
l’ho ascoltata tre o quattro volte e sento che la ascolterò ancora molte volte.
Grazie, è davvero bellissima, a dir poco e in fretta, ma ne avverto la dirompente urgenza di corrispondere.
Il potere che ha di far risuonare tutte le corde del nostro incessante lavoro attraverso il cammino dei gruppi è stupefacente.
Come ti ho detto già altre volte non so come, ma riesci a rivelare una profonda e vibrante sintonia con l’esperienza dei nostri Gruppi, pur non essendo un frequentatore abituale, che mi lascia senza parole. Si vede che è stato seminato bene.
Credo che non finirò presto di ringraziarti per questo.
Marco F.
Caro Fabrizio,
molto bello questo testo. Ci chiede un atto di grande coraggio, per far spazio al ‘desiderio puro’, scartando tutto il resto.
Vorrei corrispondervi citando una breve poesia di Marco Guzzi, dalla raccolta Il Giorno (1988)
Far spazio alla scintilla è osare
la fedeltà alla parola data:
c’è quel groviglio, certo,
e c’è il veleno; ma il rabdomante
segue il desiderio
puro.
(E’ l’adozione
la grazia che prometti
a chi si esclude).
Carissimo Fabrizio, anch’io ho sempre amato l’impeto di Simone Weil verso l’attenzione, parola poi che in greco (pros-oché) è così simile alla parola preghiera (pros-euché).
Evagrio Pontico perciò arriva a dire, giocando sull’assonanza delle parole: “L’attenzione che va in cerca della preghiera troverà la preghiera, poiché se c’è qualcosa a cui segue la preghiera, è l’attenzione”.
Mi colpisce molto anche questa frase:
“Solamente un essere predestinato ha la facoltà di domandare ad un altro: «Qual è dunque il tuo tormento? ». E non gli è data nascendo. Deve passare per anni di notte oscura in cui vaga nella sventura, nella lontananza da tutto quello che ama e con la consapevolezza della propria maledizione. Ma alla fine riceve la facoltà di rivolgere una simile domanda, nel medesimo istante ottiene la pietra di vita e guarisce la sofferenza altrui.”
Ho subito pensato al nostro lavoro nei Gruppi, al fatto che noi in fondo aiutiamo proprio le persone a sentire come si sentono e ad esprimere il loro tormento, le loro sofferenze più intime e profonde.
Mi pare che solo l’aiuto dello Spirito possa sostenerci in questo lavoro, solo la convinzione, confortata dall’esperienza reiterata, che noi siamo solo dei tramiti per l’accadimento di eventi salvifici, che Dio stesso compie tra di noi.
Un abbraccio, e grazie. Marco
Caro Marco (F.), grazie di cuore. L’ho postata proprio per questo, perché ci sento dentro molti echi del lavoro dei gruppi di DP. Il fatto di averli frequentati per qualche anno ha evidentemente seminato qualcosa di duraturo, dentro di me.
Cara Paola: sì, è proprio così. Ti ringrazio molto per i versi di Marco che hai postato.
Caro Marco: anche a me colpisce molto quella frase, che sento affilata come un rasoio.“Solamente un essere predestinato ha la facoltà di domandare ad un altro: «Qual è dunque il tuo tormento? ». Ti ringrazio molto per quello che hai scritto, che è bellissimo, e che mi scalda il cuore.
Fab.
E’ veramente preziosa questa lettera di S. Weil. Bisogna leggerla più volte per comprenderla in tutta la sua profondità. L’attenzione di cui parla Simone e’ come il miracolo della presenza : essere qui ed ora, essere vivi nella pura realtà e verità, liberi da pregiudizi e distrazioni, ricordi e aspettative fuorvianti che ci gettano nel passato e nel futuro e non ci fanno assaporare la quiete e la profondità dello spirito.
Solo se si esperimenta, almeno in rari momenti di grazia, la vera presenza ,possiamo rapportarci a Dio, agli altri e, credo, anche ai morti. Lo sto vivendo in questo periodo. La tentazione è quella di volere accanto la persona morta come era prima, nella pretesa assurda di condividere ancora con lei momenti di gioia, per imprigionarla nel passato, per non farla fuggire dalla mia vita. Questa però è una illusione che genera sofferenza , sterile delusione, autocommiserazione. I morti sono altri da noi, sono presenti a noi solo se comprendiamo la distanza che ci separa da loro, distanza che scavalca il nostro abituale modo di pensare. Sono in una dimensione reale, diversa dalle nostre categorie mentali e immaginative.
Solo la purezza del nostro sguardo crea relazioni autentiche i. Ma questa condizione si offusca facilmente, è da riconquistare ogni giorno, aprendoci allo Spirito! Mariapia
Ringrazio Fabrizio per questo brano, intensissimo, che ci orienta a tendere lo sguardo verso gli altri riuscendo a coglierne le sofferenze e ad alleviarle, almeno. Ad essere compassionevoli nel senso più alto e pieno.
Cara Mariapia,
ti ho pensato, non vedevo più i tuoi commenti ai post
grazie perchè mi testimoni che l’amore vero è nel presente
ti abbraccio, ti sono vicina
Filomena
“I morti sono presenti a noi solo se comprendiamo la distanza che ci separa da loro…”.
Mi ha colpito questa frase, cara Mariapia. Mi ha fatto riflettere e sono d’accordo con te. In questi giorni sono costretto a ri-pensare ai morti: sono nativo di Brembate di Sopra, il paese di Yara.
Mi consola molto pensare che proprio mentre violente mani d’uomo si tendevano per uccidere Yara, le mani benevole di Dio si tendevano per rivestirla di vita immortale.
Cara Filomena,
grazie per la tua vicinanza. Troppe emozioni mi invadevano quando mio marito era tra la vita e la morte e quando mi ha lasciata, per scrivere qualche commento, anche se leggevo quasi sempre i post. Ora il mio cuore e la mia mente sono meno ingombri e perciò posso gradualmente tornare a riflettere con voi e a esprimere le mie considerazioni.
Caro Corrado,
la frase sui morti mi è stata ispirata da un aureo libretto che consiglio vivamente: Cronaca di un dolore di C. S. LEWIS. I morti sono nella mani di Dio, diciamolo se avvertiamo anche che Dio è immensamente lontano dalla nostra immaginazione e dai nostri bisogni. Scrive Lewis: “ Non la mia idea di Dio, ma Dio Non la mia idea di H. ( la moglie morta dell’autore), ma H. Sì, e anche non la mia idea del mio prossimo, ma il mio prossimo.” E qui ci si può riagganciare alle parole di S. Weil sull’attenzione.
Un abbraccio affettuoso a tutti, Mariapia
Cari Maria Pia, Corrado e Filomena, vi ringrazio moltissimo per le vostre parole, i commenti che mediterò e che aprono ulteriori scorci sulle misteriose, fonde, piritiche parole di Simone.
Un abbraccio,
F.
E’ molto bella questa lettera. Grazie, auguri a tutti