Da lettore e da scrittore spesso mi chiedo se ci sia un limite alla rappresentazione del Male; e se sì, dove tale limite possa situarsi.
L’interrogativo è pertinente in un tempo come il nostro, ove la cronaca assume i contorni dell’orrore di pari passo a una cultura che rimuove la presenza della morte. In un certo senso assistiamo a un movimento duplice e contraddittorio: 1) la morte non esiste; 2) esiste una cronaca della morte (buon ultimi, i casi mediaticamente ossessivi di Sara e Yara).
Una dinamica del genere procura sofferenze spirituali profonde e spesso, temo, inconsapevoli; e credo che tale fenomeno riguardi più o meno tutti noi.
In tale scenario qual è il compito della letteratura? Quale il suo potere? Ha ancora senso parlare a proposito d’un’opera letteraria di catarsi, come faceva Aristotele? Ne ha meno di prima? Ne ha più di prima?
Ritengo che un romanzo (o una poesia, un quadro, un film) possa parlare di tutto purché non sia gratuito; se il contenuto del romanzo, la sua forma, il suo stile “appoggiano bene”, se non stonano all’orecchio più intimo del nostro cuore (un orecchio meditativo, oserei affermare), allora vuol dire che l’autore ha colto nel segno. In altri termini parlare deve equivalere a svelare, approfondire, ampliare, consolare – un miracolo possibile?
Mi viene in mente il tremendo romanzo di Dostoevskij I demoni (1873) in cui si susseguono omicidi, suicidi, agguati, stupri, tranelli, violenze, e dove tuttavia niente sembra fuori posto, niente indulge all’effettaccio o al patetico (due facce della stessa medaglia); nemmeno la famigerata scena in cui Stavrogin cronometra quanti secondi impiega la bambina da lui violata a morire dopo essersi impiccata per il trauma appare eccessiva.
Nel monumentale romanzo 2666 di Roberto Bolano (2003) c’è un’intera sezione, intitolata La parte dei delitti, che descrive il ritrovamento di cadaveri femminili sfigurati nel deserto del Sonora, al confine fra Messico e Stati Uniti: anche qui, da lettore, non ho colto manierismi o compiacimenti ma un’ “onestà” di fondo; la litania dei rinvenimenti è quasi biblica nella sua solennità e ineluttabilità; la morte esiste, la morte occorre alla mia narrazione, la morte occorre alla vostra lettura, la morte occorre a tutti noi.
Invece American Psycho di Bret Easton Ellis (1991), che riporta la vicenda d’un finanziere psicopatico di Wall Street, a tratti suona superfluo; tutta quella violenza è sbagliata non perché sia troppo “cattiva” ma perché sconfina nel cattivo gusto di chi vuole offendere, sconvolgere e disgustare il lettore senza un fine, un senso “etico”. Oppure se il fine esiste – voglio dimostravi una volta per sempre quanto può essere oscuro e nauseante l’abisso umano, oppure voglio dimostravi quanto sto male io autore, io Bret Easton Ellis in carne e ossa, io Bret Easton Ellis uomo – questo fine non si sposa bene coi mezzi usati per raggiungerlo. C’è uno squilibrio, e il romanzo equivale a una musica buona ma sparata dagli altoparlanti a volume eccessivo.
Accettiamo che un’opera c’infligga un dolore intenso soltanto se essa ci ricompensa da un punto di vista estetico (il quinto atto del Re Lear è straziante ma Shakespeare ci prepara, ponendoci nella condizione d’accettarlo e persino – esagero? – di gustarlo); oppure accettiamo questo dolore intenso se l’opera è coerente con una verità – che non è la verità assoluta, non è un dogma precostituito ma la logica interna alla storia stessa, il suo respiro, il suo battito cardiaco.
Ricordo nel libro Cujo (1983) di Stephen King, autore sottovalutato dalla critica ma che riesce spesso a trattare il Male senza bruciarsi né bruciarci, la scena lunga 140 pagine in cui madre e figlioletto sono assediati nell’auto in panne da un gigantesco cane idrofobo. Quando dopo due giorni la madre si decide a scendere e ad affrontare la bestia e poi la uccide, proprio allora il figlioletto muore disidratato; questo è davvero molto crudele (nella trasposizione cinematografica gli sceneggiatori fanno sopravvivere il bambino) ma King ha sostenuto in un’intervista che “la storia esigeva che il bambino morisse”, e io gli credo. Se il bambino non fosse morto noi avremmo sentito che in qualche modo l’autore stava mentendo, stava recitando una parte consolatoria – è l’intera architettura del libro a suggerire tale sfumatura, e non un apparato esterno oppure logicamente stabilito. E’ l’anima e non il raziocinio che narra. Leggendo Cujo noi guardiamo in faccia il Male con dignità, l’affrontiamo e ne veniamo fuori sconfitti eppure vittoriosi, pieni di tagli e di ferite ma anche arricchiti, più tristi ma più maturi.
Forse alla nostra condizione terrena non possiamo domandare oltre.
Caro Enrico,
sono sempre affascinata, meglio ammaliata dai tuoi post.
Essi, sono sempre troppo per me perchè intuitivamente comprendo che racchiudono UN OLTRE a cui non avevo mai pensato. Un ordine a cui non ho mai aderito.
Proprio in questi giorni, riflettendo sulle parole di Paul Celan riportate da Guzzi “la poesia è essenzialmente precisione”, ho fatto questa scoperta:
poETICAmente = a MENTE etica
BELLA SCOPERTA, penseranno giustamente in molti, sorridendo spero. Comunque sia, mi sono andata a cercare che significasse esattamente etica.
Ed anche lì, mi son persa nel troppo, ma ho trovato quel che serviva a me: la definizione di Etica Cristiana:
“LO SPIRITO SANTO, che abita nel cuore del credente, E’IL PRINCIPIO di tutta la vita in Cristo, perché è Colui che interiorizza LA VERITA’DELL’AMORE di Cristo”
…e quindi anche della Poetica cristiana? della mistica forse? di quella trasformazione dell’io che ci vien proposta nel lavoro dei gruppi?
Io non so se tutto questo ci sta, con la tua riflessione sul male e sulla morte.
Quel che riconosco, come esperienza in me è che oltre il male vi è sempre Altro.
E non perchè lo dice Guzzi ma perchè vado riscoprendolo dentro di me, io stessa.
Sintetizzo esemplificando così: lavorando sulla genesi familiare della nostra ferita, alla fine, gratta gratta, sotto tutte le distorsioni della mia anima, sotto tutte le ferite ricevute, il momento in cui IN/CONTRO l’amore dei miei genitori per me, è qualcosa che dissolve ogni male nell’abbraccio dell’Amore.
Questo è etico.
Ciao … mi rendo conto che scrivere in questo blog è stata la mia unica azione mediatica per un etica nella comunicazione pubblica (prima mi limitavo a spegnere qualcosa: la radio, la TV, i giornali …).
Come sempre, tu continua a lanciare il sasso nell’acqua che ” un’ondina” almeno a me sommuove.
e Grazie!
Ciao
Rosella
Caro Enrico, grazie per queste tue riflessioni sul male e la letteratura.
Ti domandi se ha senso parlarne, io ti rispondo di si, perché come dici tu noi siamo pieni di tagli, di ferite, direi addirittura di parti in necrosi!
Il dolore ci accompagna,
insieme alla gioia, fa parte della vita stessa, cercare un “lenitivo” è la cosa migliore che possiamo fare!
Grazie a tutti voi e a Marco G. che ci dà concretamente gli strumenti non dico per eliminare ma perlomeno “attenuare” questi momenti bui, che purtroppo non ci vengono mai risparmiati, proprio con la formazione dei ns gruppi.Baci!
Carissimo, non posso che risuonare alla tua provocazione con questi versi che si intitolano:
METAMORFOSI DEL MALE
Con le tue occhiate verdi, senza suono,
Imparo a cantare.
Con la tua cotica
Mi concio una rozza selleria
Per il galoppo.
Con la tua mancanza di ritegno
Accorcio le distanze.
Col tuo fuoco di Geenna accendo i cuori
Delle parole che ti annienteranno.
Con le tue labbra deserte limo il bordo
Della mia lingua che prega.
Con la tua disperazione d’isolato
Trovo il coraggio d’essere con gli altri:
Coesivo.
Ogni altro rapporto col Male mi sembra collaborativo, collaborazionistico.
Il male o va tolto (liberaci dal Male), oppure va trasformato.
Gli inferi vanno attraversati senza mai stanziarci nei loro gironi, senza mai smettere di implorare il perdono e la salvezza.
Quando ciò accada in un’opera è compito di una nuova critica spirituale discernerlo.
Ciao. Marco
Rosella e Luciana
Grazie per il vostro apprezzamento. Debbo dire che questa mia riflessione è scaturita almeno in parte dalla vicenda di Yara, che mi ha profondamente impressionato anche nelle sue implicazioni mediatiche – come si racconta una cosa del genere?
Marco
La tua poesia fa parte di quella raccolta, FIGURE DELL’IRA E DELL’INDULGENZA, che sto leggendo in questo periodo e che in effetti è tutta un corpo a corpo col Male, una lotta a tratti furibonda. Tale lotta la scrittura testimonia in maniera potente, mi sembra, quando è ispirata; ad esempio nel tuo caso. Ma come tu dici occorre che la critica discerna bene; è fondamentale.
Grazie a tutti.
Enrico
Penso che il Male deve essere trasformato altrimenti ci uccide da dentro.
Il Male entra in un processo di trasformazione, di liberazione e quindi di salvezza.
Vuol dire che c’è qualcosa oltre il male fine a se stesso. Per questo mi piace la tua frase finale “…guardiamo in faccia il Male con dignità, l’affrontiamo e ne veniamo fuori sconfitti eppure vittoriosi, pieni di tagli e di ferite ma anche arricchiti, più tristi ma più maturi”
Il linguaggio quindi deve descrivere questo processo traformativo dello spirito, della mente e del modo di vivere la vita (forse come Stephen King in Cujo?).
Condiviso il COSA è il Male, rimane il tema del COME? Quelli che hai elencato sono degli ottimi Maestrinella descrizione di un processo di trasformzione dell’umano sentire. 🙂
In sintesi: il tema cruciale è partire da COME si descrivere il Male oppure COSA è (per poi poterlo raccontare)?
Oggi mi sembra ci sia un pò di confusione su cosa è il Male….
Grazie
La questione, forse, è quella che corre tra fiction e vissuto. Ormai la cronaca è ridotta a fiction che, paradossalmente, oggettiva per tutti e per ognuno ciò che deve essere ritenuto reale.
La cronaca della morte, allora, impressiona più della morte stessa, più del vissuto che possiamo averne. La “parola” televisiva, e questo dovrebbe farci pensare, riesce a far accadere la realtà, a darle una carne disincarnata ma potente (che questo sia il Male, una sua figura?).
Non voglio dire il male,
dargli il fiato che non ha.
Perché rianimarlo, bocca a bocca?
Perché procurargli scarpe nuove?
Unica salvezza è tener fisso
il mio sguardo al Bene
perchè ovunque io cada mi attragga
mi sfanghi dalla melma mortifera.
Oggi mostrano il Male e dicono:
“fuggi lontano da questo orrore!”
dimenticando di mostrarci “dove”!
Un caro saluto da una Praga circonfusa d’azzurro.
Renato
Domenico e Renato
Mi sembra che entrambi mettiate il dito in una piaga, che è la cronaca. Per me, lo ripeto, il caso/Yara è problematico; infatti l’elemento di mistero che contiene me lo rende mio malgrado “affascinante”, cosa che per es. con Sarah Scazzi non mi accadeva.
Va poi considerato che viviamo un momento storico, dal punto di vista letterario, in cui la cronaca tende con forza a prendere il posto dell’immaginazione. Un fatto comune a parecchie letterature occidentali ma che in Italia ha assunto contorni imponenti.
Enrico
Enrico sicuramente la cronaca è oggi un grosso problema, una sabbia mobile capace di inghiottire qualunque capacità di riflessione. Ma per me la cronaca era solo un esempio. La questione è più ampia e riguarda il nostro stare nel mondo in maniera sempre più oggettivante e oggettivata. ci sparano addosso quintali di verità universali, o presunte tali, e noi annaspiamo in mari di niente.
Ho visto ad esempio l’ultima campagna U.S.A. contro la droga: come si fa a concepire una sciocchezza simile? Ormai si pensa che sia sufficiente terrorizzare le persone per tenerle lontane dal male. Nessuno però indica una via d’uscita, un orizzonte di speranza, verso il quale dirigersi. Si mostra il brutto, il male, in ogni suo dettaglio, ma manca una visione della Bellezza, manca la proposta di un concreto cammino verso la Vita. Chi parla di questo ai nostri ragazzi? Vogliamo limitarci ad impressionarli per qualche frazione di secondo?
Un caro saluto e grazie.
Renato
“Si mostra il brutto, il male, in ogni suo dettaglio, ma manca una visione della Bellezza, manca la proposta di un concreto cammino verso la Vita. Chi parla di questo ai nostri ragazzi? Vogliamo limitarci ad impressionarli per qualche frazione di secondo?”
Concordo pienamente ma non ci limitiamo ad impressionarli per qualche secondo, per continuare a farlo è necessario ALZARE IL TIRO “aumentare l’orrore”, poichè nel frattempo la forza della vita che viene negata, alza la soglia del dolore in sè stessa, per sopravvivere.
Questo se lo capisco io, ancor meglio lo sanno “i professionisti del macello”. E se qualcuno pensa di farlo ancora A FIN DI BENE, questa è la riconferma di come l’io egoico sia suicida ed omicida.
Io ho una visione catastrofica del punto di svolta in atto, che ritengo vicina e molto semplice: SI SPEGNERA’ LA LUCE… quasi da sè.
Così come si spegne una radio quando vien meno “la corrente”. E l’uomo, forse, “tornerà a ritmi più normali”
In questa riflessione, comprendo anche culturalmente le parole di Marco quando afferma che il nostro lavoro è un lavoro politico.
Da dove vui che possa nascere UNA PURA COINCIDENZA: “l’energia della luce”, se non attraverso la fiducia e la speranza nell’amore tra gli uomini?
Per risorgere la bellezza è necessario conoscere una BUONA NOVELLA , antica e nuova, CONTEMPORANEAMENTE.
FARE ESPERIENZA della nostra gioia interiore e della nostra eternità, anche solo a tratti, come nel lavoro iniziatico che ci vien proposto.
Questa la radice che può consentirci di percepire quel “centro di gravità permanente” alla Battiato, ORA ADESSO E QUI; e magari trovare non solo parole nuove da dire ma forme nuove di vita comune.
E allora: ciao a tutti e BUON LAVORO
Rosella
Enrico,
facciamo che il male sia un fiume in piena, una corrente che ti trascina via con sè… e noi lì!
Soli ed abbarbicati al nostro scoglio… solo quando saremo sfiniti ci lasceremo alle rapide, e saremo più morti che vivi, spinti sempre più giù, a fondo.
E, QUASI PER INERZIA, saremo riportati a galla a rivedere la luce, lasciandoci alla corrente.
Forse è qui che potremo parlare del male in modo nuovo.
Dopo averlo attraversato ritornando alla luce non solo vivi ma più umani.
Forse, solo chi è uscito dalla droga può trovare parole adatte a prevenirne l’uso…
Un abbraccio
Rosella
Renato e Rosella
Quanto dite è verissimo – suggestiva ed eloquente, Rosella, l’immagine che evochi della corrente.
Sulla cronaca e sui media si potrebbero versare fiumi di parole, così come sulle menzogne più o meno ben coperte, edulcorate che tentano di trasmetterci, con cui tentano d’avvelenarci.
A proposito del Male Stephen King, colui che ha reinventato il genere horror e che pone una particolare attenzione al Senso di quel che fa, se così possiamo dire, durante un’intervista afferma:
“Tendo a pensare che il male sia molto potente anche se alla lunga si rivela piuttosto stupido. Tendo a vedere il potere del bene in modo più sottile e in definitiva come la forza che ha più possibilità di trasformarsi, manifestarsi e dunque provocare un interesse più vero. L’interesse per il potere del male è più superficiale, ma sotto sotto è sciocco e alla lunga monotono – ed è questo il vero aspetto terrificante della questione. Come diceva Joseph Conrad «l’unico orrore è che non c’è orrore».”
Grazie a tutti.
A presto.
Enrico
Davvero stimolanti il modo e la scelta di questo post di ENRICO e di tutti gli interventi.Condivido la visione “catastofica del punto di svolta in atto per cui La luce si spegnerà da sè” e l’altra immagine del fiume sempre di ROSELLA.
Si,caro Enrico la sfida è trattare il male senza bruciarsi nè bruciare,attraversare gli inferi SENZA STANZIARCI NEI LORO GIRONI.
Questa è la vera arte di vivere che accomuna il letterato al più umile analfabeta e che vince la sfida :FARE DELLA PROPRIA VITA UN’OPERA D’ARTE per cui si perviene necessariamente a saper leggere con altri occhi e ad incarnare una nuova rivoluzionaria e pacifica visione.
Sento che questo nostro tempo insieme cosi’ bulimico e anoressico necessita di un sano e maturo periodo di DIGIUNO.
Spero, mi auguro e di cuore auguro che tutti coloro che sono in ricerca indirizzino il loro tempo per risanare tutte le relazioni ,curandone particolarmente l’AFFETTIVITA’,COME CERCATORI DI BENE ,anche dentro il MALE.
Allora la nostra PASQUA-PACE ci donera’ il frutto che chiede S.Bernardo a Maria,intercedendo per Dante,nel 33 del PARADISO.
Ancor ti priego regina,che puoi
ciò che tu vuoli,CHE CONSERVI SANI,
DOPO TANTO VEDER,LI AFFETTI SUOI.
Grazie a tutti. Un abbraccio Giuseppina
Mi son destata pensando alla vita di Madre Teresa.
Non so se abbia mai perso tempo a descrivere il male.
Ritengo abbia ascoltato il grido di dolore di coloro che soffrivano e si sia rimboccata le maniche.
Il male non è così importante da essere descritto, lo si lascia alle tenebre, sarà la luce a farlo emergere dalla sua ombra per contrasto… contrastandolo?
Noi non facciamone un idolo
Penso che è solo perseverando nell’incarnazione del metodo iniziatico a cui aderiamo, che incontreremo la modalità con cui corrispondere nella nostra vita al quesito che hai posto.
Ritengo importante rimeditare attivamente e nella consapevolezza PERSONALMENTE i misteri della “Settimana Santa”
I Vangeli DELLA PASSIONE, sono LA BUONA NOVELLA, la modalità, con cui vien “descritto il male”…
ciao.
Un abbraccio e buona domenica
Rosella
Giuseppina e Rosella
Grazie a entrambe per le vostre parole e riflessioni.
Sì, il Male purtroppo esiste, ed è tanto, ed è forte, e ci tocca confrontarci con esso in qualche modo.
Forse la letteratura – di cui specificamente mi sono occupato nel post – può guardarlo in faccia senza restarne pietrificata, se appunto non indulge nella fascinazione del Male medesimo, se non se ne fa sedurre e se non “approfitta” di qualche scorciatoia ma va fino in fondo, con una “cattiveria” giusta e quasi santa.
Enrico