Nel sottosuolo della letteratura moderna corre una vena aurea, luminosa: è quella dei profeti, di coloro che prima e meglio di tutti hanno intravisto un barlume di Vero nelle profondità dell’uomo e del suo Mistero sulla Terra.
Herman Melville fu un profeta, e Moby Dick rappresenta il suo maggiore testamento. A pagina 589 dell’opera, mentre il Pequod viaggia nel solco azzurro dei mari, sentite come l’autore spalanca una finestra di sapienza, come intuisce la pendolarità della condizione umana, e come descrive in modo incomparabile l’eterno rimpianto e al medesimo tempo l’incurabile struggimento che tutti ci spinge sempre avanti, sempre altrove:
“Oh, radure erbose! Oh, infiniti paesaggi dell’anima, sempre primaverili! In voi, sebbene da tempo abbruciati dalla siccità mortale della vita terrestre, in voi, gli uomini ancora possono voltolarsi, come giovani cavalli, la mattina, nel trifoglio nuovo, e per alcuni fuggevoli momenti sentirsi dentro la fresca rugiada della vita immortale. Volesse Dio che queste calme benedette durassero. Ma i fili della vita mischiati e mischianti sono intessuti nell’ordito e nella trama: le calme si incrociano con le tempeste, una tempesta per ogni calma. Non esiste nella vita un autentico progresso costante, noi non avanziamo per gradi fissi, fermandoci all’ultimo: attraverso l’incosciente incanto dell’infanzia, la fede spensierata della fanciullezza, il dubbio dell’adolescenza (condanna comune), poi lo scetticismo, poi l’incredulità, noi ci adagiamo finalmente nella virilità, nella quiete meditativa dei Se. Ma una volta fatto il cammino ricominciamo daccapo, e siamo bambini, ragazzi, uomini e Se in eterno. Ma dov’è il porto finale da cui non leveremo più l’ancora? In quale estatico etere veleggia quel mondo di cui i più stanchi non saranno mai stanchi? Dov’è nascosto il padre del trovatello? Le nostre anime sono come quegli orfani, le cui madri nubili sono morte dandoli alla luce: il segreto della nostra primogenitura giace nelle loro tombe, e dobbiamo andare là per conoscerlo.”
Melville fu un uomo tormentato e sfortunato; la sua grandezza di scrittore non venne capita; le riviste letterarie, dopo l’uscita di Moby Dick, lo presero per pazzo; alcuni critici gli tolsero addirittura il saluto; e tale risultò l’insuccesso del suo capolavoro che in capo a pochi anni smise di scrivere, distrutto da tanta indifferenza e ostilità, e si ridusse a fare il doganiere nel porto di New York per quattro dollari al giorno. Morì assolutamente incompreso, e ci vollero decenni prima che si cominciasse a riconoscere il suo genio titanico e visionario.
Eppure, che parole scrive quest’uomo aspro e selvaggio! Quale precisione nell’analizzare gli stati d’animo, le nostre più profonde ferite e i nostri più muti desideri! Sembra davvero, la pagina sopra riportata, un esercizio di autoconoscimento sotto forma poetica, che giunge fino agli stati dell’io in conversione e dell’io libero, laddove cioè l’io discerne con chiarezza sé stesso.
La primavera metafisica che sulla terra sfugge di continuo, i rari, preziosi momenti d’illuminazione, la lotta strenua per conservarli o almeno per conservarne il ricordo nei tanti tratti duri, gli entusiasmi iniziali che annegano dentro lo scetticismo (questa belva feroce e oggi dilagante, questa belva che è davvero un Moby Dick), e ancora la spasmodica ricerca del porto ove il Male finalmente ci darà tregua; leggendo queste righe, concepite nel 1850, sono rimasto stupefatto.
Poco dopo Melville fa esclamare al primo ufficiale Starbuck, l’unico cristiano presente a bordo del Pequod, tale stupefacente affermazione:
“Che la fede si sostituisca ai fatti e la fantasia alla memoria; io guardo nell’abisso profondo, e credo.”
Una sentenza del genere potrebbe essere la traduzione dello scarto che proviamo a compiere quando ci spostiamo dall’io in conversione allo stato della morte dell’ego, a quell’abbandono in cui, come scrive Marco Guzzi, “siamo chiamati a credere in questa buona notizia [ovvero nella morte e resurrezione di Gesù] e a sperimentarne la verità nella nostra vita. C’è comunque un atto di fede che ci viene reiteratamente richiesto da Gesù, in quanto Dio non può forzare nessuno, siamo noi che, avendo ricevuto l’annuncio, decidiamo di lanciarci.”
Così fa Starbuck, appunto, nel pieno della drammatica avventura.
Moby Dick è un libro cupo e disperato, e io non voglio affatto trasformarlo in ciò che non è, in un ingenuo, o peggio sentimentale, messaggio di speranza.
La Balena Bianca è il Male Assoluto, e nel nostro mondo sembra invincibile; e alla fine in effetti vince, facendo strage dell’intero equipaggio a eccezione del narratore dal biblico nome di Ismaele.
Ma ciononostante Melville sembra suggerire, qua e là, quasi non sapendolo lui medesimo, quasi inconsciamente, quasi nonostante sé stesso, che sussiste un’altra dimensione delle cose, una dimensione di cui Moby Dick potrebbe essere la parte malvagia ma non onnipotente, una dimensione che ci spinge a lottare e ad andare avanti anche quando ogni senso sembra smarrito, ogni sforzo pare senza esito.
Grazie , caro Enrico ,per questo post magistrale che mi fa prendere la ferma decisione di rileggere “ La balena bianca”; ho preso in mano questo libro quando ero molto giovane e impreparata, perciò l’avevo lasciato, senza terminarlo, capendoci molto poco, considerandolo un semplice racconto di avventura, un po’ monotono, anche.
Mi piacciono molto alcune immagini del primo brano che hai trascritto: gli intervalli di pace nella nostra vita paragonati all’esperienza del rotolarsi in un campo di fresco trifoglio. Talvolta mi sento così, fresca, rinnovata, giocosa, dopo un buon sonno, seguito da una meditazione ben riuscita.
E quella possibilità di rivivere in qualche modo le fasi della nostra vita. Il risentirci bambini, adolescenti, giovani, quando nel tempo reale queste età sono ormai trascorse.
E infine l’immagine dell’orfano che aspira alla tomba per conoscere i suoi genitori. Tutti , in certi momenti della nostra vita, ci sentiamo orfani di Dio, che pure continuiamo a cercare!
Grande mistico Melville! Benedetti siano i grandi scrittori! E tu sei della loro stoffa, Mariapia
Caro Enrico, quanto mi piace come scrivi! Ieri ho letto il post di Domenico, ma non sapevo cosa aggiungere, per cui sono stata zitta! Ma tu , visto che sei un Prof., mi dai tanta speranza nel futuro! Io ho i figli molto più grandi di Domenico per cui vivo un’altra esperienza, Prof. che partono con in compiti in classe sull’auto 😆 😆 😆 😉 😉 😉 😉 😈 😉 e li perdono, Prof. che si “addormentano” durante il compito in classe!
Tu mi sembri il Prof. dell’attimo Fuggente, un Prof. che ama i suoi ragazzi e li guida alla vita!
Che grande cultura trasmetti a noi e chissà quanta ai nostri ragazzi! Ti auguro ogni bene e… ce ne siano tanti di Prof, come te, siete l’insegnamemnto per il futuro dei ns figli! Grazie Enrico! 😉 😉 😆
Mariapia
Ti ringrazio. Anch’io lessi Moby Dick la prima volta cinque o sei anni fa e non ne seppi cogliere la grandezza, mi annoiai.
Bisogna confrontarcisi con pazienza e umiltà, comprendendo che anche le numerose digressioni sulle balene e la baleneria fanno parte di una “mistica”, e che Melville non stava scrivendo un romanzo ma un’epica moderna. Come “potenza” pura, secondo me Moby Dick sta alla pari con la Bibbia, Dante e Shakespeare, cui del resto Melville si rifece apertamente.
Luciana
Grazie anche a te per le belle (troppo belle!) parole. Ho una grande passione per la letteratura e spero di riuscire a trasmetterla in modo “puro”, ovvero senza ideologie nè preconcetti. L’arte infatti quando è davvero tale è libera, è libertà; e io spero sempre di rispettarne quest’essenza, quest’immensa ricchezza.
Un saluto a tutti.
Enrico
Confesso che ho solo un indelebile ricordo della versione cinematografica di questo romanzo legata alla magistrale interpretazione di Gregory Peck…
Ma sono veramente colpito dalla poetica e dalla forte risonanza con le linee guida del nostro lavoro nei Gruppi di questi brevi brani che hai sapientemente citato.
Un motivo in più per ri-scoprire questo autore così sfortunato e disperato.
Spero di poter avere l’occasione di leggerlo, peraltro proprio qualche sera fa un caro amico mi diceva che è uno dei pochi romanzi in cui il traduttore originale (non ricordo, ma uno famoso) ha reso ancor migliore questa opera.
Cari saluti a tutti.
Marco F.
Marco F.
Grazie. Sono felice che anche tu abbia colto questa consonanza fra Melville e un certo modo di pensare, che tentiamo di fare nostro.
Il traduttore cui fai riferimento credo che fosse Pavese.
Il film invece non l’ho visto, ma ne ho sempre sentito parlare molto bene.
A presto.
Enrico
Grazie, carissimo, mi ci ritrovo, ritrovo sempre la condizione umana in questo corpo a corpo con il Molock dei tempi mortali, con il Mostro della morte e dell’abisso.
La cosa che sto comprendendo un po’ meglio, negli ultimi 15 anni, è che la vera speranza nasce in noi solo quando la Balena ci sprofonda nell’abisso e scompariamo con lei nel Nero della notte. E’ lì che iniziamo a sperare per davvero, e cioè affidiamo tutto il nostro essere alla follia di un miracolo.
Mi pare che anche tu lo stia comprendendo.
Il problema per ognuno di noi è questo: cosa diventa la mia vita DA QUEL MOMENTO
Un abbraccio. Marco
Marco Guzzi
Sì, la questione è capitale e difficilissima.
In effetti il finale del libro è tragico: Moby Dick annienta l’equipaggio e trascina il capitano Achab con sé negli abissi.
Va però detto che Achab, personaggio grandioso, è tutto Ego: tant’è che in un’occasione afferma per esempio: “Colpirei anche il sole, se mi facesse torto.”
Forse Melville, che s’identificava in Achab, intuì più o meno consciamente che un orgoglio smisurato e una smisurata stima di sé possono condurre alla perdizione, specie nel nostro mondo in cui la fama e il riconoscimento sono così labili.
Lui, ch’era un genio, fu misconosciuto e preso per pazzo; e forse anche per questo smise di scrivere, tacendo per una trentina d’anni e di fatto “morendo”, appassendo.
Un abbraccio.
Enrico
Sento una sostanziale consonanza con quanto emerge dal post e dai commenti, ma vorrei aggiungere una considerazione, non per affermare qualcosa, ma per aprire la riflessione su altri interrogativi. Moby Dick è considerata l’emblema del male assoluto, ma mi domando: lo era anche quando si muoveva nel suo mare prima che qualcuno tentasse di cacciarla? Mi sembrerebbe lecito il sospetto che sia stata costretta a diventare male. Per analogia mi viene in mente la vicenda del Flauto Magico. La povera Regina della Notte avrà anche avuto uno spirito malvagio, però il “buono” Sarastro si è arrogato il diritto di sottrarle la figlia. L’opera di Mozart è un capolavoro indiscutibile e coinvolgente, ma questo aspetto della vicenda mi ha sempre lasciato perplesso.
Che ne dite?
Tanti abbracci per tutti. Antonio.
Carissimo Antonio,
anzitutto ben risentito e un abbraccio.
La tua osservazione è assai pertinente. Premesso che non conosco Mozart se non di nome (mea culpa mea culpa) e che non posseggo quindi i mezzi per analizzarne l’opera, riguardo Moby Dick io credo che una chiave stia nella monomaniacalità – che ho sopra definita molto egoica – del capitano Achab.
Achab è un personaggio grandioso e mai patetico, ma è quasi soltanto ego; pur intelligentissimo, non riesce a liberarsi delle proprie ossessioni e si direbbe volutamente vi soccombe. Questa potrebbe essere una grossa “colpa” dell’elemento umano nell’ambito del romanzo di Melville.
Va però anche sottolineato come spesso Melville accenni a una sostanziale e iniziale malignità di Moby Dick, a una sua precisa volontà di fare del male, a una sua (satanica?) intenzione. Tale nota contrasta per giunta col fatto che Melville venera l’animale/balena, e vi dedica moltissime pagine scientifiche, saggistiche, divulgative e addirittura filosofiche.
Ergo: Moby Dick è l’incarnazione del Male tout court oppure è una sorta di deviazione, di distorsione della/dalla Natura?
Penso che tale ambiguità sia alla base del fascino e della potenza del romanzo, che si presta forse a interpretazioni infinite.
A presto e grazie ancora.
Enrico
ps: aggiungo una frase estrapolata da un saggio letterario di Melville che risale allo stesso periodo di Moby Dick e che chiarisce la sua complessa natura d’artista.
Dice a un certo punto:
“Chi non ha mai fallito in qualche campo, quell’uomo non può essere grande. Il fallimento è la vera prova di grandezza. E se si può dire che il continuo successo dimostra che un uomo saggiamente conosce le proprie forze, ciò è solo per aggiungere che, in tal caso, egli sa che sono scarse. Decidiamoci dunque a pensare, una volta per tutte, che non v’è per noi alcuna speranza in questi scorrevoli, piacevoli scrittori che conoscono le proprie forze.”
Queste parole testimoniano vieppiù l’ambiguità di fondo di Melville, che forse nel momento in cui scrisse Moby Dick non sapeva nemmeno lui bene dove sarebbe andato a parare, e cosa fosse definitivamente la Balena Bianca.
Carissimo Antonio, benvenuto tra di noi.
Alle belle osservazioni di Enrico vorrei aggiungere che appunto la Balena è un Mostro per l’Ego che vi si contrappone.
Nei nostri Gruppi noi constatiamo che ogni Ego produce la sua Ombra, il suo Hyde, proporzionato alla rigidità della sua contrazione egoica.
Per cui la fissità paranoica di Achab in un certo senso produce la malvagità della Balena.
Cosa sarebbe la Balena se Achab passasse all’io in conversione e poi all’io in relazione?
Forse questa spaventosa energia è solo un grande amore inespresso, ferito, e trasformato in energia distruttiva….
Ah, se Melville avesse incontrato i nostri Gruppi….
Ciao. Marco
Carissimi entrambi,
che bello! basta esprimere un pensierino che esplodono risposte a grappolo. Meno male che non sono bombe. Due osservazioni al volo.
La prima: penso con orrore a quale sarebbe stata la perdita secca dell’umanità se Melville avesse incontrato i nostri Gruppi (chissà che volto avrebbe assunto la povera Moby Dick).
La seconda: credo anch’io che il punto chiave sia la monomaniacalità del capitano Achab, e cioè che la balena sia un mostro per l’Ego che vi si contrappone. Il che mi pare sia come dire che il male non esiste, se non lo creiamo noi. E per estensione che le cose ma anche le persone in sé non siano né cattive né buone, ma il bene e il male nasce nelle relazioni. Personalmente credo sia proprio così, anzi, credo che la stessa cosa valga anche per la verità.
Buonanotte a tutti. Antonio
… mi corre l’obbligo, come si dice in questi casi, di precisare che non sono d’accordo e di aggiungere una mia brevissima osservazione:
sono profondamente convinto che il male ESISTE, anche se non lo creiamo noi.
Ossia io sarei molto cauto e non direi mai che il male, e/o la verità non esistono.
Spiacente.
Un caro saluto a tutti.
Marco F.
perché spiacente? A me, i disaccordi mi fanno felice. Non per nulla ho scritto Elogio del Dissenso.
Un altrettanto caro saluto.
Antonio
Penso di aver consolidato il mio ciclo filosofico esistenziale verso gli undici anni; tempo in cui fiabe e libri d’avventura erano stati già, divorati ed essimilati da me.
Ritengo anche che sia “l’occhio che guarda”, donando rilievo a luci ed ombre, a condurre oltre, il pensiero stesso dell’autore. Proprio come si conviene in ogni opera d’arte, e come accade nella storia, che sia quella di Moby ed Acab, come nella nostra che si SPERA DISPERATAMENTE evolutiva.
Personalmente la storia della mia vita, con la sua conclusione errata “se non esisterò non potrò morire! Così farò contenta mamma…” ecc.ecc., mi ha condotto direttamente a stabilirmi NELL’ ISOLA CHE NON C’E’.
Con le mie stesse mani di bambina giocando “a fare” la mamma, ho ricucito l’ombra ai piedi di Peter (che se l’era persa) e con quelle stesse mani, ma mosse da ALTRO CUORE, l’ho salutato facendo ritorno a casa.
Iniziando forse, quel cammino cui accenna Guzzi nella domanda: “cosa diventa la mia vita DA QUEL MOMENTO?”
L’uomo è LIBERO di decidere come vivere.
Solo che noi pensiamo che la libertà umana consista nello scegliere tra il bene ed il male, ma non è proprio così.
La libertà è la vita CHE VIVE e quindi IL BENE.
Il collante, LA LINFA VITALE che nutre l’albero (del bene e del male) E’ L’AMORE che solo conduce nella NUBE LUMINOSA della trasfigurazione.
E tanto per essere nella realtà della globalizzazione, visto che è da mo che ho lasciato “l’isola che non c’è” ( … ebbene: in parte, “solo in parte”, lo confesso!), il tutto nel CONTEMPORANEAMENTE dell’ “io sono tu che mi fai”.
Ciao e un abbraccio a tutti
Rosella
Rosella
Il tuo post è davvero poetico, è un piccolo capolavoro di bellezza e acutezza. Complimenti!
Il discorso su Bene e Male è naturalmente così complesso che non me la sento d’affrontarlo in poche righe.
Riporto però un’altra frase significativa che Melville pronunciò poco dopo la pubblicazione di Moby Dick: “Ho scritto un libro empio, e mi sento innocente come un agnello.”
Che voleva dire? Ed è possibile scrivere un libro come Moby Dick rimanendone “incolumi”?
Ed è un caso che dopo questo libro la vita di Melville prese una piega discendente e malinconica, come se il libro ne avesse succhiata via la parte più sostanziosa?
Un abbraccio.
Enrico
Grazie Enrico.
Azzardo un’ipotesi su Melville, partendo da quanto hai scritto.
Può essere che lui abbia conosciuto e toccata l’impotenza umana fondamentale.
Credo che quello sia il livello in cui un uomo possa ritenersi innocente:”che colpa ne ho IO se…” (sono nato cieco? chi ha peccato lui o i suoi genitori?) ed abbia tentato una via di sopravvivenza, combattendo come un animale ferito. Urlante di rabbia furiosa e impotente. Dando voce a tutta la sua disperazione, per l’ingiustizia subita. UNA LOTTA DI POTERE per la sopravvivenza nella consapevolezza di una ineludibile fine.
Non ha saputo “silenziare, lasciare andare, spegnere” per poter cogliere NEL CUORE la rivelazione della propria essenza: l’ IO SONO ” TU” che mi fai.
Precipitando il tutto, negli abissi, potrebbe aver agito metaforicamente il suo suicidio? andando poi lentamente alla deriva nella vita?
Si è arreso , forse, all’immagine apparente di una causa/effetto troppo inspiegabile nella sua linearità: si nasce per morire, e si sperimenta nel rifiuto e nell’incomprensione altrui l’ineludibile ingiustizia della vita?
Tutto ciò risultava essere inaccessibile alla comprensione meramente intellettuale non includendo quel TUTTO E’ RELAZIONE cui noi oggi, nell’era della globalizzazione abbiamo accesso? Anche se di fatto non è che cambi molto se non ne viene coinvolto anche il cuore.
Penso che sia centrale sperimentare il nuovo rapporto tempo / spazio cui noi, ora, abbiamo accesso nel luogo della trasformazione.
L’ORA è onnicomprensiva, non solo dell’attimo fuggente ma di un tutto incarnato e cosmico; è una immagine che RIMANDA AD ALTRO.
Spesso io penso al bing bang, permanentemente in ATTO EVOLUTIVO.
Allora colgo intuitivamente… ma un po’ di più direi, come sia o possa essere: “il tutto nel frammento” ed “il frammento nel tutto”: ne sperimento il senso che apre il cuore ALLA SPERANZA e ne percepisco le radici che affondano sì; ma, NELL’ ETERNO in cui siamo.
Ciao, grazie ancora e auguri di Buona Pasqua a tutta la famiglia
Rosella
Che bello leggere sia Marco f., sia Antonio t., in un mondo pieno di “menzogne” esprimere la propria opinione sta diventando una cosa “rara”, così come scrive Marco Guzzi. E’ vero a volte la verità ci fa male, “ma ci farà liberi”! Spesso, noi stessi pensiamo che a volte l’altro stia sbagliando, ma non glielo diciamo per paura di offenderlo! Per paura di perdere la sua amicizia! Ed è proprio lì che ci rendiamo “complici” dei loro errori. Se un ns fratello sbaglia, glielo dobbiamo dire! Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, nel suo primo discorso ci disse: “se sbaglierò, mi “corriggerete”! Non faccio parte dei PapaBoys, ma da quel momento, ho amato quel Papa in modo profondo, un Papa, che non ha paura delle “diversità” che ha chiesto scusa per tutti gli errori fatti dalla Chiesa, che non si è fatto da parte per nasconderci la sua sofferenza, che ha addirittura perdonato chi gli ha sparato, un Papa così umile, ci ha insegnato che ben vengano i Marco f. e Antonio t., le diversità di opinioni, possono solo arricchirci, soprattutto se stiamo facendo lo stesso cammino, altrimenti a cosa servirebbero i ns gruppi, a farci dire: “noi siamo i più bravi, solo noi capiamo il mondo?” Dovremmo elogiarci ogni volta, anche se a volte “facciamo e diciamo stupidaggini?” L’uomo nuovo che “dovrebbe” nascere in noi è quello che si mette in discussione tutti i giorni, è quello che non ha paura di dire quello che pensa, possiamo avere idee diverse su qualcosa, impermalosirci se veniamo rimproverati, ma come dice Antonio, è bello raccontarci le ns differenze! Il silenzio, è la cosa più offensiva che posso fare all’altro! Lo lascio lì a rotolarsi nella melma, tanto che me ne importa io “ho capito già tutto”! Una Buona Pasqua a tutti, in modo particolare ai “gruppi darsi pace” e poi anche a tutti gli altri che non la pensano come noi! Mi piacerebbe che l’uomo nuovo, cominciasse a crescere “veramente” dentro di noi e non solo a parole. 😆 e “quando ce vo ce vo”! ( detto alla romana); Grazie a te che ci hai dato lo spunto per parlare di tante cose, tutte interessanti! Se non sei un buon Prof. tu, chi altri? Tu ci hai apparecchiato la tavola, il ns bisogno di comunicare ci ha fatto divorare tutto! Come è successo all’ultimo incontro con Marco Guzzi, ma lo abbiamo fatto con prodotti alimentari. Mi sarebbe piaciuto incontrarti a te e la tua famiglia, purtroppo, agli intensivi non riesco a partecipare, perché pare fatto apposta, ho le Comunioni, i Campi Scuola con i ragazzi, la festa per le confessioni… Comunque ti sento vicino nella “delicatezza” con cui affronti certi argomenti. Un abbraccio a te e a tutta la tua famiglia e una Buona Pasqua di Risurrezione nel senso più ampio della parola, anche di “ricostruzione” della tua città.
Rosella
Anzitutto ricambio con affetto gli auguri.
Stante il nocciolo misterioso nell’atto di chi, come Melville, abdica a un’attività in cui eccelle, le tue riflessioni mi sembrano molto appropriate.
Consiglio la lettura, non profonda ma interessante da un punto di vista statistico, di un libro di Vila-Matas intitolato BARTELBY E COMPAGNIA, che parla dei cosiddetti scrittori del No, ovvero degli scrittori moderni che hanno deciso di smettere di scrivere. Il titolo del libro si rifà significativamente a un celeberrimo racconto di Melville stesso, BARTLEBY E COMPAGNIA.
Luciana
Ti ringrazio e ricambio di cuore gli auguri di buona Pasqua.
A presto
Enrico
Luciana: che piacere leggere il tuo commento. In una società dove tutti (o quasi) sembrano impegnati a sostenere di aver ragione, a me piace dire che l’importante è aver torto. Perché quando hai ragione non impari mai nulla, mentre è quando hai torto che impari a vivere. Tra l’altro, per rientrare in merito, non mi sento mica tanto in disaccordo con Marco F. perché non dico affatto che il male e/o la verità non esistono, ma che non esistono come entità in sé, indipendenti dalle relazioni. Nelle relazioni esistono eccome. Cioè, non credo che il male sia un’entità già presente dietro l’angolo, in attesa d’infierire su qualcuno che gli caschi fra le braccia. Credo invece che nell’incontro (di qualunque tipo) che avverrà dietro l’angolo tra chiunque, potrà crearsi o non crearsi del male a seconda del modo di relazionarsi. Lo stesso credo valga per la verità: se infatti il creato non è un’entità già compiuta nel passato ma si ata creando al presente (come dice anche il catechismo n. 302)allora mi sembra ovvio che, tra l’altro, si stia continuamente creando anche nuova verità.
Quali siano le conseguenze è tutto da indagare, ma non vedo perché aver timore a dirlo.
Naturalmente son ben cosciente di potermi sbagliare, e forse di grosso. Per questo aspetto con fiducia le prossime contestazioni. Buona Pasqua a tutti.
ma quanto sei bravo ,enrico.volevo gia dirtelo prima.sicuramente mi aiuti,con marco,a vedere e ad amare la balena che io sono.posso anche vedere l’energia che può sttrarsi alla fissità del mondo. auguri di cuore di buona pasqua avoi e alle vostre famiglie. pregate per me.
Carissima Antonella, io non ti conosco personalmente, ma soprattutto stasera, quando andrò a Messa pregherò per te! Mi piacerebbe essere anch’io la persona tramite cui ci parla Dio, a me è successo tante volte di trovare Angeli nel mio cammino, e forse sono presuntuosa, ma vorrei essere un Angelo che stasera ti illumina e ti fa risorgere dai tuoi problemi. Comunque vadano le cose, io purtroppo non sono un Angelo, pregherò per te Antonella e ti auguro ogni bene! 😳
grazie
dallo stesso testo
“”… benché circondate da cerchi su cerchi di costernazione e terrori, al
centro, queste imperscrutabili creature si dedicano liberamente e
tranquillamente a tutte le occupazioni di pace, anzi, se la godono
serenamente tra facezie e piaceri. Ma ugualmente, in mezzo all’Atlantico
tempestato del mio essere, il centro della mia intima essenza si delizia in
una silenziosa bonaccia, e mentre pesanti pianeti di incessante dolore roteano intorno a me, giù in fondo, nel mio più remoto retroterra continuo
a immergermi in una dolce, eterna letizia.”
è bello scoprire luoghi come questo dove condividere in letizia i nostri momenti di quiete
saluti a tutti
Benvenuto, carissimo Giancarlo, in questo spazio di ricerca e di ascolto reciproco.
Marco Guzzi
Bello, Giancarlo, il pezzo che riporti e che riguarda se non erro la vita delle balene, animali che affascinavano profondamente Melville.
Il problema è che questa fascinazione ha a che fare anche col Male: perchè per Melville l’animale prediletto è anche il simbolo, l’incarnazione del Male Assoluto?
Un abbraccio.
Enrico
Ma il capodoglio non respira che un settimo, o una domenica, di tutto il suo tempo.
— Herman Melville
dal libro “Moby Dick” di Herman Melville
La Balena non è il Male Assoluto.Piuttosto il Bene Assoluto.
Ma la balena Muore????