“Il prodigio del silenzio è giungere a parlare tacendo, a essere espressivi senza usare le parole, ad avere una vita silenziosamente eloquente. Il silenzio è un modo diverso di comunicare e, più in profondità, un modo diverso di essere. E di vivere”. Così scrive Sabino Chialà, monaco della comunità di Bose, nel suo prezioso saggio “Silenzi, ombre e luci del tacere” (p. 82, edizioni Qiqajon, 8 euro). Prezioso perché non è l’inno al silenzio scritto per religiosi abituati alla pratica, ma una mappa del sottile paesaggio interiore che si apre a chiunque nel momento in cui si rinuncia a parlare.
Una mappa necessaria, quella descritta, per la natura ambigua, parziale, e insieme irrinunciabile del silenzio. Da una parte il silenzio è un’esigenza vitale dell’essere umano: basta pensare al sonno che segue la veglia, o all’importanza delle pause nella poesia, nella musica, nell’arte in genere, dove il silenzio è ritmo e spazio che consente un significato. Dall’altra però, se uno osserva le cose con attenzione, non c’è un solo genere di silenzio. Esistono infatti infinite sfumature del tacere. Alcune generatrici di vita, altre foriere di morte. “C’è silenzio e silenzio – scrive Chialà – anche se esteriormente l’atteggiamento non cambia”. Accanto al silenzio vivificante, cristico, può così prendere forma un silenzio egoico, malato. E non è facile distinguerli, se non si hanno gli strumenti giusti.
Ecco allora che Chialà sagoma le quattro famiglie del “cattivo silenzio”, quello da combattere. La prima è il mutismo, ossia il tacere che non è abitato da alcuna comunicazione o peggio che comunica rifiuto dell’altro e di ogni relazione con lui: un silenzio vuoto, che non conserva la forza della parola, ma la umilia. C’è poi il silenzio che nasconde giudizio, disprezzo per l’altro, tipico dell’uomo religioso: “Alcuni raggiungono la loro massima cattiveria nel silenzio”, scrive Elias Canetti. Terzo tipo, il silenzio come autoillusione, luogo di riparo in cui non lasciamo entrare nessuno: si tace rimuginando le proprie capacità e ci si compiace di se stessi. Infine, c’è il silenzio che degenera in angoscia: il fossato scavato per proteggerci dagli altri diventa l’ostacolo che impedisce l’uscita, il luogo gelido dove l’anima ghiaccia.
A queste quattro immagini distorte del tacere, se ne oppongono altrettante che bisogna invece coltivare. La prima è il silenzio come altro modo del dire, quello che custodisce e dà spessore alla parola, un’occasione per interiorizzare e amare la parola detta: “Parla solo se hai da dire qualcosa che valga più del silenzio”, diceva Gregorio di Nazianzo. La seconda è il silenzio come fertilizzante della compassione, come spazio per raccogliere le forze necessarie ad amare: un silenzio avido di incontro, che sa custodire l’altro, nella libertà, anche quando l’altro è lontano. C’è poi un silenzio come sguardo umile su se stessi, in cui si tace per zittire le voci su di sé, false o prossime al vero che siano, per far silenziosamente emergere la propria verità: tacere di se stessi diventa così un cammino di conoscenza di sé. E infine c’è il più potente dei silenzi, quello che porta alla pacificazione del cuore: un deporre le armi, rinunciando a tenere vivi torti subiti, ragioni accumulate e punti di vista assoluti. È il silenzio come luogo in cui si cede: da qui nascerà la serenità di chi non ha paura, “perché non ha più nulla da perdere né da difendere”.
Il saggio chiude con alcuni consigli pratici per inseguire il silenzio: esercizi di ascesi, di lotta contro la paura del vuoto, di interiorizzazione. Ma alla fine più che un agire la conquista del silenzio buono è un lasciare agire. È aprirsi all’eterno soffio dello Spirito: “Il vero silenzio – conclude Chialà – non lo si conquista ma lo si riceve”. Come dice Bernanos, non siamo noi che custodiamo il silenzio, ma lui che custodisce noi.
Bellissime queste riflessioni, aggiungerei,che a livello scientifico, si stanno facendo diversi esperimenti per comunicare solo con la mente, ora sono rudimentali, ma chissà in futuro 😛 ! Speriamo di non sommergerci di chiacchiere “mentali”! Un caro saluto.
Caro Massimo, grazie di questa sintesi utilissima.
Faccio eco a quanto detto con questa riflessione-preghiera di Fratel Arturo Paoli che ho sempre molto amato(da: Il silenzio pienezza della parola, 1991) a proposito del fatto che la persona si costruisce nel silenzio (quello ‘buono’, naturalmente):
“Il silenzio è il simbolo della disponibilità totale, è quel vuoto interiore accettato e cercato per la fiducia che ha il credente nella promessa dello Spirito. Sono qui per Te e non ho cose poco o molto interessanti cui dirigere la mia attenzione, perché riconosco che la durata della vita è breve, per intendere la verità e giungere ad essere veri in tutte le dimensioni della persona….”
e ancora
“l’attesa contemplativa non è noiosamente statica, è molto più feconda di qualunque attività. Ci libera a poco a poco da tutto quello che è stato creato da noi per difendere la nostra fragilità. E’ lo spazio vuoto per scoprire l’essenziale e raggiungere la libertà. La libertà vera si raggiunge quando non abbiamo più paura di esporre la nostra fragilità alle aggressioni, perché la sentiamo sicura pur restando fragilità”.
Bellissima questa fragilità che sentiamo sicura, pur restando fragilità!!!!
Buona giornata
Condivido quanto asserito sopra da Paola Balestreri,credo, semplicemente, che la paura del silenzio non sussista, è il vuoto, da temersi, invece. L’amore per il silenzio non è disgiunto da quello per la parola, anzi lo si può e deve coltivare benissimo dentro, anche tra il frastuono, nella tempesta, nell’oggi -e sappiamo cosa è, cosa sia l’oggi, le paorle mancano-sviluppare la capacità di far silenzio dentro di sè è un dono, talvolta un limite,e magari si ascolta, parlo per me, il proprio silenzio, per un momento annullando il resto. La parola è un’arte da dosare con parsimonia, il silenzio un’incredibile fonte di pacificazione e di arricchimento. Innanzitutto, il silenzio come ascolto di sè stessi e come compenetrazione con il tutto. E questa è un’esperienza che pertiene ogni uomo, credente o religioso che sia, e distinguo, rigorosamente, perché le due cose possono coincidere, sarebbe meglio, ma non è peggio… il silenzio comprende. è lo sforzo di illuiarsi, per dirla dantescamente. E questa è una riflessione molto spicciola. Grazie della ‘citazione’ su faceb.
Massimo
Bellissima questa riflessione e assai pertinente, se consideriamo che le statistiche c’informano che durante la nostra vita noi usciamo dal silenzio e parliamo con gli altri all’incirca per un’ora al giorno (andando parecchio larghi): dunque lungo l’arco dell’intera esistenza restiamo a galla in un vastissimo oceano di silenzio.
Per quanto mi riguarda debbo ammettere che spesso il mio silenzio è negativo, popolato da ossessioni, niente affatto fertile di significati o illuminazioni. E’ una “chiusura”, uno stato di interferenza, come un canale radio disturbato.
Poichè ammiro molto Rimbaud, e poiché Rimbaud ha fatto della poesia un mezzo di conoscenza assoluto, e poiché subito dopo ha fatto del silenzio una voce persino più forte della poesia (oppure no?), mi domando: non sarà forse il silenzio l’approdo definitivo della grandezza interiore e della saggezza nella condizione terrena?
E se è così, quando, a che punto insomma abbiamo il diritto/dovere di tacere?
A che punto possiamo dire a noi stessi (qualunque lavoro facciamo, qualunque missione ci proponiamo): ho fatto abbastanza, la mia testimonianza finisce qua?
Susan Sontag rispondeva: quando abbiamo prodotto qualcosa di nuovo e durevole.
Oppure viceversa, sempre come auspicava Rimbaud, verrà il tempo d’una “lingua universale”, accessibile a “tutti i sensi” e persino agli animali? Una lingua che non “chiacchieri”?
In ogni caso il problema è davvero enorme, se pensiamo che noi umani siamo abitati dalla Parola, che noi umani ci contraddistinguiamo dal resto del creato essenzialmente per il Logos.
Questione capitale!
Un abbraccio e a presto.
Enrico
Caro Massimo grazie per questa riflessione sul silenzio.
Riporto alcune citazioni:
“Siediti ai bordi dell’aurora,
per te sorgerà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del torrente,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio
E Dio ti parlerà.”
(Vivekananda)
“La voce di Dio è il silenzio; prima di ascoltare le parole del Verbo bisogna imparare ad ascoltare il suo silenzio. Dio ha creato gli angeli in silenzio. Dio guida i silenziosi, mentre quanti si agitano fanno ridere gli angeli. Trova la pace interiore ed il silenzio, e una moltitudine di uomini troverà salvezza in te”. (Padri del deserto)
“La mente come esiste attualmente è non-meditativa sta continuamente verbalizzando, traduce ogni cosa esistenziale in parole. Vede un fiore e lo verbalizza, vede un tramonto e l verbalizza. Queste parole creano una barriera, diventano una prigione, impediscono la formazione di una mente meditativa. Guarda le cose, non verbalizzarle. Sii consapevole della loro presenza, non volerle continuamente cambiare in parole.” (Osho)
Un abbraccio. giovanna
Dal forum di facebook
Alessandra … è lui che custodisce noi.
!
14 ore fa · Non mi piace più · 1 persona
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Renato Davvero bello e potente.
In “negativo” ammetto di darmi molto spesso sia alla forma del mutismo che a quella dell’angoscia. Le altre due forme “negative” grazie a Dio non le frequento.
In “positivo”: mi ritrovo spesso a vivere il silenzio come “fertilizzante dell’ascolto/compassione” e quello come “sguardo umile”. Per le altre due forme ho ancora parecchia strada da fare, e molto in salita.
Ciò che mi colpisce, o che mi è venuto in mente, leggendo la riflessione di M.C., è che le forme distorte del silenzio ce le diamo sostanzialmente noi stessi, mentre le forme positive ci sono come donate: delle prime siamo “autori”, delle seconde “semplici interpreti”.
Grazie. Lo leggerò.
12 ore fa · Non mi piace più
Io trascorro gran parte delle mie giornate in silenzio, e se non fosse per il lavoro che faccio, forse non parlerei per nulla, o quasi. Dover dire qualcosa, intrattenere altri attraverso parole, è qualcosa che mi pesa. Talvolta rasento l’afasia vera e propria. E’ come se nella mia vita avessi sviluppato una sorta di diffidenza verso le parole, la loro capacità di offrire qualcosa, di tradurmi all’altro.
Questa situazione, però, sfocia spesso nel “mutismo”, nell’involontaria chiusura all’altro, nella incomunicabilità che gela.
Ma c’è qualcosa d’altro che con grande forza mi spinge anche ad offrire il silenzio agli altri come momento di puro ascolto, di libera attenzione. E allora le persone mi si avvicinano e si raccontano. E poi mi accade, dopo aver ascoltato, di trovare parole che non avevo minimamente ricercato, e di offrirle agli altri. Fluiscono con una facilità che non saprei spiegare, e una volta dette non saprei più ripeterle in maniera precisa. Boh, non mi spiego bene queste dinamiche.
Infine, sono convinto che il Silenzio sia la fonte della parola capace di illuminare il mondo, gli esseri. Il Silenzio sarebbe il mare in cui pescare parole autentiche, che hanno ritrovato il loro spessore, la loro energia com-unicativa, la loro essenza di “ponte”.
Rispetto a ciò che dice Enrico:
forse il punto non è arrivare a tacere, abbandonare la parola, il Logos, né smetterla di “verbalizzare”, ma si tratta di accedere ad una diversa relazione con la parola/silenzio. Se siamo abitati dal Logos allora siamo noi stessi quanto più ci “riuniamo” e lasciamo riunire da questo Logos. Lasciarsi “riunire” sarebbe il lato del silenzio (momento in cui ristabilisco la mia unità); quel “riunirci” invece sarebbe il lato della parola comunicativa, capace di riaccendere la connessione fra le persone…
Insomma: lasciarsi riunire a partire dal Silenzio in vista della comunione riceata dalla parola…
Bellissime considerazioni.
Forse il silenzio procreante è l’istante dello spegnersi di ogni pensiero egoico, automatico, che cioè venga dal passato, dalla funzione associativa della mente.
Lì c’è silenzio, si apre un varco nella rete, direbbe Montale, il pesce rosso scappa, e VEDI.
Vedere nel silenzio dell’ego in realtà è AMARE:
essere in comunione con la rosa gialla di maggio, la stella tramontante, mio padre nell’aldilà.
Il silenzio a quel livello è cioè la fine dell’odio, del pensiero che sorge nella separazione, perciò è esperienza di unione, essere con il Tutto, essere Tutt’Uno: amare.
Lì ascoltiamo qualcosa di Altro.
Un abbraccio. Marco
Caro Massimo,
questo tuo post, ed il blog che ne è sortito, mi piacciono moltissimo, così, mi ci voglio proprio impegnare… citando semplicemente altri.
Dal sito di Taizè, il titolo di uno dei quaderni: IL PANE DEL SILENZIO E’ LA PAROLA.
E dalla testimonianza di Frère Alois, sulla beatificazione di Giovanni Paolo II, postata ieri:
“… Ricordo una di queste ultime udienze private a Roma. Ero con alcuni fratelli, per accompagnare frère Roger, e aspettavamo nella stanza vicina. Quando l’udienza terminò, la porta si aprì perché potessimo entrare per qualche istante. Vidi i due uomini anziani seduti uno accanto all’altro: parlavano poco, semplicemente stavano insieme. Questa immagine era come un’icona dell’ UNITA’ CHE ATTENDIAMO. ”
Un abbraccio e Buon fine settimana a tutti.
Rosella
Grazie Massimo. Molto bello! Anche la foto è eloquente
C
Cari amici,
vi segnalo la trasmissione di “Uomini e profeti” che andrà in onda oggi, sabato, alle 9,30 su Radio3, alla quale parteciperà Marco Guzzi.
Si parlerà del suo ultimo libro e del poeta Tagore.
Un buon fine settimana!
Interessanti le infinite sfumature del tacere.
Personalmente sono alla continua ricerca del silenzio, forse sto invecchiando? O forse sto imparando a goderne la bellezza ed a comprendere quanto è salvifico l’ascolto.
Però mi ha colpito il concetto che per raggiungere il silenzio bisogna anche “lottare contro la paura del vuoto e della interiorizzazione”.
Questa paura l’ho vissuta, specialmente i primi tempi in cui sperimentavo la meditazione.
Grazie Massimo per avermi concesso questa riflessione. Gabriella
Carissimi Paola e Paola, Luciana, Giovanna, Gabriella, Corrdado, Marco, Renato, Enrico, carissimi tutti,
grazie per queste vostre utilissime integrazioni all’idea di Sabino Chialà di entrare nella matassa del nostro silenzio, che – come scrive bene Enrico – è l’attività prioritaria di qualsiasi essere umano. In fondo il lavoro che facciamo è proprio questo: entriamo nel magma sottostante alla nostra esteriorità per sezionarlo pezzo per pezzo, separando le intenzioni positive dagli inevitabili camuffamenti dell’ego, spesso così somiglianti tra loro. E’ bello vedere che questa perizia nel muoversi in territori sconosciuti sta diventando un bisogno sempre più diffuso, sempre più ben frequentato.
Prezioso, preziosissimo post!
Le quattro tipologie del silenzio in negativo penso di averle sperimentate, purtroppo. Sono molto dolorose.
Ora è tempo di rinascita! Molto più attraente il silenzio che parla, il silenzio della compassione, della pace e dell’abbandono nella Grazia.
Questo ora voglio coltivare.
Un abbraccio, m
grazie di cuore
Filomena
Caro Massimo,
ho sperimentato questo dono proprio lì, tra le colline di Magnano, un po’ di anni fa. Proprio lì, ospite della Comunità, ho sperimentato un modo per me nuovo di abitare il silenzio.
Nella totale ‘cura discreta’ dei monaci, nel loro essere silenziosamente e prudentemente vicini all’ospite, al viandante, al visitatore, io ho imparato molto. Da lì, anzi, posso dire di essere ripartito. In un momento nel quale la mia vita era ‘tabula rasa’.
E lì ho scoperto la profonda verità di quell’ultima frase che scrivi, e cioè che il silenzio vero non lo si conquista ma lo si riceve.
Grazie per questo bellissimo post che mi tocca molto da vicino.
Fab.
Grazie Massimo e a tutti voi che avete intrecciato questo dialogo che alimenta dinamiche di vita e in cui mi sento invitata ad entrare. Anch’io ho sperimentato nella mia esistenza l’ambivalenza del “tacere”. Ho imparato anche che silenzio e parola non sono in contrapposizione ma si pongono piuttosto l’uno come “grembo” dell’altra.
Da qualche anno condivido, a distanza, con un gruppo di amici l’esperienza di un’ora di silenzio al venerdì sera (venerdì, giorno caro ai musulmani e ai cristiani e a quell’ora è già per gli ebrei sabato).
Il Silenzio è tornare alle Sorgenti del mistero che è l’Altro, ogni altro, io stessa; entrare nel Grembo, nel Cuore del dialogo, della pace, della speranza, dell’incontro fra diversi. Essere riuniti nel silenzio è già forza di comunione, inizio di unità.
Cari Fabrizio e Filomena, cara suor Maria
grazie di cuore anche a voi per le vostre testimonianze che ci rafforzano tutti in questo necessario recupero delle nostre forze più vere, dono splendido dell’imparare a tacere.
Un abbraccio a tutti i compagni di viaggio di questo sito e non solo.
Massimo
Grande Massimo! Grazie mille per questo bellissimo e fecondo spunto 💡
… arrivgo proprio sul filo di lana… ottimo intervento caro Massimo…
è che avrei voluto dirti di più sullo stimolante argomento del silenzio riferendomi anche
( sincronicity !! 😛 ) alla lettura che sto “divorando” in questi giorni e mi manca poco per finire il titolo è Insegnaci la Quiete…
quanto mai appropriata ed opportuna, vorrà dire che sarà un buon pezzo per il prossimo post 😉 !
Mi piace solo aggiungere che io a volte anelo il silenzio, proprio come un toccasana,
nel silenzio della quotidiana routine, del caos ordinario, si possono udire le voci e le musiche più belle e lontane, si può ascoltare il cuore e sentir vibrare l’anima 🙄 .
Grazie ancora,
Marco F.