Il termine non gode molta simpatia in quanto fatalmente viene riferito a un escamotage da parte di chi vuole ottenere benefici giudiziari in cambio di una “collaborazione” che sembra manifestare, più che acquisizione di senso morale, il ricorso ad un espediente per avere sconti giudiziari.
Il soggetto che lo impiega non gode buona fama in carcere, anzi, diventa quasi sempre soggetto di disprezzo, di odio e di antipatici epiteti …quello di infame è infatti il titolo più usato e significativo.
Ma le cose non stanno sempre così e meritano una riflessione.
Non mi riferisco a casi eclatanti da parte di appartenenti ai vari aggregamenti di stampo mafioso. Nella mia esperienza ho conosciuto parecchi casi di persone in esecuzione penale in queste condizioni ed ho potuto constatare che ogni caso ha una sua diversa genesi e quindi un diverso sviluppo, e, naturalmente un diverso risultato.
M.B. conosciuto recentemente ha percorso la difficile strada del pentimento giungendo addirittura a pubblicare con successo il racconto della sua vicenda giudiziaria.
Il suo passato risulta costellato da una consistente campionatura di delinquenza che ha avuto il suo naturale approdo a una sentenza di primo grado che chiedeva per lui il carcere a vita.
Lunga e difficile è stata la riflessione sul suo passato, sulla inconsistenza del suo vivere, sul male fatto, sugli affetti perduti, ma con il prezioso aiuto di alcune figure femminili in funzione rieducazione che gli hanno offerto ascolto, consigli e sostegno morale, M.B. ha deciso per la collaborazione di giustizia che gli ha procurato all’inizio mesi di angoscia e di debilitazione fisica: “Ci vuole molto più coraggio a cambiare vita che a proseguire sulla vecchia strada” scrive.
Uno dei motivi di angoscia sembra sia stato quello di venir meno al patto di omertà che negli ambienti della malavita sembra avere un carattere sacrale. A questo si è aggiunto il pensiero che anche altri, i suoi compagni di avventura, per il suo tradimento, sarebbero stati rinchiusi, abbandonati dai famigliari e maledetti come lo era lui in quel momento…
La sua è stata una vera e propria lunga catarsi, durante la quale, nelle lunghe notti carcerarie, dice di essersi sentito incalzato, con il fiato sul collo della persona della quale aveva contribuito a spegnere la vita meritandosi l’ergastolo.
Sembra che in questa crisi di ripensamento abbia avuto grande importanza la conoscenza dei principi del Buddismo che una persona gli aveva casualmente comunicato.
Ha vinto comunque il pensiero del suo bambino, della sua mamma, di un futuro di libertà e di onestà e, forse la comprensione, finalmente, che non era questo il tradimento che stava attuando nei riguardi dei suoi compagni, ma quello di prima, quando, a vicenda, tradivano la loro vita e quella degli altri; di quando sperperavano beni sociali e sacrificavano futilmente vite umane immersi in una specie di mortale insipienza nella quale si entra facilmente ma raramente si abbandona.
Mi piace il tuo post Mirella, pentirsi è una delle cose più difficili da fare!
E pensare che saremo perdonati da Dio e anche dal prossimo è la vittoria del Bene sul male. Senza arrivare a S.Pietro che tradisce Gesù e poi si pente, ma crede nella misericordia del Signore, oppure a Giuda che pensava di averla combinata “grossa” e si uccide perché non crede di poter essere perdonato da Dio; ti racconto la storia di un povero padre,la cui figlia, è stata uccisa dalle “bestie di Satana”qualche anno fa. Oggi, è contento che la sua ex amica,possa uscire dal carcere per studiare, perché pensa che era stata “plagiata” da questi pazzi, anche se lei non ha fatto nulla per difenderla! Lui comunque, LA PERDONA LO STESSO! Ecco, per me sono queste le grandi azioni a farci credere ancora nell’uomo,nello Spirito così grande che è nel cuore di questo papà, a cui è stata “strappata” via la figlia! Un caro saluto 😐
Cara Mirella, grazie, il tuo racconto illustra molto bene il travaglio di ogni autentica conversione: l’inizio avviene spesso in un momento catastrofico, quando molte costruzioni illusorie crollano facendoci male e confondendo il teatro della nostra esistenza. E’ molto importante in queste fasi farsi aiutare, trovare qualcuno che ci accompagni.
Ho incontrato nelle mie visite a Rebibbia molte storie simili, molti percorsi dolorosi di presa di coscienza e di espiazione.
Un abbraccio. Marco
Mi piace molto la foto di questo post! Anche le catene più solide si possono spezzare! E’ bene che ce lo ricordiamo spesso sia nel rapportarci con gli altri, sia nei nostri confronti. Tutto fuori di noi e in noi può mutare. Ci pensavo anche oggi quando una persona, molto sola, mi diceva di aver rotto definitivamente, già da tempo, con i suoi cinque fratelli. Mi auguro che possa rappacificarci almeno con qualcuno di loro. Cosa deve scattare perché ci sia una riconciliazione? Penso che i dissidi in famiglia siano i più difficili da affrontare, anche perché molto profondi e coinvolgenti . Da soli, senza una radicale revisione di sé stessi , non si può farcela. Mariapia
Cara Mirella
penso che la Vita si serva di qualsiasi occasione per donare l’opportunità di rientrare in sè stessi ed osservare la realtà.
Ciò che conta è che un uomo decida di sospendere le proprie attese o aspettative verso l’ esterno, magari seguendo qualcuno che abbia gia percorso quel cammino.
Noi non possiamo cambiare gli altri, però possiamo cambiare noi stessi ed accorgerci che questo cambiamento ci rende più liberi, stante il luogo in cui siamo “costretti”. Un carcere, così come un rapporto poco soddisfacente con il proprio partner o con i familiari.
Noi possiamo cambiare, agli altri possiamo “proporre un cambiamento”, che forse ci sarà e forse no. Ma noi possiamo comunque procedere, anche se faticosamente (io spesso faccio come i gamberi) su quella via che ci dona libertà e pace, almeno a tratti; e che coincide con l’essere magnanimi verso noi stessi e gli altri.
E’ difficile apprendere a non giudicare… sembra di dover abdicare a ciò che è giusto ed a ciò che è sbagliato… .
Ciao, auguri per tutto, con affetto.
Rosella
E’ inquietante questo argomento e ringrazio Mirella per invitarci a riflettere su questa tematica sempre presente nel corso dei tempi e sempre drammatica.
Che Dio aiuti queste persone, deve essere terribile sapere di aver tolto la vita! Non è un caso l’aumento dei suicidi nelle carceri!
A noi non resta che pregare per loro e..tentare di non giudicare.
Un caro abbraccio Gabriella
Grazie per gli interventi, sono sempre oltre che un incoraggiamento, un arricchimento efficace sul problema. In breve vorrei fare alcune precisazioni.
– a Luciana p.La persona ancora reclusa a cui accenna, esce per le lezioni universitarie, ha ancora una sconto di pena lungo, ma di fatto con l’anima non è più in carcere, è una persona riconquistata dalla Grazia e vive felice una Fede libera, viva ed autentica…che strano fenomeno…succede talvolta cha dal male nasca tanto bene.
– a Marco che afferma che per cambiare è necessario “trovare qualcuno che accompagni” osservo che nel mio lavoro trovo poche persone disposte a fare questo lavoro impegnativo e difficile che chiede a chi lo fa, che per primo, si impegni a cambiare se stesso che è quanto Rosella ribadisce.Tutto questo si può fare sempre e in ogni luogo…tutto allora cambia intorno a te.
Beh! Chiaro che chi scrive sopra è Suor Mirella in perenne distrazione
Ciao Sr. Mirella, come già ho avuto modo di constatare in altre occasioni, la tua sensibilità ti ha fatta giungere al cuore del mio travaglio. Collaborando non tradivo solamente i miei “amici”. Collaborando rinnegavo anche quella che fino a quel momento era stata la mia stessa vita fin dall’adolescenza. Quella è stata la decisione più sofferta della mia vita fin quando non ho capito che non stavo tradendo ma, prima dei miei amici, io avevo già tradito. Mio figlio, le sue aspettative, il suo diritto ad avere un padre accanto, la sua giovivezza. A quel punto non si trattava più se tradire o non tradire quanto CHI tradire, se i miei amici o ancora una volta mio figlio e i miei affetti.Compreso questo tutto è stato più semplice anche se il travaglio interiore è durato comunque ancora diversi mesi. Oggi, ad oramai dieci anni di distanza, sono orgoglioso di aver collaborato. Con quel gesto mi sono riappropriato della mia dignità di UOMO ed è iniziata la mia personale risalita come essere umano, come padre e come figlio.
Spesso la via più semplice è in realtà la più difficile…
Ciao Sr. Mirella un abbraccio
Grazie, carissimo Marco, di questa tua risonanza, hai proprio ragione: spesso la via più semplice, e più evidente, è la più difficle da seguire.
Ciao. Marco
Caro Marco B. dalle tue parole traspare la “nuova umanità” che permette di far rinascere ognuno di noi quando si tocca il fondo. Ti siamo vicini nella risalita, un abbraccio Gabriella
Caro Marco B.
grazie per essere tra noi.
Pur se in situazioni completamente differenti, anch’io ho tratto la forza per un cambiamento di vita (forse dovrei addirittura dire la forza di continuare a vivere) per il fatto di aver messo al mondo tre figli.
Quello che ora a tratti emerge in me è che: “anch’io SONO DEGNA di vivere”, certo, anche all’interno della relazione con i miei figli, ma: IO STESSA.
Praticando il lavoro d’integrazione proposto da Guzzi, rivisito i luoghi dolorosi che mi abitano e stupisco, di come sciolga il cuore, offrire il mio limite alla misercicordia DELLA VITA nella vita.
Mi pare di cogliere, nelle brevi righe che hai postato, che anche tu conosci questo luogo pacificato e ne sono lieta; ciò mi dona una grande speranza e dilata il cuore.
Buona continuazione e affettuosi auguri per tutto.
Rosella
Ciao Rossella e grazie per le tue splendide parole. Conosco il luogo “pacificato” di cui parli, e lo conosco non perchè sia sereno o felice, ma perchè ho capito non quale e quanto sia grande il valore della vita umana… Della vita di tutti noi quindi anche della mia. Valore inteso non solo come sacralità della vita ma anche come questa vadi vissuta impegnandosi affinchè tutti possano vivere quanto meno con dignità.
Ciao un abbraccio e grazie a tutti voi per il vostro sostegno