24 Ore Fuori E Dentro – The World Unplugged

Commenti

  1. Grazie Domenico,
    ho la necessità di sedimentare lasciare calare nel profondo… e molto.

    Però desidero buttare lì un’ intuizione:

    Le dipendenze, in quanto malattie del piacere, ritengo siano il nocciolo, il centro della questione del cambiamento antropologico attuale, il nodo che oggi “viene al pettine” (non solo la dipendenza da internet); uscire da una “banale” dipendenza come quella del fumo mi ha VERAMENTE CAMBIATA la vita a 63 anni.

    La questione della dipendenza riguarda tutta la mia (nostra?) storia sulla terra.

    Nasciamo dipendenti dai nostri genitori. Nasciamo in quanto frutto di una relazione che è ALTRO DA SE’ ma che concepisce NOI STESSI.

    Presumo che stiamo ritorniamo alla faccenda “della mela” di cui si parla nel post precedente.

    Io dipendo da un noi, IL MIO CORPO E’ PROPRIO FATTO, sono costruito così..

    E’ così che si riproduce la specie umana: ” noi siamo interdipendenti”.

    Allora la questione centrale è ” io sono LIBERO nel mio dipendere?”

    In una cultura che esalta l’autonomia che significa questa frase?

    Come è possibile dipendere liberamente?

    Checos’è la libertà?

    Ti abbraccio e saluto Renato e i suoi studenti.
    ciao a tutti… a presto
    Rosella

    p.s. io rifiuto a Gianni (mio marito) il piacere di regalarmi un portatile, poichè, quando sono lontana da casa viaggio nei miei sentimenti: sì io sono in parte dipendente da internet, ma solo in parte… e comunque sia è vivendo che s’impara a vivere.
    E’ osservando come reagisco quando sto in vacanza, quanto faccio fatica a ESSERE PRESENTE a chi ho di fronte, che mi aiuta a vivere una MISURA NUOVA che, in fondo, si costruisce quasi da sè. Basta riaggiustare un pochino il tiro ogni volta con ” piccole e personali” decisioni quotidiane .

  2. Carissimo, il problema che poni è di grande portata e tocca il futuro della nostra specie: come stiamo diventando assorbendo la cultura telematica, e cioè trasformandoci in uomini e donne globale-mente connessi?

    Come sai, io credo che non sia possibile affidarci a strategie di difesa, del tipo: digiuniamo un po’, o cose del genere.

    A me pare che la direzione la troviamo solo se torniamo a farci domande molto più semplici e più radicali: in quale direzione intendo dirigere la mia vita? che cosa vorrei raggiungere nei prossimi dieci anni di vita? come vorrei essere tra venti anni? e così via…

    Se puntiamo la nostra attenzione su questi pensieri, l’uso di Internet diventerà ciò che in sostanza è: uno degli strumenti della mia avventura umana. Se invece lasciamo nel vago la ricerca del nostro scopo primario, Internet può diventare un surrogato: può sostituire (illusoriamente) lo scopo esistenziale che non vogliamo seriamente decidere di perseguire.

    Se, per esempio, vorrei impegnarmi per diventare più libero e più felice SUL SERIO, dovrò iniziare un lavoro del tipo di quello offerto nei nostri Gruppi, e quindi impostare poco per volta la mia vita in un certo modo: abbandonare molte attività inutili, selezionare impegni e relazioni, semplificare molto la mia giornata, dedicare tempo allo studio, all’autoconoscimento, e alle pratiche meditative e contemplative.
    Questo non solo assorbirà molto tempo, ma mi darà ogni giorno di più la chiarezza, il distacco, e la forza di utilizzare Internet solo nella misura in cui il suo uso sia strumetale al mio proposito primario.

    L’uso ordinato delle tecnologie richiede cioè un ordine di priorità, e questo richiede un intenso lavoro interiore.
    Il resto viene da sé.

    Un abbraccio. Marco

  3. Ci vuole grande determinazione, grande concentrazione, per intraprendere un cammino di trasformazione che renda sempre più evidente l’ordine delle priorità.

    Senza perfezionismi, tollerando le cadute e anche le abbuffate (telematiche e non).
    Ma essendo consapevoli che il massimo piacere e la più intensa gioia sono stati emotivi che si raggiungono tanto più si fa il vuoto, uno spazio in cui Altro possa accadere, rispetto all’ordine del giorno triste, muffo e stantio che il nostro ego sa produrre.

    Cara Ro, ti regalo alcuni versi sul tema libertà/dipendenza, sperando che ti piacciano. Dai più drammatici:
    “….gioia regale del servo della gleba: la libertà del toro di morire trafitto sul raccolto dal padrone”
    ai più areati:
    “La libertà è vivere nel raggio di un’alleanza che mi salva”.
    Ciao e, a presto

  4. Caro Marco
    … diciamo che internet “può anche essere” una grande distrazione e dato che il cervello umano se pensa una cosa non ne pensa un’altra… hanno buon gioco gli automatismi.
    A me pare che le nuove generazioni prima usino gli strumenti tecnici e poi si chiedano a che servano ( nel loro progetto di vita?).
    Penso di comprendere correttamente quello che dici, d’altro canto se hai un atteggiamento compulsivo, puoi passare tranquillamente da un tipo di dipendenza ad un’ altra. E, francamente, decidere per il lavoro interiore in modo serio, richiede una certa maturità, o un accompagnamento che solo adulti che abbiano fatto tale esperienza possono offrire (ti consta che ve ne siano molti?)
    Inoltre anche le circostanze contingenti hanno il loro peso.
    Io ci ho provato ad avanzare richieste in tal senso a 20, 25, 45, 47 anni ed infine a 63 ; e solo quest’ultima volta la congiunzione astrale è stata favorevole.
    I miei figli sono stati da me cresciuti, all’ombra dell’ego, e neppure so se decideranno mai di affrontare un lavoro di ricerca interiore serio.
    Anche il lavoro interiore può rischiare di diventare una passione “compulsiva”, una distrazione dalla vita quotidiana, una fuga dalla realtà del tuo presente… . Lo dico perchè a mio giudizio, la mia storia di liberazione, il mio cammino verso me stessa ha attraversato, e talvolta attraversa ancora questi luoghi.
    Però va meglio, molto meglio.
    Ciao

    Cara Paola,
    si mi sono piaciuti entrambi i versi poetici e penso persino di averli compresi (quella storia dei maiali sotto Circe ancora non mi è chiara!!! ma ho fatto di peggio in quanto a fraintendimenti….)
    Grazie di tutto e A PRESTO
    Ro

  5. Caro Domenico, senza la tecnologia, ora non ci saremmo parlati, né avremmo discusso. Siccome anche i programmi dei ns gruppi sono ambiziosi, si pensa anche di tradurli, cosa facciamo? Torniamo a scrivere a mano? Io penso che la via di mezzo sia quella giusta. Un libro che mi viene suggerito da qualcuno di cui mi fido, perché ne sa più di me, io me lo leggo e “su carta”! Ma se la comunicazione è ristretta solo alle parole quando ci vediamo, io quel libro non lo leggerò mai! E così per tante altre notizie, che non saprei mai se non fossi collegata ad internet, certo, ci vuole un pò di moderazione, ci vuole la crescita interiore, ma ci vuole anche la tecnologia per diffondere le ns idee! Che facciamo torniamo a predicare come gli Apostoli che facevano km per parlare con la gente, mentre abbiamo a disposizione mezzi molto più veloci e accessibili a tutti? Un caro saluto.

  6. Domenico Parlavecchio dice

    Life 2.0 mi è sembrata una bella immagine per parlare di questa seconda vita.
    Life 1.0 era molto meno connessa (sia fisicamente che virtualmente anche perchè al massimo c’era il telefono e la lettera)
    e molto meno consapevole del mondo altro.

    Life 2.0 che ci vede tutti inter-connessi è un evento unico nella storia.
    Una complessità inaudita perchè essere connessi significa “essere presenti”.

    Già, ma che vuol dire?
    Si, perchè se poi il mezzo ti sconnette e vai in tilt allora come sei presente nel mondo “adesso”? tra un’ora? tra 5 anni?
    La risposta l’hai anticipata tu caro Marco. Tornare alle domande essenziali.
    DOmande che mi venivano fatte puntualemnte in fase di colloquio lavorativo e adesso dal tuo capo in fase di valutazione
    o da tua moglie, i tuoi figli e via così.

    Anch’io faccio queste domande ma le risposte non ci sono … perchè le domande, queste domande non vengono più fatte.
    Forse anche per la puara di dover dare una risposta credibile, vera.
    La conversazione su FB con gli studenti di Renato ad un certo punto cominciava a toccare queste sponde.
    COn uno di loro (Iacopo) si parlava (sempre su FB) della difficoltà di intraprendere una via di questo tipo
    per il potere dei media e che l’unica risposta che si potesse dare fosse di tipo culturale.

    I media siamo noi. Non possiamo e dobbiamo dare così tanto potere ad altri.
    Per riuscirci dobbiamo sicuramente attrezzarci in termini di conoscenza ma anche riscoprire che siamo anche altro.
    Abbiamo bisogni di abitarci di più per conoscere meglio come funzioniamo ed abitare quel silenzio da cui tutti scappano
    ma dove si trovano le risposte. COme dicevo abbiamo bisogno di guide.

    Ma come si fa ad essere presenti?
    Ritorna sempre la questione “artistica-poetica”. Allora prendo in prestito le parole di Paola senza aggiungere nulla. Grazie.
    Cara Rosella è quì che metto la tua intuizione perchè è un fatto “poetico” interrogarsi ed esprimere la libertà,
    una libertà che ci rende liberi di rispondere al mondo essendo presenti nel nostro ADESSO. Grazie.

    Mi rendo conto che chi legge queste cose per la prima volta possa rimanere .. perplesso!

  7. Carissimo Domenico e carissima Rosella, è proprio vero: perfino il lavoro interiore può diventare una dipendenza, e cioè una strategia difensiva.

    Il tempo è estremo, ogni punto del mondo e dell’anima è un tribunale, uno spartiacque, implica una decisione. E chi non decide, perché è troppo confuso e sommerso nell’oceano informativo, viene preso dalla catena delle decisioni altrui.

    Dobbiamo lavorare per una nuova cultura, non c’è altra via.
    Lavoro interiore sì, ma per tradurlo in cultura, linguaggi condivisi, anche telematici, televisivi, radiofonici, cinematografici, e così via.
    Dobbiamo incendiare di luce e di pensiero il mondo delle connessioni planetarie.

    Lo stiamo già facendo.
    Marco

  8. Cerco di riassumere il clima delle discussioni avute con i ragazzi sia su FB sia in classe. Ciò che è emerso mi sembra davvero interessante.

    “Non penso di avere un brutto rapporto con questi oggetti ma il non usarli mi fa sentire a volte isolata, sola e questo mi fa pensare: perchè? di cosa ho bisogno? perchè diventa sempre più difficile il contatto diretto con gli altri? cosa mi manca?” (E.)

    La tecnologia oggi sembra proporsi come strumento di liberazione (cioè sostanzialmente di felicità): parla con chiunque, ovunque, in qualunque momento!
    Ma sembra anche alimentare un pauroso “vuoto” interiore nel quale annaspiamo senza riuscire a trovare qualcosa da dire.

    Sembrerebbe di poter dire che ciò di cui abbiamo unicamente bisogno è la Vita-Condivisa con gli altri. Se questa si affievolisce o viene a mancare allora subentra l’attaccamento alla “tecnologia”. Molti ragazzi/ragazze, fanno volentieri a meno della tecnologia durante le loro vacanze, proprio quando sono sereni e a contatto con gli amici, cioè quando esperiscono quella vita-condivisa che durante il resto dell’anno si perde fra le mille attività che la routine cittadina e scolastica impongono.
    C’è un forte desiderio di “autenticità”, di riallineamento con la Vita vera e con gli altri. E c’è chiara la consapevolezza di praticare quotidianamente una comunicazione “distorta” sulla Rete.
    Il problema allora è quello di imparare a discernere queste qualità del nostro modo di essere. Chi ci aiuta a fare questo lavoro?

    “Sarebbe bello inserire nel nostro calendario un giorno dove le televisioni sono totalmente vuote senza programmi.. Tutti fuori, gente che corre, che fa sport, che fa l’amore e leggere sotto un albero… internet credo che sia importante a livello di informazione poichè possiamo informarci su quello che vogliamo al contrario della televisione… e invece credo anche io che la musica sia molto importante (non quella commerciale). Ho visto gente giocare e vivere felicemente senza la nostra tecnologia che ci violenta in continuazione .. non siamo noi i fortunati!
    MI PIACEREBBE PASSARE 24 ore libero anche dall’informazione… essendoci nell’uomo la curiosità, e i media che conoscono noi piu di quanto noi conosciamo noi stessi, l’uomo sarà sempre psicologicamente sottomesso.. l’unico strumento è la cultura.. per me bisogna solo viaggiare assaporare i cibi di ogni popolazione, inoltrarsi negli usi e costumi… a Capo verde in africa ho visto semplicità e la serenità nei visi degli abitanti di quelle fantastiche isole… comunque domenico non credo che sia tutto così facile come dici te anche se sarebbe bello… ci conoscono troppo bene non permetterebbero mai di farsi distogliere l’attenzione troppi miliardi troppo potere..”(Jacopo)

    “Il problema, infatti, è quando la tecnologia si serve di noi e non il contrario, per cui ci ritroviamo come in una condizione di schiavitù pericolosa… Una sorta di “dipendenza” che altera il nostro modo di relazionarci umanamente con gli altri. L’approccio virtuale è infatti più distaccato e meno “contagioso” di quello umano, nonostante tutte le webcam del mondo ci aiutino a ridurre il “gap”. Questo ci dà l’idea di sicurezza, ci toglie dalla condizione imbarazzante di trovare il coraggio per affrontare le nostre paure, ma ci isola anche tremendamente. Le paure infatti, in questo modo, non è che scompaiono: vengono solamente “differite”… Diventa perciò impossibile osservarle. Per questo è necessario staccare la spina per un po’, senza tuttavia abbandonarsi a ideali “primitivisti” di un’età dell’Oro in cui si viveva meglio e a contatto con la natura. La tecnologia è qualcosa che ci accompagna da sempre e fa parte di noi!” (Ivan)

    In qualche modo io credo nella utilità della Rete e della Tecnologia, nella sua capacità di unire. Come sempre anche questo mondo è tendenzialmente una nostra proiezione, uno specchio: se siamo vuoti lo svuotiamo, se siamo in grado di donare qualcosa allora diviene ricco… Come sempre il “problema” sono “io”.
    l’io è al centro di tutto, ma questo non è necessariamente un “bene”. Però bisogna rendersene conto.
    Forse c’è anche un’infinita sfiducia verso la comunicazione e le vie per praticarla. E’ come se non ci sentissimo all’altezza della Comunicazione (perché crediamo di non essere interessanti, importanti, capaci, occasioni di aiuto…) e quindi finiamo col riversare anche in Rete questa visione/esperienza “bassa” del nostro essere. Per questo diventa sempre più necessario iniziare a guardarsi dentro e scoprire chi siamo veramente.

    Infine desidero salutare e ringraziare tutti, e Domenico in particolar modo, scusandomi con lui di non essere riuscito a seguire il post così come meritava.

  9. Che belle le considerazioni dei ragazzi! Cerchiamo di non rovinarli. Se continueranno così,c’è davvero da sperare in un futuro migliore. Mariapia

  10. Domenico Parlavecchio dice

    In una società “fluida” come la nostra avvertiamo il bisogno di punti fermi per evitare di essere strattonati di qua e di là o di farci spezzettare. Pensiamo che un mondo pieno di cose (libri, , informazioni, cultura, eventi, cose, apps, Internet, smartphones) ci possa rendere migliori. Più efficaci, più efficienti. Pensiamo che per raggiungere un certo livello (professionale, umano, sociale, ..) sia necessario immolarsi ad uno degli altari che ci siamo costruiti. Vittime sacrificali o vittime da sacrificare (dipende dai momenti in cui ci troviamo).
    Non penso si debba più pensare o insegnare questo pensiero. Né a scuola né ovunque. Dobbiamo difendere la nostra integrità. Dalle consapevolezze espresse da Iacopo e da Ivan nascono le grandi sfide per la nostra vita adesso e domani lontani da esperienze “addicted” ossia che creano dipendenza e quindi vittime sacrificali per acquistare una “nuova libertà”.
    “trovare il coraggio per affrontare le nostre paure..” ci fa uscire dall’isolamento perché smettiamo di avere paura dell’altro. Differire le paure significa rimandare un incontro, una possibilità di stupore.
    Questo non dipende dal luogo delle relazioni, non dipende dall’età.

    A Renato e agli studenti va il mio grazie per essersi lasciati coinvolgere su temi che abitano tutti e per i quali siamo disponibili a metterci in gioco.

  11. Caro Domenico,
    tu e Renato siete presenze significative nella mia storia per “l’apprendimento di una misura…” IN DARSI PACE.
    Speravo d’incontrarvi personalmente a Santa Marinella ma non è stato così; quindi: TANTO PER esagerare un po’, posto qui l’ultima risonanza che mi era pervenuta dalle sollecitazioni dialogiche nate nel post.
    Vi abbraccio entrambi, con affetto
    Rosella

    Mercoledì 25 Maggio 2011

    Caro Renato
    grazie per aver postato la sintesi di cui sopra che mi risuona così:
    noi tendiamo a perpetuare la dipendenza proprio perchè ci si aspetta sempre che siano gli altri a comprenderci, a spiegarsi ed a farsi capire e che insegnandoci a vivere ci concedano il permesso di farlo… visto che è un nostro diritto.
    Questo è il dubbio che colgo serpeggiare tra le righe.
    Consapevoli di essere fragili e manipolabili, ci “mettiamo in salvo” in qualche luogo protetto, o indossando la nostra ancor incerta armatura e tentiamo di contrastare, spavaldamente i possibili colpi del destino. Spesso però, così facendo, ci lasciamo, piano piano, alle spalle la fiducia nel fluire della forza della vita che abita, che è dentro di noi; nella sua energia, che irrora la nascente speranza di poter realizzare noi stessi.
    L’equivoco è ingenerato dal fatto che noi nasciamo dipendenti e, senza cure che provengano dall’ambiente esterno, normalmente dai nostri genitori, noi. non sopravviveremmo.

    Abbiamo perso la dimensione di questo dato: noi SIAMO DEI SOPRAVVISSUTI perchè altri ci hanno amato, perchè la vita è stata benigna con noi, stante ogni limite.

    In un certo qual modo, evoluzione e sopravvivenza nell’universo vanno di pari passo.

    Io mi arrabbio sempre quando leggo la poesia di Guzzi “darsi pace”, poichè alla durezza del mio cuore suona ancora troppo moralistica.

    Fratello, se vuoi la pace,
    Datti pace. La pace
    È solo il tuo cuore
    Sprigionato.

    Fratello, se vuoi l’amore,
    Diventalo. Tu sei l’amore:
    Tutto l’amore che cerchi.

    Non chiedere perciò la pace al mondo.
    E non pretendere l’amore da nessuno.
    La pace dalla tu.
                            Falla
    Tutti i giorni, con le tue mani.
                                                  E dallo tu
    L’amore.
                  Scroscia, dònati, irradia:
    Sii felice.
                  È dandolo
    L’amore che lo ricevi
    In abbondanza.

    Per poter accostare questi versi gioiosamente in quell’ampiezza di respiro nei quali ritengo possano essere stati concepiti, è necessario superare un rito iniziatico. Essere dei sopravvissuti, appunto, CHE DECIDONO real- mente di vivere COME SOVRANI..

    In fondo in altre epoche ed in differenti culture i riti iniziatici ti rendevano consapevole proprio di questa realtà: se sopravvivi eri un guerriero, un adulto, un uomo, sapevi badare a te stesso ed al clan in cui eri inserito.

    Non penso di essere troppo fuori tema, anche se non ho trattato di web.
    Ciao, un abbraccio
    Rosella

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