Nella nostra ricerca personale e di gruppo l’accento cade spesso sulla necessità di creare e vivere relazioni autentiche, ma quanto a sapere come questo possa avvenire siamo un po’ a corto di risorse, di mezzi e di modalità. I nostri tentativi non trovano riscontro dall’altra parte e spesso ci si trova più frustrati e delusi di prima. Ma che vuol dire in sostanza mettersi in relazione autentica e quali le modalità che portano a qualche risultato?
Eugenio Borgna, psichiatra e scrittore che ha al suo attivo molti saggi di carattere scientifico e divulgativo( gli ultimi due Le emozioni ferite e La solitudine dell’anima ) indica nello “sguardo” un prezioso supporto per la creazione di relazioni profonde. E’ probabile che la sua lunga esperienza di Primario in ospedale psichiatrico, lo abbia portato a questa conclusione, anche se, in particolare ricorda soprattutto lo sguardo pieno di trasparenza e profondità di sua madre.
E’ la memoria degli sguardi indimenticabili, afferma, che ciascuno di noi porta nel cuore. Quelli che hanno saputo condividere gli attimi delle gioie intense e le eternità dei momenti difficili, lungo i nostri intricati cammini.
Borgna, comunque, orienta un po’ la nostra ricerca: tutti infatti abbiamo fatto esperienza di quanto uno sguardo abbia avuto su di noi, nel tempo, la capacità di farci crescere e fiorire come anche di annientarci e distruggere i nostri timidi germogli nascenti.
Nella vita di ogni giorno, egli afferma, prima ancora di parlarsi, ci si guarda. Gli sguardi sono importantissimi nel fondare le relazioni con le persone. Sono un ponte che ci mette in comunicazione gli uni con gli altri avvicinandoci al cuore,alle attese, e alle speranze di chi ci sta di fronte. Ci sono occhi che sanno trasformare il vedere in guardare. Che sanno illuminare trasformare istantaneamente altri occhi, proprio perché capaci e anche di ascoltare il visibile e l’invisibile.
Il mistero di un’anima, i grandi significati della vita che si esprimono nel tempo interiore di ciascuno, si lasciano intravedere anche nel fulgore e nei bagliori degli occhi, che trasfigurano l’intero volto degli individui. Perché lo sguardo può e sa creare trascendenza.
A noi il chiedere la Grazia di uno sguardo terso, libero, colmo di amorevole attenzione, che vuole e sa scoprire nell’altro quella profondità “abitata” di cui ognuno di noi è inconsapevole portatore.
Carissima, il tuo post mi ha riportato ad un esercizio che abbiamo fatto alcune volte in questi ultimi anni. In questo esercizio ci poniamo uno davanti all’altra, a coppie, e ci guardiamo, sperimentando i diversi stati interiori che producono i diversi sguardi sull’altra persona: lo sguardo impaurito e giudicante dell’ego, quello più comprensivo dell’io in conversione, quello che vede nell’altro un’anima in ricerca e in trasformazione, proprio dell’io in relazione e in Cristo.
Lo sguardo trasmette cioè lo spirito del nostro stato interiore, perciò è determinante custodire uno sguardo interno più limpido, che impari a guardare fuori con maggiore compassione.
Ciao. Marco
Cara Mirella, mi riporti indietro a proposito di sguardo, quanto mi è mancato quello di mia madre! Da bambina ha avuto la poliomelite che le ha fatto perdere la vista ad un occhio, con l’altro vedeva, ma portava sempre gli occhiali e io non potevo guardarla bene negli occhi. Poi venti anni fa ha avuto un tumore proprio dalla parte dell’occhio con cui vedeva. Oggi, mi vede solo un poco, in bianco e nero, ma l’affetto che mi trasmette con il suo essere, anche se mi mancano e mi sono sempre mancati i suoi occhi, mi basta. E’ vera però l’importanza dello sguardo, io, ad esempio, ho le”rughette” sotto gli occhi, uso poco gli occhiali, perché mi piace guardare ed essere guardata negli occhi, ma anche una carezza, una parola gentile, può far trasparire il nostro essere. Un abbraccio.
Se in noi c’è qualcosa di trascendente, questo qualcosa affiora fisicamente nello sguardo (ma pure il modo di muoversi conta parecchio).
Lo sguardo, come la musica, esprime un codice immediato, universale e prodigiosamente sintetico. Trasmette un sacco di cose al medesimo tempo. E’ il nostro buco della serratura insomma; il problema è che il mistero è sia fuori della porta che dentro, dentro di noi cioè; anzi soprattutto là.
Difficile immaginare quali e quante emozioni sperimentiamo attraverso il nostro e l’altrui sguardo sin da piccolissimi, quando ancora non possiamo ragionare nè tantomeno verbalizzare.
“Capirsi con uno sguardo”, s’usa dire. Chissà che non sia quello l’obiettivo da raggiungere, al di là dunque dei limiti conntaurati al linguaggio, anzi ai vari tipi di linguaggio con cui tentiamo disperatamente di metterci in contatto fra noi.
Enrico
Carissima Mirella,il tuo articolo mi ha richiamato l’esperienza vissuta quest’anno con un mio alunno,un cucciolo di prima elementare che non solo non voleva essere toccato,ma non volgeva lo sguardo verso l’altro,i suoi occhi erano sempre bassi o il capo girato.Solo oltre metà anno scolastico il suo sguardo ha incrociato il mio e mi ha dato la mano,senza più sfuggire.Ogni volta che da quel momento ci siamo parlati ,lo hanno fatto anche i nostri occhi che sono stati
la porta per una relazione che si è costruita solo perchè c’è stata accoglienza completa dell’altro .
Mi capita spesso di richiedere lo sguardo ad un bambino e ogni volta si aprono scenari bellissimi limpidi e trasparenti,proprio quelli che vorremmo sempre ci apparissero.
Un abbraccio. Rosanna
Cara Mirella,
che dire delle relazioni “on-line”? Una foto ritoccata che fa da cornice che a volte
è una pura e semplice maschera che mettiamo per non farci riconoscere o per sembrare altri. Quali sguardi?
Quali sguardi oggi che si è strattonati di quà e di là, dove ci sentiamo costretti a rispondere ad
una telefonata mentre stai parlando con un altro. Perchè?
Quale sguardo con tua moglie/marito/figlio all’inizio o alla fine di una giornata quando ormai sei stanco? Sfondato?
(o sarebbe meglio dire che ti sei voluto massacrare o far sfondare ..)
Quando possiamo parlare di sguardi e quando no?
Poso mai il mio sguardo su di me? … come, cosa incrocio..
Secondo me quello che lo sguardo può cogliere è l’anima qualcosa che non si afferra ma che è parte di noi insieme al corpo
(la parte vista perchè quella subito visibile).
Chi sa cogliere e sostenere unoo sguardo è sicuramente una persona che sa vedere l’anima e il suo corpo perchè integra anch’essa.
Un’ultima cosa che spero possa farti piacere.
Non è un caso che dopo la scritta “Darsi pace” ci sia il claim “Liberazione Interiore -> Trasformazione del Mondo”.
Questo sta ad indicare che lavorando su se stessi, posando lo sguardo sulla propria anima imparando a conoscerne
i moti interiori, rispettosi del nostro corpo, consapevoli che siamo figli del nostro tempo
puoi veramente essere un IO capace di relazioni nuove come ci testimonia Rosanna e in fondo tutte le persone che
hanno dato la loro testimonianza.
Come? La risposta la prendo rielaborando un intervento di Marco Guzzi.
Conoscenza del nostro tempo come processo storico, lettura meditativa e contemplativa della Parola di Dio,
testi poetici, esercizi psicologici di autoanalisi, meditazioni guidate, condivisioni.
Senza specialismi di sorta cioè, ma anche senza vaghezze spiritualistiche.
Solo una profonda integrazione interiore, vissuta in comunione con altre persone, può poi liberarci per le opere giuste,
quelle che costruiscono per davvero la pace in tutti gli ambiti, in quanto sgorgano da un cuore pacificato,
che non ha più troppa paura della morte, e quindi non ha più nemmeno troppo bisogno di difendersi né di attaccare.
Per concludere, tutto quello che hai scritto all’inizio avrà un suo compimento. Ognuno con il suo tempo …
UN abbraccio.
Questo post mi riporta alla memoria uno dei detti che soleva ripetere mia madre: “l’occhio è lo specchio dell’anima”; una sapienza antica.
E’ lo stato della nostra interiorità fluttuante, che illumina o gela un sorriso.
Invecchiando anche i miei occhi si sono “seccati”; e spesso li chiudo nel tentativo di un breve ristoro.
Sto meglio in una conversione interiore che non rivolta verso l’esterno.
Mi tocca lavorare e lavorare sodo su me stessa poichè non so discernere quanto vi sia di chiusura egoica, in questa separatezza o non un reale desiderio pacificante di comunione. Son stanca di parole. Forse, data l’età, sto entrando in uno stato più contemplativo della vita.
Che mi rode interiormente è il fatto di quella mia convinzione che tanto “nessuno conosce nessuno”, e non mi pare di aver ancora attraversato tutti gli stati dell’io che questa frase racchiude in sè stessa.
Scusate, è come se parlassi da sola.
Un abbraccio a Sr. Mirella e a tutti voi.
con affetto
Rosella
Che bell’argomento…gli occhi, lo sguardo possono dire più di mille parole!
Mi ricordo perfettamente l’esercizio che ci propose Marco anni fa, quello di dover sostenere lo sguardo dell’altro. Per me una cosa davvero difficile, se pur lo sguardo è amorevole e sorridente lo percepisco sempre come un esame dal risultato perdente. Ho dovuto lavorare su questo e ancora il compito non è concluso. Un abbraccio Gabriella
Quando parlo con le persone, mi piace guardarle negli occhi.
Nella relazione educativa osservo che quando la conoscenza e la fiducia tra me e l’alunno si rafforzano le parole diminuiscono e gli sguardi diventano comunicativi.
Ho fatto una sola volta l’esercizio di cui parla Marco, la mia compagna di sguardo era Giuseppina. Ricordo che nella prima fase di esso avrei voluto scappare e chiudere gli occhi per non ascoltare ciò che lo sguardo dell’altro muoveva in me, diversa la seconda fase del lavoro in cui gli occhi non erano più muri che separavano, ma braccia che accoglievano.
Dopo quella esperienza ho cominciato a soffermarmi maggiormente su ciò che i miei occhi guardano e ciò che vedono imparando ad associare le mie visioni ai diversi stati interiori.
Ora vivo il blog come una comunicazione profonda che sperimentiamo tra noi attraverso la parola scritta, ma il post di Mirella mi sollecita a scorgere, oltre le parole, volti che pur nella fatica e nella sofferenza di storie personali, hanno occhi che si fanno sempre più luminosi.
Un abbraccio.
Giuliana
La mia e l’altrui esperienza mi fanno concludere che lo sguardo è uno strumento potente di cominicazione, forse più della parola. Ha una potenzialità dirompente e può sviluppare una reazione a catena.
La mia e l’altrui esperienza mi fanno concludere che lo sguardo è uno strumento potente di cominicazione, forse più della parola. Ha una potenzialità dirompente e può sviluppare una reazione a catena.
La mia e l’altrui esperienza mi fanno concludere che lo sguardo è uno strumento potente di cominicazione. Forse più della parola ha una sua potenzialità dirompente così da sviluppare una reazione a catena! Lo sguardo può comunicare amore o odio, comprensione o disprezzo,guerra o pace, interesse o indifferenza…ma può anche superare – come abbiamo sentito- la barriera fisica e accedere al mistero di cui ognuno è portatore…Può accedere al vuoto o anche al divino che l’altro ha incontrato; al suo mondo di poesia, di tormento o di gioia…Può permettere, insomma, di incontrare l’altro, nella sua, forse inconsapevole, bellezza originaria.
Allora le relazioni potrebbero mutare, portarci al di là della convenzione, della superficialità, della banalità…allora incontrandoci potremmo finalmente dirci: Amico come stai? Dimmi qual è il segreto del tuo tormento o della tua pace.