Cari tutti darsipacisti e non, vorrei condividere con voi le difficoltà che ho nella pratica quotidiana della meditazione e avere anche dai voi un feedback sulle vostre e relative riflessioni.
Iniziamo dallo ‘spartito’, ovvero i passaggi fondamentali di questa tecnica così come ci vengono insegnati nei gruppi Darsi Pace: questi sono ben dieci e sono propedeutici l’uno con l’altro, cinque di meditazione vera e propria e cinque di preghiera cristiana.
In questo post vorrei soffermarmi sui primi cinque, che sono:
- Dal nostro ordinario stato di distrazione/alienazione incominciamo a portare la nostra attenzione sul CORPO e sulle sue percezioni, ricercando una corretta postura. Questo processo inizia a focalizzare la nostra CONCENTRAZIONE.
- Dalle sensazioni corporee spostiamo l’attenzione sul movimento naturale del nostro RESPIRO, che diventa il sostegno del nostro lavoro, specialmente nella fase dell’espiro, in cui impariamo ad abbandonarci e a lasciare andare ogni contenuto mentale che appaia a distrarci. Così si accresce la forza nella nostra CONCENTRAZIONE.
- Associamo al movimento naturale dell’inspiro l’attitudine interiore del sorridere, e al movimento naturale dell’espiro quella dell’abbandonarci: sorrido, mi abbandono. In tal modo si dilata in noi lo spazio più quieto di una osservazione distaccata di tutto ciò che si anima dentro di noi. Alterniamo così fasi di CONCENTRAZIONE sul respiro a fasi di CONSAPEVOLEZZA (osservazione profonda) dei pensieri automatici che vengono a distrarci e che continuiamo a spegnere alla fine di ogni espiro.
- Si consolida lo STATO DI PRESENZA, e si accresce la CONSAPEVOLEZZA dei legami più profondi, subliminali che ancora ci trattengono nel nostro passato, impedendoci di godere appieno la libertà del presente. Rinunciamo così a tutto ciò che il nostro vecchio io crede di sapere di sé e della realtà, appoggiandoci sempre sulla forza della concentrazione sul respiro. Spegniamo la stessa coscienza di sé del nostro vecchio io in una sorta di MORTE che ci sgancia sempre più profondamente dagli ultimi legami, dagli ultimi pregiudizi. Non sappiamo più niente di noi stessi: ci apriamo senza condizioni.
- Assorbiti sempre più integrale-mente nello stato di presenza impariamo a conoscerne e a gustarne le principali qualità: la pace, l’integrità, l’unificazione, la chiarezza, la libertà, la benevolenza, l’apertura fiduciosa verso ciò che c’è e che viene.
Condiviso lo ‘spartito’, veniamo alle mie difficoltà: la più grande e sicuramente quella più frustrante, è l’incapacità di calmare, allentare il flusso di pensieri che normalmente si agitano nella mia testa. E di conseguenza un’incapacità di concentrazione, di spegnere tutti i pensieri automatici che normalmente abitano la mia coscienza. Per anni i miei tentativi di meditazione si sono arenati in questo punto, quindi, quello che riuscivo a realizzare, era un astratta, rapida e cervellotica attenzione alle sensazioni corporee (punto 1), per poi approdare in un tentativo, quasi sempre fallimentare, di focalizzare la mia attenzione sul respiro (punto 2)… e mi fermavo li. Infatti dopo un paio di inspiro ed espiro mi ritrovavo a pensare ai tortelloni al ragù. Poi provavo a fare anche gli altri passaggi, ma non avendo realizzato i primi due, non andavo da nessuna parte.
Come indole, per fortuna, sono comunque dotato di una certa perseveranza e quindi nelle mie ricerche e tentativi non molto gratificanti, ho avuto dei rari momenti in cui riuscivo a sperimentare e realizzare, ad un certo livello, il percorso, ma la cosa era abbastanza arbitraria.
Veniamo alla bella notizia: lavorando un po’ sul corpo con degli esercizi fisici, ho cominciato a sviluppare quel ‘sesto senso’, o quantomeno a comprendere meglio quello che ci viene proposto nel primo passaggio relativamente alle percezioni corporee. Quindi ampliando molto il primo punto, facendo una serie di esercizi fisici con con un lavoro di consapevolezza sulle relative sensazioni corporee, ho notato come effettivamente il flusso isterico di pensieri si calmi e la mente diventi molto più quieta. Dopodiché allora sì che riesce a mantenere la concentrazione sul respiro, e a lasciar andare i vari pensieri che si affacciano senza che diventino la mia coscienza!
Quindi bisogna realizzare molto bene il primo punto per poter riuscire a fare il secondo, o meglio ogni passaggio va realizzato molto bene prima di affrontare l’altro.
Da quello che ho potuto ‘annusare’ dalle esperienze degli altri, credo che questo sia uno dei principali ostacoli nel fare la meditazione.
Che mi dite voi delle vostre esperienze, difficoltà e successi in questa pratica?
ciao andrea. come dice M.Guzzi, le energie sono le stesse, per cui, se io mi concentro nel respiro, di volta in volta, dopo che le scimmie mi assalgono le faccio scendere, piano piano.ho rivisto le conferenze di Marco su internet e ne ho trovata una in cui diceva che le costole sono elastiche e il respiro non deve essere oppresso o chiuso all’altezza del torace. per cui, inspiro, facendo in modo da sentire le costole che si allargano eaccolgonoil respiro,mantengo o riporto la postura in posizione corretta e sentoche il groppone sullo stomaco scompare,cioè l’aria entra libera.osservo tutto ciò che mi viene e poi sempre più piano,di volta in volta lo lascio andare. certo dovrei essere più perseverante e andare oltre. ma quando si prova gusto è veramente un piacere. saluti e grazie per la tua condivisione.
Grazie Antonella del tuo contributo. E’ proprio quello che cercavo di condividere: per una mente molto agitata, piena di “scimmie” 😆 , è molto difficile mantenere una concentrazione da subito sul respiro. Invece, concentrandoci sulle sensazioni corporee, sulle quali è un po’ più facile mantenere l’attenzione, riusciamo a far scappare qualche scimmia e siamo più in grado di affrontare il passaggio successivo.
Hai poi toccato un altro punto fondamentale: il piacere. Riuscire a provar piacere, a godere del nostro essere, credo che sia uno dei segni più importanti che siamo sulla buona strada.
Ciao.
Alcune settimane fa una collega, di fronte a una mia richiesta, ha reagito eruttando rabbia.
Ho accolto l’eruzione senza scompormi e poi, con calma, le ho chiesto se aveva capito cosa chiedevo.
La mia reazione quieta ha calmato anche lei.
Il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato:
“Ho reagito così grazie alla meditazione”
Pratico regolarmente la meditazione da poco tempo, ma ciò che vivo mi convince sempre più che nel tentare oggi la meditazione si gioca il senso dell’uomo sulla terra.
Anche per me è difficile silenziare la mente, ciò che mi aiuta è l’atto di riconoscere.
Riconoscere i pensieri, come le immagini che affiorano è capire da dove originano, comprendere e accogliere le pretese e le illusioni sulle quali si fondano.
Solo così mi riesce di spegnerli, ogni volta un po’di più e tornare nell’inspiro successivo a sentirmi nel Respiro.
Ciò che sperimento su di me è che la meditazione è efficace se integrata con l’autoconoscimento e con l’azione concreta, nella relazione con gli altri e con Dio.
Questo lavoro che raggiunge la profondità del mio essere è ricerca di sapienza e le parole della prima lettura di domenica scorsa (Sap 6,12-16) non possono che incoraggiarmi a perseverare su questa strada.
Giuliana
Carissimo Andrea, hai ragione: il primo passo può determinare molto quelli successivi.
La concentrazione sul senso interiore del corpo, ricercando la giusta postura, è un’indispensabile preparazione agli stati successivi.
Percepire la verticalizzazione delle vertebre, a partire dal basso, e lo scendere del peso del tronco sul sedile; percepire il piacere dell’allineamento vertebrale, o del dilatarsi delle costole, placa di per sé l’agitazione mentale, come lo Yoga ci insegna da millenni.
Un altro elemento fondamentale è la decisione interiore, la forza che mettiamo nella decisione di praticare, di svolgere la pratica che stiamo avviando nel modo migliore per noi possibile.
La decisione interiore è anch’essa un fortissimo fattore di concentrazione.
Un abbraccio. Marco
Caro Andrew, grazie per questo post che ci ricorda i primi 5 passaggi della nostra pratica e le relative difficoltà. E’ giusto quello che dici: per spegnere meglio i flussi, le vritti (come dicono gli indu) della mente è fondamentale passare per il corpo. Un po’ di sano esercizio fisico, anche molto breve, che stanchi un po’ e al contempo energizzi il nostro corpo, può essere il primo aiuto alla concentrazione, alla focalizzazione dell’attenzione sul momento presente. La concentrazione sul respiro ne consegue: è un bel gioco concedersi il piacere di respirare, senza desiderare altro. Il nostro ego non lo sopporta e fa di tutto per convincerci che c’è ben altro da fare. Decidendo di non ascoltarlo, almeno per quei 5-10 minuti che ci siamo prefissati, abbiamo già conquistato un po’ di libertà in più rispetto agli automatismi, alle gabbie dello stato ordinario della nostra coscienza, sballottata come le palline di un flipper. Auguri di perseveranza a tutti noi!!!
stupore
riconsco l’inizio
la rotta nella gioia
anche se non c’è
è reale nell’armonia
una pausa di silenzio
tra le note
Caro Andrea,
in modo un poco meno ermetico, condivido quanto postato nel telematico e con il gruppo di Mozzo.
Questo il punto, della mia pratica meditativa.
Dopo quasi due anni, apparentemente, fallisco ancora.; ma, forse, le cose non stanno proprio così.
Quando due anni fa ho iniziato a praticare la postura seduta nella meditazione, anche durante gli intensivi guidati da Marco, avevo reazioni paradosse; invece che spazi di quiete somatizzavo sino all’emicrania.
Forse, avevo delle aspettative errate, poichè, praticando da anni il training autogeno in posizione sdraiata, ero allenata agli stati interiori di quiete ed anche ad altre forme “quasi magiche”.
Con questa postura invece no fallivo sempre.
L’anno scorso, con il telematico mi sono impegnata al massimo, ho sospeso il training autogeno ed ho meditato “seduta”: una volta al giorno con le registrazioni del corso, ed una volta al giorno nel silenzio.
Quello che ne ho ricavato è stato:
Ho scoperto che per silenziare la mente era necessario agire “un atto volontario”
Ho ascoltato la paura di cadere, non di addormentarmi ma proprio “di cadere”, mancando di fiducia nel sostegno di questa postura.
Ho osservato che mi sono sufficienti pochi minuti di pratica per attivare svariate tensioni muscolari: alla spalla, alla scapola, al collo ed infine che non respiro e talora sfioro la crisi d’angoscia.
Quello che ne ho dedotto è :
Io ho incarnato benissimo la mia conclusione errata: SE NON ESISTERO’ NON POTRO’ MORIRE …”. L’ho intessuta così a fondo, dal sapermi abbandonare pienamente (come fosse annullarmi) in posizione supina, ma dal RESISTERE ad oltranza NELL’AFFIDARMI alla vita, ALLA DECISIONE DI VIVERE.
Adesso sto imparando a volermi un po’ più bene, quindi pratico in entrambe le situazioni e la sera, calo nel profondo i quesiti del giorno, abbandonandomi al sonno: anche la notte porta consiglio.
ciao e buona meditazione a tutti.
Rosella
… riengo che la prassi meditativa sia cruciale per il nostro percorso iniziatico e per tutti; questo quotidiano esercizio di morire (al nostro ego ordinario) è la cosa migliore che possiamo imparare a fare; le mie difficoltà sono nel mantenimento della attenzione (al respiro) e della postura, e nella paura del totale abbandono quando a volte riesco ad arrivare …; …. ma, persevero con costanza e fiducia …
Sono perfettamente d’accordo con Andrea sul fatto che OGNI PASSAGGIO VA REALIZZATO MOLTO BENE PRIMA DI AFFRONTARE L’ALTRO. E anch’io allungo molto il momento iniziale, ma non è mai abbastanza. Ho recuperato in biblioteca Sadhana di de Mello, e scorrendolo mi sono resa conto che vorrei dedicare molto più tempo alla meditazione. Avanzo perciò una RICHIESTA: non sarebbe possibile organizzare un fine settimana solo meditativo? Con numerosi momenti di pratica, dapprima solo il primo passaggio, poi il primo e il secondo, e così via, con esercizi ad hoc pratica dopo pratica. E magari piuttosto silenzioso, le prime pratiche con la musica di sottofondo, poi via via senza musica, e anche le parole relegate ad esempio ai dopo cena; dove però il silenzio non sarebbe un obbligo, ma una necessità che nasce da un bisogno.
Questo post mi è di grande consolazione dato che, ahimé, sono incastrata tra i primi due passaggi, bloccata nel vortice “autostradale” dei miei pensieri, mentre con fatica cerco di concentrarmi sul movimento naturale del respiro che immediatamente smette di essere naturale non appena porto la mia attenzione su di esso, e cioè scatta il controllo.
Sapere, sempre e ancora, che queste sono però le difficoltà di tutti coloro che si avvicinano alla meditazione e anche di coloro che la praticano da anni, pure da “professionisti” – secondo la citazione che Marco Guzzi ha fatto di un monaco che dopo trent’anni di meditazione ancora si confrontava con queste problematiche – mi dà coraggio e mi esorta all’umiltà della ricerca del contatto con le parti più dolorose di me, per dare loro speranza, fuori da ogni pretesa perfezionistica.
Un abbraccio
iside
Cari tutti, grazie dei vostri preziosi contributi. Mi sembra di aver annusato giusto allora 😛 Che il Signore ci illumini nella nostra ricerca!!!
Caro Marco (Guzzi), relativamente al primo passaggio, queste cose tu le hai sempre dette, ma io le sto cominciando a REALIZZARLE e a beneficiarne solo ora che pratico yoga da un paio di anni, ma per molto tempo è stata durissima. Infatti, non riuscendo a ottenere risultati, ma solo frustrazioni, è molto difficile perseverare ed essere constanti.
Mi sembra che questa difficoltà sia piuttosto generalizzata, cosa ne pensi, dal punto di vista didattico, non si potrebbe lavorare di più sulla realizzazione dei primi due passaggi e poi gradualmente andare oltre?
Grazie a tutti.
Carissimo Andrea, ciò che ho imparato ad accettare in questi anni è l’estrema varietà delle risposte personali ai diversi aspetti del nostro lavoro.
C’è chi comprende subito lo scenario culturale in cui ci muoviamo, ma fa fatica ad entrare nel clima meditativo. C’è chi ha invece una propensione quasi naturale alla concentrazione e magari anche una pratica di preghiera già avanzata, ma ha difficoltà a dedicarsi all’autoconoscimento psicologico. C’è chi ha un’ampia esperienza di analisi psichica, ma non comprende la rilevanza della lettura messianica di questo tempo, e così via.
Io tento di dare un programma sostenibile. Indico le linee che poi ognuno potrà incarnare e integrare in base al proprio tempo e al proprio anelito.
In fondo il lavoro di integrazione è lasciato al praticante, in quanto un accompagnamento passo per passo su tutti e tre i livelli richiederebbe un lavoro comune di alcune ore al giorno…
Non credo che dobbiamo cioè chiedere ai Gruppi DP tutto. Gianvito disse una volta una cosa interessante a questo proposito: i nostri Gruppi sono un po’ come il perno fisso di un compasso, che poi disegna un amplissimo cerchio.
Noi vorremmo essere solo il centro del rinnovamento di una iniziazione cristiana, che poi può ovviamente integrare dentro di sé moltissimi elementi: devozioni particolari, lo Yoga, incontri psicologici, direzioni spirituali, corsi universitari o altro: tutto può arricchire il nostro processo di liberazione, la nostra realizzazione.
Il gioco però in fondo è in mano nostra, siamo noi che realizziamo la nostra liberazione, DEO CONCEDENTE, ovviamente…
Ciò non toglie che negli ultimi anni abbiamo molto intensificato lo spazio di introduzione alla meditazione e di iniziazione alla preghiera cristiana. E potremo anche ideare incontri specifici, come chiedeva Carla.
Un abbraccio. Marco
Caro Marco, grazie per la tua spiegazione. Forse io tendo a estendere a tutti, a generalizzare quelle che sono le mie esperienze e le mie inclinazioni in questo percorso, ovvero: livello culturale “facile”, livello psicologico un po’ meno e livello spirituale (meditazione) “difficile”.
Consapevole di questa tendenza, ho comunque l’impressione, che la percentuale di inclinazioni personali non sia un 33% diviso più o meno equamente sui tre livelli, ma che la pratica meditativa sia per la maggioranza dei partecipanti un percorso di notevole difficoltà.
Grazie di cuore per tutto quello che stai facendo per noi.
Un abbraccio.
Nella mia esperienza ho trovato giovamento nel momento in cui ogni volta mi sono sforzato di concludere tutti passaggi.
Mi accorgo che il passaggio successivo migliora quello precedente e viceversa.
E’ un po’ come preparare un dolce. Anche se si conosce la ricetta non significa che ti viene bene alla prima prova. Anzi.
Devi lavorare sugli ingredientoi con il forno con la tua ispirazione. Provare linsuccesso e l’inadeguatezza in certi momenti soprattutto all’inizio.
Rimane il fatto che la ricetta la devi provare tutta non solo una parte altrimenti il dolce non c’è mai e con esso neanche la possibilità di gustarlo e farlo gustare 🙂
Questo non significa che il dolce verrà sempre bene ma sicuramente sarà sempre più espressione del nostro piacere di vederlo finito e questo alla fine traspare perchè vogliamo farlo assaggiare anche ad altri 🙂
SOno d’accordo che avere dei momenti per farlo insieme è sicuramente più efficace e motivamente. Anche in qiuesto caso per rimanere in ambito convivialeèp come se ciascuno portasse qualcosa fatto da lui.
Buon lavoro a tutti e grazie Andrea per averci dato la possibilità di condividere l’esperienza su uno dei mattoni più importanti necessari alla nostra trasformazione
Buon lavoro a tutti
Un mio limite e’ non tanto liberarmi dai pensieri quanto rimanere e godere dello stato di presenza, a volte riapro gli occhi e guardo l’orologio…non riesco a credere che sono passati solo 10 minuti. Pero’ anche quei pochi minuti mi rilassano, l’importante e’ non scoraggiarsi e perseverare. Anche io come Giuliana rimango sorpresa del mio modo di reagire alle sollecitazioni quotidiane, sicuramente il nostro percorso ci aiuta a maturare, la pace ce la ritroviamo dentro come conseguenza naturale. Un abbraccio a tutti! Gabriella
Credo che sia importante sottolineare ciò che scrive Domenico, e cioè che la pratica va comunque completata. La contemplazione orante dona potenza alla fase meditativa, che a sua volta prepara la preghiera.
Attraversare ogni giorno i 10 passaggi, senza perfezionismi, in uno spirito di infanzia piena di speranza fiduciosa, aiuta a comprendere il senso del lavoro nel suo complesso.
Vorrei anche dire che questo discorso vale per l’intero lavoro dei Gruppi: spesso le difficoltà in fase meditativa sono legate a nodi psicologici ancora non affrontati fino in fondo. Molti praticanti mi hanno confessato che la loro pratica meditativa e di preghiera è cresciuta solo quando hanno riconosciuto e affrontato strutture difensive fino ad allora solo sfiorate.
Non possiamo cioè pretendere di progredire molto nella preghiera se manteniamo strategie difensive irrisolte, attaccamenti portentosi, rancori e rabbie non elaborate e così via.
Analoghi ragionamenti si possono fare rispetto allo studio e all’approfondimento del livello culturale, o alla dimensione della nostra fede e del nostro abbandono all’azione dello Spirito.
Il nostro è un lavoro integrato, e i tre livelli si nutrono a vicenda e procedono solo insieme.
Un abbraccio. Marco
Ciao, come mi piace “tendo le linee…tento di dare un programma”, mi piacciono queste parole di MG,queste parole di libertà che mi garantiscono che altre strade che il cuore vuol cercare, in questi sforzi, sono le benvenute e che anche quelle sono fruttuose.
Nelle tue difficoltà, leggendoti, caro Andrea, mi è venuto in mente Thich Nath Hanh, un maestro zen al quale ogni tanto attingo. Lui ha suggerimenti sempre positivi e benevoli di trasformazione dei pansieri in “santa pace”. Innanzitutto chiede la consapevolezza dei pensieri- non dice nulla di diverso di quello che pratichiamo noi- “respirando con consapevolezza abbracci e calmi quello stato d’animo. Non appena sei consapevole che in te è sorta la collera produci consapevolezza, perchè questa la abbracci”. Ci trovi una qualche piccola novità in questo approccio???” Ti invito a sperimentare e ad “uscire” con la TUA cratività. Ciao :mrgreen:spero che appaia il sorriso di Thich Nath Hanh.ptrz