Fin dai primi incontri dei gruppi Darsi Pace, tramite gli esercizi di autoconoscimento che si possono trovare alle pagine 20-22, 64-65, 87-91 del libro ‘Darsi Pace’ di Marco Guzzi, ed.Paoline, collana Crocevia, iniziamo a individuare dentro di noi una zona molto dolorosa e dolorante, una ferita originaria.
Procedendo con ‘umiltà, coraggio, fiducia’, capiamo che essa risale ai primi anni della nostra vita e che ci è stata inferta, quasi sempre in maniera del tutto inconsapevole, dai nostri genitori, e ci ha segnato intimamente, configurandosi come ferita d’amore, una mancanza grave : un tradimento, un riconoscimento non ottenuto, un abbandono …
A questa sanguinante scissione, il nostro bambino, la nostra bambina, addolorati ed increduli, hanno reagito erigendo barricate e muraglie con ‘in cima cocci aguzzi di bottiglia’ (per dirla con Montale), costruendosi il proprio personalissimo modo di difendersi dal mondo circostante, percepito come irresolubilmente ostile.
“ Chi mai potrà amarmi se mia madre, mio padre, non mi amano? “
Ed eccoci entrare a pieno diritto e armati fino ai denti nel (dis-)Ordine dell’Ego, separandoci sempre più dalla Sorgente del nostro essere, dall’Ordine del Giorno, della Luce.
Se questa ferita è una dolorosa necessità (per quanto riguarda me, sono stata guidata dai miei ricordi emotivi ad individuarla con precisione chirurgica), perché non usarla a mio vantaggio? Non è forse essa una incrinatura nella corazza del mio ego? Un suo punto di forza ma anche di debolezza?
Vado avanti, al di là del riconoscimento psicologico della mia ferita, imparo a non distogliere da essa il mio volto con orrore e paura: la guardo bene in faccia e capisco che io non sono la mia ferita, che io non finisco là : adagiandomi con tranquilla risolutezza nella pratica meditativa (posso ricorrere alle pagine: 27-29, 41-44, 52-53, 61-62 del libro ‘Darsi Pace’ sopra citato), attraverso il mio lancinante dolore, abbandono le mie maledizioni, entro nella dimensione più intima dell’ascolto e, con l’aiuto dello Spirito che mi abita, trans-figuro la ferita.
Comprendo che oltre ogni mia rabbia, oltre ogni mia paura o disperazione o impotenza, c’è Qualcosa, c’è un Oltre più grande, senza limiti, che mi chiama, che mi attende, che mi consola. Che mi ama.
In questo senso la mia ferita è ‘santa’ perché mi sollecita all’umiltà e all’abbraccio solidale con l’Umanità di tutti i tempi, di tutti i luoghi, Umanità dolente ed in ricerca.
E’ ‘santa’ perché è una delle mie più radicali occasioni di ricongiungimento con il Padre.
Insieme a questi pensieri è nata in me una poesia che vorrei ora condividere con voi, nella gioia e nella difficoltà del nostro viaggio, ricordando che è “Beato chi trova in te la sua forza / e decide nel suo cuore il santo viaggio” (Salmo 83,6)
se non tenessi a mente
risoluta
la ferita,
il pungolo appuntito,
sperone avvelenato,
come ricorderei che sono argilla
che dissecca
senza la Tua acqua?
né figlia potrei dirmi
sorella
nella sobria Umanità
donna
mi crederei
santa e separata
santa è la ferita
sempre aperta,
porta all’Infinito,
adito alla Luce
che mi irrompe
nel sangue benedetto
del sorriso che abbandona
un abbraccio,
Filomena
Semplicemente GRAZIE
in un abbraccio.
Giuliana
Carissima Filomena, amica mia,
dopo la commozione alcune parole.
Da principiante ripercorri le fasi del lavoro facendone poesia e mi aiuti a rispecchiarmi in questo processo.
Al termine del primo anno del corso telematico siamo giunti a distinguere la voce della/del bambina/o ferita/o da quella imperativa che dà comandi assurdi, imparando a riconoscere le stratificazioni calcaree che induriscono il nostro cuore, che ci hanno permesso di sopravvivere alla ferita d’origine, ma che nascondono e ci separano dalla nostra vera realtà.
Entrare in queste stratificazioni è doloroso lavoro, ma credo necessario perché si possano aprire spiragli che lasciano passare la Luce che ci abita.
E’ smascherare in noi e nel mondo la menzogna e quindi abbandonare immagini di noi e degli altri a cui siamo affezionati e che ci piacciono, abitudini rassicuranti, ripetitivi schemi di azione che ingabbiano il movimento.
Mi chiedo se la vibrazione che si prova, a diversi livelli, nelle relazione con gli altri sia legata a questa attitudine allo smascheramento che apre la porta all’Oltre.
Sento il bisogno di relazioni vere, vive e so che l’autenticità della relazione richiede un perseverante lavoro spirituale per non cadere nel gioco maschera/ombra.
Mi incoraggia sapere che nell’Oltre trovo un Tu che mi perdona e mi accoglie grazie alle sue viscere di misericordia, un Tu che guida i miei passi in un cammino di pace.
Un riabbraccio.
Giuliana
Cara Filomena, leggendo: Spiritualità di A.Grun, ti cito queste sue parole a proposito di ferite. “Un’altra via è domandarsi se proprio nelle mie ferite non si nasconda un compito. Il compito dell’uomo consiste anche, nel trasformare le proprie ferite in perle. Là dove sono stato ferito sono anche particolarmente aperto a coloro che hanno fatto esperienze simili. Se mi riconcilio con la mia ferita, posso scoprire lì capacità particolari che ho in me a causa di questa offesa.” un bacio!
Carissima Filomena, questo post è proprio la descrizione del ‘santo viaggio’, grazie dal profondo del cuore!
Desidero sottolineare gli atteggiamenti e le consapevolezze che metti bene in luce:
-Procedendo con ‘umiltà, coraggio, fiducia’
-io non sono la mia ferita, io non finisco là
-adagiandomi con tranquilla risolutezza nella pratica meditativa
-attraverso il mio lancinante dolore,
-abbandono le mie maledizioni,
-entro nella dimensione più intima dell’ascolto
-con l’aiuto dello Spirito che mi abita, trans-figuro la ferita.
-la mia ferita è ‘santa’ perché mi sollecita all’umiltà e all’abbraccio solidale con l’Umanità di tutti i tempi, di tutti i luoghi, Umanità dolente ed in ricerca;
-è ‘santa’ perché è una delle mie più radicali occasioni di ricongiungimento con il Padre.
Bellissima la poesia che ti (ci) è stata donata, fa vibrare l’anima! Ancora grazie.
Auguro serene, rigeneranti, vacanze a te e a tutti i nostri amici. giovanna
Dis-identificarci dalla nostra ferita per abbandonare l’automatica difesa è una grande grazia. E’ smettere di vedere la vita come una continua discesa nell’arena.
Questo viaggio aperto a tutti è percorso da pochi.
L’arena perpetrata all’infinito ci spinge a non “scoprirci” e quindi a non condividere e a rimanere soli in relazioni d’interesse.
Bisogna andare Oltre.
Questa consapevolezza non può che spingerci a scoprirci altro e a fare altrettanto verso gli altri.
Chi ha conosciuto l’Oltre non può che diventarne guida.
Domenico
Amici, così cari,
sono commossa ed arricchita da ciò che avete scritto!
Giuliana, amica nella lontana vicinanza, condivido con te il desiderio doloroso, senza fine ma indispensabile, dello ‘smascheramento’ in vista di una Verità, della Vera Libertà, che ci attrae nella sua atmo-sfera di luce piena
Luciana, amica di percorso, che splendida citazione! dunque è possibile trans-formare le nostre ferite in perle, così ci presenteremo al Padre ornate/ornati di una preziosa collana!
Giovanna, amica di viaggio, sono molto felice che le mie parole abbiano trovato in te risonanze gioiose! anch’io auguro a te e a tutti gli amici vacanze serene in cui trovare spazi ampi per la pace del cuore
Domenico, amico di redazione, ti ringrazio per le tue riflessioni di approfondimento che mi aiutano, veramente, a chiarirmi a me stessa
un abbraccio di amicizia nella Pace dell’Oltre
Filomena
Santa ferita … sangue benedetto…
Vale per Cristo ed anche per chiunque lasci agire Cristo dentro la propria carne.
Credere che “dalle sue piaghe siamo stati guariti” significa concretamente valutare la portata curativa – per noi e per altri – delle nostre ferite.
Grazie per il ripasso, caro Filomena!
E per i bei versi: che l’acqua che viene dall’alto tenga umida l’argilla di cui siamo fatti, affinché germoglino fiori e frutti, per tutti.
Corrado
Ottimo lavoro, grazie, Filomena.
Effettivamente è sempre sorprendente scoprire che proprio ciò che più di ogni altra cosa ci è mancato, e mancandoci ci ha feriti, possa essere proprio ciò che siamo chiamati a donare.
Dopo la metà del secondo anno di DP incominciamo a comprendere che la nostra ferita è anche il luogo del nostro carisma. Se non ho ricevuto rispetto sono chiamato a rispettare più di ogni altro. Se non ho avuto sicurezza e protezione, sarò la persona più capace di offrire luoghi di riparo ai sofferenti. Se non ho ascoltato parole vere, sarò il profeta di Dio.
Mistero della ferita accolta nella fede, e trasformata in Cristo nell’accesso al divino Amore creativo, e cioè alla nostra più vera identità, al nostro destino, alla nostra missione apostolica.
Un abbraccio. Marco
Come vorrei che tutti facessero esperienza di riconoscimento e accettazione della ferita iniziale della loro vita ,anche quelli che hanno ricevuto un a ferita più profonda, per esempio gli orfani allevati nei collegi di suore di cinquanta anni orsono!
Ne conosco una , è una persona con la quale porto avanti da anni una faticosa amicizia. Ha momenti di forte sofferenza e sembra che la sua vitalità stia per soccombere ,travolta anche dall’alcolismo e dalla solitudine, che in estate si fa ancora più pesante . Poi arrivano aiuti inaspettati dalle poche persone che le vogliono almeno un poco di bene e, lei, pur non trovando una solidità stabile, tira avanti. Sempre però piena di rabbia e contratta nelle sue possibilità di relazione. Come tradurre a lei le tappe del nostro percorso? Non con parole, ma con gesti di concreta vicinanza: una telefonata, un invito a casa. Ma non sempre questo è possibile e allora resta la preghiera. E in me martella un drammatico interrogativo: perché tanta sofferenza, perché tanta tragedia sempre in agguato? Perché a lei, come ad altri tanta sfortuna? Ditemi se questo interrogarmi è solo una trappola dell’io egoico. Grazie e un abbraccio, Mariapia
carissima filomena, carissimi compagni di ricerca, grazie di cuore per ciò che esprimete, per ciò che donate e trasmettete con le vostre parole. Parole.., non solo parole.. parole incarnate, parole del cuore, stille di luce e di calore avvolgente, quel calore trasmesso che nasce da una esperienza concreta di vita, oltre la mente, oltre la meta creata dal desiderio, oltre l’inaspettato, oltre ogni immagine..
mi sento sempre in difficoltà a scrivere, ancora tante paure mi abitano e mi sopraffanno,la comunicazione dell’esperienza del cammino spirituale, a volte, non trova parole, la paura di usarle in modo inadeguato mi carica di tensione e senso di responsabilità.
Grazie davvero per il dono che fate a tutti noi che visitiamo il sito. La vostra “luce” scalda, illumina, vibra in noi anche nel silenzio.
abbraccio grande. vanna
Carissimi,
scrivo da un internet point che non è proprio un luogo adatto alla con-centrazione, ma leggervi è stato un sollievo e una sorpresa in questi miei giorni di pioggia e di cura dei miei (3 su 3 sono più o meno malati! ma che è, ‘na congiura??)
Grazie , caro Corrado, delle tue parole così precise e cristologiche; come sempre mi guidi ad un’interpretazione più profonda di ciò che io stessa dico
Caro Marco, grazie per il tuo incoraggiamento, è molto importante per me!
Sto rileggendo ‘Darsi Pace’e sto ri-scoprendo con consapevolezza nuova tutta la straordinaria densità e ricchezza del tuo libro, sto capendo tanto di più rispetto alla prima volta che l’ho letto eppure sento che ancora tanto, tantissimo mi sfugge. Dunque il mio GRAZIE è tutto per te, per noi che camminiamo cercando la pace del Signore, con cuore via via più sincero
Cara Mariapia, tocca il cuore quello che dici della tua amica e della sua vita così difficile.
Penso che nella sua sventura è già fortunata perchè riceve segni della Provvidenza attraverso le persone come te, sensibili alla sua sofferenza. Certamente la solidarietà aiuta la tua amica a ‘vivere’.
Credo che interrogarsi sulla sofferenza che tocca alcune persone in modo molto forte sia umano, ma non saprei cosa rispondere sul perché…per me è un mistero davanti a cui resto muta, in attesa. La speranza è che anche chi ha ricevuto ferite che appaiono insanabili ad occhi umani trovi il coraggio, l’umiltà e la fede per slanciarsi nelle braccia di Colui che non delude.
La tua amica è fin da ora nelle nostre preghiere.
Spero che Marco legga il tuo commento e ti risponda in maniera più completa ed esauriente.
Cara Vanna, veramente grazie a te perché hai superato quelle difficoltà che senti di avere e le hai condivise qui e grazie per il tuo affetto, che mi commuove
abbracci di pace
Filomena
Cara Filomena
Hai descritto i primi dolorosi passi del nostro lavoro con “Darsi pace” in modo molto semplice e chiaro.
Per me ciò di cui parli è una fase del percorso che risale a diversi anni fa, i miei ricordi della cosiddetta “ferita” si concentravano ogni volta in un periodo della vita intorno ai 10 anni, in cui mi sentivo totalmente privata di libertà, di agire e di esprimermi e non mi sentivo ascoltata.
Ricordo che per molti del gruppo di allora era davvero difficile dover accettare che il nostro dolore esisteva spesso per colpa dei propri genitori, nel mio caso amatissimi.
Marco G. ci consolava dicendo che tale travaglio doveva servire proprio al perdono ed all’amore incondizionato verso di loro, in quanto anch’essi a loro volta avevano subito ferite dai loro cari.
E solo liberandoci da questi rancori nascosti, uscendo dalla “prigione dorata” in cui ci siamo negli anni rinchiusi si può guarire, ritrovare la pace!
Anche per me questo lavoro è stato propizio per il “ricongiungimento con il Padre” a cui sono grata sempre per avermi fatto comprendere quanto sia importante il percorso spirituale.
Sicuramente ora vedo tutto con altri occhi, come ha espresso Giuliana le mie relazioni sono più “vere” e soprattutto nelle parole di Marco vedo il mio attuale “carisma”…..voler dare libertà di espressione e voler ascoltare l’altro!
Auguri di Buone vacanze a tutti un abbraccio Gabriella
Cara Mariapia, il tuo interrogarti è legittimo, è la spina dentro la nostra carne, questa domanda è il rovello della stessa ricerca.
D’altronde è davvero arduo comprendere il destino individuale. C’è chi si perde pur non avendo subìto ferite familiari in apparenza tanto gravi, e c’è chi si santifica provenendo da situazioni davvero catastrofiche.
Qui tocchiamo il mistero del destino personale e della libertà, dei limiti della nostra libertà.
Noi crediamo però e speriamo che in qualsiasi situazione l’essere umano possa aprirsi alla salvezza, possa incontrare persone che sappiano trasmettere l’amore curativo del Cristo, la sua potenza esorcistica, che non teme nemmeno l’incontro con la Legione dei demòni.
L’importante è l’umiltà di chiedere aiuto, di continuare a gridare. L’importante è non chiudersi nella superbia della disperazione.
A noi spetta il lavoro di purificazione, più noi ci cristifichiamo, infatti, e più saremo in grado di compiere la missione che il Cristo ci ha dato: curare, guarire, salvare, illuminare, consolare, etc.
Tutto il nostro lavoro non è che un umile tentativo di collaborare a questa opera che Dio stesso compie in ciascuno di noi, per il bene nostro e di tutte le persone che incontriamo.
Un abbraccio. Marco
Il destino individuale è in effetti sommamente misterioso. Se non sbaglio, Hillmann sostiene che la nostra precipua ferita non sarebbe “a caso”, bensì “programmata” dalla nostra “ghianda” per poter, anche soffrendo, esplicitarsi e fiorire. Del resto non smetto d’interrogarmi sulla combinazione di doti innate e ambiente in cui si cresce, e più m’interrogo meno capisco – osservo di continuo mio figlio che adesso ha quasi 2 anni e il suo destino, il suo carattere, pur formandosi davanti a me, già mi sfuggono come sabbia fra le dita. Chi è davvero mio figlio?
Filomena tocca un punto esiziale: occorre accettare e poi utilizzare la propria Ferita; è come se dovessimo disinfettarci giorno dopo giorno, per giunta sapendo che in questa dimensione della vita difficilmente potremo smettere di farlo.
Un abbraccio.
Enrico
parole belle e anche utili per superare i sentimenti negativi legati alle “ferite narcisistiche”, tuttavia, in tutta onestà, eviterei di “santificare” la ferita. No, la ferita resta qualcosa che era preferibile non fosse mai avvenuta. Così va mantenuta. NONOSTANTE ciò, si può e si deve trovare il modo di “trascenderla”
Quello che osservi, Claudio, ci aiuta a considerare meglio l’angolo di lettura di un dato che in sé è “equivoco”, perché passibile di letture contrarie.
Ho pensato che davvero occorre essere “iniziati” per capire i “misteri”. Il parlare dei “misteri” chiede sapienza (mi accorgo che spesso io ne parlo senza tener conto delle sfumature implicate), così come è chiesta sapienza per comprendere il linguaggio che tenta di spiegarli.
Il senso veicolato dai termini è infatti ulteriore-mente compreso nell’insieme del discorso. Certo che la ferita è ferita, dolorosa, lacerante, sorgente di sofferenza, umiliazione… ma, per altro verso, può diventare sorgente di santificazione, riscatto, purificazione, liberazione. Se ciò riesce, e solo a tale condizione, si può-deve dire che davvero “santa è la ferita”, perché santificante.
Non è da canonizzare la ferita in sé, sono d’accordo con te, ma il suo frutto.
Del resto il peccato originale tutto è fuorché un bene. Eppure, nell’annunzio pasquale che la Chiesa canta nella notte di Pasqua, lo chiama “felice colpa”.
Non è troppo? Dipende…
“Davvero era necessario il peccato di Adamo,
che è stato distrutto con la morte del Cristo.
Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore”.
Non so se fosse necessario o meno il peccato di Adamo però in esso possiamo ri CONOSCERE IL NOSTRO LIMITE, liberi di autodistruggerci agendo il “libero arbitrio”(che a mio parere non è la libertà)
La mia domanda oggi, dopo”la nascita, la morte e la resurrezione” del figlio di Dio nella storia è questa: noi possiamo ancora dannarci ETERNAMENTE? o non piuttosto il combaciare della ferita umana del Cristo uomo con la mia mi ricolloca nell’essenza originaria? come nella vite il tralcio?
ORA, proprio ora io sono la stessa eppure diversa, ed i tempi saranno compiuti quando l’universo tutto trasfigurerà?
Prima di mettere al mondo i figli cercavo di districarmi tra il bene ed il male, tra ciò che è giusto e quello che è sbagliato; in ricerca della verità permanevo sotto la legge. E sono così giunta all’impotenza.Con la carne della mia carne non funzionava.
Così cominciai ad osservare la relazione. A prendermela a cuore, questa relazione ed a comprendere che proprio nel TUTTO E’ RELAZIONE sta la salvezza di un principio di verità.
Il bene ed il male nella nostra natura oggi non sono separabili, ma possono trasfigurare.
Il Risorto, risorge ora; e il Nascente, nasce ora..
Un albero è solo un albero (quello del bene e del male? quello della Croce?). Ritengo che alla fine dei tempi, quando la nostra umanità vivrà l’Eterno Presente, in quell’albero contempleremo LA SAPIENZA DELLA VITA.
Il paradosso costituisce forse la realtà, che IL RISORTO ORA trasfigura.
Ora, proprio ora, sono la stessa eppure diversa. Adesso sperimento il dolore nella gioia.
In questo personalissimo paradosso, di essere nata per morire sulla linea di un tempo terrestre; che non si concepisce ancora come L’ETERNO PRESENTE.
Concepire l’eterno significa decidere liberamente di scegliere di non scegliere, godendosi il dono della vita, amandola.
Sono veramente grata a Filomena per il post ed a Guzzi per non essersi sottratto alla sua vocazione dando origine ai gruppi “darsi pace”.
Ciao e un abbraccio a TUTTI NOI.
Rosella
Grazie a Filomena e a Marco che hanno dato una risposta condivisibile al mio interrogativo, grazie anche agli altri che hanno continuato il discorso sulle ferite originarie. Cercherò di vivere con maggiore abbandono, speranza e amore il mistero della sofferenza. Mariapia
A me pare che proveniamo da una cultura amartocentrica, che ha talmente tanto spinto sul peccato da considerarlo paradossalmente più importante della salvezza ridotta, a questo punto, ad atto riparatore di Dio verso un’umanità peccaminosa.
Mi chiedo se non sia tempo di ripensare la figura del peccato originale di Gen 3 anziché come descrizione della caduta dell’umanità, come interpretazione e lettura di ciò che accade in ciascuno di noi ogni volta che si instaura la struttura del peccato. Gen 3 cioè come messa in evidenza di come agiscono le strutture egocentrate polemicamente relate, per dirla nel “nostro” linguaggio dei gruppi Darsi pace.
In questo senso alcune premesse mi paiono significative:
per noi cristiani Gesù di Nazareth è la rivelazione definitiva dell’Abbà alla luce della quale leggiamo tutte le Scritture;
Gesù non si impegna a spiegarci da dove origina il male;
dal prologo di Giovanni a vari passi paolini, riferendosi a Gesù Cristo, si ribadisce che “tutto è stato fatto per mezzo di lui”.
Mi pare allora che Dio – inteso come Amore incondizionatamente dedito e autocomunicato che noi esprimiamo nella relazione spirituale di Padre e Figlio – crea e sostiene il mondo in questa prospettiva agapica. La relazione divina dunque è oblativa, in apertura verso l’altro, verso l’uomo e verso ogni creatura. L’invio del Figlio, dunque, non è condizionato dal peccato degli uomini, ma fa parte da sempre dell’apertura amorevole di Dio verso le sue creature, che storicamente ha preso corpo nella vicenda di Gesù di Nazareth nella libertà di Dio che si intreccia con le libertà degli umani. Da questo punto di vista l’Antico Testamento mi pare esemplare nel continuo trattare dell’uomo con Dio e dei continui ripensamenti di Dio: sul versante umano, un percorso di comprensione della volontà di Dio come incondizionatamente dalla parte della vita; sul versante di Dio, l’accoglimento nella propria volontà delle determinazioni che la libertà umana assume ogni volta che si declina come relazione buona verso l’altro. Ogni volta che il mio ego destruttura le sue centrature e si apre alla relazione in Cristo, l’Abbà assume la mia libertà come sua volontà: così si struttura la libertà di Gesù nel fare la volontà del Padre e così si struttura la nostra libertà.
Dentro questo dinamismo, la lettura di Gen 3, come determinazione fissante il mio destino a partire da un remoto passato, mi pare un po’ forzata.
Meglio si presta, sempre a mio avviso, l’interpretazione dei primi tre capitoli di Genesi come l’orizzonte dentro cui la mia libertà si esprime, nel mio presente.
Gen 1-2: l’anticipazione benedicente e promettente di Dio sulla mia vita vissuta nella relazione buona e fiduciosa con il creato, con le altre creature e con Dio.
Gen 2,17 “l’albero della conoscenza del bene e del male”: più propriamente tradotto dall’ebraico (Angelini) come “l’esperimento di tutte le cose”; Dio dà all’uomo la chiave interpretativa per la gestione della libertà: la libertà della creatura (che ha nella finitezza non un difetto ma una sua propria caratteristica) si compie non nel pizzicare disimpegnato qua e là senza coinvolgimento profondo di sé secondo l’atteggiamento che tanto tutto fa esperienza, ma nella dedizione totale di sé a ciò che si riconosce come l’appagamento dell’anelito che ci chiama.
Gen 3 allora diventa la mia fatica nel rimanere dentro un rapporto fiduciale con Dio e con il mondo, il mio indulgere all’assaggiare ciò che non è cattivo di per sé, ma non corrisponde alla presa di responsabilità della mia vita e perciò rivela la mia nudità.
Peraltro, l’amore del Padre si manifesta negli abiti che mi dona (nella vita che egli mi custodisce, nonostante tutto) e nell’indignazione scoraggiata di chi non può che constatare le conseguenze di una libertà mal compresa.
iside
Carissima Iside, grazie di questa bella riflessione.
Certamente per noi la Caduta parla della nostra tendenza fortissima ad alienarci, a partire da ferite che, almeno per quanto ne sappiamo, partono dalla nostra infanzia.
Credo ci parli anche però di una lunghissima catena di effetti distruttivi che hanno coinvolto, anche qui in modalità per noi non del tutto comprensibili, la stessa materia del creato, la nostra stessa carne, corrompendola, rendendola pregna di distorsioni, fino a morirne.
Dio ha certamente creato ogni cosa nel suo amore, ma le cose si sono andate corrompendo, e Gesù parla molte volte del potere diabolico come potere di corruzione e di menzogna, che ha operato e continua ad operare dentro questo mistero di deviazione, che arriva poi fino ai nostri avi, ai nostri genitori, e a noi.
Credo che la missione del Figlio sia intrinseca nella stessa creazione dell’Uomo; ma le sue modalità drammatiche, la sua Croce, insomma, si spiegano all’interno di una distosione paurosa del progetto creativo di Dio su questa terra.
Ma, come sai, a me non interessa poi moltissimo la riflessione teololgica, se non nella stretta misura del suo aiutarci a rinforzare la determinazione a trasformarci, e cioè a liberarci, in Cristo, di tutti gli effetti distruttivi che l’alienazione egoica imprime in noi.
Un abbraccio. Marco
Carissimo Enrico, l’ipotesi di Hillman possiede in realtà un’antica tradizione dietro le sue spalle. Una tradizione che, a Occidente, risale fino a Platone; ma che ha radici millenarie nell’Oriente hindù.
L’anima, prima di incarnarsi, sceglierebbe quelle specifiche difficoltà che siano in grado di farle fare quello specifico passo evolutivo che in quella vita l’entità spirituale sarebbe chiamata a compiere.
La specifica ferita in una determinata incarnazione corrisponderebbe cioè ad un preciso debito karmico da smaltire, di vita in vita, nel migliore dei modi, e senza togliere nulla alla libertà della persona di cogliere o di rifiutare il proprio destino.
Questa ipotesi, come è ovvio, implica la dottrina della trasmigrazione delle anime, che il cristianesimo ha rifiutato nei primi secoli della sua storia.
Comunque sia, mi pare che poi le cose non cambino molto: ognuno di noi è chiamato a comprendere le forme specifiche di ferita che ha subìto, le distorsioni caratteriali che ne sono derivate, e, con l’aiuto dello Spirito, tentare di esserne sanato/guarito.
Un abbraccio. Marco
Carissimi amici,
grazie dei vostri commenti che ho potuto leggere soltanto ora e anche un po’ di fretta, purtroppo.
Un saluto affettuoso a Gabriella, Enrico, Corrado, Mariapia, Claudio, Rosella, Iside, Marco, che hanno arricchito la discussione con riflessioni profonde e vive.
Filomena
Dico so che è bellissima
Filomena