Lot, nipote di Abramo, dopo qualche titubanza obbedisce infine ai messaggeri del Signore che lo sollecitano ad abbandonare Sodoma e a non voltarsi indietro per nessuna ragione. Sodoma e Gomorra stanno per essere distrutte dal Signore. “Quando l’alba cominciò ad apparire, gli angeli sollecitarono Lot, dicendo: «Alzati, prendi tua moglie e le tue figlie che si trovano qui, perché tu non perisca nel castigo di questa città». Ma egli indugiava; e quegli uomini presero per la mano lui, sua moglie e le sue due figlie, perché il Signore lo voleva risparmiare; lo portarono via, e lo misero fuori della città. Dopo averli fatti uscire, uno di quegli uomini disse: «Metti la tua vita al sicuro: non guardare indietro e non ti fermare in alcun luogo della pianura; cerca scampo sul monte, altrimenti perirai!» (Genesi 9:15-17). Ma la moglie di Lot non obbedì, si volse a guardare indietro e diventò una “statua di sale.”
Questo episodio narrato nel Genesi sollecita qualche considerazione alla luce del cammino composito ed unitario (culturale, psicologico e spirituale) che stiamo percorrendo con Marco come guida. I corsi fisici e telematici di “Darsi Pace” sono in realtà dei per-corsi che incidono nella storia personale, provocandone una crisi, o svelandone versanti critici e risvolti di sofferenza, e quindi offrendo una possibilità di ri-nascita e di evoluzione, oserei dire di liberazione. È, quello di Lot, un racconto “evergreen”, nel senso che si rivolge agli uomini di ogni tempo, invitandoli a prendere consapevolezza che, all’apice di una crisi di natura esistenziale, provocata dalle più svariate circostanze, la salvezza consiste nell’allontanarsi rapidamente ed il più presto possibile (all’alba) dal contesto interiore ordinariamente confuso, contraddittorio, dis-integrato, disarmonico. L’alzarsi prefigura un movimento ascensionale dal basso verso l’alto, dal materiale allo spirituale, dall’uomo a Dio, non per astrarci dalla nostra umanità ma per viverla come spiriti incarnati. È un’azione dinamica che restituisce vita a chi vive di memorie del sottosuolo, negli inferi, nell’ombra di morte (“Abitavano nelle tenebre e nell’ombra di morte, prigionieri della miseria e dei ceppi, perché si erano ribellati alla parola di Dio e avevano disprezzato il disegno dell’Altissimo. Egli piegò il loro cuore sotto le sventure; cadevano e nessuno li aiutava. Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie. Li fece uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzò le loro catene.” Salmo 106).
Ma per mettere la propria vita al sicuro e non perire è necessario non soltanto uscire dalla città, quindi dal contesto dis-integrante, ma anche: 1) non guardare indietro, ricadendo quindi in certi meccanismi psicologici e comportamentali, che si alimentano vicendevolmente, forieri di mal-essere, a pena, come accadde alla moglie di Lot, di tramutarsi in una statua di sale; 2) non fermarsi in alcun luogo della pianura, quindi assumere la faticosa costanza del cammino come via di liberazione, sfuggendo alle sirene evocate dalla pianura (tutto ciò che è facile, ingannevole, illusorio, deviante); 3) cercare scampo sul monte, cioè andare verso l’alto, al luogo di Dio, dove si sperimenta la piena re-integrazione e la pienezza dell’essere.
Sono tre fasi ben precise e distinte, ma l’una presuppone l’altra. Non è possibile, ad esempio, essere costanti nel desiderio di liberazione se ci si crogiola nel proprio vissuto alienato, voltandosi indietro. Allo stesso modo, non si può raggiungere il monte, il punto di contatto fra terra e cielo, di comunione fra Dio e l’uomo, se – mutuando dal Moby Dick di Melville – il risucchio semispento della nave affondata ci prende, tirandoci verso il vortice del non-senso.
Qui siamo di fronte ad un aut aut che ci spaventa perché non siamo più abituati all’integrità o al lavoro di integrazione, ma al dilettantismo, occupandoci di tutto senza conoscere nulla. È la modalità corrente di esistere perché molto comoda e apparentemente senza controindicazioni, che lascia aperte tutte le strade senza che se ne percorra per intero una sola. Non sapremo mai cosa c’è al termine di nessuna di esse. Tutto è pianura ed il monte è oltre l’orizzonte visivo della consapevolezza.
O Dio o Mammona, che è tutto ciò che ci divide dalla fonte della vita. O il Senso o il non-senso o i sensi, la sbornia multi-senso, quei sincretismi di pessima qualità che dis-orientano.
Ogni scelta esclude una scelta contestuale. Né gli effetti sono identici, ogni scelta produce i suoi propri effetti, come ben sostiene Marco. Un effetto è essere sale senza sapore, un concentrato di sale come la moglie di Lot che, come si legge nel vangelo di Matteo « a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.»
Grazie, carissimo, mi pare un’ottima attualizzazione del racconto biblico.
In particolare credo che sia rilevante l’aspetto del non voltarsi indietro, nel senso di non tornare sui nostri passi, sulle nostre decisioni.
E’ una sottolineatura dell’importanza della perseveranza lungo la via.
Anche Gesù dice che chi si volta indietro non è adatto al Regno.
E questo credo che dovrebbe valere anche per ogni atteggiamento “nostalgico”, spesso presente anche in molti ambienti cattolici….
No, per dirla con Rimbaud, bisogna essere assolutamente moderni, e conservare il passo conquistato.
Un abbraccio. Marco
Caro Salvatore, mi hanno molto colpita le tue riflessioni! E’ proprio vero, se si è fatto un cammino, non bisogna tornare indietro, altrimenti sarebbe come non aver fatto nulla. Come diceva Corrado nel suo post, le erbacce vanno buttate via, se nel mio cammino trovo persone che mi tirano “indietro” è tanta la voglia di seguirle perché mi ricordano che tempo fa stavo ” bene “con loro” ma oggi? Cosa avremmo in comune? Così come la moglie di Lot, sono tentata a diventare statua di sale, ma poi mi rendo conto di non volerlo più veramente. Oggi, sono un’altra persona, peggio o meglio non lo so (spero meglio) ma la consapevolezza di ora non la scambierei neanche per un attimo con “l’angoscia” che ho vissuto anni fa, una vita senza senso. Allora, come dici tu Salvatore, scappiamo da questi luoghi comuni, spegniamo televisore, radio inutili, “amici” solo per passare qualche ora, “parrocchiani” pettegoli e invidiosi, parenti molesti. Un bel respiro e via, incontro al Signore che ci aspetta sempre, al calore delle sue braccia, al conforto di un amico che scrive così bene quello che è balsamo sulle ferite… Ciao! Scrivici ancora!
Ciao Salvatore, ho sentito una forte risonanza alle tue parole ed in particolare “o Dio o Mammona”, ho sentito quanto è difficile spostarci vera-mente, completamente, come ci tratteniamo, ci nascondiamo, resistiamo a questa scelta profonda, la consapevolezza ci spinge verso la resa e l’abbandono, ma noi resistiamo “prigionieri della miseria e bloccati dai ceppi” come dici tu.
Quanta paura abbiamo, la sento, è una contrazione del cuore, l’anima ha bisogno di percepire altro per allentare la morsa, ha bisogno della scelta e dei suoi propri effetti, dove la vera forza sta nel fidarsi e nell’affidarsi.
Mi unisco a Luciana e ti invito a scrivere ancora. Ciao
Il libero arbitrio consiste anche nella possibilità di sbagliare strada, o scelta di vita, avere ripensamenti, cadere e rialzarsi, consapevoli di essere “umani”
quindi fallaci e incostanti e Dio questo lo sa bene.
Quello che mi spaventa è l’eccessiva sicurezza che ci rende comunque miopi
di fronte a decisioni che sembrano così ovvie, ma non lo sono affatto.
Non c’è niente di più mutevole della natura umana ed ad ogni azione, ne esiste un’altra esattamente contraria.
Dovremmo augurarci, non la rigidità, in qualsiasi cammino intrapreso, ma la
duttilità e la capacità di capire realmente, dove stiamo andando e perchè.
Non credo, che chiunque abbia un’incertezza o una “nostalgia” sia condannato al sale eterno.
Voglio credere che c’è di più, molto di più di regole fisse o formule schematiche e che l’uomo abbia il diritto di sbagliare, avere ripensamenti,
toccare il fondo e poi risalire, proprio perchè c’è Qualcuno che tende la mano per risollevarci e non per renderci pietre inerti.
Non voltarsi indietro è giusto, ma solo quando si è realmente consapevoli
di tutto il cammino (ed è tanto ed é faticoso) che davvero si è fatto, nella
vera Via, Verità e Vita.
Fino ad allora, essendo una piccola viandante, che ancora non conosce nulla
della sua strada, mi affido a Chi generosamente invia la sua Luce e non temo se mi volterò indietro qualche volta, potrò brancolare nel buio, ma non, sarà sempre così, intendo essere fluidificata durante il percorso sciolta da quell’Acqua Viva e dolce che non sa di sale.
Brunella
Caro Marco, ti ringrazio molto per aver contribuito a riavviarmi, con nuovo slancio, sulla via che conduce al Signore, Autore di ogni bellezza. E ringrazio le amiche commentatrici che, come me, stanno percorrendo quella via, che – proprio in virtù della nostra umanità fragile – non va esente da dubbi e ripensamenti. Ma quando si cammina, pur dubbiosi, si procede comunque guardando avanti. Non si può camminare con la testa e l’occhio interiore rivolti al passato. Ogni dubbio e ricaduta non presumono un ritorno al passato, ma sono parti integranti del percorso nuovo, in novità di vita e di perplessità, perché no! Solo che quei dubbi perdono in qualche modo di forza negativa, non ci paralizzano, ma ci sollecitano a guardare meglio e più in profondità, fino a lambire ed oltrepassare quello strato di scissione che è la nostra alienazione e che pure ci sta tanto cara. Non sono dell’avviso di spegnere TV, radio, che sono gli indicatori esterni di ciò che non va nel mondo e dentro di noi. Sono dell’avviso di porsi in atteggiamento criticamente consapevole ma non integralista. E’ vero: ci sono persone che ci vampirizzano, che ci sottraggono energie vitali con le loro infinite lamentazioni (quante di esse non hanno alcun fondamento sostanziale!). Eppure, chi ha lo Spirito ha pazienza, misericordia, serenità, amore verso tutti. Questo è il mio auspicio! Un abraccio a tutti, con gli auguri più sinceri di una Pasqua di liberazione!
Questa mattina ho risentito casualmente una vecchia canzone mi par di ricordare di Claudio Chieffo che dice così: “(non fu) per i trenta denari, ma per la speranza che, LUI aveva acceso in me”.
E son parole messe in bocca a GIUDA, il traditore.
Questa frase ha come illuminato uno squarcio del mio travaglio interiore.
In effetti la disperazione che talvolta nasce nel mio cuore è proprio il sentimento di un tradimento subito, di una delusione di essere stata creata come fossi una promessa (sposa) tradita: TRADITA DALLA VITA.
Io me la prendo sempre con il Dio della Vita, quando sto male, poichè in sostanza mi santo tradita da Lui, ed anche con Cristo che dopo duemila anni pare inconsistente, non aver concluso niente..
Eppure quella statua di Sale a me evoca una REALE POSSIBILITA nel passaggio successivo all’interno dei nostri tempi NEL RISORTO, purchè fermarsi sia una decisione personale e non il castigo di Dio.
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Quel permanere in attesa, quel costringerci all’immobilità che ci consenta di resistere alla disperazione, così da poter preservare la nostra stessa vita, senza autodistruggerci onde raccogliere le nostre poche forze per proseguire il cammino attraversando questa valle di lagrime sino a congiungenrci alla sorgente del pianto.
Abbracciati da quel Dio che ha promesso a Noe che mai più avrebbe sommerso la terra:
Forse tocca all’uomo ora lavarla e rigenerarla con le sue lagrime di sollievo, per renderla fertile; offrendo il proprio cuore perchè si lasci sciogliere acquisendo sapienza.
La sapienza della via apertaci da Gesù con il dono di sè, sulla croce nell’affidamento al Padre.
Per iniziare a credere veramente che è necessario attraversare tutta la nostra angoscia di vivere per poterci lasciare risorgere facendone una ripetuta esperienza personale.
Le parole di Gesù dette a Pietro “vai retro satana” quando voleva salvarlo dalla Croce, mi pare siano personalmente dette a me, in questi giorni: meglio al mio Ego, che come Pietro è generoso ma ancora molto inconsapevole. Non cosciente che il suo sguardo è rivolto alla morte più che alla vita, fisso come fosse ancora una statua di sale.
ciao
Rosella
tratte dal sito di Taizè di oggi
lettura – Passando lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro:«venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini»
Mc 1,16-20
meditazione – Soffiare sulle pene passeggere come il bambino soffia sulla foglia secca.
Non aggrapparsi alle inquietudini come una mano chiusa su un ramo di spine, lasciare la presa e lasciarsi accogliere dal Cristo.
Caro Salvatore, leggendo le tue riflessioni, improvvisamente mi sono reso conto che quell’antica città biblica ben rappresenta lo stato mentale distorto e triste dove abito e da dove neppure penso che sia possibile venire fuori (tremenda forza dell’abitudine).
Ma voci angelicamente amiche, come la tua, mi dicono di uscire, perché si può e si deve cambiare stato mentale.
A volte appare così facile farlo e allora da fuori mi rendo conto di come, nei vecchi abitudinari pensieri, io sia cristallizzato dalla paura.
Un caro saluto
Aldo
Da dove viene, Rossella, quel tuo carico di disperazione, che è una dissipazione dell’energia vitale? Non siamo stati creati per vivere in una valle di lacrime…Io penso che talune preghiere andrebbero riviste, poiché Dio, che è un padre con un cuore di madre, non vuole il nostro dolore ma la nostra felicità! Secoli di religiosità alienante ci hanno condotto a questo, a credere che Dio non sia l’Emmanuele, il Dio con noi, ma il nostro giudice, un dio pagano, il quale interviene nel momento di massima felicità dell’uomo per castigarlo. Qui sta il nocciolo duro della nostra conversione: cambiare ottica, indossare altre lenti. Caro Aldo, siccome provengo da una landa desolata, posso dirti con estrema sincerità che cambiare si può. Un’abitudine va sconfitta con un’abitudine di segno opposto. Un po’ per volta il mutamento si dà. Un abbraccio
Caro Salvatore,
Io so da dove viene il mio carico di disperazione dalla morte che mi ha preceduta, e dal fatto di essere nata proprio il giorno dell’onomastico di mia sorella morta appunto prima di me.
Io son stata contemporaneamente accolta come un dono di Dio, che mia madre aveva paura di perdere; e un risarcimento danni per tutto il dolore subito in precedenza e per tutta la paura vissuta nel tentare di portare a termine la mia gravidanza in un letto che non lasciava neppure sotto i bombardamenti..
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E mi sono difesa bene sai? Pur già consapevole da molti anni di questi fatti emersi emotivamente nel 1990 in una psicoterapia, solo l’anno scorso mi sono resa conto di come sopravvivevo a questa disperazion, incontrando la sua parola precisa, nel fallimento continuo della mia pratica meditativa pur fatta quasi regolarmente due volte al giorno.
E sì, io sono come l’osservatore distaccato, talmente lontana dalla mia angoscia da non sentirla proprio: la mia conclusione errata era: se non vivrò non potrò morire, così mamma sarà contenta e papà mi aiuterà a vivere.
Comunque sia la risonanza che ho postato nel tuo blog, nasce da un luogo molto pacificato, al termine di una lunga evoluzione durata direi almeno due mesi che che mi ha condotto alla gioia di riconoscere che finalmente sono grata personalmente a Dio di avermi creata. E lo dico con una certa commozione credimi.
Ciao buon fine settimana e Buona Pasqua.
Rosella
Anch’io Rosella quando sto male, me la prendo con Dio, il Dio della Vita e anche Cristo può apparire inconsistente, però poi, quando sto male davvero, mi affido a Loro soltanto, la mente razionale si liquefà come neve al sole, tutto l’essere mio è vorticosamente trascinato a domandarsi, a chiedersi addirittura se è valsa la pena essere venuti al mondo, potrei maledire, sempre additittura, anche i genitori che mi ci hanno messo… ma poi ancora, l’anima svuotata e consunta dal dolore timidamente – vagando tra le tenebre dei sentimenti – vede scorgere una luce di lontano che, a mano a mao, può farsi vera Luce di speranza e di ribaltamento dello status quo ante. Tu ci riesci, sei brava ad essere osservatore distaccato della tua angoscia da non sentirla più… per me è difficile, forse pressoché impossibile, tutto è sconvolto, sino ai precordi dell’essere. Col tempo ho capito che la Forza può rinascere didentro attraverso una profonda PREGHIERA e attraverso, paradossalmente, proprio quell’attesa che tesaurizza quelle pochissime energie rimaste a difesa della nostra stessa vita, dell’anima nuda e cruda. Ci si può così rimettersi di nuovo in sintonia coll’Alto, col Trascendente, col Divino. Saluti a te e a tutti.
Caro Pino,
la dinamica interiore che vivo, attraversando l’angoscia mi sembra analoga a quella descritta da te.
Considero UN DISVALORE, una difesa, il mio pregresso inconsapevole DISTACCO dall’emozione profonda dell’angoscia. Qualcosa che me la rendeva praticamente insanabile.
E’ per questo che nel primo intervento ho scritto:
“… attraversando questa valle di lagrime sino a congiungenrci alla sorgente del pianto.
ABBRACCIATI a quel Dio che ha promesso a Noe che mai più avrebbe sommerso la terra:
Forse tocca all’uomo ora lavarla e rigenerarla con le sue LAGRIME DI SOLLIEVO, per renderla fertile; offrendo il proprio cuore perchè si lasci sciogliere ACQUISENDO SAPIENZA.”
E’ veramente necessario riconoscere il dolore che ci abita ed attraversarlo, per predisporci a metterlo tra le braccia di UN ALTRO che CI SALVA..
Grazie, affettuosi auguri di Buona Pasqua.
Rosella
Riconoscere il dolore che ci abita ed attraversarlo è operazione di per sé dolorosa anch’essa. Al di là della fede mi è utile perlustrare cammini di analisi psicologicoterapeutica per cercare di poter rendere certa inabitibalità della mia esistenza un pochino più abitabile perché anche il dolore può cagionare stanchezza del vivere. Grazie e auguri di una serena e buona Pasqua anche a te. Pino.
sì Pino, è proprio così.
Anzi sono stata un po’ imprecisa: si attraversa l’angoscia (disumana) in modo tale che si sciolga (umanamente) nel dolore.
Ma hai ancora una volta ragione tu: se non abitiamo un qualche luogo di sollievo nell’anima, non abbiamo la forza di attraversare questo abisso nella fiducia che possa essere sanato.
La pratica meditativa che si effettua nei nostri gruppi è proprio l’apertura di questo luogo di pace interiore.
Ti abbraccio
Rosella
Caro Pino,
rileggendoti, mi accorgo di aver forse sottovalutato un aspetto della questione.
Non è necessario fare una scelta del tipo: o questo o quello.
Se il lavoro psicoterapico ti aiuta, perchè dubitare della sua efficacia?
Io stessa sono approdata qui dopo una psicoterapia che aveva portato tutti i risultati da me sperati, ed anche di più.
Il lavoro di questi gruppi (per come lo vivo io) da un certo punto di vista, va oltre la psicoterapia ma non la esclude proprio.
Vi pervieni perchè: “non ti accontenti”, vuoi qualcosa di più, costruire con gli altri il Regno ( la Chiesa?) una vita più vivibile. non so che altro dire: vuoi provarci ancora a cambiare il mondo.
Desideri vivere la stessa vita ma con un respiro nuovo, più ampio. Inizi a gustare l’eterno, come fosse il sentimento di pace e d’amore che nasce in te (uno stato d’integrità così lo si definisce) io direi UNO STATO DI GRAZIA; e te lo godi un po’ già da ora, non domani, ma adesso.
Questo rafforza la fede. Almeno per me è così.
Son certa di non essere stata chiara, ma se continui la nostra frequentazione prima o poi ascolterai la parola giusta per te, quella che ti è necessaria e utile ( e poi c’è sempre Guzzi, per chiarire i lati oscuri delle questioni: ” al bisogno”)
ciao
Rosella
Trascorsa la Pasqua, piuttosto bene religiosamente, non altrettanto bene psicologicamente – come umano essere materiale terreno e senziente, caduco e sempre bisognevole e mancante di qualcosa – leggo la tua, Rosella, risposta in cui dici di essere certa di non essere stata chiara.. e invece ho ben compreso quello che hai voluto comunicarmi… una cosa non esclude l’altra e… sulla “valenza” dei gruppi del Guzzi. La mia frequentazione, al momento, è solo attraverso sporadiche “e-mail”, forse neppure sempre pertinenti, perché non vi conosco personalmente, se non mia cognata che vi frequentava e, di presenza, Guzzi… per il fatto di aver partecipato ad un paio di conferenze, ma già abbastanza tempo fa. Traggo insegnamento dal tuo meglio specificare l’esperienza nei “gruppi” da te sperimentata e ancora in corso d’opera e quando ti rendi a comunicare le tue condizioni del passato, circa malessere e fragilità, che ti hanno fatto approdare all”attuale” tuo percorso. Prima o poi, sì, arriverà – credo e spero – anche per me, la parola giusta che mi farà scattare una molla didentro atta a decidermi quale percorso più in particolare intraprendere, anche se attualmente sono già, sebbene per altro verso e parzialmente, “in itinere”. Cari saluti, Pino.