Insegniamo a leggere e a scrivere ma non ad ascoltare. E infatti le frasi spontanee che vanno di moda al lavoro, sul treno, tra coppie, tra genitori e figli, nei dibattiti tra i politici sono “tu non mi ascolti”, “tu non senti quello che dico”…
Per essere pragmatici e dire da cosa cominciare mi viene spontaneo dire dalle nostre emozioni.
Ogni emozione ascoltata porta alla luce un pensiero che può essere il punto di partenza di una conversione (= cambiamento) che culmina con un abbraccio benedicente o una maledizione escludente.
Leggere la nostra anatomia emozionale nella poesia, nei romanzi, nei testi delle canzoni è ri-scoprirsi uomo e bambino insieme.
Tutto ciò non entra ancora nel conteggio del PIL o negli exit poll ma vivo nella speranza che qualcosa possa accedere e che nella missione personale di ciascuno ci sia spazio per condividere liberamente anche questo.
Stiamo diventando sempre di più un’umanità interdipendente e autonoma: un io umano che è in grado di badare a se stesso ma che sa stare anche insieme agli altri.
Dovremo in un passo successivo rispondere della paternità di questa nuova umanità sempre più collaborativa e sempre meno indipendente (che pensa di fare tutto da sola). Forse la risposta arriverà quando avremo imparato l’ascolto e quindi quando avremo ri-scoperto il silenzio. Giunti a questo momento sarà molto più sereno parlare di Dio perché forse riusciremo anche a sentirlo.
Non avrei mai pensato di scrivere un post come questo alcuni anni fa. La perseveranza (anche altalenante) dello stare in ascolto ha compiuto un piccolo risveglio: una presenza meno anonima e un dialogo più sincero con il Dio che mi abita.
Per non rimanere nel vago vi propongo la storia di una mia emozione che mi ha parlato in un momento di silenzio. Nessun filtro. Solo lo scorrere dei pensieri. Solo un sentito. Nessun significato. Liberamente fatelo anche voi.. senza forzare.
“Io non so quanto possa essere profonda un’emozione, quale possa essere il dolore o la gioia di una emozione. Non so neanche quanto possa abitarci nel profondo, straziandoci e alimentandoci della sua presenza fredda o calorosa.
In realtà mi sembra di non sapere nulla, nulla del mondo nulla delle persone, nulla neanche di me.
So solo che a volte qualcosa mi tocca, arriva così profondamente che riesce ad aprire porte mai aperte, entrare in zone così sconosciute di me che penso di essere un altro.
E’ come un fiume che tracima e lo fa tramite le mie lacrime, sospinte fuori dalla pancia e non riesco a smettere.
Ad un tratto riesco a penetrare e a vedere tutto il mio dolore che è anche quello del mondo. Una profonda solitudine accompagnata da una profonda tristezza che mi avvolge e che esce fuori e si presenta chiedendomi perché esiste.
E io non lo so. Vorrei aiutarla, dirgli che non è vero che non è tutto così, così come pensa e dice.
C’è dell’altro dentro e fuori. Ma nessuna l’abbraccia è sempre sola, distante.
Non riesce a farsi comprendere e gli sforzi disumani non gli servono a niente.
Un’attesa di giorni , di anni può creare sollievo. Una speranza di un calore di qualcosa che la scaldi e la trasformi in qualcos’altro.
La testa mi scoppia, gli occhi gonfi, la luce soffusa e il silenzio delle strade mi tramortiscono.
Disteso tra i fogli e il blu della tovaglia mi svuoto, mi placo e mi penso un po’.
La tristezza è andata via. Si sta addormentando anche lei lasciandomi esausto e in solitudine sprofondato in una quiete dove potermi distendere ed ascoltare altro, l’altro me o un’altra cosa di me che esce dall’inchiostro della penna per fissarsi nel tempo e nella mia storia.”
Photo credits: Alessandro Pinna
…forse è la trivella di cui parla Marco che a lungo andare crea una falla nella sotanza dura della mia interirità lasciando zampillare stati emotivi che mi travolgono un po’,mi stordiscono, ma mi fanno anche sentire VIVA come non mai, dentro le mie lacrime la gioia di “sentire” qualcosa di palpitante di vero e la paura svanisce …ho toccato la mia ferita e la mia morte, ma sono ancora qui…integra, e grata perchè tutto il mio dolore e tutta la mia angoscia possono essere annientate in un istante e in ogni istante e quello che trovo oltre è meraviglioso…
grazie Domenico mi piacciono le parole che provengono dalla “pancia” e non solo dalla mente razionale mi fanno vibrare in maniera empatica e spontaneamente sopra è quello che ne è scaturito.
Daniela
Grazie Domenico, nelle tue emozioni riconosco e ri-ascolto le mie. Un abbraccio.
Carissimo Domenico, grazie!
Ascoltare le emozioni (ciò che ci muove, la vita), lasciarle parlare fluida-mente, genera una scrittura nuova: un parlare a stretto contatto con l’essere, nella verità dell’essere,un parlare ‘divenuto’.
Ascoltandoti scopro un nuovo Domenico ed anche una nuova Giovanna: mi porti a sintonizzarmi su altre frequenze, a contatto con energie più sottili.
Grazie ancora. Un grande abbraccio. giovanna
Nelle tue parole, carissimo Domenico, sento la trasformazione.
La tua, la mia, la nostra.
Grazie e un abbraccio.
Giuliana
Vi ringrazio per le vostre risonanze, non nascondo che ci ho pensato un po’ prima di condividerle. Quando le rileggo effetivamente mi scopro altro e questo oltre ad essere liberatorio è fonte di una grossa speranza anche per gli altri che incontriamo. Realizzare un ponte invisibile con un altro per abitarlo quel tanto che basta per “sentire” il suo mondo per poi ritornare nella nostra identità più consapevoli.
Una esperienza totalmente evengelica…
“Realizzare un ponte invisibile con un altro per abitarlo quel tanto che basta per “sentire” il suo mondo per poi ritornare nella nostra identità più consapevoli.”
Grande! Non si poteva dire meglio. Grazie Domenico.
Vedo e sento sulla mia pelle che ognuno di noi ha i suoi tempi per portare a compimento il proprio processo di identità umana e spirituale. Questo va ascoltato con tutti i nostri sensi.
Se veramente vogliamo fare un salto “nuovo” allora abitare sinceramente e senza giudicare l’altro spero possa essere vissuto sempre di più come un piacere. E qualcosa si muove anche negli ambiti più insperati.
La nostra missione personale ritengo che debba partire anche da questa consapevolezza nuova. Il Buon Dio ci ha mostrato la strada, adesso tocca a noi trovare la nostra a partire da quella tracciata.
Ogni nostro insuccesso relazionale non è solo nostro ma ha un impatto su tutto il resto delle nostre relazioni anche quelle indirette: politica, scuola, lavoro..
UN abbraccio di cuore caro Renato