L’esperienza del gruppo DP che si riunisce nella parrocchia di Mozzo Dorotina (BG) sta proseguendo regolarmente, ci incontriamo una volta al mese seguendo la programmazione della prima annualità del Corso Telematico.
Il Gruppo si sta allargando numericamente e la conduzione in coppia di ogni incontro si sta rivelando positiva, nuova opportunità di metterci in gioco.
Desidero condividere un episodio che è stato occasione di lavoro e di riflessione.
Giancarlo, che ha cominciato a partecipare a Mozzo dopo l’intensivo di Albino, ha manifestato fin dai primi incontri un certo disagio a sentirsi nel gruppo, percependo nel lavoro dei partecipanti non tanto l’aderenza a Cristo, ma una “Guzzidipendenza”; ha quindi deciso di non continuare l’esperienza che avrebbe vissuto in modo forzato.
La sua decisione mi/ci interroga sul significato che assume per ognuno di noi questo lavoro e sul perché del nostro incontrarci a Mozzo.
L’accaduto mi ripropone la decisione di credere, la scelta di fede e lo vivo nella ricerca di autenticità, di vera comunicazione, di nuovo linguaggio che si fa dentro un luogo pacificato e più integro.
“La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede avevano un cuore solo e un’anima sola.” ( At 4, 32)
Decidere di credere è sapere che posso essere me stesso nel Tutto, nell’Uno.
La fede che fa sentire i credenti un cuore solo e un’anima sola passa attraverso azioni concrete come quelle che Gesù risorto dice ai discepoli e a Tommaso di compiere:”Guarda, stendi la mano, tocca.”
Riconoscere le mie ferite, riattraversarle e credere che trovano senso nelle piaghe di Cristo è il lavoro che sto facendo nei gruppi Darsi Pace, luogo in cui la mia fede si alimenta, dove imparo a silenziare per ascoltare Altra Voce a cui abbandonarmi spegnendo ciò che in me deve morire. Questo lavoro non è consolatorio, ma in esso trovo la via per una autentica consolazione perchè “dalle piaghe del Risorto non sgorga più sangue, ma luce; le ferite non sfigurano, ma trasfigurano”. (E.Ronchi, Ha fatto risplendere la vita).
Oggi vedo il cammino della Chiesa nella continua ricerca e attualizzazione di un linguaggio d’amore e sono grata ai miei genitori e a tante persone per avermi trasmesso la fede, il desiderio di cercare ciò che è Reale oltre il visibile.
Sono grata a Giancarlo per la chiarezza e l’ onestà con cui si è detto al gruppo, così come sono grata al Gruppo per avere accolto e ascoltato “empaticamente” il suo disagio, per avergli risposto con semplicità continuando nella sperimentazione del metodo che intreccia la riflessione culturale al lavoro psicologico di auto conoscimento e alla dimensione spirituale attraverso la meditazione e la preghiera.
Ritorno alla citazione di Schopenhauer fatta da Marco nell’incontro comune dei Gruppi
“Come sul mare in furia, che sconfinato da ogni parte solleva e sprofonda ululando montagne di onde, il navigante siede su un battello confidando nella debole imbarcazione così l’individuo sta placidamente in mezzo ad un mondo di affanni appoggiandosi e confidando nel suo principio di individuazione.”
Un nuovo linguaggio d’amore chiede l’umiltà di riconoscersi debole imbarcazione dentro la tempesta e la fede per poterla attraversare con un sempre maggiore abbandono nella speranza che la Vita vince la morte.
Insieme a tutti voi sto imparando a non rifiutare la tempesta, ad attraversarla e, forse, anche ad amarla.
E ve ne sono immensamente grata.
Sono un internauta osservatore di DP, quindi parlo da esterno: non ho ancora “inquadrato” bene l’iniziativa DP. Non ho ancora fatto discernimento fra un certo sapore retorico che un po’ traspare ovunque, e invece una sostanza di fondo che non ho ancora ben inquadrato: probabile che internet sia una barriera insormontabile e che il contatto diretto, per me impossibile, sia necessario per dare risposta a questo.
Ad ogni modo anche io ho avvertito una certo “Guzzidipendenza” abbastanza palpabile. E mi sono interrogato su questo.
La mia risposta, alla fine, è che questo genere di “dipendenze” siano un po’ fisiologiche, anche se effettivamente possono nascondere anche dei protagonismi e degli orgogli latenti. Essere leader comporta maggiori responsabilità e diciamo anche dare maggiori opportunità al demonio.
Il punto cruciale di questo discorso, non mi pare dunque essere se vi sia o no tale “Guzzidipendenza” ma mi pare essere quello dei frutti. “Dai frutti li risconoscerete” dice il Signore.
Nella mentalità moderna siamo molto, troppo, abituati a concepire la libertà come “assenza di dipendenza”: il dogma modernista afferma : “meno dipendenza = più libertà”. Ma questo dogma, nonostante possa essere vero in alcuni casi, è un inganno ideologico ed è, anzi, manifestatamente antievangelico.
La Parola di Dio dice altro. Pensiamo ad esempio alla dipendenza che i Santi Fondatori hanno lasciato nei loro movimenti o ordini: a volte si ha l’impressione in certi movimenti che i loro membri (nel senso ecclesiale, membri cioè del più ampio corpo di Cristo) siano in effetti più legati al fondatore che a Cristo, tanto ne ripetono le memorie; evidentemente perchè hanno scelto di seguire Cristo in quel modo. E’ rischioso, è vero. Ma la fede non è forse un rischio? Soprattutto all’inizio, quando il movimento è “giovane” è certo un grande rischio….
la fede non è una polizza assicurativa, come molti pensano. E’ mettersi in gioco.
Dunque bisogna avere il coraggio di rischiare anche una “guzzidipendenza” purché questa sia dallo Spirito e non da Guzzi. Se è da Guzzi allora viene dal demonio. Se è dallo Spirito porterà buoni frutti. Ma forse adesso questi frutti non si possono vedere, perchè il Regno di Dio viene nel modo che non si vede. Non abbiamo sfere di cristallo. Adesso forse nessuno, neanche Guzzi, sa la risposta. Ma il tempo mostrerà la risposta: dai frutti li riconoscerete. Ogni movimento “soffre” della “sindrome da leader”: ma il punto non è questo; è capire se questa “sindrome” sia veramente patologica oppure sia, invece, sana.
Mi chiedo se Giancarlo, prima ancora di denunciare tele “guzzidipendenza” e di prendere questa decisione si sia interrogato seriamente sulla natura di questa dipendenza oppure se abbia ragionato “da moderno” secondo cui ogni dipendenza è “ipso facto” non buona, che il è vero inganno.
Buon lavoro a tutti.
Caro fab,
partecipo al gruppo di Mozzo e potrei dire la mia, circa quanto esposto da Giuliana (che ringrazio per questo intervento, unitamente a Giancarlo, per aver aderito all’ iniziativa pur non potendone “forse” seguirne gli sviluppi), ma, mi sento invece sollecitata ad intervenire sul primo paragrafo del tuo scritto; forse anche solo sulle prime righe: “… osservatore di DP, quindi parlo da esterno: non ho ancora “inquadrato” bene l’iniziativa DP. …”
L’iniziativa di dp non è facilmente inquadrabile dall’esterno, è un percorso iniziatico, attraverso il quale tu decidi di coinvolgerti accettandone la trasformazione personale.
Vale a dire: tu puoi laurearti in psicologia ed inquadrare bene la materia, mentre io che non ho alcun titolo per accedere al corso universitario, mi reco da uno psicoterapeuta e inizio una psicoterapia fondamentale che mi trasforma.Capisci?
Sono certa di sì.
Il percorso proposto da Marco Guzzi utilizza prevalentemente strumenti che si possono (e devono direi) essere utilizzati personalmente, e riguardano in modo sinergico l’autoconoscimento psicologico, la pratica meditativa spirituale (ovviamente personale) e lo studio culturale del passaggio storico in atto.
Io la faccio un po’ semplice, ma mi sembra che la difficoltà maggiore al proseguimento della pratica derivi dal nostro interno, dalle nostre aspettative personali (io son sempre piena di pretese, di tutti i tipi) e si esprimono proprio come “resistenze” a lasciarci trasformare, come fossimo FIGLI (concordo sulla “libera dipendenza”) di DIO.
ciao
Rosella.
Caro Fab,
provo a risponderti per come hanno risuonato in me le tue parole, ho percepito un certo equilibrio e un cercare di tenersi lontani da facili pre-giudizi e questo è già un buon inizio; anzi direi che per me che sono alla ricerca di trovare un equilibrio tra l’automatismo che mi porta a fuggire tutte le relazioni e il desiderio invece che mi viene più dal profondo di aprirmi alle relazioni con l’altro direi che è una premessa fondamentale.
Penso che ognuno di noi reagisca a quello che legge o ascolta secondo il suo personalissimo stato e il suo livello di apertura e di comprensione, e anche io quando avevo solo letto qualcosa di Marco Guzzi, facevo fatica ad inquadrare la sostanza di fondo che dalle sole parole non traspariva a me che sono diffidente e non amo affatto gli intellettualismi di qualunque genere, poi ho incontrato Marco e ascoltando “dal vivo” le sue parole, probabilmente anche molto simili a quelle dei libri che avevo letto; ho sentito che queste parole non parlavano solo al mio intelletto, ma arrivavano dritte al cuore ho sentito un fascino in quelle parole che ha intenerito un po’ il mio cuore indurito e ho “ sentito” che per me era una buona strada da percorrere e un forte desiderio di conoscere e sperimentare. Anche se sono lontana da Roma posso seguire i corsi regolari fisico-telematici che sono stati istituiti fin dall’anno scorso e quando posso partecipo ai vari intensivi che vengono organizzati in diversi periodi dell’anno.
Sperimentando questo percorso che non è affatto solo intellettuale e/o spirituale ma anche pratico, nel senso di una vera e propria pratica o allenamento o ginnastica dell’anima (vedi tu come vuoi chiamarlo) sento dentro di me germogliare i primi frutti che forse non sono visibili ad occhi esterni, ma che per me sono il segno che la strada sia giusta, un grande senso di sollievo è la prima sensazione che mi viene da questo lavoro quotidiano e preciso, nonché molto personale e individuale.
Grazie per il tuo intervento di apertura che mi ha dato la possibilità di uscire allo scoperto e vincere un po’ il mio timore del giudizio.
Daniela
Personalmente sono stata sollecitata alla riflessione sulla “Guzzidipendenza” che Giancarlo ha contestato ai gruppi DP.
In effetti, ogni movimento od ordine è fondato da una personalità carismatica che sa attirare a sé per il fascino che esercita in base a ciò che dice e alla vita che conduce. Per quanto mi riguarda, all’inizio ho incontrato le parole di Marco prima alla radio e poi nei libri, quindi ho incontrato una visione del mondo, la sua interpretazione del nostro vivere qui sulla Terra. Contemporaneamente, ho fatto esperienza diretta di un uomo che ha voltato il suo sguardo verso di me e che non ha avuto paura di implicarsi in una relazione umana evidentemente non alla pari (per lo meno secondo le logiche mondane). Mi ha accolta in un momento di grande disorientamento nella mia vita e questo ha fatto la differenza. L’esperienza diretta è stata determinante, perché mi ha mostrato che quell’uomo davvero viveva ciò in cui credeva e che quindi lì doveva esserci qualcosa per cui valeva la pena coinvolgersi. Il percorso è proseguito negli anni, fino ad approdare alla frequentazione dei gruppi DP in cui sono alla seconda annualità.
A me pare che la mia ammirazione per Marco e la mia infinita gratitudine verso di lui saranno veramente tali se saprò testimoniare, anche solo un pochino, la liberazione interiore per la trasformazione del mondo, senza costruirmi falsi idoli, senza venerare un nuovo guru svendendo il cervello e ogni senso (auto)critico, nella prospettiva evangelica del “quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.” (Lc 17,10). Il problema della sindrome del fondatore mi pare che stia sostanzialmente nei discepoli e negli epigoni e non nel fondatore. Il fatto che Marco abbia istituito anche i corsi per i formatori mi pare un chiaro segno di fiducia nella possibilità che altri portino avanti il progetto, senza gelosie di appropriazione. Pertanto, mi pare che noi, che abbiamo deciso di aderire al movimento, siamo chiamati a vigilare, per non perdere di vista l’obiettivo e non confondere i piani per cui lo strumento si trasformi in fine (a se stesso).
iside
“Chi non avverta una forte esigenza di ricominciamento,chi si senta perfettamente a proprio agio in ciò che fa ed è,non credo che andrebbe molto avanti nella lettura.”da Darsi pace pag.7 Questo è ciò che il gruppo di Mozzo ha detto a Giancarlo,semplicemente .Il percorso che ho intrapreso nei gruppi credo che si possa definire in molti modi,ma non una dipendenza, proprio perchè parte da un bisogno profondo di liberazione interiore alla quale si arriva,ogni giorno un pò di più,proprio prendendo consapevolezza e spezzando le tante dipendenze: quelle affettive,quelle dei nostri rapporti amicali,quelle fisiche (cibo o alcool),ECC.
La parola chiave è proprio LIBERTA’: di scelta,di credere in modo nuovo,di agire senza automatismi, di sentirsi altro da me.E’ proprio arrivare al cuore della propria solitudine per rinascere e scoprire un nuovo rapporto di figliolanza con il Padre.
Chi non avverte, o non guarda, questa esigenza di cambiamento e trasformazione ,ribalta spesso la sua situazione sull’altro e cerca di trovare delle ragioni, dipendenza, setta o altro,per giustificare la propria immobilità.
Io sono immensamente grata a Marco,a Paola e al gruppo perchè mai come compiendo questo percorso,non sempre facile e anche doloroso, ho spezzato le mie catene interiori e per la prima volta nella mia vita o assaporato la gioia vera della libertà.
Grazie a tutti per le voste argomentazioni e gentili risposte e grazie a Daniela e Rosella in particolare. Ma poichè quello che avete un po’ scritto tutti nei commenti qui sopra non ha fatto altro che aumentare, anzichè sopire, certi miei dubbi circa DP, vengo allo scoperto e vi dico con più chiarezza quello che penso, sinteticamente.
L’obiezione riguarda la natura stessa di certi discorsi: si parla molto di “autoconoscimento” e di auto-volontà, il che non è sbagliato in se, ma se diventa l’unico parametro mi mette dei dubbi. Ad esempio Rosella dice “tu decidi di coinvolgerti….” oppure Daniela dice “ascolta secondo il suo personalissimo stato e il suo livello di apertura e di comprensione”. Iside parla di “liberazione interiore per la trasformazione del mondo” e poi dice “[noi] abbiamo deciso di aderire al movimento”. Si fa molto affidamento sul volontarismo, sulla propria iniziativa, poi si parla molto di approccio spicoterapeutico e psicologico. Inoltre si insiste molto sull’approccio “personale” anzichè di gruppo. Questo almeno è quello che avverto.
In tutto questo vedo mancare un ingrediente fondamentale… quale?
La grazia.
Tutto semrba partire dalle proprie iniziative, dai propri istinti…. o dalle proprie esigenze spirituali o spicologiche, ma non si parla mai di grazia, del fatto che “Nessuno viene a me se non lo attira il Padre mio” (Gv 6,44).
E poi vedo esaltata una grande iniziativa individuale e volontaristica personale per cui tutto dipenderebbe dal propria volontà di cambiare e di volersi auto-illuminare… sembra quasi di ascoltare certi sermoni buddisti… potrei sbagliarmi, naturalmente, perchè sono un osservatore web, ma l’impressione è questa.
Insomma mi sembra ci sia molto gnosticismo in questi discorsi… strano perchè in realtà nei video che ho ascoltato di Guzzi non mi pareva affatto ci fosse questo approccio.
Alcune altre considerazioni a margine:
@iside dice:
L’esperienza diretta è stata determinante, perché mi ha mostrato che quell’uomo davvero viveva ciò in cui credeva e che quindi lì doveva esserci qualcosa per cui valeva la pena coinvolgersi.
è vero che può essere questo un segno positivo, ma non è affatto una garanzia. Il diavolo si veste di luce…
la liberazione interiore per la trasformazione del mondo, senza costruirmi falsi idoli,
come sopra: chi garantisce che Guzzi + DP non sia un falso idolo? (è una provocazione, non una insinuazione)
Il problema della sindrome del fondatore mi pare che stia sostanzialmente nei discepoli e negli epigoni e non nel fondatore.
E’ vero spesso, ma non sempre. Si veda ad esempio di ciò che è accaduto ai Legionari di Cristo per via del loro fondatore.
Il fatto che Marco abbia istituito anche i corsi per i formatori mi pare un chiaro segno di fiducia nella possibilità che altri portino avanti il progetto, senza gelosie di appropriazione.
anche qui, non è detto: ripeto il diavolo si veste di luce….
Chi potrà dire se Guzzi/DP è dallo Spirito o no? Oltre che il tempo, solo la Sposa potrà dirlo: la Chiesa, suo corpo mistico, una, santa, cattolica, apostolica. Perchiò se il movimento rimarrà saldo nella Chiesa, non teme nulla nel lungo periodo. Altrimenti…
Caro fab
E’ dai frutti che si riconosce il seme.
Sono perfettamente d’accordo, anche se talvolta necessita tutta la grazia di Dio per germogliare ed una vista d’aquila per scorgerlo, magari su un cumulo di “fertilissimo” letame: IL FIORE.
Io ti invito semplicemente, se hai il tempo e la voglia, a leggere dall’inizio i miei interventi, fino a poco tempo fa non vi troverai che pochissimi (io penso NESSUNO) devo e voglio.
Solo ultimamente sto ricominciando ad utilizzare queste parole e molto timidamente, poichè nascono in me da una parte della mia anima in cui ero ancora SEPOLTA VIVA anche se non lo sapevo.
Ora “a pelle” ho una idiosincrasia con il devo ed il voglio, così come ciò che tu percepisci in odore di sermone buddista, io l’ho sempre ritenuto una deformazione maschile.
Come vedi proiettiamo quello che abbiamo, è normale.
Sì, sono io che DECIDO di riconoscere la mia impotenza e d’implorare la grazia di Dio nella sicurezza: CERTA DEL SUO AMORE; e lo decido attraversando luoghi di dolore che neppure sapevo risiedessero in me e che lentamente vengono risanati, aprendomi maggiormente alla relazione con gli altri.
In primo luogo trasformando le mie relazioni più prossime, quelle familiari.
Ciao, ti abbraccio e buona giornata.
Rosella
Sto seguendo con grande attenzione questo post e i commenti. Vorrei intervenire sul tema della volontà e della grazia ricopiando una frase da un romanzo che ho appena letto.
Una madre ebrea ortodossa parla al figlioletto:
“” Una volta qualcuno chiese come è possibile stabilire un collegamento fra l’uomo e Dio. La risposta fu che l’uomo deve fare il primo passo. Perchè possa esserci un collegamento fra l’uomo e Dio deve esserci un’apertura, un passaggio, anche un passaggio piccolo come la cruna di un ago. Ma l’uomo deve crearsela da solo l’apertura; l’uomo deve fare il primo passo. Poi Dio per così dire entrerà e allargherà il passaggio. “”
Queste parole esprimono bene la mia esperienza in DP (secondo anno del corso telematico). DP mi ha mostrato una via concreta, estremamente concreta, per aprire un piccolo, piccolissimo varco a Dio nella mia vita e per cercare di tenerlo costantemente aperto. Nonostante sia una strada non consolatoria, che attraversa vecchi dolori personali e che mi richiede un impegno quotidiano, mi sto accorgendo che questo può diventare un autentico varco verso qualcos’Altro.
Io ho sempre frequentato i canali tradizionali della Chiesa (messa, preghiera personale e in passato anche gruppi ecclesiali), ma il “canale di collegamento” con Dio in me si era chiuso da tempo e ora invece sento che si sta riaprendo, dando di nuovo senso a quegli stessi canali che non ho mai smesso di frequentare.
Detto così può sembrare una cosa di poco conto, in realtà è un cambio di prospettiva così radicale che può veramente rilanciare la vita di una persona.
Ciao
Antonietta
Caro fab,
le tue perplessità e le tue provocazioni mi paiono molto interessanti per rifarmi da capo le domande sul percorso intrapreso.
Intanto, mi pare che ci sia un limiti fisiologico del mezzo (il blog) che è senza dubbio una grande opportunità di condivisione di questa prospettiva, ma anche pone un limite ad una comprensione a tutto tondo, dato che DP è appunto un’esperienza e non (solo) una teoria.
Per quanto riguarda le tue perplessità sul volontarismo e sul decisionismo personale, mi pare che la decisione sia già una risposta a qualcosa che mi ha attratto, nel senso che mi decido a fronte di ciò in cui intravedo qualcosa in cui letteralmente valga la pena coinvolgermi. In una prospettiva cristiana, siamo già sempre anticipati dall’amore di Dio e dalla sua grazia, “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16).
Gesù, quando chiama i suoi, non fornisce loro nessuna garanzia di successo, non fornisce spiegazioni, semplicemente li chiama ed essi lo seguono: evidentemente devono aver “sentito” che lì valeva la pena scommettere la loro vita. Certo, come facevano a saperlo? Non lo sapevano, l’hanno saputo solo alla fine, ma lungo il cammino hanno avuto innumerevoli occasioni di verifica se quella chiamata iniziale continuava ad essere convincente. A me pare che questo sia lo schema di come funzioni la vita: ogni decisione umana procede nell’orizzonte dell’affidamento e ogni volta che ci decidiamo per qualcosa non abbiamo garanzie aprioristiche, la libertà è aperta e per potersi realizzare ha bisogno di immergere tutta se stessa. Il vaglio dei frutti mi pare sia il Vangelo e lo Spirito che grida Abbà nei nostri cuori, secondo le parole di Paolo ai Galati. La Chiesa lo diventa nel momento in cui si fa testimone di quella parola fondativa.
Per quanto riguarda la conoscenza di come funzioniamo dal punto di vista psicologico, è indicata come condizione necessaria seppure non sufficiente. Il metodo DP, inscrivendosi dentro la tradizione cristiana, prevede infatti il passaggio successivo dell’affidamento a Dio perché con le sole nostre forze non riusciremmo comunque a venire a capo delle nostre vite. Per questo la conoscenza psicologica è solo uno dei tre pilastri su cui si fonda il metodo.
Per quanto riguarda poi il pericolo dello gnosticismo, mi pare sia monitorato e scongiurato dall’espressione di un forte legame con la terra, pur nell’anelito allo spirituale, intendendo lo spirituale come uno stile di vita tutto intero che non escluda nessuna parte dell’umano.
Grazie fab che da internauta esterno, come ti sei definito, mi aiuti a rimettere a fuoco le mie scelte. A me sembra una grande risorsa potersi confrontare con chi guarda le cose da un’altra angolatura per tenere sott’occhio le derive sempre in agguato.
Buon viaggio a tutti!
iside
Grazie a tutte/i per i vostri interventi.
A Fab
Sono d’accordo con te quando parli di riconoscimento attraverso i frutti.
Creare frutti è portare gesti che non ci sono, è essere creatori ad immagine e somiglianza di Dio.
Vivo il cammino in dP come un umile contributo nella creazione di linguaggio e gesti nuovi che richiede un incessante e paziente lavoro interiore di potatura e di purificazione perché la grazia di Dio operi attraverso noi.
A Daniela
Sento morbidezza nella tua voce, forza e solidità nella postura e la tua presenza nel blog e nel telematico mi/ci regala il tuo canto.
Ad Iside
Credo che l’incontro di Marco e l’approfondimento della conoscenza che hai avuto tu sia comune a molte persone.
Per me il cammino in dP è un grazie a Marco e a tutte le persone che lo hanno tracciato prima di me e prende sempre più la forma di una semplice ed umile testimonianza di liberazione interiore e di trasformazione del mondo nella consapevolezza di essere servo inutile, ora un po’ più riappacificato rispetto al passato.
Ad Antonietta
Sentirsi un canale di collegamento con Dio non è cosa di poco conto, è come dici tu un cambio di prospettiva che rilancia la vita di una persona. E ogni rilancio lo si sente nel lavoro che condividiamo e diventa dono anche per gli altri.
A Rosella e Rosanna
Camminare insieme imparando ad accordare i nostri passi, come stiamo facendo nella “palestra” di Mozzo è un dono che vorrei allargare a tanti, mi aiuta a stare in questo mondo come un viandante in cammino verso la Meta.
Giuliana
Ho deciso di seguire il metodo proposto da Marco Guzzi quando in me ho sentito che la pratica meditativa, costantemente praticata da diversi anni, mi richiamava ad approfondire la mia fede in Gesù Cristo.
Intraprendere il cammino spirituale seguendo un metodo, semplice e preciso come quello proposto in DP mi sta aiutando ad assumere con responsabilità la mia vocazione cristiana.
Darsi pace è un metodo di lavoro su di sè per rispondere con responsabilità alla vita che ti è donata e corrispondere al messaggio di salvezza testimoniato e annunciato dal Vangelo di Gesù.
Un metodo di ricerca condiviso nel gruppo di Mozzo, nella ricchezza del confronto, nel sostegno reciproco,nella gioia di percorrere un tratto di strada, insieme, verso la vera Vita.
vanna
ho letto con attenzione e gratitudine questo interessante confronto
mi sono iscritta al primo anno del corso telematico perchè avevo bisogno di un aiuto nel percorso spirituale desiderato ma per me troppo pieno di ostacoli… la vita mi ha insegnato a diffidare di tutto e tutti e l’affidamento è un’esperienza che fin’ora non ho conosciuto… sono ipercritica verso me stessa e gli altri e qando cerco di avvicinarmi ad un Essere superiore (Dio) mi viene una rabbia feroce per tanta sofferenza mia e dell’essere umano in generale… mi viene da gridargli “ma che razza di padre sei ? perchè permetti tutto questo?…”
ascoltando le conferenze e gli interventi di Marco mi è sembrato che forse lui poteva darmi una mano venendo a prendermi nel punto in cui io mi trovo, senza chiedermi una fede che non ho…
seguire telematicamente gli incontri mi rende un po’ spettatrice, non sono veramente dentro il gruppo e non mi sento così affascinata dalla figura del leader, ma sto cercando di meditare seguendo i suoi consigli.
In linea di massima mi sembra mi aiuti a sopportare la mia vita con più coraggio… alle volte ho il dubbio di non arrivare da nessuna parte…
nessuna idealizzazione di Marco quindi, solo gli sono grata per la generosità con cui mette a disposizione di tutti le sue notevoli doti intellettuali e spirituali lasciando che ognuno le utilizzi come riesce.
ancora grazie a tutti per avermi dato modo di chiarirmi un po’ sul mio rapporto con la dipendenza in generale
un affettuoso saluto
ennia
Grazie, Ennia, per le tue parole: riconoscere e dire grazie è ben diverso dall’ idealizzazione e dalla dipendenza.
Il cuore non inganna mai: quando riconosco e dico grazie sento gioia, pace, respiro aria sottile, non l’aria cupa e pesante della prigione.
Cara Vanna,
decidere di seguire il metodo integrato e impegnarci nella pratica sui tre livelli è stata la scelta che abbiamo fatto con molta chiarezza nel gruppo a Mozzo all’inizio di quest’anno che ci ripaga delle difficoltà affrontate nell’anno precedente e ci fa assaporare ciò che tu dici:la ricchezza del confronto, il sostegno reciproco,la gioia di percorrere un tratto di strada, insieme, verso la vera Vita.
Grazie.
Giuliana
rileggere gli interventi delle persone che frequentano i corsi darsi pace, in questo blog, mi ha fatto cogliere per la prima volta un aspetto che non avevo mai considerato.
Mi sembra di vedere qui, la lenta fioritura del nostro lavoro, nelle parole espresse da Daniela giù, giù sino ad Ennia.
Colgo meglio quelle delle mie compagne di corso per la frequentazione e la conoscenza personale con alcune; ciò nonostante mi pare di vedere che in questo blog sappiamo ESPORRE la parte migliore della nostra trasformazione: IL NOSTRO piccolissimo GIA’.
Come dice Guzzi, la bellezza non s’impone, si espone.
E mi pare questa una gran bella cosa, che corrisponde un poco alla fatica che compiamo invece nel condividere i nostri lavori autoconoscitivi quando mostriamo le nostre note dolenti, attraversando tutti i nostri E NON ANCORA.
Forse la gioia della trasformazione ci rende un poco enfatiche e questo può venire frainteso.
Vorrei allora condividere con voi il risultato di un mio lungo processo interiore, attraverso il quale cercavo di rispondere interiormente alla domanda: Ma perchè io mi fido di te?
Non mi ponevo ancora domande sulla FEDE, anche se leggevo quotidianamente le letture del giorno; ma il passaggio entro certi limiti è stato breve anche se faticoso. Fidarsi di un UOMO DIO, come fosse una PERSONA lo trovo difficoltoso ancor oggi.
Questo è il prodotto della mia esperienza, certamente troppo personale per declinarne la dinamica, ma, spero sufficientemente chiara, nel tentativo di esporne l’evidenza.
(meditando la liturgia del giorno, messale ambrosiano feriale p.1995) era il 2008 ed ancora non utilizzavamo il nuovo lezionario
con-testo Rm 5,1-5
“Leggendo questo testo mi rendo conto che l’enfasi abbonda in ogni luogo all’interno del quale vi è qualcuno che tende a rendere ragione di ciò in cui crede; e per questo motivo seppur imperfetta ne è giustificata.. Quindi eccomi.
La fiducia ha l’essenza del cuore dei tuoi figli la prima volta che li hai presi in braccio ed il suo frutto è la pace. Pace e gioia commossa. Emozione che si effonde come un effluvio dal figlio al padre, e dal padre al figlio intessuto dal corpo della madre, li nel luogo in cui la Vita è creativamente testimone in sè stessa di se stessa; nel luogo in cui essa è senso, senso e dono ; e lo Spirito di Dio non delude la fiducia riposta nell’uomo, e l’uomo può ancora così sperare che il desiderio del cuore sia colmato.”
Ciao a tutti
Rosella
Capisco molto bene cosa significhi la “Guzzidipendenza”, forse all’inizio anche per me era così, ma ora che sto frequentando gli “approfondimenti”, penso che Marco Guzzi sia “semplicemente” un tramite per tornare ad essere cristiani “veri”. Gesù disse: “vi riconosceranno da quello che sarete e farete nel mio nome”. Oggi mi sento “staccata” da Marco, ma non perché non condivida quello che dice, secondo me lui è un “profeta” che ci ricorda quello che siamo e che potremmo fare da “veri” cristiani, ci ricorda, come Aselm Grun della “spiritualità dal basso”, l’ascesa a Dio è attraverso le nostre debolezze, le nostre ferite e limiti.Ed è proprio là, dove ci troviamo alla fine delle nostre possibilità, che ci troveremo aperti a Dio.
Grazie ancora a tutti per l’interessante e costruttivo dialogo
@Antonietta / @Iside: mi dispiace ma la madre ebrea non mi pare proprio esprimere una visione cristiana in questo caso. Provo a fare un’altra analogia, tratta dal vangelo: se Gesù è la porta siamo noi a doverla aprire; bene: la porta che ci viene rivolta pre-esiste al fatto che la apriamo. Come dice anche Iside “siamo già sempre anticipati dall’amore di Dio e dalla sua grazia”: era questo quello che volevo dire. Quando cerchiamo Dio sinceramente è già una risposta, libera, alla sua Grazia e non il viceversa. Non è questione di lana caprina: fa la vera differenza fra un movimento eretico e un movimento ecclesiale.
Ad esempio lo stesso Catechismo della Chiesa è strutturato in modo non casuale:
PARTE PRIMA – LA PROFESSIONE DELLA FEDE
SEZIONE PRIMA -«IO CREDO» – «NOI CREDIAMO»
CAPITOLO SECONDO – DIO VIENE INCONTRO ALL’UOMO
e poi a seguire….
Concordo con Iside riguardo i “limiti fisiologico del mezzo (il blog)” e infatti preferisco non continuare, dopo questo lungo ma interessante confronto, perchè penso che ci si perderebbe un po’…
Anche se ribadisco le mie perplessità iniziali, rigrazio tutti voi che avete commentato o mi avete risposto, vi ho letto tutti con interessse… ma concluderei qui il mio intervento per impegno di sintesi e anche per evitare quelle noiose discussioni interminabili in certi siti…
Grazie ancora a tutti e…
Buon cammino in Cristo Gesù.