In una famosa epistola di Petrarca tratta dalle ‘Familiares’, il poeta racconta la sua ‘Ascesa al Monte Ventoso’ (un monte della Provenza), in compagnia del fratello Gherardo che si era fatto monaco.
Questa salita di montagna va letta anche e soprattutto in chiave allegorica, come la salita verso la salvezza. Petrarca infatti vuole rappresentare concretamente tutta la fatica che occorre per liberarsi dalle pesantezze che gravano su di noi come macigni, come zavorre, quando intraprendiamo il percorso spirituale.
Tutta la fatica del decidere, del decidersi per il “sì”.
Ciò che maggiormente ostacola lo scrittore è l’accidia: la debolezza della volontà nell’impegno morale e spirituale, una debolezza che provoca a Petrarca una profondissima insoddisfazione poiché egli si sente incapace di intraprendere con decisione la via del bene che pure riesce in qualche modo a individuare.
Ecco i momenti più rappresentativi di questa amara condizione interiore:
“ …tutti soli ci accingiamo a salire e ci incamminiamo alacremente. Ma come spesso avviene, a un grosso sforzo segue rapidamente la stanchezza, ed eccoci a sostare su una rupe non lontana. Rimessici in marcia, avanziamo di nuovo, ma con più lentezza; io soprattutto, che mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello, per una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più in alto. Io, più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più diritto, rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte del monte e che non mi dispiaceva di fare una strada più lunga, ma più piana. Pretendevo così di scusare la mia pigrizia e mentre i miei compagni erano già in alto, io vagavo tra le valli, senza scorgere da nessuna parte un sentiero più dolce; la via, invece, cresceva, e l’inutile fatica mi stancava. Annoiatomi e pentito oramai di questo girovagare, decisi di puntare direttamente verso l’alto e quando, stanco e ansimante, riuscii a raggiungere mio fratello, che si era intanto rinfrancato con un lungo riposo, per un poco procedemmo insieme. Avevamo appena lasciato quel colle che già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato verso il basso, e mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi difficoltà. Volevo differire la fatica del salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di corporeo raggiunga l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più. Deluso, sedevo spesso in qualche valletta e lì, trascorrendo rapidamente dalle cose corporee alle incorporee, mi imponevo riflessioni di questo genere: «Ciò che hai tante volte provato oggi salendo su questo monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che vogliono accostarsi alla beatitudine; se gli uomini non se ne rendono conto tanto facilmente, ciò è dovuto al fatto che i moti del corpo sono visibili, mentre quelli dell’animo sono invisibili ed occulti. La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce. Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. Tutti vogliono giungervi, ma come dice Ovidio, «volere è poco; occorre volere con ardore per raggiungere lo scopo».
Leggendo queste righe, come credo sia accaduto anche a voi, non ho potuto non pensare a quando, mettendomi a fare meditazione, la mia mente inizia a vagare e divagare per valli montane, a quanta determinazione è spesso necessaria per uscire dallo stato di inerzia spirituale.
Ma a quanto pare era cosa comune anche presso i più grandi poeti! 😉
E veramente Petrarca sta descrivendo con precisione la penosa condizione del suo io che vuole ascendere.
E quando finalmente Petrarca raggiunge il fratello, sulla vetta del Monte Ventoso, ecco che si accorge di una “sincronicità”, ne viene colpito e convinto-avvinto:
“Mentre ammiravo questo spettacolo in ogni suo aspetto ed ora pensavo a cose terrene ed ora, invece, come avevo fatto con il corpo, levavo più in alto l’anima, credetti giusto dare uno sguardo alle Confessioni di Agostino, dono del tuo affetto [Petrarca si sta rivolgendo al destinatario dell’epistola, Dionigi da Borgo San Sepolcro], libro che in memoria dell’autore e di chi me l’ha donato, io porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d’infinita dolcezza. Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina poteva capitarmi che non fosse pia e devota? Era il decimo libro. Mio fratello, che attendeva per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo. Lo chiamo con Dio a testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: «e vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi». Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello che desiderava udire altro di non disturbarmi, chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande.
Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi della mente in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentavano il mio silenzio. Non potevo certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri.”
Non è bello intuire e verificare che il cammino nelle vie dello Spirito ci accomuna tutti, oltre il tempo e oltre lo spazio?
Vi ringrazio della vostra attenzione, se siete arrivati fin qui
Un affettuoso saluto in salita
Filomena
I monaci hanno affermato concordi che l’accidia è uno dei nemici più forti della vita spirituale e la mia esperienza me lo conferma. Quante volte, affrontando il lavoro spirituale, mi sono persa in distrazioni , lamentele, e scoraggiamenti: è troppo duro, non cela faccio, ma non c’è un metodo più semplice, una via più agevole.?,Come Petrarca nella salita al monte , ho perso tempo per trovare una scorciatoia, o meglio un sentiero piacevole, e sono dovuta tornare alla via ardua , ma unicamente sicura.
Quanto al distrarmi nelle cose del mondo, per non affrontare il paesaggio interiore, sono sempre stata maestra: quante scorribande all’esterno, per dimenticare, per cercare fuori le cause dei miei problemi esistenziali, senza vederle dentro di me!
Ora che anche l’età avanza è tempo di conversione, con l’aiuto dello Spirito!
Grazie Filomena di questo post che ci fa sentire affini a un grande scrittore, fuori da ogni schematismo scolastico!
Mariapia
… accidia o mancanza di risolutezza? Se così, credo ne parli anche Buber nel suo noto libricino, Il cammino dell’uomo, che trovate pure on line, http://www.liberospirito.org/Testi/Buber/02%29%20Il%20cammino%20dell%27uomo.pdf
Eccone una parte:
“Un chassid del Veggente di Lublino decise un giorno di digiunare da un sabato all’altro.
Ma il pomeriggio del venerdì fu assalito da una sete così atroce che credette di morire.
Individuata una fontana, vi si avvicinò per bere. Ma subito si ricredette, pensando che
per un’oretta che doveva ancora sopportare avrebbe distrutto l’intera fatica di quella
settimana. Non bevve e si allontano dalla fontana. Se ne andò fiero di aver saputo
trionfare su quella difficile prova; ma, resosene conto, disse a se stesso: “E meglio che
vada e beva, piuttosto che acconsentire a che il mio cuore soccomba all’orgoglio”.
Tornò indietro, si riavvicinò alla fontana e stava già per chinarsi ad attingere acqua,
quando si accorse che la sete era scomparsa. Alla sera, per l’apertura del sabato, arrivò
dal suo maestro. “Un rammendo!”, esclamò lo zaddik appena lo vide sulla soglia.
Quando da giovane ascoltai per la prima volta questa storia, fui addolorato per la durezza con la quale il maestro aveva trattato quel discepolo zelante… solo molto più tardi … ho capito … L’opposto del “rammendo” è il lavoro fatto di getto. Come realizzare un lavoro in un sol getto? Non in altro modo che con un’anima unificata.”
Buona unificazione a tutti noi
Alessandro
Bella questa descrizione del Petrarca, precisa, circostanziata, e profonda, perché conduce a fare i conti con la propria anima.
Hai ragione, cara Filomena, “è bello intuire e verificare che il cammino nelle vie dello Spirito ci accomuna tutti, oltre il tempo e oltre lo spazio”.
Grazie. Corrado
Le parole di Petrarca mi riportano il senso che ha avuto la montagna nello scorrere della mia vita: un’esperienza forte, intensa, tra la fine e l’inizio.
La fine di anni di malattie, conflitti, separazioni, lutti e l’inizio di nuova consapevolezza di me stessa, degli altri e della Vita.
La montagna mi ha messo faccia a faccia con la paura che mi abita, mi ha fatto sentire piccolissima parte del Tutto regalandomi una visione a 360 gradi.
Ora non la frequento come un tempo, sono convinta che proprio la sua mancanza mi abbia fatto approdare nei gruppi di dP perché ho trovato nel metodo integrato lo strumento che mi permette di raggiungere nuove altitudini ritornando nella profondità dei miei abissi.
Ora è la meditazione che mi riporta nel silenzio, nel vuoto e nel Tutto, in un tempo dilatato, in uno spazio infinito dove respiro aria sottile che mi aiuta a ritornare nell’inquinamento di questo mondo con la speranza che la Vita vince ogni separazione.
Grazie a tutti.
Giuliana
Ringrazio con affetto gli amici che sono intervenuti su questo Monte Ventoso che anticipa (non sapendolo) l’Imprevedibile Vento di Giovanna 🙂
Filomena
Perfetta descrizione di quanto accade…
Sì, caro Salvatore, ha colpito anche me per la precisione dell’introspezione
un abbraccio
Il Petrarca in questa scalata, proietta uno stato d’animo, inquieto, ma cerca di domare e di riportare in termini accettabili la sua inquietudine