Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina nel Sinai
Partiamo dalla saggezza popolare, ma siamo sicuri che sia poi così saggia?
Non cade foglia che Dio non voglia Che Dio ce la mandi buona! Dio li fa e poi li accoppia Dio, se chiude una porta, apre un portone Dio manda il freddo secondo i panni Dio vede e provvede Aiutati che Dio t’aiuta.
Solo per citare alcuni proverbi che chiamano in causa la figura di Dio. Ma sulla tavolozza del pittore ci sono anche altri colori: dalla voce di Dio, tonante fuori campo, dei film hollywoodiani stile “I dieci comandamenti”, fino ad una certa predicazione doloristica che non si trattiene dal concludere le proprie arringhe con l’elogio della sofferenza.
L’immagine che ne emerge pare lontana dal volto di Gesù, ne sembra soltanto una deformata caricatura dal ghigno ambiguo, talvolta maliziosa pronta al tranello, talvolta arbitrariamente benevola. A partire da noi stessi non riusciamo a fare di meglio. Il sospetto nei confronti del divino ci attanaglia, siamo pieni di resistenze all’abbandono fiducioso alla Parola che ci crea.
Il Vangelo però ci racconta un’altra storia: la storia di un Uomo che cammina tra le persone univocamente benedicente; la storia di un Dio inequivocabilmente dedito alle sue creature; la storia di un Uomo che si adira contro la lebbra, che piange l’amico morto, che guarda, amandolo, il ricco notabile; la storia di un Dio che sceglie per sé la croce purché nessun altro ne rimanga vittima.
Nel Vangelo i due volti, quello di Dio e quello dell’Uomo, si incontrano (“ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere” Mt 25,35) e di entrambi abbiamo bisogno di una continua riscoperta per comprendere, fin nelle parti più remote della nostra carne, che è la Cura incondizionata alla vita dell’altro il fondamento su cui poggiamo, l’impronta che ci individua, l’identità che siamo chiamati a diventare per onorare il desiderio di vita buona e felice che ci abita fin dall’inizio.
Attraverso quelle pagine antiche, eppure così vividamente interpellanti ed echeggiate nell’apertura abissale della nostra coscienza, il Volto di Dio ci viene incontro come l’anticipazione buona che ci permette di deciderci per delineare il nostro volto.
La parola di Gesù di Nazareth perciò ha qualcosa da dire ad ogni essere umano che interpreti il vivere come un’esperienza in continua evoluzione, come il dar forma a se stessi a partire da un appello che dalla coscienza ci muove verso la costruzione di un inedito e sorprendente figlio d’uomo.
Tutto questo però non accade né automaticamente né in modo magico. Come il restauratore, con pazienza, ripulisce l’opera d’arte dalle incrostazioni del tempo, così anche noi possiamo piano piano rimuovere i sedimenti che la storia porta con sé, imparando a fidarci sempre di più della Roccia che ci sorregge e a lavorare su noi stessi per modellare la nostra libertà.
Il percorso proposto dai gruppi Darsi Pace è un esempio concreto ed efficace di come la (ri)scoperta della fede cristiana nei suoi punti fondamentali e l’emersione di un Io più autenticamente Sé siano due facce della stessa medaglia, due cammini convergenti di conversione, per (ri)trovare sempre di nuovo il senso dell’umano vivere.
“Il nome concreto del bene, il nome che dà un volto a questo termine astratto e insieme dà un volto a Dio – il bene infatti, si capisce subito, è Dio stesso – è il nome di Gesù Cristo. Attraverso l’immagine del Figlio di Dio fatto uomo noi riusciamo insieme a dare voce a quello Spirito che da sempre ‘geme’ dentro di noi, ma senza che possiamo da noi stessi distinguerne la voce (cfr. Rm 8, 26s). Attraverso dunque l’immagine del Figlio fatto uomo, attraverso le molte immagini proposte dalla sua predicazione, ma soprattutto attraverso l’immagine del suo gesto supremo, quello della dedizione di sé fino alla morte, noi troviamo la via di comporre in unità la dispersione frammentaria dei tempi della vita, e troviamo insieme la via di comporre in unità la nostra stessa immagine”.
Giuseppe Angelini, Le ragioni della scelta, Qiqajon 1997
Carissima Iside, grazie di questa bella e importante riflessione: in fondo è proprio l’immagine di Dio che oggi torna in questione. Chi è Dio? come pensa Dio? cosa posso sperare da lui?
E’ questa complessa serie di domande che torna a interrogarci, anche come cristiani, perché anche all’interno del cristianesimo abbiamo alimentato spesso immagini di un Dio perverso.
Rinnovare la nostra immagine di Dio è l’unica via per trasformare la nostra umanità, in quanto Dio e Uomo sono poli inestricabili di un unico pensiero, come in Cristo, Vero Dio e Uomo Vero, ci si rivela compiutamente.
Un abbraccio. Marco
“… noi troviamo LA VIA di comporre in unità la dispersione frammentaria dei tempi della vita ”
Cara Iside, mi piace giocare con le parole ed oggi desidero ri-congiungere la fine con IL SUO INIZIO.
“… fin nelle parti più remote della nostra carne, che è LA CURA INCONDIZIONATA della vita DELL’ALTRO, il fondamento su cui poggiamo…”
Questo è un concetto che in modo astratto è facilmente condivisibile.
Il fatto è che stante tutte le buone intenzioni noi non sappiamo proprio come fare. Per prendermi cura dell’altro (ammesso e non sempre concesso che l’altro accolga le mie cure) è necessiaro che qualcuno si prenda cura di me.
Per me è stata una vera scoperta luminosa il fatto di SPERIMENTARE CHE L’AMORE che abita in me SI PRENDE CURA di me
Che quello che diceva la saggezza popolare per bocca della mia mamma, E’ VERO: “nel Tuo cuore hai un amico e si chiama Gesù” mentre io spesso percepèisco un baratro vuoto di solitudine.
“La parola di Gesù di Nazareth perciò ha qualcosa da dire ad ogni essere umano che interpreti il vivere come UN’ESPERIENZA in continua evoluzione …”
L’esperienza iniziatica per eccellenza è il concepimento, ma se noi desideriamo realmente conoscere la vita nella quale siamo concepiti, nella sua evoluzione continua è necessario che DECIDIAMO CONSAPEVOLMENTE di seguire qualcuno che conosca percorsi iniziatici incarnati, altrimenti non se ne esce dall’astrazione retorica.
“… un inedito e sorprendente figlio d’uomo.”
E di questo sono realmente riconoscente al percorso in atto nei gruppi “dP”
“… ma soprattutto attraverso l’immagine del suo gesto supremo, quello DELLA DEDIZIONE DI SE’ fino alla morte…”
nell’esperienza personale di un attraversamento doloroso dei nostri blocchi infantili, nel nostro grido di dolore, corrisposto dallo Spirito d’Amore lasciatoci da Cristo, veniamo risorti.
” noi troviamo la via di comporre in unità la dispersione frammentaria dei tempi della vita… ”
E’ solo da questo luogo che possiamo cominciare ad essere felici nel prenderci cura dell’altro, ed anche divenire sempre più consapevoli che:
io sono tu che mi fai… Ma io chi? un io in relazione
Tu Iside mi fai, aiutandomi a riflettere su questi argomenti che mi evolvono proprio nel momento in cui nel corrisponderti riconoscente le risonanze che essi hanno avuto in me ne faccio dono al tuo farsi.
Io sono tu che mi fai. contemporanea – mente. in questo eterno in cui siamo, già e non ancora.
ciao.
Un abbraccio
Rosella
Questo post mi aiuta a vivere meglio l’Avvento.
Cerco di essere nell’attesa attiva di un Cristo che non ha il volto convenzionale e severo di un giudice impietoso, né quello mellifluo di un bimbo che non cresce mai e ti vuole sempre sottomessa e dipendente. Nascerà per me e per tutti coloro che lo accolgono, un uomo-Dio così perfetto da saper amare tutti, soprattutto coloro che si riconosceranno deboli e bisognosi del suo aiuto. Ci guarirà e libererà in noi i germi di una vita nuova, e allora ci scopriremo liberi e divini! Grazie, Iside e auguri a tutti!
Questo post mi aiuta a vivere meglio l’Avvento!
Aspetto un Dio che non ha il volto accigliato e lontano di un giudice impietoso, o quello mellifluo di un bambino che non cresce mai e vuole che si resti infantili e dipendenti.
Il Dio-uomo che nascerà per me e per tutti quelli che lo accoglieranno, mi amerà come sono, con tutte le mie debolezze e fragilità e mi scoprirò libera e divina!
Grazie, Iside ed auguri a tutti!
Per errore ho postato 2 volte! Mariapia
Rinnovare la nostra immagine di Dio è per me la sfida di concepire Cristo come “Figlio dell’uomo”. Può l’uomo oggi, ancora o finalmente, mettere al mondo il Figlio, Colui che fa nuove tutte le cose, che guarisce il passato e inaugura il futuro, qui e ora, nel suo essere? Se sì, allora possiamo salvarci.
Vedo un mondo di adulti, che si proclamano “uomini”, profondamente deviato, capace di distorcere e ferire bambini e giovani. Questi adulti mettono al mondo solo se stessi come repliche sempre più pallide e violente.
E’ ora che gli uomini si rigirino, iniziando a guardare ai frutti avvelenati delle loro opere e delle loro idee. E’ ora che dentro me stesso si faccia silenzio, profondo silenzio…
Cari amici,
abbiamo appena terminato qui a Roma l’intensivo dell’Immacolata e abbiamo sentito molto forte la comunione con tutti voi che non eravate presenti.
Riprendendo la frase di San Paolo che oggi abbiamo letto a messa: “persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6), spero che possa crescere sempre più forte in noi questa fede, anche se ci sentiamo talvolta in balia degli eventi della vita.
Un abbraccio a tutti voi. Paola
caro Renato,
senza volere, mi pare di aver corrisposto a quanto scrivi qui, nel blog di Giuseppina in “la gioia non invecchia”.
Per la verità ieri sera avevo letto le tue parole, magari, dormendoci su, esse hanno lavorato nel profondo della mia dimenticanza, condensando.
Ciao e buona settimana.
Rosella
Condivido con Marco l’importanza del tema, soprattutto nell’ordine della testimonianza che noi cristiani diamo della fede che professiamo. Nella mia storia personale, credo di poter dire retrospettivamente che la scoperta del volto incondizionatamente dedito di Dio per l’uomo sia stato un punto di svolta cruciale. Perciò è un tema che mi sta particolarmente a cuore: posso fidarmi di Dio soltanto se lo so inequivocabilmente dalla mia parte, altrimenti sono condannata a schivare i colpi di un avversario immensamente più forte di me. E quindi non ho scampo. Ma la storia di Gesù di Nazareth ci racconta altro, quella del volto del Padre, sempre e ancora da scoprire in un lavoro di ricomprensione del Fondamento che è contemporaneamente scavo-modellamento di sé.
Certo, tra il dire e il fare … condivido il richiamo di Rosella alla concretezza. Mi pare che noi, che aderiamo al progetto dP, siamo proprio dentro questa prospettiva di tentare una strada che ci aiuti a delineare il nostro volto, poggiati sull’amorevole volto del Padre.
In questo tempo di Avvento, il rischio del “mellifluo”, come dice Mariapia, mi pare tremendamente alto. Mi unisco perciò al suo augurio di avvicinarci, ogni giorno sempre di più, alla vera sintesi umano-divina che siamo chiamati a diventare e che può nascere soltanto nella via laterale dello Spirito, lontano dallo sfavillio del centro mondano.
Condivido con Renato la sottolineatura sulla responsabilità degli adulti che spesso mostrano un volto deformato e crudele, violento e aggressivo, diventando perpetratori di distorsioni. Ora noi abbiamo gli strumenti di conoscenza (intesa in senso lato) per guardarci onestamente allo specchio e iniziare a smussare gli angoli dei nostri volti ossuti per renderli più caldi ed umani.
Sono molto contenta di sapere, dal post di Paola, che l’intensivo di Roma è andato bene.
Che la fede nel volto buono di Dio ci sostenga proprio nell’attraversamento della tempesta, in attesa di approdare ad acque tranquille.
Un abbraccio a tutti
iside