Quali pensieri occupano la mia mente?
Quali emozioni li colorano?
Quali convinzioni di base li generano?
Come sono nate le mie convinzioni di base?
Quali emozioni originarie mi caratterizzano?
Come si è formata la mia mente?
Su quali emozioni si è strutturata?
Quale influenza ha avuto la cultura familiare?
Quanto c’è di implicito nel mio pensare?
Tante, tante domande per scoprire il motore invisibile dei miei pensieri e comportamenti.
Vivo il fallimento della mente che vuol indagare se stessa, la sua origine.
Nella resa impotente, nella rinuncia a ‘sapere’, nel silenzio della mente, inaspettatamente la luce: piccoli flash di esperienze corporee, percezioni/sensazioni dei primi istanti/mesi di vita, e un’intuizione che lega questo misto di percezioni/sensazioni/emozioni primitive in un nome che da significato all’esperienza: soffocamento.
Sento/intuisco che l’esperienza di soffocamento è stata il nucleo originario non nominato intorno al quale si è andata organizzando la mia mente, nucleo rinforzato da un’educazione rigida e da un materno ferito che chiedeva per sé stesso accoglienza e contenimento.
L’esperienza di non contenimento è emersa attraverso immagini dei primi mesi di vita: mia madre non riusciva a tenermi e mi lasciava cadere, ed il mio corpo spezzettato volteggiava nell’aria, come parti di una bambola rotta.
Il modo in cui la madre (o l’agente cure materne) si prende cura del bambino, lo tiene in braccio, lo con-tiene, ha grande peso sul modo di strutturarsi della sua mente: difensivo o aperto alla fiducia. La capacità della madre di accogliere le primissime sensazioni ed emozioni del bambino e di restituirgliele trasformate e nominate consente al bambino la formazione della mente come capacità di pensare pensieri/emozioni, la madre trasferisce così al bambino la sua stessa capacità elaborativa.
La primissima forma di pensiero è rappresentata da un misto di sensazioni e grezze emozioni non distinte dalle sensazioni corporee, cioè da una forma di pensiero somatico; la nostra vita psichica origina da questo protomentale, da pensieri emotivi vissuti nel corpo, perlopiù pensieri di paura, terrore, angoscia, perché la nascita è uno strappo traumatico che accomuna tutti, ha a che fare con la Ferita di Origine che assume forma specifica in ciascuno di noi.
La modalità specifica in cui questa Ferita si trasmette a noi connota i nostri primi pensieri e organizza il nostro pensare. Dalla matrice protomentale hanno origine le convinzioni di base, rinforzate dalle ingiunzioni genitoriali, che dominano la nostra mente e costituiscono il motore invisibile delle scelte e dei comportamenti.
Il nucleo fondante della nostra personalità scaturisce da questa matrice.
Ci formiamo/aggreghiamo intorno a queste primissime esperienze che diventano il contenuto implicito, mai illuminato, del nostro pensare, la nostra cultura implicita, inconscia.
Il modo in cui si strutturerà la nostra mente, difensiva o aperta alla fiducia, dipenderà in buona parte da queste prime esperienze di vita.
Se la mente, per influenza di fattori innati e ambientali, si struttura in forma prevalentemente difensiva, si avrà una accentuazione dell’attività mentale, e un utilizzo delle funzioni logico-razionali a scopo difensivo: un intenso gioco di rimozioni, negazioni, spostamenti, proiezioni, e di strategie di prevenzione e controllo, verrà messo in atto per difendersi dal dolore della ferita.
Ma più ci si difende dal dolore della ferita spostando, proiettando, negando, più la Vita, in una sorta di coazione a ripetere, ripresenta situazioni che riportano alla ferita, finché……. capiamo…………ma capiamo cosa? che solo rientrando in noi stessi, accettando di vivere fino in fondo il dolore della ferita possiamo arrivare alla Luce: scoprire chi siamo, perché ci siamo, cosa siamo chiamati a fare. Allora tutto ciò che era sconnesso, senza senso, ci appare all’improvviso interrelato, pieno di senso.
Non a caso abbiamo quella ferita, una ferita che brucia appena sfiorata, ogni volta, ogni volta.
La ferita ci rende vulnerabili ma anche particolarmente sensibili, e in questa particolare sensibilità, se la ascoltiamo, scopriamo la vocazione: la chiamata e la nostra specifica missione.
La mia ferita che nell’aspetto di ombra mi rende insofferente a regole, legami, appartenenze e dipendenze, vissuti come soffocanti e angoscianti, nell’aspetto di luce mi rende particolarmente sensibile ad ogni situazione di marginalità, di violazione di diritti, mi porta spontaneamente a schierarmi per dare voce a chi non ha voce.
La ferita caratterizza tutta la nostra esistenza, nelle tenebre e nella luce. Il Cristo Risorto porta i segni delle ferite nelle mani, nei piedi, nel costato.
Quando si illumina la ferita e si accetta di soffrire liberamente il dolore della ferita, si interrompe la coazione a ripetere e la ferita si trasforma in risorsa di luce, guarigione, liberazione per sé e per altri.
Siamo nel già e non ancora, sempre misti, ambigui in parte; quanto del nostro pensare-dire-fare appartiene alla ferita negata, proiettata, e quanto alla ferita liberamente accolta dipende dal lavoro interiore ma soprattutto dall’azione della Grazia. A noi tocca solo aprire il cuore ad accogliere con gratitudine qualunque situazione la Vita ci presenti e trasformarla in dono per altri.
Grazie Giovanna. Illuminante, da portare nelle mente e nel cuore. Buone giornate! Alfredo
Che rapporto c’è tra ferita di origine e il concetto di peccato originale? Grazie! Mariapia
E’ proprio vero: la ferita brucia appena sfiorata.
Il lavoro speleologico che impariamo a fare nei gruppi dP ci insegna a danzare sull’abisso e a scoprire che più abissale dell’abisso del nulla, c’è uno stato di infinita apertura che possiamo contattare ogni giorno e dal quale possiamo ripartire più integri.
La fede del Figlio e nel Figlio ci assorbe in una dimensione in cui una mano amorevole ci ridisegna e noi, come bambini, partecipiamo al gioco che ci ri-crea.
Un abbraccio.
Giuliana
“A noi tocca solo aprire il cuore ad accogliere con gratitudine qualunque situazione la Vita ci presenti e trasformarla in dono per altri”.
E’ facile e difficile insieme praticare questo segreto di pacificazione, cara Giovanna.
Ogni giorno c’è da aprire il cuore, accogliere e trasformare in dono.
In questo ci aiuta la fede.
L’apprendimento dell’abc della nuova umanità è declinato dalla fede in Cristo, come è risuonato in vari modi nel corso intensivo tenuto da Marco dal 7 al 9 dicembre a Roma.
L’ho sentito risuonare anche nella meditazione alla Curia Romana di padre R. Cantalamessa del 7 dicembre scorso, di cui segnalo il link http://www.cantalamessa.org/?p=1876
Un caro saluto Corrado
Ritornare alla fonte della ricreazione è possibile! Questo ci sorprende quando ne facciamo esperienza vera, reale, concreta.
La gioia del perdono tocca l’infinito..incommisurabile!
Tornare ad “essere” bambini neo-nati, liberi e felici sprigiona il nostro cuore nella fede autentica che il Cristo è vera Pasqua.
Grazie Giovanna per questa ulteriore opportunità di risonanza. Grazie a voi compagni di ricerca, la vicinanza sostiene e incoraggia a proseguire l’apprendimento di questo nuovo alfabeto della vita.
Un abbraccio. Vanna
Carissimi Alfredo, Mariapia, Giuliana, Corrado, Vanna, grazie dei vostri interventi.
Mariapia: la tua domanda riguarda uno dei misteri della nostra fede, rispondo in modo sommario lasciando che Marco o Corrado approfondiscano e correggano (‘se mi sbaglio mi corriggerete’).
la Ferita di Origine è conseguenza del Peccato Originale, della disobbedienza, cioè del non ascolto (ob-audire, disobbedienza) che rompe la relazione di amicizia con Dio. Questa rottura, come un’esplosione atomica, disintegra l’originaria integrità dell’essere umano e crea scissioni a catena: separato dalla Fonte del suo essere l’uomo precipita sempre di più nella separazione, nel non-essere.
Danziamo abbandonati sull’abisso della ferita, come ci invita a fare Giuliana, e partecipiamo come bambini al gioco dell’Amore che ci ri-crea.
Un caldo abbraccio e Buona Ri-Creazione a tutti! Giovanna
Bel testo! Grazie, Giovanna, davvero illuminante e preciso, quasi si riesce a percepire quel pensiero somatico che si va formando nelle relazioni chimico-emotive con la madre, forse addirittura, dicono i neonatologi, a partire dal concepimento.
Un abbraccio. Marco
Mi ritrovo talvolta a riflettere su quanto noi da neonati siamo fragili ed esposti. Nasciamo come prole inetta, direbbero gli etologi, completamente affidati alle cure parentali di chi ci ha messi al mondo. Nasciamo però fatti di una materia facilmente graffiabile: le figure dell’attaccamento e l’ambiente (inteso in senso antropologico) lasciano dentro di noi, fin dall’inizio della nostra vita, solchi profondi di tradimento dell’apertura fiduciale con cui veniamo alla luce, solchi che delineeranno la nostra ferita personale. Anche chi nasce nelle cosiddette migliori famiglie fa comunque fin da subito l’esperienza del tradimento della fiducia e noi impariamo che degli altri ci si può fidare, ma solo fino ad un certo punto. Questo modello poi lo esportiamo anche sul divino che è invece l’affidabile senza riserve e perciò mettiamo in atto le strategie del sospetto verso Dio, cioè il peccato.
Perciò, mi pare diventi essenziale la testimonianza che come cristiani siamo chiamati a dare dell’affidabilità nei confronti dell’altro, perché così testimoniamo l’affidabilità del divino che ha nella relazione con una libertà umana la forma e la forza della sua rivelazione. Ma, almeno personalmente, soltanto con fatica e a sprazzi, percepisco il senso della responsabilità di questa vocazione.
A me pare di vedere perciò un rapporto capovolto, cioè il mio peccato si struttura a partire dall’inevitabile ferita che ha origine con la mia vita. E proprio per questo, cioè per il fatto che il peccato è conseguenza e non premessa, ho la speranza che più originale del peccato ci sia un fondamento d’Amore e perciò la mia vita possa essere salvata, riscattata e la ferita rimarginata, anche se storicamente in un non ancora in attesa di compimento.
iside
Grazie Marco per aver sottolineato la relazione chimico-emotiva del bambino con la madre che inizia già dal concepimento e da luogo ai primi pensieri.
Credo che questa prima forma di pensiero somatico continui a mantenersi nel corpo ma separandoci sempre più dall’esperienza corporea, con lo sviluppo dell’attività mentale, ne abbiamo perso l’accesso e così anche la comprensione di ciò che sta dicendo il nostro corpo quando si ammala.
La pratica meditativa, che ci insegni a mettere a fondamento del nostro lavoro, è la via per riportare la mente nel corpo, comprenderne il linguaggio e a volte a ripararne i guasti.
Grazie e un grande abbraccio. giovanna
Carissima Iside, grazie della profonda riflessione che hai voluto condividere con noi.
Si, credo anch’io che l’esperienza che facciamo nella nostra esperienza terrestre è di un rapporto peccato-ferita capovolto: poiché nasciamo con una ferita di origine impressa nella nostra cane, nel nostro DNA, con gli effetti di un peccato di separazione dall’Essere che oscura la nostra mente e rende fragile la nostra volontà (“non faccio il bene che voglio ma il male che non voglio” Rm7,19; “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” Lc 23,34) il male che facciamo è in buona parte conseguenza dell’oscurità in cui siamo immersi. Per questo il Padre, che conosce la nostra fragilità, ci dona la sua grazia e ci usa misericordia.
La nostra responsabilità consiste, a mio avviso, nel trascurare di custodire la nostra mente e il nostro cuore, nel trascurare di coltivare quel silenzio nel quale può raggiungerci la Parola che illumina e guarisce; nel non riconoscere la nostra fragilità e il bisogno che abbiamo di essere salvati.
un grande abbraccio. giovanna
Cara Giovanna,
grazie per il dono delle tue esperienze, delle tue conoscenze, della tua continua ricerca.
Capisco concettualmente ciò che esprimi ma non sempre ne percepisco l’esperienza reale nella mia vita.
Sento che mi riguarda non non riesco a “tirarla fuori.
Cercherò di seguire il tuo consiglio, di “coltivare il silenzio nel quale ci può raggiungere la Parola che illumina e guarisce”.
Ti ringrazio e auguri per un nuovo anno di Luce e di Bene.
Anna Maria
Ho letto solo adesso..è interessante quello che dici sullo sviluppo eccessivo del razionale come necessità difensiva, ho in comune con te l’insofferenza a regole e autoritarismi, la difesa degli ultimi..
Mi è piaciuto, ma è da rileggere e riflettere, tutto quello che dici e come lo dici.
Sto al secondo anno e grazie al corso acquisto sempre più consapevolezza, libertà, il calore e la forza dello Spirito. Un grosso abbraccio anche a te, buon Natale e buon cammino.
Ci siamo viste a S.Marinella. Io ero quella dell’ascensore vicino.Confermo per il prossimo…
Carissima Maria Cristina, sono lieta dei benefici che stai ricevendo, certamente grazie anche al tuo impegno e alla perseveranza nella pratica.
Ti auguro un buon proseguimento di cammino e un sereno Natale. Un grande abbraccio..e….al prossimo incontro a S.Marinella. Giovanna