Col senno di Darsi Pace, ho dato una interpretazione in chiave “guzziana” alla preghiera-invocazione del Cristo confitto in croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,24).
È una invocazione che precede di poco la Sua morte, sebbene “emise lo spirito” abbia un altro significato, attenga al passaggio da una condizione mortale ad uno stato di vita piena ed eterna, eterna perché piena. Non essere consapevoli di quel che si fa è la condizione esistenziale di chi è alienato da sé, è altro da sé, quindi distante dal sé cristico.
Se non siamo armonici; se il nostro io è fondamentalmente egoico, è impossibile unirsi o congiungersi secondo verità e giustizia a chi è altro, non nel senso di estraneo, ma l’altro di sé, nell’accezione che ne dà Federico La Sala nel suo libro “La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica” (Antonio Pellicani editore, Roma 1991): “Ad esempio, oggi non è possibile – è un’offesa all’intelligenza (Lorenzo Valla cosa ci ha insegnato?) e il segno di una tracotante perseveranza – continuare a “tradurre il racconto della creazione della donna con: Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto che gli sia simile. Il testo originale ebraico dice: Gli farò un aiuto che sia l’altro di lui”. La differenza non è affatto innocente”.
L’altro è un ascensore del proprio ego, non l’altro di sé. L’io egoico continua a considerarlo estraneo a sé, quindi manovrabile, strumentalizzabile. Un oggetto o un utensile, in linea con il suo status di ordinaria malattia o distorsione. L’alienato aliena; il risanato risana, poiché ciascuno comunica sottilmente chi è, non chi crede di essere. La maschera non regge a lungo. È solo questione di tempo. E il tempo si è fatto breve. In questo senso, la verità si rivela sempre.
Quando il padrone dell’ILVA di Taranto, Riva, afferma che due ammalati di cancro in più non costituiscono un problema (testualmente: “Una minchiata due tumori in più all’anno”, v. La Repubblica, 27 novembre 2012), fa un’ammissione egoica che va al di là del cinismo. È la cartina di tornasole, la rappresentazione plastica della decadenza della cultura del tempo presente, che fa dell’essere umano un’appendice del mercato e della politica del dis-valore umano, che reputa le persone quali unità statistiche di istogrammi di morte che non incidono sul conto economico dell’azienda. La logica del profitto e dell’extra-profitto ammette la morte come inevitabile, un accidente. Seminare morte, psicologica, fisica e spirituale, è il proprium dell’io egoico.
L’economia è egonomica. La politica è potere. La morale, cattolica o di altro indirizzo, ridonda concetti ma non trabocca vita. I rapporti umani sono incontri fra monadi, ed alto è il tasso di solitudine esistenziale e quindi di alienazione, essendo la soggettività, come scrive Marco, “relazionalità fin dall’origine” (v. M. Guzzi, Yoga e preghiera cristiana, pag. 84). Relazionalità sana, dove l’io si forma inglobando il “noi nel sé” (v. W. Schmid, L’amicizia per se stessi, Fazi Editore, Roma, 2012, pag. 13), per farne una relazione io-tu o viceversa (Buber docet). Anzi, io sono perché tu ci sei, esisti per me (non in funzione di me). Se tu non ci fossi, io non sarei.
Ma la relazione fra noi ed il Padre è quella primigenia. Noi siamo Sua emanazione, creature che sono chiamate a cooperare alla ri-creazione nostra e del mondo, ogni giorno. Senza questa relazione, che è fra persone, noi non sapremmo chi siamo. L’Assoluto delle filosofie e religioni orientali è, in questo senso, dis-orientante. Dice bene Marco. Ne sono stato sempre convinto. Come sono persuaso del fatto che la presenza di Dio è reale, sebbene non sia visibile all’occhio. Del resto, chi è presente non ha bisogno di dare continue dimostrazioni della sua presenza, altrimenti non sarebbe un buon pedagogo dell’Assoluto né saremmo liberi di scegliere né ci sarebbe dato di provare la nostra fede, che postula la non-visione, ma il sentire ed il credere, spesso il credere senza sentire.
Allora, quando siamo spaesati? Quando rinunciamo al Dio Persona e ci costruiamo degli idoli o delle false rappresentazioni di Lui. Quando siamo innaturali. Quando non abitiamo confortevolmente la nostra casa interiore ed usciamo per ricevere il conforto che non disseta, che accresce il bisogno fino al punto di renderlo inappagabile.
Ho letto molto volentieri questo post, ricco di spunti di riflessione.
Un po’ provocatoriamente, ma poi neanche tanto, mi pare che il “non sanno quello che fanno” della frase iniziale mi riguardi personalmente proprio nel mio modo di procedere nella vita. Spesso ho infatti la sensazione di non sapere come si faccia a vivere, ho l’impressione di non essere in grado di corrispondere a quella richiesta di responsabilità che viene rivolta ad ogni essere umano che sbuca sulla Terra.
Tuttavia, proprio Colui che pronuncia la frase mi mostra cosa significhi vivere, fino a che punto: per trovare la propria vita occorre perderla donandola fino alla fine. E allora dalla giustizia della sua bocca posso affidarmi alle sue parole di verità per trovare perdono presso il Padre. E ricominciare, ancora una volta da capo, a sfogliare l’egocentratura per decentrarmi in relazioni più autenticamente umane.
iside